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Giurisprudenza

Trust auto-dichiarato ed azione revocatoria: scientia damni desumibile dagli stretti rapporti familiari tra disponente e beneficiario

10 Novembre 2015

Avv. Angelo Ginex, Ginex & Partners Studio Legale Tributario

Tribunale di Palmi, 14 novembre 2014, n. 885

Di cosa si parla in questo articolo

In caso di azione revocatoria, ex art. 2901 del codice civile, avente ad oggetto il conferimento di beni in trust, la c.d. “scientia damni” in capo al terzo acquirente è desumibile dal fatto che i beneficiari siano i più stretti familiari del debitore o quest’ultimo nella qualità di trustee. È questo il principio sancito dal Tribunale di Palmi, con sentenza del 14 novembre 2014, n. 885, che ha accolto la domanda revocatoria della segregazione di beni immobili in un trust auto-dichiarato, in quanto gli atti dispositivi erano lesivi della garanzia patrimoniale del creditore.

Con la pronuncia in commento, i Giudici calabresi, intervenendo su una delle più note questioni del panorama giuridico in tema di protezione patrimoniale ed azione revocatoria ordinaria (ovvero, il compimento di atti dispositivi finalizzati a sottrarre beni alla garanzia del credito), hanno affermato tout court che la consapevolezza in capo al terzo acquirente del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore può essere desunta dalla circostanza che i beneficiari siano i più stretti familiari del debitore o quest’ultimo nella qualità di trustee.

La soluzione cui pervengono i Giudici calabresi consolida quel filone giurisprudenziale secondo cui, quando i beneficiari di un trust siano i più stretti familiari, ai fini della verifica dei presupposti legittimanti l’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 del codice civile, non è necessario dar prova di alcuno stato soggettivo di consapevolezza del danno cagionato ai creditori in capo al terzo, poiché tale consapevolezza è facilmente desumibile dall’esistenza di un rapporto di familiarità tra il disponente e il/i beneficiario/i (cfr., ex multis Tribunale di Genova, sentenza del 18 febbraio 2015, n. 10051; Tribunale di Nola, sentenza del 14 maggio 2013, n. 1462).

La vicenda

La vicenda traeva origine dalla esclusione dalla compagine sociale di uno dei soci di una società in accomandita semplice, con conseguente revoca di quest’ultimo dalla carica di amministratore unico a seguito di delibera sociale, poi confermata dal Tribunale a conclusione del procedimento di reclamo instaurato dallo stesso socio uscente.

A parere della società attrice, l’esclusione si fondava sul compimento di una serie di gravi inadempienze da parte del socio uscente, concretizzatisi nella irregolare gestione della contabilità e nello sviamento della clientela dalla società di cui non faceva più parte ad altra di cui lo stesso era institore.

La società lamentava pertanto di essere esposta a gravi conseguenze patrimoniali, da cui derivava una pretesa creditoria, che induceva la società ad esperire azione revocatoria ordinaria, ex art. 2901 del codice civile, rispetto ad una pluralità di atti dispositivi del proprio patrimonio posti in essere dal socio uscente.

In particolare, questi aveva compiuto diversi atti di disposizione del proprio patrimonio attraverso la costituzione di un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter del codice civile; l’istituzione di un trust auto-dichiarato; una donazione di quote sociali, nonché tramite la cessione di beni immobili in cambio di un vitalizio, stipulando un contratto di mantenimento.

La normativa

L’azione revocatoria è disciplinata dall’articolo 2901 del codice civile, il quale dispone testualmente che: “Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni quando concorrono le seguenti condizioni:

1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;

2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio, e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.

Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito.

Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto.

L’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione”.

Passando all’esame dei requisiti per la proposizione dell’azione de qua, l’art. 2901 citato prevede espressamente la sussistenza dei seguenti elementi:

– elemento oggettivo (c.d. eventus damni). Esso consiste nel pregiudizio alle ragioni del creditore. Non è necessario che il debitore si trovi in stato di insolvenza, essendo sufficiente che l’atto di disposizione da lui posto in essere produca pericolo o incertezza per la realizzazione del diritto del creditore, in termini di una possibile o eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva. Infatti, l’eventus damni ricorre non soltanto quando l’atto di disposizione determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma anche quando tale atto comporti una maggiore difficoltà ed incertezza nell’esazione coattiva del credito.

Inoltre, per la configurabilità del pregiudizio alle ragioni del creditore non è sufficiente che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo invece sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità.

– elemento soggettivo (c.d. consilium fraudis). Esso consiste nella conoscenza in capo al debitore del pregiudizio che l’atto di disposizione può arrecare alle ragioni del creditore. Si intende non già una specifica intenzione di nuocere alle ragioni creditorie, bensì una situazione di semplice conoscenza (ovvero, addirittura di conoscibilità, secondo il parametro della media diligenza) del pregiudizio che l’atto è in grado di produrre alla garanzia del credito.Se l’atto è stato compiuto prima che sorgesse il diritto di credito, è necessario che l’atto di disposizione fosse dolosamente preordinato al fine di danneggiare il futuro creditore.

– elemento soggettivo (c.d. scientia damni). Esso consiste nella consapevolezza in capo al terzo acquirente del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore o, trattandosi di un atto anteriore al sorgere del credito, nella dolosa intenzione di pregiudicarne il soddisfacimento.

Ai fini della sussistenza del suddetto requisito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “allorché l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, essendo l’elemento soggettivo integrato dalla semplice conoscenza – a cui va equiparata la agevole conoscibilità – nel debitore di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, e senza che assumano rilevanza l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (c.d. consilium fraudis), né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore” (Cass., sentenze nn. 2792/2002 e 7262/2000).

La decisione dei Giudici

I Giudici calabresi affermano tout court che non sussistono dubbi in ordine al fondamento dell’azione revocatoria proposta dalla società attrice (presunto creditore), poiché i requisiti legittimanti la domanda risultano tutti pienamente soddisfatti.

In primis, per quanto concerne il c.d. “eventus damni”, i Giudici di primo grado osservano, innanzitutto, come non possa non farsi riferimento ai noti arresti giurisprudenziali (ex multis, Cass., sentenza n. 23891 del 2013), secondo cui “L’azione revocatoria avente ad oggetto il negozio di conferimento è ammissibile, non interferendo sulla validità del contratto costitutivo della società […], né subendo alcun vulnusil principio di separazione del patrimonio societario rispetto a quello dei soci, […], né, infine, precludendola la disciplina in tema di prescrizione (art. 2901, ultimo comma, cod. civ.) che tutela gli aventi causa dell’acquirente diretto …”.

Chiarito ciò, i medesimi Giudici, richiamando una nota giurisprudenza di legittimità (Cass., sentenza del 24 luglio 2003, n. 11471), osservano che “nell’azione revocatoria ordinaria il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nella insufficienza dei beni del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale” e che, “essendo richiesta, a fondamento dell’azione, soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio incombe, secondo i principi generali, al convenuto nell’azione di revocazione, che eccepisca la mancanza, per questo motivo, dell’eventus damni”.

Conseguentemente, sulla base della considerazione per la quale sarebbe stato onere del convenuto (presunto debitore) provare la sussistenza di garanzie patrimoniali ulteriori rispetto ai beni conferiti e idonee ad evitare il pregiudizio nei confronti del creditore, ex art. 2740 del codice civile, e che, acontrariis, tale onere probatorio non risulta soddisfatto dal convenuto, i Giudici del Tribunale di Palmi ritengono sussistente il primo presupposto di esperibilità dell’azione revocatoria (ovvero, l’eventus damni).

In secundis, per quanto concerne il c.d. “consilium fraudis”, i Giudici osservano come “non occorre nel caso di specie la prova del consilium fraudis, atteso che gli atti posti in essere sono tutti atti a titolo gratuito, ad eccezione di un solo atto a titolo oneroso, che è, in ogni caso, posteriore al sorgere del diritto di credito.

Da ultimo, con particolare riferimento alla c.d. “scientia damni”, ovvero la consapevolezza in capo al terzo acquirente del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore, i Giudici calabresi affermano tout court che “pare evidente come le circostanze che i beneficiari degli atti fossero i più stretti familiari del debitore, e addirittura quest’ultimo nella qualità di trustee, costituiscono elementi indubbiamente rilevanti a far ritenere sussistente siffatta scientia damni, in quanto idonei a supportare una valutazione probatoria ex art. 2729 c.c., integrando presunzioni gravi, precise e concordanti”.

Sulla base delle suesposte argomentazioni, i Giudici di primo grado hanno accolto, dunque, la domanda revocatoria proposta dalla società attrice, con conseguente declaratoria di inefficacia degli atti dispositivi compiuti dal socio uscente.

Conclusione

La giurisprudenza in tema di presupposti e modalità operative della revocatoria ordinaria azionata verso il trust ha contribuito, negli ultimi anni, ad una progressiva implementazione dell’istituto, che risulta scevra da intenti volti ad un utilizzo non solo fraudolento, ma anche semplicemente improprio del trust.

In tal senso, è degna di rilievo la pronuncia in commento, atteso che i Giudici calabresi giungono ad affermare un principio molto importante in ordine alla verifica dei presupposti legittimanti l’azione revocatoria ordinaria, di cui all’art. 2901 del codice civile, così offrendo un interessante spunto di riflessione.

Come detto in apertura del presente contributo, i Giudici affermano tout court che, in caso di azione revocatoria, ex art. 2901 del codice civile, avente ad oggetto il conferimento di beni in trust, la c.d. “scientia damni” in capo al terzo acquirente è desumibile dal fatto che i beneficiari siano i più stretti familiari del debitore o quest’ultimo nella qualità di trustee.

Orbene, i Giudici, applicando correttamente i presupposti richiesti dall’art. 2901 citato, dopo aver ritenuto sussistente sia l’eventus damni che il consilium fraudis, concludono affermando che non è necessario dar prova di alcuno stato soggettivo di consapevolezza del danno cagionato ai creditori in capo al terzo, poiché tale consapevolezza è facilmente desumibile dall’esistenza di un rapporto di familiarità tra il disponente e i beneficiari.

A parere di chi scrive, il principio testé riportato appare, infatti, pienamente condivisibile, laddove si adotti un approccio interpretativo orientato a garantire la più completa tutela al creditore leso dalla riduzione della garanzia patrimoniale offerta dal debitore.

In definitiva, ogni qualvolta un trust maturato in un contesto familiare non risulti finalizzato al conseguimento di interessi meritevoli di tutela e, in particolare, sia volto ad inficiare la garanzia patrimoniale del debitore/disponente ex art. 2740 del codice civile, appare ragionevole desumere che vi sia la consapevolezza del danno cagionato ai creditori in capo al terzo acquirente.

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