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Giurisprudenza

Interest rate swap: valido a meno che ex ante sia inesistente qualsiasi rischio per la banca

28 Settembre 2015

Avv. Martina Gentile, Studio Legale Giovannelli & Associati, Firenze

Corte d’Appello di Milano, 25 maggio 2015, n. 2244

Di cosa si parla in questo articolo

Il caso

La sentenza n. 2244/15 della Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 25.5.2015, riforma la sentenza n. 2383/2009 del Tribunale di Monza, con la quale il Giudice di prime cure, in ossequio ad un indirizzo consolidato, aveva dichiarato la nullità per difetto di causa di due contratti di “Interest Rate Swap”, nel presupposto che l’obbligo ivi apposto in capo all’investitore di pagare un tasso di interesse fisso progressivamente crescente, precludesse ab origine al derivato di esplicare la funzione di “copertura” perseguita dal cliente.

Il contratto di “Interest Rate Swap”: causa del negozio e ipotesi di nullità. Breve panoramica su alcuni interessanti interventi della giurisprudenza

Col contratto di Swap su tassi d’interesse o “Interest Rate Swap” (I.R.S.) le parti si obbligano a scambiarsi flussi di interessi prendendo a parametro un capitale di riferimento o “nozionale”: in particolare, l’interesse pagato dall’una parte è calcolato utilizzando un tasso fisso, contro il tasso variabile applicato all’interesse corrisposto dall’altra (nella forma strutturalmente più semplice del contratto di I.R.S.  – la fattispecie del c.d. “Plain Vanilla Swap – il tasso variabile su cui sono computati gli interessi ha generalmente come riferimento il valore dell’Euribor, oltre ad un valore percentuale).

Il dibattito giurisprudenziale, in verità piuttosto mobile, si è negli ultimi anni particolarmente incentrato sul tema della validità di quei derivati c.d. con finalità di “copertura” (hedging), i quali – stipulati dall’investitore con l’espresso scopo di proteggere una determinata operazione dal rischio di mercato – non di rado si sono poi rivelati contenere condizioni economiche inidonee a garantire, con un apprezzabile margine di sicurezza, un risultato vantaggioso per il cliente.

Soffermandoci in estrema sintesi solo sugli indirizzi più noti, si rileva che una nutrita serie di pronunce – tra le quali si iscrive a pieno titolo la sentenza n. 2383/2009 del Tribunale di Monza, poi riformata dalla Corte d’Appello di Milano – ha tentato di recuperare la tutela dell’investitore assumendo che tali negozi fossero affetti da nullità per assenza del requisito della causa “concreta”, intesa nell’accezione di interesse pratico (appunto, la “copertura”) che il contratto di I.R.S. era nel caso specifico diretto a realizzare (tra i precedenti in questo senso, si segnalano: Corte d’Appello di Trento, sentenza n. 141 del 3.5.2013; Tribunale di Monza, sentenza n. 2028 del 17.7.2012; Tribunale di Bari, ordinanza del 15.7.2010).

Altro filone, ben rappresentato dal celebre arret della Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 3459 del 18.9.2013, approda invece alla declaratoria di nullità per difetto di causa partendo dalla diversa affermazione per cui i derivati sarebbero “scommesse legalmente autorizzate”, e assumendo dunque che la causa del contratto di I.R.S. sia costituita dall’“alea razionale” posta in capo alle parti (e cioè quell’alea consapevolmente assunta dagli scommettitori, solo dopo che “gli scenari probabilistici e le conseguenze del verificarsi degli eventi” fossero stati “definiti e conosciuti ex ante, con certezza”).

La mancanza di una causa tipica così definita, dunque, porterebbe alla conseguente nullità del contratto (in questo senso, vd. anche: Corte d’Appello di Bologna, sentenza n. 734 del 11.3.2014 e Tribunale di Torino, sentenza del 17.1.2014; sostanzialmente conforme, nella parte in cui si definisce il derivato come una scommessa autorizzata, anche la recente sentenza del 16.6.2015 del Tribunale di Milano, la quale però finisce per dichiarare la nullità dello strumento contrattuale per indeterminatezza dell’oggetto).

In senso contrario alla teorica dell’“alea razionale” meritano invece breve menzione: la sentenza n. 2976 del 24.4.2014 del Tribunale di Torino, che ravvisa la natura della scommessa solo nei derivati meramente speculativi; la sentenza n. 978 del 28.1.2014 del Tribunale di Milano, che individua la causa tipica dello Swap nello scambio di flussi finanziari e non nello scambio reciproco dei rischi, giungendo dunque a ritenere valido finanche un derivato con alea unilaterale.

La sentenza n. 2244/2015 della Corte d’Appello di Milano

La sentenza n. 2244/15 della Corte d’Appello di Milano, inserendosi nell’ondivaga querelle giurisprudenziale, segue un iter argomentativo stringato ma efficace: la nullità per difetto di causa del contratto di I.R.S. (anche di quello con funzione di “copertura”) può ricorrere soltanto quando l’alea connaturata al negozio sia ab origine unilaterale,  addossando il rischio ad una soltanto delle parti (il cliente) e lasciandone sicuramente esente l’altra (la banca).

Irrilevante, al contrario, che il rischio, comunque dipendente da fattori estranei alla sfera di controllo degli stipulanti (nella fattispecie, la variazione dell’Euribor trimestrale), possa essere sopportato – nella fase esecutiva del negozio – in misura maggiore da uno dei contraenti.

In presenza dell’originaria alea bilaterale, chiosa la sentenza, parimenti ininfluente, quanto meno ai fini della validità del negozio, sarà poi l’accertamento di eventuali squilibri tecnico – conoscitivi fra le parti, derivanti della violazione, ad opera dell’intermediario, delle prescrizioni di cui alla Comunicazione D.I. 990013791 del 26.2.1999 della Consob (contenente l’elencazione delle condizioni necessarie a rendere lo strumento derivato idoneo a perseguire l’obiettivo di copertura).

Il provvedimento n. 2244/15 della Corte d’Appello di Milano è indubbiamente interessante laddove, in ultima istanza, identifica la causa concreta dei contratti di I.R.S. (anche quelli “di copertura”) proprio nell’aleatorietà reciproca che grava sui contraenti.

In effetti, vi è da dire che le digressioni giurisprudenziali sul tema della causa concreta degli strumenti finanziari derivati, da un lato finivano per assimilarla ai motivi del negozio – notoriamente inidonei a determinare l’invalidità del contratto, se non nel caso di illiceità degli stessi – dall’altro operavano una certa forzatura concettuale laddove attribuivano al contratto di Swap su tassi d’interesse una sorta di funzione “tipica” di garanzia.

A ben vedere, la sentenza in commento sembra, seppur solo parzialmente, discostarsi anche dal celebre arresto impresso dalla medesima Corte nel 2013, ravvisando l’elemento distintivo dell’alea non tanto nella sua razionalità (elemento peraltro mai menzionato nel provvedimento) quanto nella sua reciprocità, con ciò epurando il concetto di validità del negozio dal rischio di contaminazioni con il diverso piano dell’inadempimento agli obblighi informativi.

Vero è, tuttavia, che la normativa vigente attribuisce grande rilevanza agli scopi perseguiti dall’investitore, ed anzi li tutela ponendo a carico degli intermediari obblighi di trasparenza e correttezza anche e soprattutto nell’offerta e nella negoziazione di strumenti finanziari derivati (si pensi all’art. 21 TUF).

Pertanto, quanto meno laddove gli obiettivi del cliente siano stati frustrati proprio a causa della scarsa trasparenza dell’istituto bancario nella fase precontrattuale o in quella esecutiva del rapporto, sarà ragionevole ritenere che la violazione degli obblighi di correttezza, pur non potendo assurgere a vizio genetico del contratto di I.R.S. (e in questo la sentenza della Corte d’Appello sembra seguire, ad avviso di chi scrive, una via corretta), potrà semmai rilevare sul diverso piano della responsabilità della banca.

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