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Giurisprudenza

Scissione societaria e ammissibilità della revocatoria ordinaria

16 Novembre 2021

Federica De Gottardo, Dottoranda in diritto commerciale presso l’Università di Trento, Avvocato in Trento

Cassazione Civile, Sez. III, 06 maggio 2021 n. 12047 – Pres. Rel. Travaglino

Di cosa si parla in questo articolo

Mediante la sentenza de qua la Suprema Corte torna a pronunciarsi sulla vexata quaestio dell’ammissibilità dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. avente ad oggetto un atto di scissione societaria, schierandosi a favore della tesi favorevole alla coesistenza dei due rimedi: l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. volta ad ottenere l’inefficacia dell’atto nei confronti del creditore, da un lato, e l’opposizione alla scissione ex art. 2503 c.c. (richiamato, in tema di scissione, dall’art. 2506 ter, comma 5, c.c.), tesa ad ottenere la declaratoria di invalidità dell’operazione di riorganizzazione, dall’altro.

Pur dando atto dell’esistenza delle contrapposte tesi in materia, i cui principali argomenti vengono sinteticamente ripercorsi in motivazione, la Suprema Corte conferma l’indirizzo già espresso da Cass. 31654/2019, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale “la revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria deve ritenersi sempre esperibile, in quanto mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato, al contrario di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori sociali prevista dall’art. 2503 c.c., finalizzata, viceversa, a farne valere l’invalidità” 

Il principio così affermato – ha evidenziato la Corte – “sembra aver poi ricevuto, sia pur indirettamente, una significativa conferma” da parte della Corte di Giustizia, con sentenza del 30 gennaio 2020 resa nella causa C-394/18, intervenuta in pendenza del giudizio di cassazione de quo. Nello specifico, la Corte europea era stata chiamata a pronunciarsi in ordine all’interpretazione degli artt. 12 e 19 della Sesta Direttiva societaria (Dir. 82/891/CEE), rispettivamente dedicati (i) al sistema di tutela degli interessi dei creditori anteriori delle società partecipanti, e (ii) ai limiti della definizione di “nullità” della scissione. La questione oggetto di rinvio pregiudiziale si articolava, con riguardo al diritto interno, su due piani: (i) sulla presunta autosufficienza del sottosistema di tutela dei creditori predisposto dalla disciplina sulla scissione, cui si aggancia la tesi negativa all’esperibilità della revocatoria ordinaria; (ii) sul tema dell’irregredibilità degli effetti ex art. 2504 quater c.c., e quindi sul rapporto tra invalidità e inefficacia, onde stabilire l’assorbimento della seconda nella prima, ovvero la reciproca indipendenza delle due.

Quanto al profilo della tutela dei creditori, il giudice sovranazionale ha chiarito che le previsioni dell’art. 12, par. 2 della Direttiva costituiscono soltanto un “sistema minimo di tutela degli interessi dei creditori della scissa”, con la conseguenza, evidenziata dalla Corte di Cassazione, che “la mancata previsione dell’azione revocatoria fra gli strumenti di reazione del creditore della società scissa non poteva essere interpretato, ipso facto, in termini di esclusione del rimedio”. Con riguardo alla questione relativa alla definizione di “nullità” nell’ambito della Direttiva, la Corte di Giustizia ha ricavato l’estensione della nozione in via funzionale, chiarendo che i casi di nullità previsti dall’art. 19 attengono tutti alla formazione della scissione ed incidono sull’esistenza stessa di quest’ultima. Corollario di questa affermazione – sottolinea la Corte di Cassazione – è quello per cui “un rimedio che non demolisca l’operazione, non ne comporti la scomparsa, e non produca effetti nei confronti di tutti non contrasta con la nozione di nullità come intesa dalla Direttiva”.

Sulla base dei principi espressi dalla Corte di Giustizia, la Suprema Corte ha quindi riaffermato l’esperibilità della revocatoria della scissione societaria, giacché dagli spunti provenienti dal diritto europeo sembra evincersi il principio secondo cui «la tutela dei creditori, a fronte di atti societari, si estende fino a ricomprendervi, sia pure indirettamente ed in via mediate, qualsiasi attribuzione patrimoniale a sua volta “indiretta”, in guisa di “contenuto” (i.e., le attribuzione patrimoniali destinate alle singole società di nuova formazione) di un più ampio “contenitore” (la scissione societaria)».

 

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