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Approfondimenti

Regolamentazione del peer-to-peer lending in Italia

14 Maggio 2015

Giovanni Battista Donato, CMS Adonnino Ascoli & Cavasola Scamoni

Di cosa si parla in questo articolo

1. Il processo storico e la iniziale opposizione di Banca d’Italia

L’attività di peer-to-peer lending trae la sua ragion d’essere economica nei drammatici avvenimenti accaduti a cavallo della crisi finanziaria che ha colpito l’industria finanziaria statunitense nel 2008. Il dissesto di molte delle più importanti istituzioni finanziarie, dovuto all’ondata di insolvenze maturate nel settore dei mutui sub-prime, sviluppò infatti quale principale conseguenza la diminuzione del credito concesso ad imprese e consumatori. Per ovviare alla carenza di liquidità offerta dal sistema bancario, l’industria finanziaria americana ha quindi creato delle forme di intermediazione del credito che operassero al di fuori del perimetro del sistema bancario tradizionale.

Muovendo infatti dalla categoria dei prestiti personali finalizzati al consumo, alcuni operatori, facendo leva sulle nuove possibilità offerte dalla industria hi-tech, hanno sviluppato portali telematici allo scopo di favorire l’accesso al credito a condizioni vantaggiose.

Il funzionamento del meccanismo di peer-to-peer lending si basa fondamentalmente sulla possibilità offerta agli investitori (persone fisiche o anche giuridiche) di remunerare il prestito da loro concesso attraverso la corresponsione di tassi di interesse più alti rispetto a quelli praticati dagli intermediari finanziari tradizionali e, allo stesso tempo, accreditare il prestito al richiedente imputando oneri di rimborso più bassi.

Tale operazione viene resa possibile per via del beneficio prodotto dal fatto di operare integralmente per via telematica, non dovendo pertanto sostenere i medesimi costi di una banca tradizionale. Più nello specifico la società di peer-to-peer lending si occupa di mettere in relazione il desiderio dell’investitore di accedere ad un mezzo che assicuri una alta remunerazione del proprio capitale e, dal lato opposto, la necessità del soggetto finanziato di reperire risorse finanziarie altrimenti negategli dagli operatori finanziari tradizionali.

La concessione di un tasso di remunerazione più alto viene giustificata sulla base dell’elevato rischio accettato dagli investitori che contribuiscono al finanziamento del prestito. Tale prestito infatti non è circondato da alcuna garanzia, né di carattere personale né tantomeno di natura reale. La durata del prestito ha normalmente una durata che non eccede i 48 mesi e gli importi finanziati sono ricompresi tra i 2.000 e i 25.000 Euro.

Sebbene come detto l’introduzione di questa nuova tipologia di intermediari finanziari sia avvenuta nei sistemi di diritto anglosassone, il recepimento dell’attività nel nostro ordinamento, a livello di prassi, è stato relativamente rapido. Già nel 2009 infatti nel nostro territorio nazionale si potevano contare almeno due operatori, regolarmente iscritti presso l’albo generale degli intermediari finanziari[1], ma l’eventuale ampliamento del mercato venne bloccato dall’intervento della Banca d’Italia. Con la pubblicazione di un provvedimento di sospensione dall’attività[2], l’istituto di vigilanza argomentò infatti la violazione, da parte dell’operatore di peer-to-peer lending Zopa (acronimo di Zone of Possible Agreement), delle norme del Testo Unico Bancario (“TUB”) in materia di raccolta del risparmio presso il pubblico. Infatti, secondo l’opinione di Via Nazionale, le società, una volta ricevute le somme dagli investitori, non procedevano alla collocazione di tali crediti in appositi conti separati da quelli della società, come previsto dalle applicabili disposizioni di legge, ma ne acquistavano al contrario titolarità e proprietà ponendo automaticamente l’inconsapevole investitore nella medesima situazione di un comune depositante.

Più nello specifico, le contestazioni di Banca d’Italia si concentrarono dunque sulla violazione dell’articolo 10 del TUB che riserva l’esercizio dell’attività bancaria in via esclusiva alle banche nonché del successivo articolo 11 in cui viene definita l’attività di raccolta del risparmio presso il pubblico. Tali attività, essendo circondate da espressa riserva di legge, sono pertanto escluse dall’ambito di operatività degli operatori finanziari esercenti servizi di investimento iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 del TUB. In virtù di quanto appena esposto, e dovendo certificare l’assenza di alternativi, possibili, riferimenti normativi grazie ai quali operare un lavoro interpretativo tale da poter ricomprendere il peer-to-peer lending nei limiti giuridici ammessi dall’ordinamento, la Banca d’Italia optò per la cancellazione dell’operatore peer-to-peer dall’elenco generale degli intermediari finanziari ex articolo 106 TUB.

2. Progressiva accettazione del peer-to-peer lending nel nostro ordinamento

A seguito del decisivo intervento dell’istituto di vigilanza della Banca d’Italia, l’evolversi del settore nel nostro territorio ha subito un incontrovertibile arresto.

Tuttavia il recepimento nel nostro ordinamento della Direttiva no. 2007/64/EC (“PSD – Payment Service Directive”), avvenuto mediante il Decreto Legislativo no. 11 del 2010, ha aperto degli spazi giuridici per inquadrare il fenomeno entro fattispecie normative certe.

Scopo della PSD è stato quello di armonizzare le pratiche relative ai servizi di pagamento all’interno dei Paesi Membri dell’Unione Europea al fine di permettere una maggiore rapidità nell’esecuzione dei pagamenti transfrontalieri. L’introduzione di queste regole è risultata essere propedeutica per la graduale implementazione di una Single Euro Payments Area (“SEPA”)[3] entro cui trasferire somme di denaro alle medesime condizioni di base garantendo in questo modo maggiore trasparenza e concorrenzialità in favore dei consumatori europei.

In ragione della portata innovatrice dei principi in essa contenuti, la Direttiva ha quindi incentivato la creazione, nelle rispettive legislazioni di ciascun paese, di una nuova categoria di operatori, anche provenienti da settori non finanziari, e specializzati nell’esecuzione di determinati pagamenti sotto forma elettronica.

Il Decreto Legislativo n. 11 del 2010 (il “Decreto”) ha recepito in Italia principi e regole enunciate nella PSD. Tale esercizio ha riguardato la modifica di disposizioni di legge già esistenti e l’istituzione di nuove previsioni normative. Su questo secondo punto il Decreto, precisamente all’articolo 33, ha disposto la formulazione, all’interno del TUB, di un Titolo inedito (V-ter) collocato nella cornice normativa regolata dal Titolo V e relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario.

Il Titolo V-ter risponde proprio all’esigenza di disciplinare l’accesso al mercato dei nuovi prestatori di servizi di pagamento. Per prestazione di servizio di pagamento, nozione rinvenibile all’articolo 1, comma 1 , lettera b) del Decreto, viene intesa l’attività (i) che renda possibile il deposito di contante su un conto di pagamento nonché di tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento (e.g. rimesse di denaro, incasso e trasferimento fondi), (ii) di esecuzione d’ordini di pagamento e (iii) di emissione o gestione di strumenti di pagamento. Come visto tutte le elencate operazioni di accreditamento o trasferimento di denaro sotto diverse forme hanno ad oggetto un conto di pagamento vale a dire, secondo la definizione datane dalla PSD, un conto detenuto a nome di uno o più utenti di servizi di pagamento che venga utilizzato per l’esecuzione delle operazioni di trasmissione dei fondi.

L’elaborazione dell’ambito applicativo entro cui ricomprendere i servizi di pagamento è stato orientato ad accettare fondamentalmente tutte le operazioni di trasformazione e circolazione del denaro contante all’interno del sistema elettronico dei pagamenti. In tal senso è apparso dunque inevitabile porre al di fuori di questa categoria le operazioni che, al contrario, riguardano direttamente o indirettamente l’utilizzo di contante o l’esecuzione di pagamenti ordinati per via di documenti cartacei (e.g. assegni, titoli cambiari, voucher, traveller’s cheque, vaglia postali).

Per ciò che concerne invece la sfera soggettiva dell’esercizio dei servizi di pagamento, l’insieme dei rapporti giuridici si contraddistingue per l’interazione tra un soggetto utilizzatore, che può essere a seconda delle circostanze pagatore o beneficiario, ed il prestatore del servizio di pagamento. Se, su questo punto, il legislatore non ha riservato particolari cenni specifici con riguardo alla configurazione del soggetto utilizzatore, che perciò non è circondato da particolari cautele o riserve ai fini della facoltà di accedere ai servizi di pagamento, elementi più caratterizzanti hanno investito l’area dei prestatori del servizio. Sul punto, l’esercizio di tale attività è stata circoscritta agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di pagamento nonché, quando prestano servizi di pagamento, banche, Poste Italiane S.p.a., la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali fuorché nei casi di esecuzione delle loro funzioni monetarie e, infine, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali qualora non agiscano nella veste di pubbliche autorità.

Come brevemente accennato ai paragrafi che precedono, il Decreto ha provveduto, per via del nuovo Titolo V-ter TUB, a disciplinare l’unico, tra i soggetti giuridici elencati poco sopra, che ancora non godeva di inquadramento giuridico nel nostro ordinamento, ovverosia gli istituti di pagamento. Pertanto, sulla base di questi nuovi presupposti normativi, si è potuto autorizzare l’operatività di soggetti esercenti attività di peer-to-peer lending riconducendoli alla disciplina degli istituti di pagamento e, più nello specifico, a quanto previsto dal comma IV dell’articolo 114-novies TUB[4].

Questa opera di armonizzazione dei contratti di prestito tra privati su portali telematici con la normativa regolamentare in materia bancaria è da considerare in termini certamente positivi: se da un lato infatti non c’è dubbio che le piattaforme di peer-to-peer lending offrano dei servizi di pagamento, l’impossibilità di considerarle delle banche o degli istituti di moneta elettronica impone l’applicazione della specifica disciplina sugli istituti di pagamento e, a riprova dell’ormai assodata prassi di riconoscimento delle imprese di peer-to-peer lending nel nostro territorio, la Banca d’Italia ha già autorizzato ad operare due società .

3. Autorizzazione e Vigilanza

3.1 Autorizzazione

Chiunque desideri intraprendere un’attività imprenditoriale nel settore del peer-to-peer lending è tenuto a rispettare alcune delle disposizioni previste dal TUB e dalle Disposizioni Generali di Vigilanza per gli Istituti di Pagamento emanate dalla Banca d’Italia.

Il rilascio dell’autorizzazione avviene infatti al termine di una procedura di verifica nella quale l’Istituto di Vigilanza della Banca d’Italia esamina la solidità, sia dal punto di vista finanziario che gestionale, della società richiedente.

Il procedimento può avere inizio subito dopo la stipula dell’atto costitutivo dell’Istituto di Pagamento. Sono gli amministratori infatti a depositare la domanda di autorizzazione la quale deve tassativamente contenere, oltre ovviamente all’atto costitutivo, una serie di altri documenti.

Per prima cosa nella domanda devono essere riportate le evidenze che dimostrino che l’Istituto di Pagamento (i) possiede la forma della società per azioni[5] (ii) ha la sede legale posta all’interno del territorio della Repubblica Italiana e (iii) capitale sociale versato non inferiore a quello determinato dalla anca d’Italia. L’ammontare minimo del capitale sociale è soggetto a limiti diversi a seconda delle attività che l’Istituto di Pagamento si propone di svolgere. Se infatti la società presta solo il servizio di rimessa di denaro, il versamento dovrà essere di 20.000 Euro. Al contrario, l’ammontare minimo sale a 50.000 Euro qualora l’attività svolta riguardi l’”esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore ad eseguire l’operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all’operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra l’utilizzatore di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi”.

Infine, per tutti gli altri servizi di pagamento ricompresi nell’ambito applicativo del D.lgs. n. 11/2011 il capitale minimo iniziale, interamente versato, dovrà essere pari a 125.000 Euro.

In secundis, oltre ai requisiti di carattere patrimoniale, il rilascio dell’autorizzazione di Banca d’Italia è inoltre condizionato al rispetto di altri parametri organizzativo-gestionali, tra i quali assume particolare rilevanza la predisposizione di un programma di attività che illustri i servizi di pagamento che l’istituto intende svolgere, le linee di sviluppo e gli obiettivi perseguiti nonché gli investimenti previsti per esercitare l’attività.

Il programma di attività deve essere accompagnato da una documentazione che esponga la struttura organizzativa che si intende creare, una stima previsionale dei risultati economici attesi per i primi tre anni e le misure adottate per tutelare i fondi ricevuti dalla clientela.

Completano la domanda di autorizzazione, assieme alla mappa del gruppo a cui appartiene l’istituto, le informazioni riguardanti i soggetti che partecipano, direttamente o indirettamente, al capitale sociale[6] ed il verbale della riunione nel corso della quale l’organo amministrativo ha verificato il possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità e di indipendenza dei soggetti chiamati a svolgere funzioni di amministrazione, direzione e controllo.

La Banca d’Italia, se al termine delle verifiche svolte riconosce il rispetto delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione, rilascia l’autorizzazione non oltre novanta giorni dalla data di deposito della domanda. A questo punto l’organo amministrativo dell’Istituto di Pagamento può procedere all’iscrizione della società nel Registro delle Imprese; allo stesso tempo, la Banca d’Italia iscrive l’Istituto all’interno dell’albo speciali degli Istituti di Pagamento cui all’articolo 114 – septies del TUB[7].

3.2 Vigilanza

Vigilanza Prudenziale

Il compito della Banca d’Italia di regolamentare l’attività non si limita alla fase autorizzativa ma, all’opposto, conosce un momento di grande importanza nel monitoraggio delle attività condotte dall’Istituto di Pagamento.

Unitamente ai poteri di vigilanza ispettiva ed informativa a lei demandati, la Banca d’Italia esercita un consistente controllo della consistenza patrimoniale dei soggetti vigilati. Per prima cosa questi ultimi sono soggetti a delle regole che, così come avviene per le banche, impongono di destinare determinate somme di denaro a fronte dei rischi connessi ai servizi di pagamento prestati. Il calcolo del requisito patrimoniale da rispettare è rinviato, nelle Disposizioni di Vigilanza sugli Istituti di Pagamento, a quanto stabilito dalla Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 (aggiornata al 2 luglio 2013). In questo documento, e precisamente al Titolo I, Capitolo 2, Sezioni I e II, sono delineati gli elementi positivi e negativi da utilizzare per la copertura dei rischi e delle perdite aziendali. Sinteticamente, il Patrimonio di Vigilanza viene ad essere costituito dal patrimonio di base (c.d. “tier 1”) e dal patrimonio supplementare (“tier 2”) al netto delle deduzioni.

Il requisito patrimoniale dell’istituto è pari almeno al 10% dei costi operativi fissi dell’anno precedente o, in alternativa, alla somma dei volumi di pagamento moltiplicati per un coefficiente matematico di riferimento.

La Banca d’Italia, in base ad una valutazione discrezionale basata sull’analisi dei dati trasmessi dall’Istituto di Pagamento, può imporre a quest’ultimo di detenere requisiti patrimoniali superiori a quelli minimi previsti dalla Circolare n. 263. In ogni caso, l’importo del patrimonio di vigilanza non può risultare inferiore al livello di capitale minimo iniziale richiesto per la costituzione dell’Istituto di Pagamento..

4. Vicende contrattuali

In linea di principio, il prestito tra privati è operazione ampiamente ammessa dalle disposizioni di legge del codice civile[8]. Il contratto per mezzo del quale una parte mette a disposizione dell’altra somme di denaro con la promessa da parte di quest’ultima di eseguirne il rimborso entro un certo periodo di tempo è fattispecie regolata dalle norme sul contratto di mutuo di cui all’articolo 1813 e seguenti. Tuttavia nelle fattispecie qui esaminate il rapporto si compone di una figura ulteriore rispetto alla tradizionale relazione tra mutuante e mutuatario. L’impresa di peer-to-peer lending svolge infatti la prestazione di collegamento nella formazione del contratto tra le due parti e nella successiva esecuzione di tutte le altre operazioni di pagamento necessarie all’esecuzione del contratto.

Altro elemento che rende il rapporto caratteristico è la circostanza tale per cui il mutuante non conosce l’identità del mutuatario. Il meccanismo si basa infatti sulla selezione, da parte del mutuante, di una determinata categoria di richiedenti accomunati, secondo quanto elaborato dalle analisi dell’impresa di social lending, dai medesimi fattori di merito creditizio. Una volta operata la scelta, l’impresa procede al trasferimento dei fondi dal conto di pagamento del mutuante presso il rispettivo conto di pagamento del mutuatario. Benché quindi il mutuante non conosca con precisione l’identità del soggetto al quale presta il denaro, il servizio fornito dall’impresa consente, in casi di insolvenza e necessità di recuperare la somma prestata, l’individuazione del debitore ai fini della riscossione del credito. Sulla base di quanto appena detto quindi si deduce che la conclusione di un prestito attraverso piattaforme peer-to-peer realizza la formulazione di una fattispecie contrattuale complessa composta da un contratto di mutuo tra gli utenti della piattaforma telematica ed un contratto di servizi di pagamento che l’impresa sottoscrive con entrambi i partecipanti all’operazione di finanziamento. Elemento necessario all’espletamento delle operazioni di accredito e rimborso delle somme di denaro scambiate tra gli utenti è l’apertura di un conto di pagamento.

Sebbene, come fin qui descritto, un conto di pagamento possa apparentemente ricordare sia nell’oggetto che nella causa un comune contratto di conto corrente bancario, è necessario evidenziarne quelle che, ad un esame più attento, ne costituiscono invece le non irrilevanti differenze. L’elemento su cui ruota attorno tutta la disciplina del contratto di conto corrente bancario è il trasferimento della proprietà, che avviene nel momento in cui il depositante trasferisce i fondi sul conto corrente aperto presso l’istituto di credito. Sebbene infatti l’intestatario possa richiedere in qualsiasi momento la chiusura del conto e la restituzione delle somme ivi depositate, fino a tale momento la banca risulta essere proprietaria delle somme di denaro, potendone peraltro disporre ai fini della concessione di prestiti ai clienti, privati o imprese, dell’ente creditizio. Al contrario, la disciplina del conto di pagamento muove da una premessa radicalmente opposta. Pur infatti essendo, al pari del conto corrente, “un conto detenuto a nome di uno o più utenti di servizi di pagamento che è utilizzato per l’esecuzione delle operazioni di pagamento” tale servizio non può essere utilizzato né per la gestione del risparmio del titolare né tantomeno per concedere credito alla clientela. La ragione per la quale l’Istituto di Pagamento non è autorizzato a svolgere servizi di gestione del risparmio o concessione di credito alla clientela risiede nel fatto che i crediti depositati nel conto di pagamento rimangono nella piena disponibilità del correntista.

Le somme registrate nei conti di pagamento dell’istituto sono depositate presso una banca autorizzata ad operare in Italia in conti intestati agli depositanti con l’indicazione che si tratta di beni di terzi tenuti distinti da quelli dell’istituto.

Riepilogando quindi quanto fin qui illustrato, dal punto di vista dell’analisi contrattuale gli elementi distintivi dell’attività di lending mediante piattaforme peer-to-peer possono individuarsi nella relazione trilaterale tra mutuante, mutuatario e impresa che offre il servizio di pagamento e sulla quale, attraverso la gestione di appositi conti di pagamento, vengono fatte transitare le somme di denaro imputabili al contratto di mutuo in essere tra gli utenti del sistema.

Un ulteriore elemento che costituisce motivo di interesse per una completa comprensione dei rapporti intercorrenti tra le parti è costituito dall’applicazione delle norme a tutela dei consumatori ed aggiunte, con apposita introduzione legislativa, nel Testo Unico Bancario. Il D.lgs. n. 141/2010, con cui si è data trasposizione nel nostro ordinamento della Direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, ha infatti innovato il Capo II del Titolo VI del TUB imponendo nuovi parametri di trasparenza nelle condizioni contrattuali da fornire ai consumatori. Il principio di base, traslato dalle disposizioni incluse nel Codice del Consumo, prevede degli obblighi a carico dei finanziatori di dotare il consumatore di tutte le informazioni e condizioni economiche del finanziamento erogato in modo tale da mettere quest’ultimo nella condizione di poter prendere una decisione il più possibile consapevole.

5. Conclusioni

Certamente le scarsa sofisticatezza del settore finanziario italiano non è un dato sul quale poter elaborare valutazioni ottimistiche circa le chances di sviluppo massiccio di iniziative d’avanguardia tra le quali rientra certamente quella del peer-to-peer lending.

Tuttavia, i menzionati passi in avanti operati sul campo giuridico e la contestuale congiuntura economica che vede il settore bancario intrappolato dentro ad indici di sofferenze creditizie sempre maggiori concedono una sponda sicuramente favorevole affinché la pratica del social lending possa prendere piede in maniera convinta anche nel nostro paese.

C’è infine da aggiungere che molti settori economici sono stati ultimamente colpiti dalle nuove capacità di mettere in relazione domanda e offerta mediante modalità infinitamente più economiche e rapide rispetto a quelle sino ad oggi utilizzate dagli operatori economici tradizionali. Si pensi ad esempio alle innovazioni apportate nel settore dei trasporti da società quali UBER o, nello stesso senso, la rivoluzione offerta nel settore dei servizi alberghieri dalla start-up Airbnb. Il concetto di fondo che unisce tutte queste esperienze imprenditoriali è costituito dall’obiettivo di eliminare sovrastrutture economiche a detta di molti non più necessarie e riavvicinare i consumatori a forme di scambio economico basate sulla fiducia reciproca e la condivisione di beni, idee e linguaggi.

Sebbene in precedenza si sia pensato che l’industria finanziaria non sarebbe stata toccata da queste novità, l’avvento del peer-to-peer lending dimostra che anch’essa verrà coinvolta in questa inarrestabile epoca di cambiamenti.

 


[1] Sono intermediari finanziari ex art. 106 i soggetti, iscritti nel relativo elenco, che esercitano nei confronti del pubblico in via professionale l’attività di concessione di finanziamenti, di assunzione di partecipazioni, di intermediazione in cambi, così come definite dal Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 17 febbraio 2009, n. 29 (G.U. del 3 aprile 2009 S.G. n.78). Il 4 settembre 2010 è stato pubblicato il Decreto Legislativo 13 agosto 2010 n. 141, attuativo della Direttiva comunitaria n. 48/2008, che riforma la disciplina del credito al consumo. Il decreto prevede l’istituzione di un albo unico degli intermediari finanziari che esercitano nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma e ne affida la tenuta alla Banca d’Italia.

[2] Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro, Direzione V, no. 258/385-C.

[3] L’ambito territoriale della SEPA è limitato ai paesi che fanno parte della Zona Euro.

[4] “La Banca d’Italia, autorizza alla prestazione di servizi di pagamento soggetti che esercitano altre attività imprenditoriali quando: a) ricorrano le condizioni indicate al comma 1, ad eccezione del possesso dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali; b) per la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali sia costituito un patrimonio destinato con le modalità e agli effetti stabiliti dall’articolo 114-terdecies; c) siano individuati uno o più soggetti responsabili del patrimonio di cu alla lettera b)”.

[5] O, in alternativa, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa

[6] I quali, se possessori di una partecipazione qualificata, devono osservare i requisiti di onorabilità di cui all’articolo 114 – novies, comma 1, lettera e) e dall’articolo 114 – quinquies, comma 1, lettera e) del TUB

[7] La Banca d’Italia iscrive in un apposito albo, consultabile pubblicamente, accessibile sul sito internet ed aggiornato periodicamente, gli istituti di pagamento autorizzati in Italia, con indicazione della tipologia di servizi che sono autorizzati a prestare e i relativi agenti e succursali nonché le succursali degli istituti di pagamento comunitari stabiliti nel territorio della Repubblica

[8] Entro i limiti previsti dalla legge sull’applicazione di tassi usurari nelle operazioni di prestito. Sul punto si veda la Legge no. 108/1996 la quale ha stabilito un limite ai tassi di interesse praticabili dalle banche e dagli intermediari finanziari (e da qualunque altro soggetto) sulle operazioni di finanziamento. Nel caso di superamento di detti limiti si configura il reato di usura (art. 2, comma 4).

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