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Approfondimenti

Regime di esenzione IVA per servizi di gestione fondi

Conferme dall’Agenzia delle Entrate e riflessioni su ulteriori profili rilevanti

20 Maggio 2022

Luca Rossi, Partner, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Andrea Porro, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa: l’Agenzia delle Entrate sul regime di esenzione IVA per i servizi di gestione fondi

Con la Risposta n. 206 del 22 aprile 2022, l’Agenzia delle entrate è tornata nuovamente a trattare della complessa valutazione circa le condizioni di applicabilità del regime di esenzione previsto ai fini IVA per i servizi di gestione di fondi comuni di investimento, di cui all’art. 10, comma 1, n. 1) D.P.R. n. 633/1972[1], introdotto come noto in recepimento del disposto di cui all’art. 135, par. 1, lett. g) della Direttiva 2006/112/CE (“Direttiva IVA”)[2].

Il recente documento di prassi risulta di interesse in quanto, a parte confermare alcuni principi già affermati in passato, consente di focalizzare l’attenzione su taluni ulteriori profili riguardanti l’applicabilità della predetta esenzione – non oggetto di specifico approfondimento nelle risposte precedentemente pubblicate – relativamente al requisito della “pluralità di investitori” (richiesto tra gli altri dalla giurisprudenza comunitaria per individuare, sotto il profilo soggettivo, i fondi che si qualificano per l’esenzione) ed in merito all’applicazione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia (“CGUE”) nella sentenza del 2 luglio 2020, causa C-231/19 (Blackrock Investment Management UK), con riferimento al regime IVA applicabile alle prestazioni di gestione unitariamente ed indistintamente fornite in outsourcing nei confronti di soggetti che si occupano sia della gestione di fondi qualificati per l’esenzione di cui si discute, sia di fondi che viceversa non si qualificano in tal senso.

Nel prosieguo, dopo aver presentato la fattispecie oggetto di esame nella Risposta n. 206/2022 e i principi ivi indicati, si proveranno a formulare alcune ulteriori considerazioni in relazione ai sopra segnalati “nuovi profili” esaminati nella Risposta che, senza intendere mettere in discussione le conclusioni raggiunte dall’Agenzia delle entrate con specifico riferimento alla fattispecie concreta ivi esaminata, riterremmo potrebbero condurre a diversi esiti laddove – quanto meno in relazione a fattispecie analoghe a quelle esaminate nella pratica – venissero valorizzate delle circostanze fattuali diverse rispetto a quelle rappresentate dal contribuente nell’istanza oggetto della segnalata Risposta.

2. La fattispecie oggetto della Risposta n. 206/2022

Il caso esaminato riguarda il trattamento IVA applicabile ai servizi resi in base a un contratto di c.d. sub advisory stipulato dalla Alfa Italia S.p.A. (“Alfa Italia”), nei confronti di una consociata tedesca (“Beta”) appartenente al medesimo gruppo operante nel settore del private equity (il “Gruppo Alfa”), e che, a sua volta, in veste di advisor presta attività di consulenza nei confronti dei soggetti (i “Gestori”) che gestiscono fondi promossi dal Gruppo Alfa (i “Fondi Alfa”). Trattandosi di prestazioni rientranti nell’ambito di applicazione del criterio generale di territorialità di cui all’art. 7-ter, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, le stesse – in quanto rese a un committente soggetto passivo stabilito in altro Stato UE – risultano fuori campo IVA in Italia per carenza del requisito di territorialità, essendo piuttosto territorialmente rilevanti nello Stato UE di stabilimento del committente (i.e., in Germania). Ciò premesso, il quesito oggetto della Risposta in esame – sollevato ai fini della valutazione sulla spettanza del diritto di detrazione dell’IVA assolta a monte da Alfa Italia per l’acquisto di beni e servizi afferenti alle attività svolte in base al contratto di sub-advisory – verteva sulla possibilità di considerare i predetti servizi come (astrattamente) imponibili ad IVA piuttosto che rientranti nell’ambito di applicazione del regime di esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 1) del D.P.R. n. 633/1972, e ciò in considerazione della deroga disposta dall’art. 19, comma 3, lett. b) del D.P.R. n. 633/1972 al regime di indetraibilità previsto (dal comma 2 del medesimo articolo 19) per l’IVA assolta in relazione all’acquisto di beni e servizi afferenti ad operazioni effettuate fuori dal territorio dello Stato che, se fossero effettuate nel territorio dello Stato, darebbero diritto alla detrazione dell’imposta[3].

In base al contratto di sub-advisory stipulato tra le parti, Alfa Italia si è impegnata a prestare assistenza a Beta nell’attività di consulenza in materia di investimenti da quest’ultima resa nei confronti dei Gestori dei Fondi Alfa[4].

Il contratto di sub-advisory prevede che la decisione finale in merito all’effettuazione e/o alla dismissione del singolo investimento, da parte dei Fondi Alfa, spetti al rispettivo Gestore del fondo.

È stato previsto un compenso annuo determinato sulla base del metodo del costo maggiorato, che prende a riferimento tutti i costi sostenuti dalla società nello svolgimento dei servizi individuati nel contratto, maggiorati di un mark-up.

In considerazione delle circostanze sopra richiamate, la società istante ha chiesto conferma – per quanto attiene alla detraibilità dell’IVA assolta a monte sull’acquisto di beni e servizi destinati all’effettuazione delle sopra cennate prestazioni di servizi rese nei confronti di Beta – riguardo al fatto che (stanti i citati commi 2 e 3, lett. b) dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972) dette prestazioni, ove risultassero territorialmente rilevanti in Italia, non rientrerebbero nell’ambito di applicazione del regime di esenzione previsto per i servizi di gestione di fondi comuni di investimento ma, piuttosto, si configurerebbero quali ordinarie attività di consulenza imponibili ad IVA.

Come noto, ai fini dell’applicazione del regime di esenzione previsto per i servizi di gestione di fondi comuni di investimento dall’art. 135, paragrafo 1, lett. g) della Direttiva IVA ed all’art. 10, primo comma, n. 1), del D.P.R. n. 633 del 1972 – con particolare riferimento al caso in cui il soggetto gestore affidi a un terzo (outsourcer) l’esecuzione (di quanto meno una parte) dell’attività di gestione dei fondi – occorre verificare:

  1. sotto il profilo oggettivo, la riconducibilità dei servizi di consulenza resi dal soggetto terzo tra i servizi di “gestione” di fondi[5];
  2. sotto il profilo soggettivo, la riferibilità dei predetti servizi di gestione a una delle tipologie di fondi comuni di investimento riconducibili tra gli organismi di investimento collettivo destinatari della fattispecie di esenzione di cui si discute[6].

Ciò premesso, nel caso di specie, al fine di sostenere la tesi della detraibilità dell’IVA assolta a monte in Italia, la società istante ha evidenziato in via primo luogo che, a suo giudizio, non tutti i Fondi Alfa curati dai Gestori si qualificherebbero (sotto il profilo soggettivo) come fondi comuni di investimento che possono avvalersi del regime di esenzione previsto dall’art. 135, par. 1, lett. g) della Direttiva IVA e dall’art. 10, comma 1, n. 1) del D.P.R. n. 633/1972 (di seguito, “FCI”).

Stante tale premessa fattuale preliminare, la società istante ha richiamato i principi indicati dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 2 luglio 2020, causa C-231/19 (Blackrock Investment Management UK) in cui i giudici comunitari – combinando (come verrà più oltre meglio descritto) i principi giurisprudenziali consolidatisi in merito alle condizioni di applicazione del regime esentativo di cui si discute, con quelli sviluppati riguardo alla distinzione fra prestazioni “distinte” piuttosto che “unitarie”, con specifico riferimento al caso di una prestazione riconosciuta avere un carattere unitario, resa in maniera indistinta a favore di un soggetto che si occupa tanto della gestione di FCI quanto della gestione di fondi che risultano privi dei requisiti per essere considerati tali (di seguito, “Altri Fondi”), hanno escluso la possibilità di “frazionare” la quota parte del corrispettivo astrattamente riferibile ai servizi resi nei confronti dei FCI (al fine di applicarvi il regime di esenzione), ritenendolo piuttosto integralmente imponibile ad IVA.

La soluzione proposta dalla società istante è stata sostanzialmente condivisa dall’Agenzia delle entrate, che – sulla base di quanto rappresentato nell’istanza e fatto salvo l’eventuale esercizio dei poteri di controllo in merito agli elementi fattuali ritenuti non valutabili in sede di interpello – ha concluso per l’integrale imponibilità ad IVA dei servizi di sub-advisory e, conseguentemente, per la detraibilità dell’IVA assolta a monte in Italia in relazione all’acquisto di beni e servizi afferenti gli stessi.

3. La comparabilità ad OICVM ed il requisito della pluralità di investitori

Il primo profilo emergente dall’esame della Risposta n. 206/2022 su cui si intende focalizzare l’attenzione in questa sede, riguarda come sopra cennato la distinzione operata ai fini della valutazione dell’applicabilità del regime di esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 1) del D.P.R. n. 633/1972 – sotto il profilo “soggettivo” – tra gli organismi che si qualificano e quelli che non si qualificano come “fondi comuni di investimento” ai fini della citata norma e, sotto questo aspetto, più in particolare, il requisito della “pluralità di investitori” che (tra gli altri) secondo la giurisprudenza e la prassi rilevante in materia deve sussistere in capo ad un fondo non OICVM, affinché possa vantare caratteristiche comparabili ad un OICVM e, di conseguenza, possa rientrare nell’ambito di applicazione della disciplina esentativa[7].

Più nel dettaglio, pare utile richiamare che l’Agenzia delle entrate con la Risposta n. 628 del 2020 ha fatto propri i principi affermati dalla CGUE secondo cui sono ricompresi nella nozione di FCI di cui all’art. 135, par. 1, lett. g) della Direttiva IVA – oltre agli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (c.d. OICVM) attualmente disciplinati dalla citata Direttiva OICVM (di rifusione della previgente Direttiva 85/61/CEE), aventi per oggetto esclusivo “l’investimento collettivo in valori mobiliari dei capitali raccolti presso il pubblico, il cui funzionamento è soggetto al principio della ripartizione dei rischi, e le cui quote sono, su richiesta dei portatori, riacquistate o rimborsate, direttamente o indirettamente, a carico del patrimonio dei suddetti organismi” – anche i fondi comuni che, pur non costituendo OICVM, “presentano caratteristiche identiche a questi ultimi ed effettuano, quindi, le stesse operazioni, o quanto meno, presentano tratti comparabili a tal punto da porsi in rapporto di concorrenza con essi”. In particolare, ai fini della comparabilità di un fondo ad un OICVM, occorre che lo stesso, oltre ad essere sottoposto a “vigilanza statale specifica”, sia partecipato da più investitori che abbiano diritto ai benefici o sopportino il rischio connesso alla relativa gestione. Il rendimento dell’investimento realizzato deve, altresì, dipendere esclusivamente dai risultati della gestione del fondo medesimo.

Sulla scorta di tali princìpi, nella menzionata Risposta n. 628/2020 l’Agenzia delle entrate, trattando in particolare il caso di taluni servizi di advisory prestati in outsourcing nei confronti di una società autorizzata alla gestione di fondi di investimento alternativi (“FIA”) costituiti in conformità al D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 44 di recepimento della Direttiva 2011/61/CE (c.d. Direttiva AIFM), ha confermato l’applicazione agli stessi del regime di esenzione da IVA di cui si discute, “… nella misura in cui i FIA in questione rientrino tra i fondi equiparabili agli OICVM … alla luce dei principi interpretativi espressi dalla giurisprudenza comunitaria” (i.e., nella misura in cui siano sottoposti a vigilanza statale specifica, siano partecipati da più investitori che abbiano diritto ai benefici o sopportino il rischio connesso alla relativa gestione e presentino un rendimento dell’investimento che dipenda esclusivamente dai risultati della gestione del fondo medesimo).

Tali chiarimenti sono stati ribaditi, recentemente, anche nella Risposta n. 104/2022, in cui l’Agenzia delle entrate ha esaminato (sempre al fine di valutare, analogamente alla fattispecie oggetto della Risposta n. 206/2022, la detraibilità dell’IVA sostenuta sugli acquisti da parte del soggetto prestatore di servizi italiano) il regime IVA astrattamente applicabile alle prestazioni di consulenza rese a favore di un soggetto autorizzato in Francia all’esercizio dell’attività di gestione di fondi comuni di investimento. In quella sede, l’Agenzia delle entrate ha precisato – sulla scorta dei richiamati principi giurisprudenziali – che “… i fondi disciplinati dalla normativa francese[8], ai quali si riferiscono le prestazioni di consulenza rese dalla società istante”, possono ricondursi tra i fondi comuni di investimento di cui all’art. 10, primo comma, n. 1) del Decreto IVA allorché sussistano le condizioni di “comparabilità” indicate dalla CGUE (i.e., la sottoposizione a “vigilanza statale specifica”; la partecipazione da parte di più investitori che abbiano diritto ai benefici o sopportino il rischio connesso alla relativa gestione; la dipendenza esclusiva del rendimento dell’investimento dai risultati della gestione del fondo).

Tutto quanto sopra premesso, l’Agenzia delle entrate nella recente Risposta n. 206/2022 ha assunto acriticamente la circostanza fattuale, rappresentata dalla Alfa Italia nell’istanza, in merito al fatto che non tutti, ma solo una parte dei Fondi Alfa curati dai Gestori, si qualificassero come FCI ai sensi dell’art. 135, par. 1, lett. g) della Direttiva IVA. Più in particolare, infatti, secondo quanto rappresentato dalla stessa società istante, talune tipologie di Fondi Alfa si sarebbero qualificate come “… meri organismi di investimento non aperti ad investitori diversi da Alfa e, di conseguenza, sarebbero risultati “… privi dei caratteri distintivi della nozione generale di “organismi di investimento collettivo” e, dunque, non riconducibili né tra gli OICVM regolamentati dalla Direttiva OICVM, né tra i fondi comuni d’investimento individuati dalla Direttiva AIFM.

Al riguardo, sebbene sia corretto rilevare che, come sopra evidenziato, il requisito della “pluralità di investitori” risulti richiamato – tanto dalla giurisprudenza comunitaria, quanto dalla citata prassi dell’Agenzia delle entrate che alla prima si ispira – tra le condizioni di “comparabilità” agli OICVM che devono essere verificate per identificare i FCI (non OICVM) che si qualificano per il regime di esenzione, detto requisito deve a nostro avviso tuttavia essere considerato ed interpretato tenendo conto dei chiarimenti che, anche alla luce degli orientamenti maturati in ambito regolamentare, la stessa Agenzia delle entrate ha già fatto propri in altra sede, seppure con riferimento ad altro comparto impositivo. Infatti, pronunciandosi con riferimento all’applicabilità dell’esenzione da ritenuta prevista ai sensi dell’art. 7, comma 3, del D.L. n. 351/2001[9], l’Amministrazione finanziaria ha ricordato che – sebbene in linea di principio un fondo per essere considerato tale richieda la pluralità di sottoscrittori – può anche darsi il caso in cui l’unico detentore del medesimo rappresenti “… una pluralità di interessi così da raffigurare una gestione collettiva[10]. Più nel dettaglio, è stato segnalato che, come risulta dal Regolamento di Banca d’Italia sulla gestione collettiva del risparmio, il requisito della pluralità di investitori può ritenersi soddisfatto anche in presenza di un solo investitore, qualora l’investimento sia da questi effettuato nell’interesse di una pluralità di investitori (ad esempio, nel caso di un “fondo di fondi”). Sul tema della pluralità degli investitori, ancorché non espressamente richiamati nel citato documento di prassi, sembra corretto tenere altresì presenti gli orientamenti manifestati dall’European Security Markets Authority (ESMA) nel documento ESMA/2013/611 del 13 agosto 2013, al dichiarato fine di “… assicurare un’applicazione comune, uniforme e coerente dei concetti che integrano la definizione di “FIA” all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva GEFIA”[11].

Posto che, ai fini del regime di esenzione dell’IVA di cui si discute, rileva una nozione di “fondo comune di investimento” che – per come interpretata dalla giurisprudenza e dalla prassi in materia – si rifà alla categoria degli OICVM individuata a livello regolamentare ovvero a quella degli altri fondi che presentino caratteristiche ad essi “comparabili”, sembra corretto assumere, ai fini dell’individuazione degli organismi di investimento collettivo del risparmio interessati, la rilevanza dei chiarimenti forniti nel predetto ambito regolamentare, ivi compresi quelli attinenti al requisito della “pluralità di investitori”.

4. L’applicazione dei principi indicati nella sentenza Blackrock

Come già accennato in premessa, il secondo profilo rilevante della Risposta n. 206 è quello che concerne l’applicazione dei principi indicati nella sopra cennata sentenza Blackrock (causa C-231/19).

Al riguardo, nella Risposta in esame l’Agenzia delle entrate ha proceduto a verificare l’applicabilità del regime di esenzione di cui si discute assumendo che i servizi di sub-advisory resi da Alfa Italia si riferissero solamente in parte a FCI, ed in parte ad Altri Fondi. In questo scenario, l’Agenzia delle entrate – sposando la tesi sostenuta dalla società istante – ha ritenuto corretto applicare nel caso di specie i principi indicati nella sentenza Blackrock, laddove i Giudici Comunitari hanno concluso che – in presenza di una prestazione di servizio unitaria, fornita da un terzo a favore di una società che gestisce sia fondi comuni d’investimento equiparabili agli OICVM che altre tipologie di fondi non riconducibili nella previsione esentativa – tale prestazione complessa non può beneficiare del regime di esenzione con riferimento alla quota parte del corrispettivo astrattamente riferibile al servizio reso in relazione ai FCI ma, diversamente, deve ritenersi integralmente assoggettabile ad IVA ad aliquota ordinaria.

In conclusione, l’Agenzia delle entrate assumendo che ricorrano le condizioni valorizzate dalla citata pronuncia della Corte di Giustizia – vale a dire che si configuri “… una complessa prestazione di servizi non frazionabile, utilizzabile “indifferentemente” per la gestione di fondi comuni d’investimento e per quella di altri fondi e non, invece, un “servizio destinato a soddisfare funzioni specifiche ed essenziali della gestione di fondi comuni d’investimento”“ (circostanza in merito alla quale ha fatto peraltro salva la possibilità di esercitare la propria attività di controllo, “dipendendo da una serie di elementi fattuali non valutabili dalla scrivente in sede di interpello”) – ha concluso che, in applicazione dei principi indicati nella sentenza Blackrock, i servizi di consulenza in materia di investimenti (sub-advisory) resi da Alfa Italia sarebbero da assoggettare ad IVA con aliquota ordinaria qualora fossero effettuati nel territorio dello Stato italiano.

Sul punto, senza come detto voler mettere in discussione – in relazione allo specifico caso oggetto della Risposta n. 206/2022 – le conclusioni raggiunte dall’Agenzia delle entrate in accordo con la soluzione interpretativa proposta dalla società istante, pare tuttavia opportuno segnalare che, quanto meno in base alla nostra esperienza riguardo l’operatività dei fondi di private equity, ben potrebbero configurarsi strutture contrattuali in relazione alle quali, in verità, i principi indicati nella sentenza Blackrock non sembrerebbero suscettibili di applicazione. In altre parole, anche assumendo il caso di un gestore che si occupi tanto della gestione di FCI, quanto di Altri Fondi, allorché lo stesso abbia stipulato un contratto (c.d. “master agreement”) con un advisor per lo svolgimento in outsourcing di attività di consulenza, ci sembrerebbe necessario dover indagare, caso per caso, se davvero necessariamente si configuri lo svolgimento di una prestazione di servizio unitaria (circostanza da cui, in base ai principi indicati nella citata sentenza Blackrock, discenderebbe l’impossibilità di applicare un regime fiscale differenziato – esenzione vs. imponibilità – a seconda della presunta riferibilità del servizio ai FCI invece che agli Altri Fondi) ovvero se, come si ritiene, non possano in verità configurarsi situazioni in cui si verificano prestazioni di servizio ben distinte, specificamente riferibili all’una piuttosto che all’altra tipologia di fondi, con conseguente separata applicazione del pertinente regime IVA ai corrispettivi separatamente individuati.

Al riguardo, per apprezzare il diverso approccio, pare opportuno fornire qualche ulteriore dettaglio in merito alla fattispecie oggetto della sentenza Blackrock. Sul punto, si osserva che la controversia in parola riguarda il caso di un soggetto che, in veste di “outsourcer”, presta tramite apposita piattaforma informatica dei servizi di “gestione” che coprono l’intero ciclo degli investimenti (analisi di mercato; monitoraggio di prestazioni; valutazione dei rischi a supporto dei gestori di portafoglio nell’adozione delle decisioni di investimento; controllo del rispetto della normativa; attuazione delle decisioni relative alle operazioni), a favore di un soggetto (il gestore) che – in base alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice del rinvio – si occupa della gestione sia di FCI (che si qualificano sotto il profilo soggettivo per l’esenzione), sia di Altri Fondi (che invece non si qualificano per il regime di esenzione). La piattaforma informatica opera “… in maniera indifferenziata” (cfr. punto 4 delle Conclusioni rese dall’Avvocato Generale in data 11 marzo 2020) e “… funziona allo stesso modo per tutti i fondi” (cfr. punto 41 delle menzionate Conclusioni).

In tale contesto, è stata sottoposta alla CGUE una questione pregiudiziale vertente in merito al fatto se, in base alla corretta interpretazione dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della Direttiva IVA, quando un’unica prestazioni di servizi di gestione ai sensi di tale articolo è effettuata da un terzo a un gestore di fondi ed è utilizzata da tale soggetto sia nella gestione di FCI sia in quella avente ad oggetto Altri Fondi, tale prestazione unitaria debba essere assoggettata ad un’aliquota d’imposta unica (e, in caso affermativo, quale), ovvero se il corrispettivo di tale prestazione unica debba piuttosto essere ripartito in funzione dell’uso dei servizi di gestione (ad esempio, in base agli importi dei fondi gestiti rispettivamente nei FCI e negli Altri Fondi) in modo da trattare una parte della prestazione unica come esente e l’altra parte come imponibile.

La CGUE dopo aver ricordato che, in base all’orientamento della giurisprudenza in materia di IVA, si possono distinguere a livello teorico due tipologie di “prestazioni uniche”, vale a dire: (i) la fattispecie in cui si ravvisa un rapporto di accessorietà tra operazione principale e operazione, appunto, accessoria, e (ii) la fattispecie in cui la prestazione unica è composta dall’esecuzione combinata di varie operazioni che risultano “tutte parimenti necessarie alla realizzazione in condizioni adeguate” del servizio di cui si discute[12], ha osservato (cfr. punto 33 della Sentenza) che, nel caso di specie, come evidenziato dallo stesso giudice di rinvio, non risulta possibile distinguere (nell’ambito della prestazione fornita tramite la cennata piattaforma informatica) le prestazioni principali da quelle accessorie. Più in dettaglio, posto che “I servizi di analisi di mercato, di monitoraggio delle prestazioni, di valutazione dei rischi, di controllo del rispetto della normativa e di esecuzione delle operazioni corrispondono a fasi successive, tutte parimenti necessarie alla realizzazione in condizioni adeguate delle operazioni di investimento”, ne consegue che “… una prestazione del genere si configura come una prestazione unica composta da diversi elementi di importanza equivalente”.

Sulla base di tale constatazione, la CGUE ha affermato che – essendo il servizio concepito “… ai fini della gestione di investimenti di varia natura” e potendo essere utilizzato indifferentemente per la gestione di FCI e di Altri Fondi – tale servizio “… non può essere considerato specifico per la gestione di fondi comuni di investimento” ai sensi dell’art. 135, lett. g) della Direttiva IVA, con ciò concludendo (d’accordo con l’Avvocato Generale) per l’assoggettamento ad IVA dell’intero corrispettivo pattuito per la messa disposizione della piattaforma informatica. La CGUE ha così disatteso l’approccio sostenuto dal contribuente che, nel caso di specie, pur senza mettere in discussione la tesi della prestazione di servizio unitaria, aveva cercato di avanzare la tesi della frazionabilità del corrispettivo pattuito, in funzione della destinazione del medesimo alla gestione di FCI piuttosto che di Altri Fondi, al riguardo profilando la possibilità di adottare, quale “driver” di ripartizione del corrispettivo, l’ammontare delle masse gestite di fondi dell’uno e dell’altro tipo[13].

Tutto quanto sopra evidenziato in merito al contesto in cui si collocano i principi affermati nella sentenza Blackrock, ci sembra di poter sostenere che – per come ci pare si svolgano, in concreto, le attività di advisory rese dagli advisor nei confronti dei gestori ancorché “misti” (nel senso che si occupano tanto di FCI, quanto di Altri Fondi) – possano sussistere vari elementi fattuali in base ai quali si può escludere la circostanza di fatto assunta a fondamento dei princìpi ivi affermati circa l’inscindibilità del corrispettivo pattuito per la prestazione del servizio, vale a dire la sussistenza di una prestazione unitaria.

Più in dettaglio, si osserva che – al di là della eventuale stipula di un master agreement nell’ambito del quale viene in generale inquadrata l’attività dell’advisor – è evidente che, in concreto, tale attività possa anche estrinsecarsi mediante servizi che vengono di fatto erogati in funzione di ben specifici progetti, a favore indiretto di determinati fondi di cui è dunque possibile verificare l’appartenenza o meno alla categoria dei FCI. Detti progetti coinvolgono team di persone ben individuati e comportano, fra l’altro, il sostenimento di costi direttamente imputabili. In considerazione del fatto che la remunerazione del servizio viene in genere determinata in funzione di un criterio “cost plus”, può anche essere prevista la predisposizione di apposita reportistica periodica (su base ad esempio trimestrale), in cui si fornisce alla controparte contrattuale il dettaglio delle risorse personali e organizzative impiegate, delle ore lavorate, dei costi sostenuti, ecc..

Appare in tal caso evidente che, diversamente dal caso Blackrock (laddove, a quanto pare, il contribuente, a riprova della natura unitaria del servizio, non è stato in grado di individuare un criterio di ripartizione del corrispettivo previsto per la messa a disposizione della piattaforma informatica migliore rispetto a quello – con tutta evidenza molto approssimativo – rappresentato dal riferimento proporzionale al valore degli attivi riferibili ai FCI piuttosto che degli Altri Fondi gestiti[14]), risulta possibile quantificare in maniera puntuale il corrispettivo riferibile alle prestazioni rese separatamente per le diverse tipologie fondi.

Con riferimento a tali fattispecie, ci pare in verità difficile disconoscere che ci si trovi di fronte a prestazioni di servizi chiaramente distinte e individualmente riferibili indirettamente a tipologie di fondi di volta in volta ben determinate, per cui è prevista una remunerazione e una fatturazione specifica, con riferimento alle quali ben potrebbero attagliarsi le considerazioni svolte dallo stesso Avvocato Generale al punto 71 delle conclusioni presentate alla CGUE nel caso Blackrock, laddove è stato osservato che, qualora diversamente rispetto al caso oggetto della predetta causa il prestatore fosse in grado di fornire all’Amministrazione finanziaria “… dati dettagliati che consentano … di individuare in maniera precisa e oggettiva i servizi forniti specificamente a favore dei FCI”, in tal caso le prestazioni fornite unicamente nei confronti dei FCI potrebbero essere esentate”.

 

[1] L’art. 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 accorda il regime di esenzione da IVA, fra l’altro, alla “… gestione di fondi comuni di investimento e di fondi pensione di cui al D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124”.

[2] L’art. 135, paragrafo 1, lettera g), della Direttiva IVA prevede l’esenzione per i “… servizi di gestione di fondi comuni d’investimento quali sono definiti dagli Stati membri”.

[3] Il citato art. 19, comma 3, lett. b) del D.P.R. n. 633/1972 prevede infatti che – in deroga alla regola di indetraibilità dell’IVA indicato dall’art. 19, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 per l’acquisto di beni e servizi afferenti operazioni non soggette all’imposta (come sarebbe nel caso di specie) – la predetta regola di indetraibilità “… non si applica se le operazioni ivi indicate sono costituite da … b) operazioni effettuate fuori dal territorio dello Stato le quali, se effettuate nel territorio dello Stato, darebbero diritto alla detrazione dell’imposta”.

[4] Più in dettaglio, in base al contratto di sub-advisory stipulato, Alfa Italia si è impegnata a porre in essere le seguenti attività nei confronti dell’advisor Beta:

  • assistenza nella valutazione, preparazione ed implementazione delle strategie di investimento dei Fondi Alfa sul territorio italiano, secondo le previsioni dei rispettivi partnership agreement;
  • valutazione degli investimenti (in particolare, quelli da effettuarsi in Italia) ritenuti dalla società istante “appropriati” in relazione all’attività di consulenza in materia di investimenti resa dall’advisor;
  • assistenza e consulenza in relazione alla revisione dei dati delle società target e/o portafogli di investimento dei Fondi Alfa (con particolare riguardo alle società italiane);
  • consulenza all’advisor circa l’acquisizione e/o dimissione di investimenti (ivi incluso in merito al timing delle operazioni);
  • consulenza ed assistenza nel monitoraggio di ciascun investimento realizzato dai Fondi Alfa, con particolare riguardo a quelli effettuati in Italia ed eventuale predisposizione di report periodici;
  • messa a disposizione di propri amministratori per ruolo non esecutivi all’interno dei consigli di amministrazione delle società in portafoglio italiane;
  • consulenza all’advisor in merito all’esercizio dei diritti sociali nelle società detenute in portafoglio dai Fondi Alfa;
  • consulenza sulle azioni da intraprendere per perseguire obiettivi e politiche di investimento dei Fondi Alfa;
  • predisposizione di materiale da includere nella reportistica periodica relativa agli investimenti dei Fondi Alfa;
  • consulenza nell’implementazione e revisione periodica dei processi di due diligence preordinati all’investimento in società italiane.

[5] Per quanto riguarda il profilo oggettivo (i.e., l’inquadramento della prestazione come servizio di “gestione” di FCI), assume come noto rilevanza l’orientamento della CGUE secondo cui i servizi forniti da un gestore esterno (outsourcer) possono rientrare nell’ambito di operatività dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera g), della Direttiva IVA a condizione che formino “un insieme distinto, valutato globalmente, destinato a soddisfare funzioni specifiche ed essenziali della gestione di fondi comuni d’investimento”. Più nel dettaglio, occorre esaminare se il servizio fornito da un terzo a una società di gestione presenti un nesso intrinseco con l’attività propria di una società di gestione, “… di modo che abbia l’effetto di adempiere le funzioni specifiche ed essenziali della gestione di un fondo comune d’investimento”.

[6] Per ciò che concerne, il profilo soggettivo (i.e., la riferibilità del servizio a FCI “qualificati” ai fini del regime di esenzione di cui si discute), la Corte di Giustizia ha affermato (cfr. sentenze C-595/13, cit., punti 36-37 e punto 47; C-424/11, cit., punto 24; C-464/12, cit., punto 47) che:

  1. si qualificano come “fondi comuni di investimento” ai sensi dell’art. 135, par. 1, lett. g) della Direttiva IVA, i fondi che costituiscono organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (c.d. OICVM) ai sensi della Direttiva 2009/65/CE del 13 luglio 2009 (cd. “Direttiva OICVM”), di rifusione della previgente Direttiva 85/611 del 20 dicembre 1985;
  2. i fondi che, pur non qualificandosi come OICVM in base alla predetta Direttiva, possono ciononostante qualificarsi per l’applicazione del regime di esenzione, qualora mostrino caratteristiche identiche rispetto a quelle di un OICVM e pongano in essere le stesse operazioni ovvero se, per lo meno, presentino caratteristiche sufficientemente comparabili per risultare in concorrenza rispetto a un tale soggetto.

[7] Cfr. la precedente nota 6.

[8] Riguardo alla disciplina vigente nell’ordinamento francese, è stato rappresentato nell’istanza che l’art. 261, par. C, lettera f) del Code général des impôts (CGI), a seguito di recenti modifiche normative, esenta in generale la gestione degli organismi di investimento collettivi menzionati all’art. 1, par. 2 della Direttiva OICVM così come la gestione di “altri organismi di investimento collettivo aventi caratteristiche similari” rispetto ai primi. Tale norma fiscale prevede altresì che la lista dei predetti organismi che beneficiano dell’esenzione IVA sia fissata in un decreto appositamente emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze francese.

[9] La ritenuta non si applica sui proventi percepiti da fondi pensione e organismi di investimento collettivo del risparmio esteri, sempreché istituiti in Stati o territori inclusi nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché su quelli percepiti da enti od organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia e da banche centrali o organismi che gestiscono anche le riserve ufficiali dello Stato.

[10] Cfr. Risposta n. 162/2022, ove si è fatto riferimento alla precedente Risoluzione del 4 ottobre 2005, n. 137/E.

[11] In quella sede è stato in particolare precisato che “Un organismo, cui il diritto nazionale, le norme o i documenti costitutivi oppure qualsiasi altra disposizione o altro accordo dal carattere giuridicamente vincolante, vietino la raccolta di capitale da uno o più investitori, dovrebbe essere considerato come un organismo che raccoglie capitale da una pluralità di investitori ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), punto i), della direttiva GEFIA se l’unico investitore: (a) investe capitale che è stato raccolto da una o più persone giuridiche o fisiche con lo scopo di investirlo a beneficio di dette persone; e (b) rappresenta un accordo o una struttura che in totale abbia più di un investitore ai sensi della direttiva GEFIA”. In questo senso, sono ivi elencati quali esempi di accordi o strutture che soddisfano tale requisiti:

  • le “strutture master/feeder, dove un unico fondo feeder investe in un organismo master”;
  • le “strutture di fondi di fondi dove il fondo di fondi è l’unico investitore nell’organismo sottostante”; nonché
  • le “organizzazioni dove l’unico investitore è una persona designata in qualità di agente per uno o più investitori e che riunisce i loro interessi per scopi amministrativi”.

[12] È questo il caso, ad esempio, della fattispecie esaminata nella sentenza CGUE del 19 luglio 2012, C-44/11 (caso Deutsche Bank) relativa al trattamento IVA del servizio di gestione di portafoglio e richiamata al punto 34 della sentenza Blackrock.

[13] Tale soluzione era stata tuttavia censurata sia dal Governo del Regno Unito sia dall’Avvocato Generale. Quest’ultimo, in particolare, al punto 66 delle proprie Conclusioni osservava come l’adottare il predetto criterio avrebbe comportato l’inconveniente della continua variabilità dell’IVA idealmente applicabile alla prestazione unica, in funzione della fluttuazione dei valori degli attivi riconducibili, rispettivamente, ai FCI ed agli Altri Fondi. Di conseguenza, sarebbe sorto il tema di individuare il momento corretto in cui “cristallizzare” tale valore e, comunque, vi sarebbe stato il rischio di estendere l’applicazione del regime di esenzione anche al caso di Altri Fondi che, in base all’art. 135, par. 1, lett. g), della Direttiva IVA, non avrebbero potuto beneficiarne.

[14] Al riguardo, per le critiche al predetto criterio di ripartizione del corrispettivo, si rinvia alla precedente nota 13.

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