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Editoriali

Recepimento dell’IFRS 9: semplificazione e complessità, gli opposti che si attraggono per le problematiche degli operatori domestici

3 Settembre 2018

Umberto Bocchino

Professore ordinario, Università di Torino; Direttore ABIReL – Accounting For Banking & Insurance Research Lab

Di cosa si parla in questo articolo

L’IFRS 9 è dunque stato recepito nella normativa di banche, assicurazioni ed intermediari finanziari vigilati (quindi anche società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari; SIM; SGR; intermediari finanziari ex art. 106 TUB; IMEL; istituti di pagamento), e la sua adozione non ha mancato di manifestare i primi effetti sui rendiconti intermedi degli operatori del settore finanziario. Gli effetti dell’applicazione del principio contabile saranno ancor più evidenti sui bilanci al 31 dicembre 2018, nonostante – per alcuni aspetti sottostanti ai rendiconti contabili – il passaggio all’IFRS 9 non abbia segnato un allontanamento così marcato dal percorso già tracciato dallo IAS 39.

A ben guardare, l’impatto dell’IFRS 9 è da ricercarsi non unicamente in ambito contabile o nelle rappresentazioni di sintesi, bensì anche nei contesti di funzionamento dei soggetti obbligati: sono i contenuti degli stessi rendiconti intermedi di gestione 2018 a confermarlo.

Gli operatori hanno, infatti, dovuto affrontare un notevole sforzo interpretativo che, in prima istanza, risale a ben prima di questo esercizio, per alcuni dal 2015, a cui è seguito uno sforzo altrettanto ingente dal punto di vista applicativo, amministrativo, organizzativo e gestionale. Le modifiche rispetto allo IAS 39 sono state indubbiamente significative, specialmente in alcuni ambiti (classificazione e misurazione delle attività e delle passività finanziarie, impairment e hedge accounting), ed hanno inciso su più fronti, comportando attività di assessment, di ridisegno organizzativo (per i nuovi modelli di rischio, per gli effetti sull’IT), e di implementazione.

Le conseguenze del recepimento dell’IFRS 9 sono state, e – per certi versi – sono ancora, di tipo sia quantitativo sia qualitativo, dove soprattutto le prime rilevano a livello di patrimonio netto contabile, comportando quasi sempre una riduzione del medesimo e quindi, in particolare per le banche, una diminuzione del CET 1. Proprio per tali motivazioni, ed al fine di evitare conseguenti effetti sulla capacità degli operatori di rispettare i requisiti prudenziali, si applica una disciplina transitoria che consente di distribuire lungo un arco temporale di cinque anni l’impatto sui fondi propri derivante dall’applicazione del nuovo IFRS9.

In verità, per il sistema creditizio del nostro Paese, le conseguenze dell’applicazione dell’IFRS 9 rappresentano la “cronaca di una morte annunciata” – vista la connotazione delle medesime come banche retail – per la contemporanea detenzione di derivati in portafoglio, fattispecie di business su cui l’IFRS 9 incide maggiormente, proprio per le sue caratteristiche.

Quest’ultimo ha infatti introdotto, rispetto allo IAS 39, cambiamenti significativi delle regole di classificazione e valutazione degli strumenti finanziari, associando anche l’introduzione di un nuovo modello contabile di impairment per le esposizioni creditizie, fondato non più sulle perdite occorse o sostenute (incurred losses), bensì su un approccio delle perdite attese (expected losses); soprattutto in tale ultimo ambito, lo sforzo degli operatori è stato rivolto allo sviluppo di modelli e metodologie per il calcolo delle rettifiche di valore decisamente più sofisticati perché finalizzati ad esprimere dal punto di vista quantitativo le perdite attese, con la conseguenza prudenziale di pervenire ad uno scarico delle rettifiche di valore più invasivo e temporalmente concentrato.

L’analisi effettuata su alcuni rendiconti intermedi 2018 consente di confermare la significativa differenza rispetto allo IAS 39 del modello di impairment basato sulle perdite attese: non è solo più una ‘aspettativa’ quella dei maggiori impatti di svalutazione (sia per i crediti che per gli altri strumenti finanziari) ma è una realtà, che manifesta tutti i suoi effetti quantitativi in una unica soluzione, benché attenuata – in alcuni casi – dall’applicazione delle disposizioni transitorie in materia di IFRS 9; infatti, l’eventuale progressivo deterioramento del credito comporta di dovere riconoscere una entità delle perdite attese calcolate sull’intera vita dell’attività finanziaria.

Forse la principale complessità di questo nuovo modello contabile-comportamentale risiede proprio nella capacità di determinare se la variazione del rischio di credito di uno strumento ha avuto un incremento rilevante e significativo a partire dalla rilevazione iniziale: questa situazione rappresenta di fatto il detonatore che impone la modifica dei criteri di calcolo dell’accantonamento dai 12 mesi al cosiddetto limite del “life time”.

L’IFRS 9 può essere definito come tendenzialmente rigido, ma tale connotazione può risultare attenuata da alcuni rimedi pratici che il principio internazionale pare ammettere: è esemplare, con riferimento alle attività finanziarie, la possibilità di utilizzare matrici di svalutazione per la quantificazione delle perdite attese sui crediti commerciali basate sull’esperienza storica dei default della società, del soggetto, rettificata od aggiustata sulla base di stime forward looking; ma altri esempi potrebbero essere individuati per i crediti commerciali che presentano una significativa componente finanziaria, come i crediti per leasing finanziari ed operativi.

L’IFRS 9 è intervenuto anche su aspetti più procedurali, come l’“hedge accounting”, ed anche in questo caso, vista la necessità di rendere più graduale l’impatto del nuovo principio contabile sugli operatori, è concessa l’opzione di proseguire ad applicare i requisiti contabili di copertura previsti dallo IAS 39, in alternativa al nuovo modello di hedge accounting generale.

L’analisi dei rendiconti intermedi consente, anche in questo caso, di aggiungere colore alla dimensione pratica dello studio sugli impatti dell’applicazione dell’IFRS 9: la grande maggioranza degli operatori finanziari risulta, infatti, abbia optato per proseguire in continuità con lo IAS 39 per l’hedge accounting; ne consegue che, a dispetto dell’introduzione delle nuove regole, ancorché in presenza di regimi transitori più o meno formali, gli operatori si siano concessi maggiore tempo – rispetto ad una immediata e piena acquisizione – per lo sviluppo di procedure e processi più adeguati, grazie ad una maggiore sperimentazione.

Di là dai risvolti più tecnici, in termini di critica costruttiva, il modello contabile dell’IFRS 9 presenta assonanze – basti pensare all’architettura generale, ai criteri di designazione o agli obblighi di documentazione – e differenze con quello sottostante lo IAS 39. Fra queste ultime rileva indubbiamente l’obiettivo di allineare la contabilizzazione delle coperture alle attività di risk management, e di insediare una disclosure più forte, e consentire la copertura delle componenti di rischio dei non financial asset: ciò attraverso l’allargamento dei criteri di eleggibilità di strumenti di copertura e di oggetti coperti, ponendo test di efficacia più flessibile.

In effetti, parte del pensiero accademico e professionale riconosce all’IFRS 9 la funzione di stabilizzare le reali performance economiche degli operatori finanziari. Tuttavia, se l’obiettivo fosse stato il perseguimento – fra l’altro – dell’efficienza, anche in termini di miglioramento dello IAS 39, l’IFRS 9 avrebbe dovuto essere pensato prevedendo implementazioni meno complesse e, per certi versi, meno soggettive di quelle introdotte: ad esempio, modelli fondati sull’analisi storico-fattuale dei crediti e degli strumenti finanziari; così da maggiormente oggettivizzare gli esiti quantitativi ai fini di eventuali rettifiche, soprattutto nel contesto retail dei nostri operatori domestici.

Il nuovo modello non pare essere stato studiato per consentire i necessari adattamenti alle specificità dei business finanziari così come derivanti dai singoli mercati locali; in tal senso sarebbe stata utile una voce più autorevole e forte da parte dell’Italia per la tutela degli interessi, decisamente non di campanile, bensì del contesto dimensionale-operativo e di business degli operatori del mercato italiano.

Ciò che di buono potrebbe derivare dalle qualità dell’IFRS9 rischia così di essere vanificato per le conseguenze applicative nel nostro Paese, per quanto la regolamentazione ovviamente comporta.

La sfida è verso chi intende asserire che, anche grazie all’IFRS 9, i bilanci ed i rendiconti intermedi di banche, assicurazioni ed intermediari, saranno più oggettivi e trasparenti che in passato; ma anche delle Autorità italiane competenti affinchè si adoperino per modificare, ove necessario, un modello non così vicino alle caratteristiche del nostro mercato.

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