WEBINAR / 16 Aprile
Il Regolamento europeo sui bonifici istantanei


Nuovi adempimenti per le banche/PSP

ZOOM MEETING Offerte per iscrizioni entro il 28/03

WEBINAR / 16 Aprile
Il Regolamento europeo sui bonifici istantanei. Nuovi adempimenti per le banche/PSP
www.dirittobancario.it
Articoli

Questioni in tema di validità degli strumenti finanziari derivati: dagli IRS ai CDS

9 Settembre 2013

Francesco Delfini, Ordinario di Istituzioni di Diritto Privato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano

SOMMARIO: 1.- Nullità ex art. 1418, co. 1, cod. civ. versus nullità ex artt. 1418, co. 2 e 1325, n.2, cod. civ.: causa in concreto e contratti di swap. 2.- L’ultima frontiera: i derivati sul rischio di credito, ovvero la c.d. cartolarizzazione sintetica. La degenerazione della finanza dei CDS naked.

 

1.- Nullità ex art. 1418, co. 1, cod. civ. versus nullità ex artt. 1418, co. 2 e 1325, n.2, cod. civ.: causa in concreto e contratti di swap.

Pur dopo le sentenze gemelle del 2007 delle Sezioni Unite della Cassazione1 – che, come noto, hanno escluso la nullità virtuale, per violazione delle norme sulla prestazione di servizi d’investimento, dei contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari – la giurisprudenza di merito ha continuato, in taluni casi, ad affrontare il tema della validità della operazione sotto il diverso profilo strutturale (artt. 1418, co. 2 e 1325, n.2, cod. civ.) della ricorrenza o non, nel concreto contratto, di una causa (meritevole di tutela).

Si tratta di fattispecie relative a strumenti finanziari derivati, per lo più interest rate swaps (IRS), in cui lo squilibrio giuridico del rapporto appariva evidente e che possono essere qui passate in breve rassegna.

Con sentenza in data 17 luglio 2012 il Tribunale di Monza2 ha dichiarato la nullità del IRS (interest rate swap riconducibile alla tipologia Plain Vanilla3) stipulato da un imprenditore, precedentemente esposto per finanziamenti a tasso variabile erogati dal sistema creditizio, per coprire il rischio di variazione di essi, obbligandosi a tasso fisso con l’intermediario finanziario (la banca).

Il Tribunale ha, da un lato, rilevato che tale finalità di copertura del derivato era stata contrattualizzata, emergendo dalle premesse del negozio e, dall’altro, sulla scorta della CTU svolta, ha accertato che le condizioni normative ed economiche stabilite nel contratto – caratterizzate da tassi di interesse fissi crescenti di anno in anno in misura prestabilita e tale da rendere inverosimile l’ipotesi di un loro superamento da parte del tasso variabile posto a carico dell’intermediario – si sono rivelate totalmente inidonee a perseguire la funzione di copertura del rischio dichiarato nel contratto4.

In tale decisione l’apparato motivazionale ruota sul concetto di causa in concreto, richiamando uno dei precedenti di legittimità di cui si è sopra trattato (Cass. 10490/2006), ed insiste sulla squilibrio iniziale del contratto, nel quale, sostanzialmente, solo l’investitore sopportava un’alea unilaterale, essendo ab origine inverosimile che l’andamento del tasso variabile posto a carico della banca potesse portare a flussi di pagamento a carico di questa5.

Altra recente sentenza del Tribunale di Milano, in data 14 aprile 20116, ha dichiarato la nullità di tre contratti di collar swap stipulati da un Comune – per la ristrutturazione di precedenti mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti – caratterizzati dalla presenza di un forte mark to market negativo a svantaggio dell’ Ente locale e di commissioni occulte.

Anche in tale caso il giudice milanese ricostruisce la causa in concreto del contratto come volta alla copertura di un rischio preesistente e ne ravvisa poi la mancanza, con conseguente nullità: ma mentre nella decisione del Tribunale di Monza la funzione di copertura era ricostruita esclusivamente in via di interpretazione del contratto, nel caso qui in esame il Tribunale di Milano muove e motiva7 anche sulla base della disciplina speciale di settore in tema di Enti pubblici, che preclude ai medesimi la stipulazione di derivati speculativi.

Nel medesimo orientamento della giurisprudenza di merito che nega validità al contratto derivato per difetto di causa in concreto si inserisce infine l’ordinanza del Tribunale di Bari in data 15 luglio 2010, che ha deciso, in sede cautelare, un ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. relativo a contratto finanziario di ristrutturazione del debito nascente dal mark to market di un precedente IRS (interest rate swap).

Il provvedimento in questione8 fa riferimento all’inesistenza della causa per dedurre la nullità del contratto e dunque la prevedibile fondatezza della futura domanda di ripetizione di indebito: si afferma infatti che “i contratti stipulati successivamente al primo, costituenti una sorta di ristrutturazione del debito in quanto incorporante le passività prodotte da quello precedente” (oltre ad ulteriori costi), non adempirebbero alla funzione di “copertura del rischio sottostante”, con l’effetto che il contratto concreto “non è in grado di realizzare la funzione dell’interest rate swap”.

Anche tale provvedimento, come quelli passati sopra in rassegna, motiva9 utilizzando il concetto di causa del contratto, ma al tempo stesso enfatizza il carattere aleatorio del contratto di swap.

E’ allora codesto ultimo punto, mi pare, a poter fornire un più solido apparato motivazionale, che pur resti incentrato sulla mancanza del requisito causale ma che eviti che la ricostruzione della causa in concreto – qualora il testo contrattuale non fornisca solidi e validi indizi ermeneutici che escludano l’intento speculativo dell’investitore – sia censurabile per una troppo spinta soggettivazione della stessa.

Una ricostruzione estensiva del requisito della causa, di cui al n. 2 dell’art. 1325 cod. civ., quanto ai contratti aleatori, ha portato infatti da tempo la dottrina a intravedere per tale categoria una specifica fattispecie di nullità, quella della mancanza di alea o rischio10, non predicabile per i contratti commutativi. Ciò viene argomentato ricostruendo una sorta di parte generale del contratto aleatorio, sulla scorta degli indici forniti dalla parte speciale del diritto dei contratti11: dall’artt. 1472, 2° co., che delinea la c.d. emptio spei, dall’art. 1876 cod. civ., secondo cui “il contratto è nullo se la rendita è costituita per la durata della vita di persona che, al tempo del contratto, aveva già cessato di vivere” e soprattutto dall’art. 1895 cod. civ.12, che predica la nullità del contratto di assicurazione per inesistenza del rischio, si fa discendere dunque la peculiare fattispecie generale di invalidità del contratto aleatorio per inesistenza del rischio13.

Per quanto qui rileva, si può allora dire che quando il giudice di merito motiva come sopra, qualificando l’IRS quale contratto aleatorio, si deve intendere sottinteso l’avverbio “necessariamente”: con il che risulta imprescindibile la ricorrenza di un elemento essenziale del contratto aleatorio, quello del rischio, dell’alea, la cui assenza, viceversa, rende nullo il contratto, in applicazione dei principi generali della categoria.

Ecco allora che in numerosi casi di rinegoziazione (o “ristrutturazione”) di precedenti derivati, come nel caso deciso dall’ordinanza del Tribunale di Bari14, oppure di hedging rispetto a precedenti esposizioni verso il sistema creditizio (come nei due casi decisi dai Tribunali di Monza e Milano) potrebbe risultare mancante o non sufficientemente apprezzabile l’alea bilaterale che deve essere ontologicamente presente nel derivato: se il contratto concreto è stato concepito e voluto come contratto bilateralmente aleatorio ed invece emerge che solo uno dei contraenti (l’investitore, ma non l’intermediario) era esposto al rischio, la nullità del medesimo potrà così discendere dal difetto di alea quale vizio funzionale della causa tipico dei contratti aleatori.

2.- L’ultima frontiera: i derivati sul rischio di credito, ovvero la c.d. cartolarizzazione sintetica. La degenerazione della finanza dei CDS naked.

Di recente è stata data notizia del disegno di legge n. 945, presentato dal sen. Tremonti in data 15 luglio 2013, avente ad oggetto “Delega al Governo in materia di disciplina dei contratti finanziari derivati”.

La relazione al medesimo chiarisce che l’oggetto della delega proposta è la proscrizione dei c.d. Credit Default Swaps “CDS” naked, che vengono additati quale esito della degenerazione della finanza speculativa. Nel d.d.l., con toni talvolta accorati ma verosimilmente giustificati dall’allarme sociale che tali strumenti finanziari derivati hanno originato, si espone, con efficace quanto talvolta suggestivo tono didascalico, l’evoluzione dei mercati finanziari e l’attuale loro globalizzazione e si sottolinea che il CDS ha dapprincipio “fatto il suo onesto lavoro. Ma dopo si è trasformato in un killer”15.

L’articolato proposto nel disegno di legge, che segue la relazione, è assai sintetico e si compone del seguente unico articolo: “Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di disciplina dei contratti finanziari derivati, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) obbligo per le società dell’iscrizione dei contratti derivati nella nota integrativa; b) divieto per le società dell’iscrizione «ex ante» degli effetti degli stessi contratti; c) obbligo per le società dell’iscrizione solo «ex post» degli effetti degli stessi contratti”.

Sulla congruità del mezzo (l’articolato), rispetto allo scopo (la proscrizione dei derivati CDS puramente speculativi), si è anche aperto un serrato dibattito, sul finire di questa estate 2013, sulle pagine del Corriere, tra l’ex ministro e professore universitario Giulio Tremonti e la nota ed apprezzata giornalista Milena Gabanelli16.

Il tema viene dunque posto de iure condendo – e accompagnato dall’espressa disillusione dell’autore del disegno di legge, secondo cui “non se ne discuterà affatto, in Parlamento, dato che questo è impegnato su altro”.

Mi pare tuttavia che, già de iure condito, la validità dei derivati di credito puramente speculativi possa essere messa in discussione.

Plurimi argomenti militano in tal senso: ma prima di esporli conviene sunteggiare il fenomeno empirico, per comprendere il percorso compiuto dell’ingegneria finanziaria matrice dei CDS – e poi svolgere conseguenti considerazioni giuridiche.

Da oltre un decennio il legislatore ha consentito, con una disciplina speciale (la legge 30 aprile 1999, n. 130), la cartolarizzazione di crediti, operazione economica con la quale, come noto, una società ad hoc (c.d. SPV) acquista crediti pecuniari (di regola crediti low o non performing) e paga il cedente con quanto raccoglie con la emissione di titoli (per il cui rendimento utilizzerà i flussi di cassa attesi dai pagamenti dei debitori ceduti).

Il rationale dell’operazione è il seguente: il cedente (o fornitore de)i crediti (spesso detto originator) si libera di crediti di difficile esazione, la SPV si finanzia sul mercato con la emissione di titoli ad elevato rendimento; gli acquirenti dei titoli (ascrivibili all’ampio genus delle obbligazioni, ma non certo alla sottoscrizione di capitale di rischio) non rischiano (giuridicamente) il capitale ma sopportano esclusivamente un (elevato) rischio di controparte (cioè quello della solvibilità della SPV, il cui patrimonio è costituito dai crediti acquistati).

L’ingegneria finanziaria tuttavia è andata oltre.

La cessione dei crediti, nella cartolarizzazione sopradescritta e disciplinata con la L. 130/1999, costituisce trasferimento a titolo derivativo dei medesimi. Resa opponibile la cessione al debitore ceduto, questi deve pagare al cessionario. Il cedente (ad esempio la banca, l’originator) si priva così di una relazione commerciale con il debitore (ora cattivo pagatore ma) che potrebbe (tornare ad) essere un buon cliente per altre operazioni: per ovviare a tale conseguenza, talvolta il cedente mantiene la veste di adiectus solutionis causa del cedente o riceve da questi un mandato all’incasso, ma si tratta di soluzioni di ripiego.

L’industria finanziaria inventa allora la c.d. cartolarizzazione sintetica. Si afferma: perché mai, invece di cedere i crediti, il creditore non potrebbe cedere solo “il rischio di credito”, trattenendo la titolarità del credito medesimo? E per ottenere risposta positiva alla domanda, e rendere più accettabile l’operazione, la si descrive come un “acquisto di protezione economica” da parte del creditore (protection buyer).

Si dice dunque che la banca, nell’esempio fatto, non sarebbe soggetto idoneamente attrezzato per apprezzare e sopportare il rischio di credito (cioè il rischio di controparte, del debitore cattivo pagatore) ed allora si sottolinea che sarebbe più efficiente che essa si rivolga ad un soggetto terzo, che assuma tale rischio dietro corrispettivo (protection seller).

Verrebbe allora da pensare che il candidato ideale, il best risk bearer in una logica di analisi economica, debba essere un’impresa di assicurazione, ma l’industria finanziaria rifugge da soluzioni semplici e già sul mercato, e propone la creazione di una società ad hoc, la SPV, che fornisca la protezione, richiesta dal creditore, con un contratto che la prassi finanziaria – che è londinese di adozione – indica come credit default swap (CDS, con il solito acronimo)17. Uno swap anomalo, tuttavia, perché, a differenza degli swap più tradizionali (si pensi all’IRS Interest rate swap), non si ha qui uno scambio di flussi finanziari di segno opposto, regolato in via differenziale a momenti prestabiliti, ma una copertura di rischio che si traduce nell’obbligo eventuale di pagare, da parte del prestatore di copertura (protection seller), al verificarsi dell’evento di credito considerato (ad es. il default), in cambio dell’obbligo certo di pagare, per il beneficiario di copertura (protection buyer), una somma periodica (coupon)18: insomma, una replica, talvolta più sofisticata finanziariamente, dei fondamentali del sinallagma del contratto di assicurazione19.

Si aggiunge poi che non sarebbe efficiente lasciare tale rischio sulle sole spalle della SPV e che dunque è opportuno che questa “riacquisti”, a valle, la medesima protezione che eroga, a monte, con il CDS.

Ecco allora che si replicherebbe lo schema della cartolarizzazione di crediti, ammesso dalla L. 130/199: la SPV emetterebbe titoli – detti CLN (credit linked notes), facenti parte del più ampio genus dei CDO (collateralized debt obligations) da collocare sui mercati finanziari, con i quali i sottoscrittori assumono a valle, parcellizzato e dunque in modo più tollerabile, il rischio di credito garantito con il CDS a monte.

La meritevolezza dell’operazione starebbe nella maggior sopportabilità del rischio: anziché, come nell’assicurazione, una sola controparte, la compagnia, che fa incetta di rischi omogenei e stempera l’evento infausto di realizzazione del rischio nella massa dei rischi omogenei che non si traducono in danno, qui la SPV, che ha un solo rischio da assicurare, stempera la sua eventuale realizzazione parcellizzandolo tra i sottoscrittori dei titoli, le CLN emesse.

La meritevolezza della operazione starebbe dunque in una replica, dal punto di vista funzionale, di quanto da tempo ammesso per l’impresa di assicurazione: identità funzionale cui si accompagnerebbe una necessaria diversità di strumenti giuridici (non il collaudato contratto di assicurazione ma il CSD a monte e la emissione parcellizzata di CLN a valle) perché, appunto, l’assicuratore ha di fronte rischi omogenei, mentre la SPV ha (solo) quel rischio di credito specifico.

La dottrina che segue tale nuova prassi finanziaria reclama allora una disciplina ad hoc per legittimarla in Italia, e paventa, in difetto, una penalizzazione delle banche domestiche, nella consapevolezza che l’espressa previsione di una disciplina ad hoc per la sola cartolarizzazione di crediti può costituire argomento a contrario per negare ammissibilità, de iure condito, alla nuova “cartolarizzazione sintetica”20.

Sin qui l’ingegnere finanziario – e la dottrina che lo supporta – ritengono di aver convinto della necessità, de iure condendo, di dare esplicita cittadinanza anche nel nostro ordinamento alla cartolarizzazione sintetica.

Ma ciò non basta e si vuole andare oltre.

L’industria finanziaria, con l’avallo di altra dottrina21, prospetta che per l’operazione sopra descritta non sia in alcun modo essenziale che il rischio di credito sussista in capo al richiedente la protezione, e dunque la banca, nel nostro caso, dovrebbe poter acquistare protezione anche per il rischio di credito di soggetti (le c.d. reference entities) che non sono suoi debitori (cd. naked CDS).

Codesta ultima estensione dello schema ideato dall’ingegneria finanziaria richiede tuttavia una più raffinata giustificazione concettuale, che viene trovata con una operazione intellettuale apparentemente neutra, quale quella dell’interpretazione delle definizioni recate dal TUF, muovendo dalla considerazione secondo cui caratteristica essenziale di ogni strumento finanziario derivato sarebbe la “non necessità che il rischio che ne è oggetto inerisca alla sfera giuridica dell’uno o dell’altro contraente22.

Conviene allora essere ben consapevoli delle conseguenze giuridiche ed economiche che codesta deduzione, che discenderebbe de plano dalla appartenenza del CDO (e della CLN) all’ampio genus dello strumento finanziario derivato, reca.

Anzitutto, la prassi economica viene descritta, con le modalità sopra riportate, in modo spesso edulcorato.

Sovente non preesiste una banca che vuole acquistare protezione per propri crediti e che si rivolge ad un protection seller terzo, ma vi è un’impresa di investimenti (o una banca, l’arranger) che organizza ad hoc un’operazione finanziaria a puro fine speculativo: crea la SPV e stipula con essa il CDS relativo a reference entities che non sono sue debitrici (naked CDS), e organizza la emissione, a valle, delle CLN.

Talvolta le CLN sono emesse in più tranches con diverso “spessore”23, cioè grado di rischiosità, così segmentando i crediti in classi con diversa seniority, ma molto spesso l’arranger organizza l’operazione con emissione di un’unica tranche, di un’unica CLN collocata presso un unico investitore.

La prassi finanziaria giustifica la CLN single tranche, riservata ad un unico investitore, sottolineando che ciò permette di formulare un’offerta personalizzata in termini di rischio di credito assunto (cioè di selezione delle reference entities rilevanti), di attachment edetachment point, di rating complessivo (cioè cedola o coupon pagati).

E’ di tutta evidenza che in tale caso – che è assai comune – non vi è alcun preesistente rischio di credito, di cui la banca intenda coprirsi e, anche se vi è l’interposizione della SPV, non vi è alcuna parcellizzazione del rischio presso vari investitori: manca cioè proprio quanto veniva addotto, come sopra riportato, quale giustificazione della operazione, e dell’impossibilità di ricorrere allo strumento tipico dell’assicurazione del credito.

Nell’ipotesi di CLN single tranche e con reference entities che non siano debitori della banca protetta con il CDS o dell’originator (naked CDS), siamo cioè nella medesima situazione di una scommessa sui cavalli del gran premio di Ascot, per restare in Inghilterra: non vi è alcun rischio da cui proteggersi o da trasferire, ma vi è pura speculazione24.

E’ giunto allora il momento di analizzare la norma che consentirebbe tale pura speculazione finanziaria avulsa da ogni esigenza di copertura.

Come è noto, gli strumenti finanziari qui in esame sono previsti dall’attuale art. 1, co.2, lett. h), che li indica come “strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito”.

In un recente saggio, ricco di condivisibili digressioni sul ruolo dell’ermeneutica e sul valore delle definizioni normative, si giunge tuttavia, come sopra accennato, alla conclusione che sarebbero ammissibili e validi i derivati creditizi anche se privi della funzione di protezione di un preesistente rischio di credito proprio dell’emittente. Muovendo dalla premessa per cui sarebbe “caratteristica essenziale di ogni strumento finanziario derivato … la non necessità che il rischio che ne è oggetto inerisca alla sfera giuridica dell’uno o dell’altro contraente”, si conclude che, per tutti gli strumenti finanziari derivati – e dunque anche per i c.d. derivati di credito -, ricorrerebbero due tratti tipologici essenziali: la monetizzazione di un rischio sulle basi di una valutazione razionale e la tendenziale estraneità del rischio alla sfera giuridica dei contraenti.25

Codeste conclusioni non paiono generalizzabili e dunque estensibili ad un tipo di derivati, quelli di cui alla lett. h del co. 2 dell’art. 1 TUF, che lo stesso Autore riconosce26 non avere alcuna parentela con il tradizionale swap.

Si tratta di un problema di diritto positivo e con esso ci si deve confrontare, senza poter muovere da premesse che, a ben vedere, possono risolversi in petizioni di principio.

La normativa primaria, il TUF, contiene esclusivamente la riportata definizione di tali derivati di credito, ma tale definizione ha una valenza implicitamente precettiva. Non è semplice frammento di descrizione di fattispecie, muto per l’interprete e meramente ancillare ad una disciplina (che, con consapevole semplificazione, tale dottrina27 rinviene nella sola riserva di attività agli intermediari e nell’inapplicabilità dell’art. 1933 cod. civ.).

Del resto tale medesima dottrina è ben consapevole del ruolo delle definizioni nella legislazione della finanza, ove si tratta in primo luogo di valutare la compatibilità con l’ordinamento di modelli contrattuali spesso “alieni”28: si può infatti condividere l’affermazione, che ivi si legge, secondo cui “il criterio guida per l’interprete è, pertanto, in tal caso, quello del riconoscimento espresso, da parte del legislatore speciale, di una certa meritevolezza di tutela – nel senso di cui all’articolo 1321 cod. civ. – delle fattispecie negoziali menzionate nella definizione”29. E’ proprio questo il significato precettivo delle definizioni, di fronte all’importazione di strumenti contrattuali che oggi indichiamo come alieni ed in passato avremmo chiamato semplicemente “contratti nuovi”: la menzione espressa da parte del legislatore di un nuovo tipo contrattuale, pur senza una sua analitica disciplina, vale quantomeno a qualificare come nominato (ancorché non tipico), il contratto in questione, risolvendo in senso positivo il quesito della sua validità e riconoscibilità da parte dell’ordinamento.

Ed allora proprio la definizione di cui all’art. 1, co. 2, lett. h) TUF impone all’interprete, a contrario, di ritenere non meritevoli di tutela le CLN (e il CDS posto a monte) allorché, come nelle ipotesi sopra ricordate, non vi sia alcuna esigenza di protezione da rischio di credito da soddisfare (naked CDS).

La definizione del TUF – che indica quali strumenti finanziari possano realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, co. 2 cod. civ., funzionale ad una delle declinazioni del concetto di causa evidenziata in apertura del presente scritto) – è chiara nel ricomprendere solo gli “strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito”30.

E, come è evidente, la parola chiave, pregnante di significato, è “trasferimento”.

Il termine è tecnico. Allude ad una vicenda traslativa: la catena di contratti collegati dovrà originare da un soggetto in capo al quale sussista il rischio di credito, che dunque abbia un interesse giuridico all’adempimento dell’obbligazione, che sia, cioè, esposto al rischio dell’inadempimento del debitore rispetto alla cui solvenza chiede ed acquista protezione.

La vicenda tecnica del trasferimento potrà snodarsi anche in più traslazioni, a titolo derivativo, del medesimo rischio. Così, sarà compatibile con la norma contenuta nella definizione del TUF in esame il CDS con il quale il portatore del rischio di credito (perché creditore verso i debitori indicati come referenceentities) lo trasferisca alla SPV; e saranno compatibili con la norma anche le CLN poste a valle, perché la SPV sarà portatrice del medesimo rischio di credito trasferitole a titolo derivativo con il CDS: rischio che trasferisce a sua volta agli investitori, cui colloca le CLN.

In altre parole, i contratti (CDS e CLN) che realizzino una cartolarizzazione sintetica non di copertura, ma speculativa – perchè le reference entities non corrispondano a debitori del protection buyer che conclude il CDS – devono ritenersi nulli perché privi di una causa meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Ma non basta.

E’ agevole osservare che la definizione del TUF di cui all’art. 1, co.2, lett. h) è conforme a plurimi principi generali dell’ordinamento, che possono ritenersi integrare lo stesso ordine pubblico economico domestico.

Innanzitutto, al principio indennitario31, per il quale chi è esposto ad un rischio, per cui ottiene contrattualmente copertura, non può essere posto in una situazione economica, al verificarsi dell’evento dedotto in contratto, migliore di quella in cui si sarebbe trovato in caso di mancata realizzazione del rischio stesso32 (principio rispettato nel caso del CDS di copertura, ma che potrebbe non esserlo nel CDS naked, puramente speculativo). Si è visto sopra che l’operazione di cartolarizzazione sintetica con single tranche presenta una situazione fattuale analoga a quella su cui potrebbe esser concluso un contratto di assicurazione del credito: ne consegue che il richiamo di principi, quali quello indennitario, elaborati in relazione all’assicurazione, pare appropriato33. In ogni caso può rilevarsi come il principio enunciato, quanto al rischio di credito (cioè al rischio di controparte: recte, al rischio della solvenza di controparte) trovi conferma nell’art. 1941, co. 1 e 3 cod. civ., quanto alla fideiussione. Nel caso prospettato, la violazione sarebbe patente perché, con la leva finanziaria tipica dello strumento finanziario derivato, la scommessa sull’inadempimento del debito di 100 di Tizio verso Caio, fatta dall’estraneo Sempronio con Mevio, potrebbe fare incassare a Sempronio e causerebbe una perdita a Mevio esponenzialmente superiore al sottostante di 10034.

Inoltre, al principio della necessaria inerenza, del rischio patrimoniale per il quale si ottiene copertura, al soggetto protetto: principio che emerge dall’art. 1904 cod. civ., quanto all’assicurazione, e dall’ art. 1936, co. 1, cod. civ., quanto alla fideiussione. E va sottolineato che l’inesistenza del rischio, inteso come rischio di colui (art. 1904 cod. civ.) che ottiene protezione, è causa di nullità del contratto, ex art. 1895 cod. civ. (nullità che significativamente viene accostata a quella per difetto di causa di cui all’art. 1325, n.2, cod. civ.).

In terzo luogo, al principio della necessaria collaborazione, della parte protetta dal rischio economico, volta ad evitare il verificarsi dell’evento per il quale ottiene protezione (o quantomeno volta a limitare il danno occorso): principio che risulta dall’art. 1914 cod. civ., quanto all’assicurazione, e dagli artt. 1955 e 1956 cod. civ., quanto alla fideiussione, mentre nel caso ipotizzato lo scommettitore Sempronio avrebbe tutto l’interesse a procurare l’evento di default, senza il quale non lucrerebbe alcunché.

Infine, al principio che preclude la determinazione unilaterale dell’obbligo contrattuale. Sul punto dobbiamo essere più analitici. Nelle cartolarizzazioni sintetiche “non di copertura”, qui censurate, la violazione di codesto ultimo principio è plurima:

la definizione di evento di credito, nei CDS e nelle CLN, non è tecnica e oggettiva (partendo dall’acronimo CDS si dovrebbe ritenere che l’evento di credito sia il default e dunque il fallimento del debitore, se commerciale, ovvero quantomeno l’inadempimento, ma la prassi contrattuale mostra che si spazia dal fallimento per arrivare anche al downgrade del rating della reference entity35). E’ allora evidente che l’investitore nella CLN è lasciato in completa balìa dell’emittente SPV (o del protection buyer nel CDS, di regola appartenenti allo stesso gruppo industriale finanziario o strettamente legati) per l’accertamento dell’effettivo verificarsi degli eventi di credito;

il protection buyer (quanto al CDS), o la SPV (rispetto alla CLN), si riservano sovente la possibilità di variare, nel corso della durata del titolo, la composizione del basket di reference entities sottostanti allo strumento, vale a dire dei rischi di credito sui quali è strutturata l’obbligazione: e ciò è diretta violazione dell’art. 1349 cod. civ. ovvero è sostanziale elusione della stessa allorché tale facoltà di modifica unilaterale viene riservata ad un soggetto (Substitution Agent) formalmente terzo ma emanazione o correlato con l’emittente36.

Da ultimo, a conferma che la violazione di codesti principi – che esclude la ricorrenza di una causa meritevole di tutela per i contratti che realizzano cartolarizzazioni sintetiche “non di copertura” – involge lo stesso ordine pubblico economico del nostro ordinamento, si considerino le plurime conseguenze indesiderabili che tali operazioni comportano, con un vero e proprio “gioco dei nomi”: tali operazioni, infatti, si risolvono in un abusivo impiego travisato di termini giuridici, di precisa significanza socioeconomica, con effetti decettivi sull’investitore, anche esperto o qualificato (per usare un termine “anteMIFID”).

Sotto due profili abbiamo un impiego di termini decettivi (di misrepresentation, per usare un anglicismo).

Il primo: il termine obligation. Gli strumenti finanziari in questione sono presentati e collocati come credit linked notes o collateralized debt obligations e dunque come obbligazioni, titoli di debito, e non come sottoscrizione di equity, di capitale di rischio. Ed è nozione elementare, posta a base dell’agire economico anche di un investitore non retail, che chi sottoscrive un’obbligazione sopporta esclusivamente il rischio di controparte (che è rischio fattuale) per la restituzione del capitale, mentre nel nostro caso, pur evocando il concetto di obbligazione, il titolo CLN espone l’investitore anche al rischio giuridico, assai grave, della non debenza del capitale in restituzione (qualora si giunga ad eventi di default in numero pari al detachment point)37.

Il secondo: il termine rischio, la cui significanza giuridica si polarizza sul duplice concetto di i) evento indipendente dalla volontà delle parti, ii) che può recare pregiudizio economico ad una di esse.

Qui difettano entrambe le caratteristiche del rischio, nel senso appena descritto.

Anzitutto non si tratta di rischio nel senso di evento che può recare pregiudizio economico al protection buyer, perché esso (o l’arranger dell’operazione) lo creano dal nulla, costruendo un basket di reference entities (che addirittura mutano lungo strada), verso le quali sono economicamente indifferenti, non essendo, in thesi, propri debitori.

Inoltre, assai spesso non si tratta neppure di evento in senso tecnico: quando il credit event è il semplice downgrading del rating di credito siamo addirittura di fronte non ad un fatto, ma ad una mera opinione (della società di rating, le cui affidabilità, oggettività ed accuratezza sono state messe assai in discussione di recente)38.

Infine, non si tratta di evento indipendente dalla volontà delle parti: perché quando il protection buyer scommette sul default relativo ad un debito sovrano che non ha in portafoglio, ed è fornito sia della necessaria “potenza di fuoco” finanziario, sia degli opportuni incentivi economici (perché, grazie alla leva finanziaria, dal default lucrerebbe cifre astronomiche), esso può provocare o agevolare l’evento sul quale ha scommesso. Non si tratta allora di un rischio, ma … di una profezia che si auto avvera!

Cade così anche l’ultima giustificazione dell’asserita meritevolezza della operazione di cartolarizzazione sintetica “non di protezione”, quella secondo cui la CLN quantomeno darebbe ai mercati utili segnali economici sulla affidabilità dei debitori di riferimento.

 

1 Cass. civ., sez. un., 19-12-2007, n. 26724, in Rep. Foro It., 2008, Intermediazione finanziaria, n. 201 e Cass. civ., sez. un., 19-12-2007, n. 26725, ivi, 2008, stessa voce finanziaria, n. 200, con analoga massima: “Dalla violazione dei doveri di comportamento che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario discende la responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, per le violazioni in sede di formazione del contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero la responsabilità contrattuale, con relativo obbligo risarcitorio ed eventuale risoluzione del predetto contratto, per le violazioni riguardanti le operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazione finanziaria in questione, ma non la nullità di quest’ultimo o dei singoli atti negoziali conseguenti, in difetto di previsione normativa in tal senso”: le sentenze sono oggetto dell’analitico commento di MAFFEIS D., Discipline preventive nei servizi di investimento: le sezioni unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in Contratti, 2008, 403.

2 Pubblicata su Il Caso.it con la seguente massima: “La non rispondenza delle condizioni economiche contrattuali del contratto derivato Interest Rate Swap alla funzione di copertura del rischio nello stesso enunciata ne comporta la nullità per difetto di causa (art. 1418, comma secondo, c.c.), da intendersi quale sintesi degli interessi concretamente perseguiti dalla negoziazione”.

3 Così la descrive la Consob, nella pubblicazione “I principali prodotti derivati – Elementi informativi di base”, ed. Ottobre 2012: “Esistono numerose tipologie di IRS. La più diffusa – denominata plain vanilla swap – presenta le seguenti caratteristiche: – la durata dello swap è un numero intero di anni; – uno dei due flussi di pagamenti è basato su un tasso di interesse fisso, mentre l’altro è indicizzato a un tasso di interesse variabile; – il capitale nozionale resta costante per tutta la vita del contratto”.

4 Ciò che naturalmente avrebbe potuto aprire prospettive di tutela risarcitoria, anche per violazione dell’art. 21 TUF o per responsabilità precontrattuale, non oggetto del giudizio.

5 Così si esprime il Tribunale di Monza, in motivazione, “l’IRS è un contratto mediante il quale una parte si impegna a pagare, a determinate scadenze (annuali, semestrali, trimestrali), con riferimento ad un capitale detto “capitale nozionale”, un interesse commisurato ad un determinato tasso fisso e l’altra si impegna a pagare, alle stesse scadenze e con riferimento al medesimo capitale nozionale, un interesse commisurato ad un predefinito tasso variabile (di solito l’EURIBOR a tre o sei mesi). Il capitale di riferimento non è oggetto di scambio, ma serve esclusivamente da parametro per il calcolo dei reciproci pagamenti, il cui scambio avviene attraverso meccanismi di compensazione, con liquidazione della sola differenza in favore della parte risultante a credito in ragione della maggiore consistenza del proprio flusso di pagamento. A seconda di come vengono strutturati, gli IRS possono essere utilizzati con finalità di copertura dei rischi legati alla variazione dei tassi di interesse (o di cambio), vale a dire con scopo di tipo “assicurativo” (cosiddetto hedging), senz’altro lecito e meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., o con finalità meramente speculative (cosiddetto trading) che, riducendo lo strumento ad una mera scommessa, danno luogo ad obbligazioni non azionabili ex art. 1933 cod. civ. (Tribunale Milano, 26 maggio 1994, in Giur. it., 1996, I, 2, 50). Come emerge dall’univoco tenore delle premesse, la finalità dichiarata nel contratto qui esaminato, riconducibile alla tipologia standard del Plain Vanilla Swap, è quella di copertura dei rischi legati alle variazioni dei tassi di interesse in riferimento ai finanziamenti contratti dalla cliente, che assume per tale motivo la veste di debitore tasso fisso (…) Le condizioni normative ed economiche stabilite nel contratto di seguito riprodotte si sono rivelate, tuttavia, totalmente inidonee a perseguire la funzione di copertura del rischio dichiarato nel contratto (…). L’IRS in esame, pur se coerente, quanto al capitale nozionale, con i complessivi finanziamenti a tasso variabile all’epoca erogati dal sistema creditizio (…) è connotato dalla previsione, a carico della cliente, di tassi di interesse fissi crescenti di anno in anno in misura prestabilita e tale da rendere residuale ipotesi di un loro superamento da parte del tasso variabile dell’EURIBOR a tre mesi posto a carico della banca, con un preordinato squilibrio del contratto a detrimento della prima e a tutto vantaggio della seconda”. Con ciò il Tribunale, sostanzialmente, rileva un difetto di alea del contratto di IRS, ontologicamente aleatorio, ed avrebbe così potuto da ciò dedurre direttamente la nullità del medesimo; tuttavia preferisce muovere dalla nullità per difetto di causa in concreto e così prosegue, nella motivazione della decisione: “Il disinteresse della banca per la finalità contrattuale dichiarata [copertura di rischio] trova riscontro nell’assenza di “evidenze interne” di un previo studio dello strumento derivato in rapporto alla concreta situazione finanziaria della società [cliente], in spregio alle prescrizioni impartite in materia dalla Consob (il riferimento, opportunamente richiamato dal CTU, è alla comunicazione D.I. 990013791 del 26 febbraio 1999, nella quale si richiede che, perché le operazioni in strumenti finanziari derivati possano concretamente assumere funzione di copertura, che: 1) siano esplicitamente poste in essere per ridurre il rischio connesso all’obbligazione assunta dal cliente con scopo di finanziamento dell’attività d’impresa (c.d. posizioni base); 2) vi sia un’elevata correlazione tra le caratteristiche tecnico finanziarie dell’operazione oggetto di copertura (scadenza – tasso d’interesse) e quelle dello strumento finanziario adottato; 3) le menzionate condizioni risultino documentate da evidenze interne degli intermediari e siano approvate dalla funzione di controllo interno). La non rispondenza delle condizioni economico contrattuali alla funzione di copertura del rischio negli stessi enunciata ne comporta la nullità per difetto di causa (art. 1418 comma secondo, cod. civ.), da intendersi quale sintesi degli interessi concretamente perseguiti dalla negoziazione (cfr. Cass. 10490/2006)”.

6 Pubblicata su Il Caso.it con la seguente massima: “Sono nulli per difetto di causa in concreto i contratti swap sottoscritti da enti pubblici che alla data di sottoscrizione presentino markto market negativo (c.d. swap non par) ove l’equilibrio sinallagmatico non sia ripristinato mediante erogazione di un premio corrispondente in sede di sottoscrizione del derivato. Il markto market negativo alla sottoscrizione dei contratti, tanto più se non esplicitato, attribuisce ai contratti swap una funzione speculativa in contrasto con la tipologia di contratti derivati rimessi alla possibile stipulazione da parte degli Enti Locali dall’art. 41 co. 1 L. 448/2001 e dall’art. 3 DM 389/2003. La dimensione particolarmente alta del mark to market iniziale (specie se anche superiore al limite posto dall’art. 3 lett. F del DM 389/2003) esclude la possibilità di attribuire a tale squilibrio la funzione causale di corrispettivo dell’intermediario finanziario. L’applicazione da parte dell’intermediario di commissioni non esplicitate è in contrasto con l’art. 61 del Reg. Consob 11522/98”.

7 Osserva, in motivazione, il Tribunale di Milano: “A seguito di espletamento di consulenza tecnica di ufficio diretta a ricostruire le caratteristiche strutturali dei tre contratti derivati stipulati tra le parti, è emerso come gli stessi effettivamente non fossero del tipo “par”, ma prevedessero un markto market iniziale negativo per il Comune per un totale di oltre euro 576.000; considerato come gli stessi contratti non prevedessero la corresponsione di importi in favore del cliente della Banca (cosiddetto up front, in teoria sostanzialmente corrispondente all’eventuale mark to market iniziale negativo, al fine di ricondurre l’operazione finanziaria nell’ambito di un corretto rapporto di sinallagmaticità), l’ausiliario tecnico del Tribunale ha osservato come ciò comportava che lo squilibrio di partenza sfavorevole alla posizione del Comune si risolveva interamente in un vantaggio ingiustificato per la controparte, ossia la convenuta”(…) “Un mark to market iniziale negativo, tanto più se non collegato a un corrispondente up front, attribuisce ai contratti in parola una funzione speculativa, in contrasto con la tipologia dei contratti derivati rimessi alla possibile stipulazione da parte degli enti locali dall’art. 3 del DM 389/2003, secondo quanto disciplinato dall’articolo 41 comma 1 della legge 448/2001. Considerato, quindi, come sia pacifico, oltre che risultare dagli stessi negozi stipulati, come le parti avessero inteso stipulare contratti di swap conformi alle tipologie consentite al Comune, secondo la normativa sopra richiamata, l’accertamento tecnico contabile condotto in corso di causa ha viceversa rivelato come i tre contratti oggetto di domanda non assolvessero la causa in concreto predeterminata dal legislatore, avendo connotati speculativi in misura accentuata (superiore anche ai limiti massimi fissati dal legislatore per la tipologia di derivati disciplinati dalla lett. f) dell’art. 3 del citato decreto ministeriale, ancorché fattispecie estranea ai contratti in esame). Ne deriva, quindi, come debba trovare accoglimento la domanda attorea diretta ad ottenere la declaratoria di nullità dei tre contratti di collar swaps stipulati 10 gennaio 2006 per difetto della causa in concreto loro consentita”.

8 Pubblicato su Il Caso.it con la seguente massima: “Qualora un contratto di swap sui tassi di interesse venga stipulato allo scopo di copertura del rischio derivante dall’aumento del tasso variabile di un contratto di finanziamento, applicando alla fattispecie la nozione di causa concreta recepita e fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, è possibile individuare un difetto genetico di causa (dovuto all’incapacità ab origine dello schema negoziale di realizzare la copertura del rischio) in quei contratti di swap che incorporino le passività derivanti da precedenti analoghi contratti”.

9 In motivazione si legge: “La seconda nullità dedotta è di tipo non formale, ed attiene al requisito di sostanza rappresentato dalla causa anche sulla base del dictum della suprema corte (Cass 19 maggio 2005, numero 10598) e delle recenti acquisizioni dottrinali, il contratto di swap può essere definito un contratto nominato, ma atipico in quanto privo di disciplina legislativa (ovvero solo socialmente tipico), a termine, con sensuale, oneroso e aleatorio, contraddistinto per ciò che riguarda l’interest rate swap dallo scambio scadenze prefissate dei flussi di cassa prodotti dall’applicazione di diversi parametri ad uno stesso capitale di riferimento (cosiddetto nozionale). La funzione del contratto consiste nella copertura di un rischio mediante un contratto aleatorio, con la finalità di depotenziare le incertezze connesse ai costi dei finanziamenti (…) La società attrice ha allegato la non meritevolezza della causa in concreto deducendo che la violazione delle regole di comportamento prescritte dall’articolo 21 TUF SI è tradotto in una deviazione della causa rispondente alla suddetta atipicità sociale, in quanto lo schema causale è stato adoperato dalla banca per finalità non adesso coerenti. Con riferimento poi i contratti stipulati successivamente al primo, costituente una sorta di ristrutturazione del debito in quanto incorporanti le passività prodotte da quello precedente, ha ridotto la ricorrente che l’operazione, per effetto della pregressa passività e degli ulteriori costi, e della mancanza di copertura del rischio sottostante, non è in grado di realizzare la funzione del IRS. La ricorrente fa in modo pertinente riferimento alla nozione di causa concreta, che risponde al modo in cui ormai la giurisprudenza di legittimità concepisce il requisito causale. Da quando cassazione 8 maggio 2006 n. 10490 ha affermato il principio che causa del contratto è la causa concreta, lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale delle singole specifiche negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato, la causa concreta non solo è penetrata nelle pronunce a sezioni semplici (cassazione 12 novembre 2009 n. 23.941), ma quel che più importa è che si tratta di nozione fatta propria da rilevanti arresti delle sezioni unite (cassazione 11 novembre 2008 n 26.972 sul danno non patrimoniale è 18 febbraio 2010 numero 3947 sulla polizza fideiussoria)”. Quanto ai contratti stipulati successivamente, caratterizzati dal crescente ammontare della passività, il Tribunale di Bari ha affermato che “si tratta di verificare, sul piano della causa concreta, se l’incorporazione nel regolamento della passività pregresse e degli ulteriori costi renda lo schema negoziale ab origine incapace di realizzare la funzione di copertura del rischio, da intendersi connaturato al tipo sociale, stante anche quanto osservato dalla Consob con la comunicazione del 26 febbraio 1999 (secondo tribunale di Monza 31 agosto 2009 la previsione carico del cliente di un tasso fisso in misura crescente, nell’ambito di una sequenza di contratti, preclude il raggiungimento dello scopo della copertura del rischio e determina pertanto la nullità del contratto per difetto di causa)”, concludendosi così per il difetto genetico di causa dei contratti stipulati in sede di ristrutturazione del debito.

10 NICOLO’, voce Alea, in Enc. dir.,I, Milano, s.d. (ma 1958), 1031. Più di recente, DI GIANDOMENICO, Il contratto e l’alea, Padova, 1987, 289, secondo cui il contratto aleatorio “è nullo per mancanza di causa quando viene meno la bilateralità soggettiva dell’alea; è nullo per impossibilità dell’oggetto, quando la mancanza dell’alea è oggettiva”.

11 Così confermandosi la sussidiarietà della parte generale rispetto a quella speciale, a dispetto della sistematica del codice: in questo senso DE NOVA, Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e disciplina dei singoli contratti, in Contratto e impr., 1988, 327 ss.

12 Preso atto della espressa disciplina esclusivamente nella assicurazione, tra i contratti aleatori, dei problemi della mancanza originaria o della cessazione del rischio (artt. 1895 e 1896 cod. civ.), propone una applicazione estensiva, per i medesimi problemi negli altri contratti aleatori, degli artt. 1325, n. 2 e 1418 cod. civ. (quanto alla mancanza originaria del rischio) e dell’art. 1463 cod. civ. (quanto alla cessazione del rischio) BOSELLI (voce Alea, in Noviss. Dig., I, Torino, 1968, 475).

13 In ciò sta un rilevante profilo di interesse applicativo della categoria del contratto aleatorio, talvolta ridotto a mera figura descrittiva.

14 Nel caso deciso con l’ordinanza del Tribunale di Bari, risultava che per una percentuale assai elevata di corrispettivo dell’operazione (il 44,5%, secondo la ricostruzione del perito di parte, che è stata ritenuta sufficiente per una delibazione in sede cautelare) non poteva ricorrere alea contrattuale, trattandosi di perdite già concretamente verificatisi in precedenza, effetto del cosiddetto markto market di precedenti derivati e di costi fissi.

15 Disegno di legge, Atti parlamentari, n. 945, p. 3.

16 Critica e scettica sull’efficacia dell’articolato, la giornalista (Gabanelli, La Finanza (con Inganno) che danneggia i Cittadini – La finanza che danneggia i cittadini e l’assenza di regole per i derivati. E adesso Tremonti presenta un disegno di legge antispeculazione, in Corriere della Sera, 3 settembre 2013, pp. 1/18), cui ha fatto seguito la replica di Tremonti (Ecco la mia proposta sul caso derivati, in Corriere della Sera, 4 settembre 2013, p. 21) e la controreplica della giornalista (Gabanelli, I pericoli occulti legati alla finanza dei derivati. Distinguere e regolare Non è meglio misurare e distinguere la finanza buona e cattiva, e darsi regole?, in Corriere della Sera, 5 settembre 2013, p. 22).

17 Il CDS potrebbe essere concluso direttamente dalla banca, bisognevole di protezione, con un terzo, fornitore di protezione, ma in questo caso la banca sopporterebbe il rischio di controparte rispetto a tale soggetto (si tratta della c.d. versione unfunded dell’operazione); si preferisce allora la versione funded, che nel testo sopra viene descritta, in cui la società SPV investe in titoli “sicuri” (Collateral assets) il capitale ottenuto dagli investitori cui, a valle, colloca le CLN emesse, così garantendo il credito eventuale della banca con tali collateralche entrano nel patrimonio della SPV.

18 Come puntualmente descritto dalla dottrina di settore, con il CDS “il finanziatore (“compratore di protezione” o protection buyer) esposto al rischio di rientro verso il suo debitore (reference entity), corrisponde ad un terzo soggetto (“venditore di protezione” o protection seller) una quota del rendimento del credito erogato. Il “venditore di protezione”, a fronte della quota di interesse retrocessogli dal finanziatore, non corrisponderà alcunché a quest’ultimo. Il suo impegno consisterà nell’ accollarsi tutta o parte dell’eventuale perdita che il finanziatore dovesse registrare in caso di inadempienza del suo debitore”: E. GIRINO, I contratti derivati, 2^ ed., Milano, 2010, 135, mostrando consapevolezza della necessaria titolarità, in capo al protection buyer, dei crediti cui è connesso il preesistente rischio che viene coperto con il CDS.

19 Nel medesimo senso, GIRINO, I contratti derivati, 2^ ed., Milano, 2010, 136: “Per il finanziatore, l’operazione assume una valenza eminentemente assicurativa. Il finanziatore rinuncia ad una quota di profitto trasferendola alla controparte e ricevendo in cambio la garanzia di vedere eliminati, o quantomeno attenuati, i risultati negativi dell’operazione di finanziamento. Un meccanismo in tutto e per tutto coincidente con il binomio premio-indennizzo che sta alla base del modello assicurativo. Per il venditore di protezione, al contrario, si tratta di un investimento di pura speculazione (esattamente come per l’assicuratore l’assunzione onerosa di un rischio di sinistro è fonte di speculazione)”.

20 C. RUCELLAI, Cartolarizzazione sintetica e Credit Dafault Swap, in Giur. comm., 2012, I, p. 373: “…non si vede peraltro, in assenza di una modifica normativa, come la facoltà della società di cartolarizzazione di emettere titoli ad azionabilità limitata possa ritenersi estesa anche a cartolarizzazioni realizzate mediante la cessione di soli rischi di credito, senza i crediti cui tali rischi ineriscono”.

21 E. BARCELLONA, Strumenti finanziari derivati: significato normativo di una <definizione>, in B.B.Tit.cred., 2012, 541 ss.

22 E. BARCELLONA, Strumenti finanziari derivati: significato normativo di una <definizione>, in B.B.Tit.cred., 2012, 560; altra dottrina, nella descrizione del CDS, presuppone condivisibilmente che il rischio di credito debba afferire a debitori che tali già siano per il protection buyer: cfr. GIRINO (I contratti derivati, 2^ ed., Milano, 2010, 135) che segnala, quale connotato ricorrente dell’operazione, la circostanza che “al protection seller viene concessa la facoltà di acquistare l’intero credito dal finanziatore, ad un prezzo predeterminato ovvero predeterminabile, ossia mediante l’applicazione di un criterio di stima che consideri il livello di deprezzamento subito dal credito proprio a seguito dell’accresciuta rischiosità provocata dall’inadempimento”.

23 Con la CLN il capitale sottoscritto nel titolo dall’investitore è esposto al rischio di specifici livelli di perdite in funzione del numero di eventi di credito (default events) verificatisi: il livello di rischio cui espone il titolo è detto anche “spessore” di esso. Esso si colloca tra il cosiddetto attachment point – che definisce il punto in cui le perdite (recte, gli eventi di credito) del portafoglio sottostante (cioè dei crediti icui debitori sono i c.d. reference entities) iniziano ad intaccare il capitale investito nel titolo – e il cd. detachment poin – in cui l’intero capitale investito nel titolo viene perso. Un minore attachment point implica dunque una tranche di CLN più rischiosa rispetto ad un’altra tranche che abbia attachment point più elevato.

24 Per una decisa critica dell’attuale formulazione dell’art. 23.5 TUF e per la centrale rilevanza, per la meritevolezza di tutela degli strumenti finanziari derivati, del “dato oggettivo della giustificazione causale” (vale a dire della strumentalità del derivato a coprire un rischio preesistente), G. GABRIELLI, “Operazioni su derivati: contratti o scommesse?, in Contratto e impresa, 2009, 1135 – 1136.

25 E. BARCELLONA, Strumenti finanziari derivati: significato normativo di una <definizione>, in B.B.Tit.cred., 2012, 560 e 567.

26 Con rifermento al CDS, E. BARCELLONA, Strumenti finanziari derivati: significato normativo di una <definizione>, in B.B.Tit.cred., 2012, 553.

27 E. BARCELLONA, Strumenti finanziari derivati: significato normativo di una <definizione>, in B.B.Tit.cred., 2012, 544 ss.

28 Per la locuzione ed il fenomeno, DE NOVA, Il contratto alieno, Torino, 2008, 47 ss.

29 E. BARCELLONA, Strumenti finanziari derivati: significato normativo di una <definizione>, in B.B.Tit.cred., 2012, 545.

30 La definizione recata dal TUF è in linea con la comune accezione economica della locuzione nella comunità finanziaria: nella pagina Finanza e Mercati del Sole 24 ore, nella legenda della tabella “Credit Default Swap” che riporta il rating di credito di vari soggetti, si legge: “I credit default swap sono contratti con cui un soggetto, a fronte di pagamenti a favore della controparte, si protegge dal rischio di credito associato ad un determinato sottostante”.

31 Cfr. artt. 1905, 1916 cod. civ.

32 Conferma che il riconoscimento di meritevolezza del derivato CDS da parte del legislatore italiano è limitato al CDS non speculativo, ma di copertura (di trasferimento di rischio di credito già preesistente) – con esclusione del CDS naked si ha dalla descrizione che ne dà la Consob, nella pubblicazione “I principali prodotti derivati – Elementi informativi di base”, ed. Ottobre 2012 (p.19); ivi si legge: “I rischi coperti dal CDS sono connessi ad alcuni eventi (c.d. credit event) indicati nel contratto (ad esempio l’insolvenza dell’emittente l’obbligazione, c.d. default), al cui verificarsi si realizzano dei flussi di pagamento fra le parti. Tali flussi, concretamente, possono avvenire secondo due modalità operative: a. il protection seller corrisponde alla controparte il valore nominale (ovvero quello contrattualmente definito) dello strumento finanziario oggetto del CDS, al netto del valore residuo di mercato dello stesso (c.d. recovery value o valore di recupero), e il protection buyer cessa il versamento dei pagamenti periodici (cash settlement); b. il protection seller corrisponde alla controparte il valore nominale (ovvero quello contrattualmente definito) dello strumento finanziario oggetto del CDS e il protection buyer, oltre a cessare il versamento dei pagamenti periodici, consegna il reference asset (physical delivery). Nella prassi, il protection buyer ha la facoltà di scegliere il reference asset da consegnare tra un paniere di attività individuate nell’ambito del contratto e, in tal caso, sfrutterà questa facoltà scegliendo quello per lui più conveniente (c.d. cheapest-to-delivery). La funzione tipica del contratto è quindi la copertura dei rischi associati ad una determinata attività: una funzione molto vicina a quella assicurativa”. Risulta evidente che le due altrenative modalità di regolazione del CDS contemplate dalla Consob presuppongono nel protection buyer la disponibilità dei reference assets che generano il rischio di credito di cui vuole coprirsi: nel cash settlement infatti, il protection buyer ottiene, in caso di credit event,il valore nominale dello strumento finanziario oggetto del CDS meno il valore residuo di mercato dello stesso (c.d. recovery value o valore di recupero) perché, appunto, è titolare del credito e potrà ottenere il recovery value; ed a maggior ragione l’alternativa modalità del physical delivery presuppone la disponibilità dell’asset.

33 Condivisibilmente GIRINO, I contratti derivati, 2^ ed., Milano, 2010, 209 rileva che l’assimilazione dei derivati di credito a quelli finanziari “…ha sostanzialmente legittimato gli operatori finanziari all’emissione e negoziazione di strumenti che poco o nulla hanno a che vedere con la finanza derivata e che, tutto al contrario, introducono nell’ambiente finanziario una componente di operatività di taglio marcatamente assicurativo, disgiunta tuttavia dai presidi patrimoniali e giuridici che di norma assistono e cautelano tale attività. Si è insomma consentito, per tale via, alle imprese bancarie e finanziarie di assumere posizioni di rischio tipiche di un’impresa di assicurazione del credito senza tuttavia esigere – proprio perché non di polizze, bensì di strumenti finanziari si è ritenuto trattarsi – che gli emittenti e i negoziatori dei c.d. derivati creditizi rispettassero determinati requisiti atti ad impedire la crescita incontrollata del rischio insito in tali strumenti”.

34 Il rilievo è anche in GIRINO, I contratti derivati, 2^ ed., Milano, 2010, 211 – 212, che stigmatizza la “incontrollata e artificiale moltiplicazione dello stesso “sottostante”, atteso che, al pari di un derivato finanziario che può essere “infinitamente” stipulato su di una stessa entità fondamentale, anche il derivato creditizio ha goduto della stessa potenzialità creativa. Il risultato è che, ad oggi, il mercato mondiale registra una quantità di nozionali spesso enormemente superiori (a volte anche del doppio o del triplo) al volume dei crediti per la cui copertura il credit derivative sia stato stipulato. In tal modo il rischio di credito non solo non viene neutralizzato, ma viene artificialmente moltiplicato: con che il credit event che colpisca un credito di valore 100 sul quale siano stati stipulati tre derivati produrrà una perdita complessiva al sistema di 300, tanto quanto sia il complessivo valore dei CDS stipulati su una stessa esposizione creditizia ma con controparti diverse”.

35 E. BARCELLONA, Strumenti finanziari derivati: significato normativo di una <definizione>, in B.B.Tit.cred., 2012, 554.

36 Nell’ipotesi di naked CDS si potrebbe probabilmente censurare anche la unilaterale predisposizione del basket di reference entities da parte dell’emittente. Mentre nel caso di CDS con funzione di effettiva copertura di rischio di credito preesistente in capo al protection buyer è fisiologico che questi predisponga unilateralmente il testo del contratto indicando i soggetti propri debitori il cui rischio di controparte intende trasferire sul protection seller, nel caso del naked CDS l’arbitraria unilaterale scelta del basket di reference entities potrebbe costituire, malgrado la successiva conclusione del contratto per adesione, violazione dell’art. 21 TUF. Nell’operazione sopra descritta, infatti, il protection buyer del CDS (la banca, in tesi) organizza la costituzione della SVP, che è propria emanazione, per fare emettere da questa le CLN che poi fa sottoscrivere dagli investitori: la banca agisce dunque quale intermediario nella collocazione delle CLN e dunque la unilaterale predisposizione del basket dovrà comunque rispettare il dettato dell’art. 21 TUF, che impone al soggetto abilitato di agire “con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l’interesse dei clienti”.

37 Si è discusso, all’indomani della riforma societaria del 2003 che ha introdotto il nuovo testo dell’art. 2411 cod. civ., se la debenza giuridica del capitale in restituzione rimanesse connotato centrale della differenza tra investimento obbligazionario e azionario. Ma, anche di fronte alla novellata norma, pare che l’obbligo di restituzione del capitale debba restare il proprium del titolo obbligazionario: il primo comma dell’art. 2411 cod. civ., col consentire che “il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale … può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società”, accresce infatti solo la possibilità di accentuare il rischio economico di non ottenere la restituzione del capitale per incapienza del patrimonio sociale, ma non consente di escludere la debenza giuridica della restituzione. La possibilità di escludere l’obbligo di restituzione del capitale investito viene infatti ricondotta al terzo comma dell’art. 2411 cod. civ., che tuttavia non fa riferimento alle obbligazioni, come il primo comma, ma ad altri “strumenti finanziari, comunque denominati”. Centrale diviene allora il valore semantico del termine “obbligazione” che deve essere riservato ai casi in cui l’obbligo restitutorio del capitale permane in capo all’emittente. Come si è condivisibilmente affermato: “perché nell’articolo 2411, comma 3°, il legislatore della riforma ha riconosciuto espressamente l’ammissibilità di strumenti di debito caratterizzati dall’incertezza (giuridica) anche del rimborso del capitale a causa dell’andamento economico della società, lo stesso legislatore ha assegnato un ruolo centrale alla denominazione del titolo (l’obbligazione), in presenza della quale si può solo prevedere la mancata corresponsione degli interessi, ma deve comunque rimanere fermo l’obbligo del rimborso del capitale…” (SALANITRO, Strumenti di investimento finanziario e sistemi di tutela dei risparmiatori, in B.B.Tit.cred., 2004, 290). Né in contrario può deporre l’art. 51 del Regolamento Consob Emittenti (11971/1999) – che definisce obbligazioni strutturate “1) i titoli obbligazionari il cui rimborso e/o la cui remunerazione dipendono, in tutto o in parte, secondo meccanismi che equivalgono all’assunzione di posizioni in strumenti finanziari derivati, dal valore o dall’andamento del valore di prodotti finanziari, tassi di interesse, valute, merci e relativi indici; 2) i titoli obbligazionari il cui rimborso e/o la cui remunerazione dipendono, in tutto o in parte, dal verificarsi di determinati eventi o condizioni” – perché si tratta di norma secondaria che non può derogare alla norma primaria codicistica. Ed anche di recente, nella dottrina descrittiva delle obbligazioni strutturate, si è detto, riferendosi ai c.d. reverse convertibles, che “ciò che rende difficile ricondurre tali titoli nell’alveo delle obbligazioni è il carattere condizionato del rimborso del capitale” (LA SALA – BRUNO, Dall’obbligazione plainvanilla all’obbligazione strutturata, in Le società, 2009, 702). Il problema centrale, dunque, non è tanto di ammissibilità di siffatti strumenti di investimento, ma quello della correttezza nominalistica dell’emittente (e dell’intermediario) a salvaguardia dell’investitore: cioè il “problema della concordanza tra denominazione e caratteristiche economiche e giuridiche degli strumenti congegnati dall’autonomia negoziale e della legittimità e della comprensibilità delle condizioni di emissione” (SALANITRO, Strumenti di investimento finanziario e sistemi di tutela dei risparmiatori, in B.B.Tit.cred., 2004, 290). E la stessa Consob, in risposta ad un quesito relativo alla redazione del prospetto per titoli c.d. “reverse convertible”, ha affermato, con Comunicazione n. DEM/81249 del 31-10-2000, che “Il titolo non può essere definito come obbligazione, in quanto non garantisce a scadenza la restituzione del capitale investito, ma può essere identificato come un titolo atipico di tipo “reverse convertible”, con liquidazione monetaria”. Da ultimo, nel senso della nullità parziale delle clausole che, per titoli emessi col nomen iuris di “obbligazione”, rechino meccanismi di indicizzazione o parametrali che rendono aleatorio il diritto al rimborso del capitale, DONATIVI, Le obbligazioni nelle società per azioni, in Tratta Rescigno, 2^ ed., v. 16, t. 3, Torino, 2011, 234 ss.

38 A ciò si aggiunga che spesso il merito creditizio è assegnato dalla società di rating sulla base di un c.d. “modello proprietario”, che essa non rende noto e tiene segreto, sicché la soggettività e l’incontrollabilità del dato sono massime.

Trattando delle credit linked notes, emesse in operazioni di cartolarizzazione dei derivati di credito – ove l’emittente offre copertura a “terzi soggetti a loro volta direttamente esposti ad un rischio di inadempimento di ulteriori controparti, coincidenti con le stesse reference entities che si ritroveranno nel paniere di riferimento dell’obbligazione” – E. GIRINO (I contratti derivati, 2^ ed., Milano, 2010, 141 – 142) riconosce l’arbitrarietà delle valutazioni di (variazione di) merito creditizio delle reference entities, che si traducono in credit events: “la decisione è di norma rimessa ad un soggetto giuridicamente distinto (notification agent o calculation agent), ancorché pur sempre appartenente al gruppo dell’emittente stesso e di regole investito di discrezionalità assoluta nello stabilire se un evento di credito abbia avuto luogo… e quindi nel decidere se farlo valere o meno nei confronti dei sottoscrittori finali”.

Vuoi leggere la versione PDF?

WEBINAR / 16 Aprile
Il Regolamento europeo sui bonifici istantanei


Nuovi adempimenti per le banche/PSP

ZOOM MEETING Offerte per iscrizioni entro il 28/03

WEBINAR / 27 marzo
I servizi finanziari conclusi a distanza alla luce della Direttiva (UE) 2023/2673
ZOOM MEETING Offerte per iscrizioni entro il 13/03