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Giurisprudenza

Qualificabile come compravendita ai fini del registro il collegamento negoziale tra mutuo ipotecario e conferimento di immobile

17 Aprile 2018

Matteo Porqueddu, Tremonti Romagnoli Piccardi e Associati

Cassazione Civile, Sez. V, 28 febbraio 2018, n. 4589 – Pres. De Masi, Rel. Delli Priscoli

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in commento in tema di imposta di registro la Suprema Corte di Cassazione, sovvertendo le pronunce dei due precedenti gradi di merito ha statuito che, nel caso di collegamento negoziale tra un mutuo ipotecario acceso da una persona fisica su un immobile successivamente conferito ad una neocostituita società in accomandita semplice con contestuale accollo del suddetto debito, la complessiva operazione economica debba essere riqualificata in compravendita immobiliare. Sul punto i giudici di legittimità hanno affermato che l’art. 20 del D.p.R. n. 131 del 26 Aprile 1986 (“Decreto 131/1986”) deve essere interpretato, in base ai principi di ragionevolezza e di capacità contributiva, commisurando l’imposta complessiva all’ operazione valutata nel suo complesso dal punto di vista civilistico.

In particolare, nel caso di specie il debito accollato risultava essere inferiore, rispetto al valore dell’immobile conferito, di soli 1.000 euro risultando quest’ultimo il valore netto di conferimento (e quindi base imponibile) ai fini dell’applicazione dell’imposta.

La sentenza in analisi, è una della prime, a quanto consta, che prende espressamente posizione sulla recente modifica operata con riferimento all’ambito applicativo dell’art. 20 del Decreto 131/1986 in materia di interpretazione degli atti. In particolare l’art. 1, comma 87, Legge n. 205/2017 (“Legge di Bilancio 2018”) riformulando il citato art. 20 ha chiarito che: “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati”.

In particolare, la modifica di maggiore rilevanza risiede nel fatto che l’imposta di registro diviene applicabile secondo la natura intrinseca e gli effetti giuridici dell’atto presentato (e non più, come in passato, degli atti presentati) alla registrazione, in base ai soli elementi desumibili dall’atto medesimo e a prescindere dagli elementi extra-testuali e dagli atti ad esso collegati.

Tale nuova formulazione, entrata in vigore dal 1 gennaio 2018, è stata dichiarata come non retroattiva dalla Sentenza in oggetto, in quanto secondo i giudici di legittimità tale nuova formulazione della norma avrebbe portata innovativa e modificativa non essendo espressamente indicata nel testo legislativo la decorrenza degli effetti (cfr. negli stessi termini la recente Sentenza Corte di Cassazione n. 2007 del 26 gennaio 2018).

Ne discende che, per quelle operazioni poste in essere prima della suddetta modifica e per cui sia già stato emesso un avviso di accertamento, continuerebbe a valere l’applicazione delle “c.d. regole interpretative” e di conseguenza un’applicazione dell’art. 20 come risultante dalla previgente formulazione, applicabile sulla base del risultato complessivamente perseguito dalle parti (anche in presenza di una serie di atti giuridicamente distinti tra di loro) seppur tale procedimento non trovi alcun riscontro nel dato normativo così come modificato.

Tale interpretazione, ha portato nel caso di specie a qualificare in maniera unitaria la complessiva operazione economica posta in essere dal contribuente equiparandola nei fatti ad una compravendita immobiliare con i successivi obblighi fiscali che ne derivano.

La ricostruzione effettuata dalla Suprema Corte di Cassazione (rectius: natura non interpretativa) lascia più di un dubbio sulla portata del citato art. 20 così come utilizzato per anni dagli organi accertatori, prima della sua recente modifica.

Tale nuova formulazione, infatti, ha di fatto posto un freno alla possibilità da parte degli organi accertatori di utilizzare l’art. 20 invocando la funzione antiabuso di quest’ultimo e permettendo così di travalicare il reale scopo per cui l’articolo in analisi è stato introdotto nel nostro sistema ovvero quello di “interpretazione dei singoli atti”. Ma se dunque quello poc’anzi descritto è stato il fine della modifica normativa, in presenza di una norma antiabuso già operativa da diverso tempo nel nostro ordinamento come l’art. l’art. 10-bis L. 212/2000, rimane più di una perplessità sulla legittimità di tutte quelle riqualificazioni operate in chiave antiabuso utilizzando apoditticamente l’art. 20 del Decreto 131/1986 invece della specifica norma.

  

 

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