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Attualità

Produttori assicurativi. Problemi di qualificazione e ri-qualificazione del rapporto di lavoro.

20 Febbraio 2017

Andrea Giavino

Di cosa si parla in questo articolo

1. Gli intermediari assicurativi nel Codice delle assicurazioni private

La figura degli intermediari assicurativi trova la propria disciplina nel Codice delle assicurazioni private.

Tale disciplina legislativa non ne fornisce una definizione, identificando il ruolo professionale in commento con la relativa attività, consistente «nel presentare o proporre prodotti assicurativi (…) o nel prestare assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto dall’incarico intermediativo, nella conclusione dei contratti ovvero nella collaborazione alla gestione o all’esecuzione, segnatamente in caso di sinistri, dei contratti stipulati»[1].

Proseguendo nell’analisi delle disposizioni del Codice, è ancora più marcata la scelta del legislatore di giungere ad una definizione di intermediario assicurativo in stretta connessione con la tipologia dell’attività espletata, specificando che essa «è riservata agli iscritti nel registro di cui all’articolo 109»[2].

Solo con la verifica dei soggetti «iscritti» è possibile, infatti, giungere ad un inquadramento, seppur in via sommaria, di tale figura professionale. L’art. 109 prevede, infatti, quale condizione per svolgere l’attività di intermediazione, l’obbligo di registrazione rispettivamente per (a) agenti; (b) mediatori e broker; (c) produttori diretti; (d) intermediari bancari e finanziari, SIM e IP; nonché i (e) relativi collaboratori e dipendenti (cfr. infra).

Tuttavia, tale elencazione non pare sufficiente ad identificare ed “incasellare”, nelle diverse sezioni del r.u.i., tutte le ipotesi di intermediazione, né tantomeno a fornire una tipizzazione civilistica della relativi attività.

Infatti, a tale ultimo riguardo, ciò che risulta determinante non è tanto l’inquadramento della professione svolta in concreto da tali soggetti, ma il fatto di operare «in nome o per conto» di una compagnia o «su incarico del cliente» o, ancora, come collaboratore di un altro intermediario.

Di conseguenza, un intermediario iscritto alla sezione a), in quanto operante un’attività in nome o per conto di diverse imprese di assicurazione, potrebbe, da un punto di vista civilistico, non essere qualificato come un agente nell’ipotesi in cui la sua attività di intermediazione fosse circostanziata all’assistenza e alla consulenza assicurativa o all’erogazione di servizi ausiliari alla semplice gestione e/o liquidazione dei sinistri. Si tratta del fenomeno della c.d. “agenzia leggera”, consistente nell’attribuzione da parte di imprese assicurative, nei confronti di un operatore iscritto alla sezione a), di incarichi privi degli elementi tipici che caratterizzano il rapporto di agenzia (in primis, l’obbligo di promozione), con il risultato di configurare l’attività svolta in concreto dall’intermediario nella categoria, della prassi, del procacciamento d’affari.

Allo stesso modo, ma in senso diametralmente opposto, un produttore, iscritto alla sezione d), il cui rapporto è qualificabile generalmente come procacciamento d’affari, in quanto l’attività di intermediazione viene esercitata attraverso la raccolta di proposte e senza aver assunto, nei confronti del preponente, alcun vincolo di stabilità, potrebbe essere incaricato da uno dei soggetti iscritti alle sezioni a), b)e d) del r.u.i. di espletare un’attività stabile di promozione di prodotti assicurativi e di conclusione dei relativi contratti con la clientela, tipica del rapporto di agenzia.

Quest’ultima ipotesi risulta essere tutt’altro che lontana dalla realtà del mercato distributivo e comporta rilevanti conseguenze sul piano giuslavoristico della qualificazione del rapporto, soprattutto in termini di costi per il committente, dal punto di vista contributivo e sanzionatorio.

Tale problematica che scaturisce in effetti dalla genericità della definizione degli operatori iscritti alla sezione e) del r.u.i, identificati come «i dipendenti, i collaboratori, i produttori e gli altri incaricati» , con «l’impressione che l’elencazione risponda a un tentativo (maldestro) di risolvere problemi giuslavoristici, in luogo di identificare la categoria in esame»[3].

2. Il rapporto di agenzia e di procacciamento d’affari

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte «i caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente (art. 1742 c.c.), realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma, con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto del procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa».

Questa fondamentale distinzione comporta che «il rapporto di agenzia e il rapporto di procacciamento di affari non si distinguono solo per il carattere stabile del primo e facoltativo del secondo, ma anche perché il rapporto di procacciamento d’affari è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo ed ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o sporadica raccolta di ordini e non l’attività promozionale stabile di conclusione di contratti»[4].

La giurisprudenza ha avuto anche occasione di specificare i parametri da valutare in concreto per determinare se un rapporto identificato formalmente dalla parti come di procacciamento d’affari debba essere qualificato come di agenzia. Si tratta in particolare e a titolo esemplificativo: (i) dell’esistenza tra le parti di un patto di esclusiva e di concorrenza, nonché dell’assegnazione di una zona operativa specifica[5]; (ii) la previsione di un obbligo di preavviso per il recesso (o di pagamento della relativa indennità sostitutiva in caso di violazione); (iii) la previsione dell’indennità di cessazione del rapporto, prevista dall’art. 1751 c.c. o dagli accordi economici collettivi[6]. Tali elementi, infatti, «presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto»[7].

Ulteriori fonti di valutazione, a favore della configurazione della relazione tra le parti quale rapporto di agenzia, sono costituite: (i) dalla emissione di fatture numerate progressive nei confronti del medesimo committente e in via continuativa nel tempo; (ii) dalla pattuizione di acconti fissi mensili con conguagli a fine anno; (iii) dalla espressa previsione che l’incarico sia riferito a tutti i possibili affari perseguiti dal committente[8].

La sostanziale differenza tra questi due rapporti si riflette anche sulla sussistenza degli obblighi contributivi.

La normativa di riferimento richiede[9], infatti, per gli agenti l’iscrizione[10] all’ente previdenziale competente, ENASARCO. Dall’iscrizione discende, poi, l’obbligo a carico del preponente di versare periodicamente i contributi previdenziali obbligatori[11], con aliquote differenti a seconda che l’agente sia persona fisica/società di persone (e, a sua volta, monomandatario o plurimandatario) o società di capitali.

Tali obblighi non sussistono, invece, in relazione ai procacciatori d’affari, posto che la citata disciplina legislativa prevede l’iscrizione solo nei confronti di «tutti gli agenti ed i rappresentanti di commercio»[12]. Sul punto, è chiara la stessa ENASARCO nell’affermare che non sono tenuti all’iscrizione «tutti coloro che svolgono un’attività di intermediazione che: 1. non ha per oggetto la promozione della conclusione di contratti; 2. è priva dei requisiti di stabilità e continuità propri del contratto di agenzia (artt. 1742-1752, c.c.) (…)»[13].

3. Le conseguenze in caso di riqualificazione del rapporto

La differente disciplina che caratterizza l’agenzia e il procacciamento d’affari, comporta la necessità da parte dei diversi operatori del mercato assicurativo di inquadrare in maniera corretta, da un punto di vista sostanziale, il rapporto di lavoro con i produttori di cui alla sezione e) del r.u.i.

Se, come già chiarito, l’attività tipica di questa figura professionale si concretizza nella raccolta di ordini, scevra da ogni stabile legame con il preponente, ne deriva che il rapporto in cui inquadrare tali soggetti è quello del procacciamento d’affari.

Di fatto, però, trattandosi di professionisti che tendono a surrogare le funzioni di agenti e sub-agenti, molti intermediari assicurativi tendono ad incrementarne compiti e funzioni[14], nonché a limitarne la libertà di azione[15] o ad introdurre vincoli di stabilità nel rapporto[16].

Tali scelte sono spesso dettate dalla volontà di costituire una relazione commerciale che abbia le stesse caratteristiche di un rapporto di agenzia, senza, però, assolvere il relativo obbligo contributivo. Una decisione piuttosto rischiosa se si considera la frequenza e capillarità delle indagini condotte dagli organi ispettivi dell’ENASARCO[17].

Le conseguenze, infatti, possono essere particolarmente onerose nei confronti dei preponenti, sia in caso di attività ispettive, sia in ipotesi di azioni giudiziali promosse dagli stessi procacciatori per ottenere la riqualificazione in un rapporto di agenzia.

Il preponente sarebbe, innanzi tutto, chiamato al versamento dei contributi arretrati, nei limiti, ovviamente, della prescrizione quinquennale[18] e secondo le aliquote vigenti negli anni precedenti; inoltre, in caso di accertamento ispettivo, sarebbe imposto anche il pagamento delle sanzioni amministrative connesse alle ipotesi di omissione od evasione contributiva[19] e quelle, eventuali, previste dal Regolamento delle Attività istituzionali ENASARCO[20].

Un’altra conseguenza consisterebbe nel pagamento, qualora ne sussistano i presupposti, dell’indennità ex art. 1751 c.c.[21], oppure delle diverse indennità previste dall’accordo economico collettivo eventualmente applicabile al rapporto, ove dovute[22].

4. Conclusioni

Le difficoltà di inquadramento legislativo della figura dei produttori, di cui alla sezione e) del r.u.i., comporta certamente gravi incertezze.

Da un lato, infatti, la mancanza di una qualificazione definitoria compiuta ed esaustiva da parte del legislatore può essere utilizzata dagli operatori assicurativi a proprio vantaggio, trasformandola in flessibilità operativa, intrinseca nella categoria professionale in commento, che opera da sempre in una posizione border-line rispetto al rapporto di agenzia.

Dall’altro, tale scelta può risultare nefasta se adottata in misura totalmente avulsa dalla natura del rapporto, trasformando, attraverso l’inclusione di previsioni contrattuali e/o nella gestione operativa della relazione commerciale, il procacciatore d’affari in un vero e proprio agente.

Tale snaturamento del rapporto potrebbe comportare, in caso di ispezioni o di azione giudiziale promossa dal produttore, le gravi conseguenze sopra chiarite.

È compito, quindi, degli operatori ricercare la flessibilità, contemperandola, però, con i limiti strutturali propri della categoria professionale in commento.

 


[1] Art. 106 del Codice delle assicurazioni private.

[2] Art. 108, comma I e II, del Codice delle assicurazioni private. Si tratta del “Registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi”, c.d. “r.u.i.”.

[3] Marano P., “L’intermediazione assicurativa. Mercato concorrenziale e disciplina dell’attività”, p. 46, UTET, 2013.

[4] Cass. 12 febbraio 2016, n. 2828. Nei medesimi termini, cfr. Cass. 2 febbraio 2016, n. 1974, Cass. 1 febbraio 2016, n. 1856; Cass. 28 agosto 2013, n. 19828; Cass. 24 giugno 2005, n. 13629.

[5] Cfr. Cass. n. 1974/2016, cit.

[6] Cfr. Cass. 6 marzo 2014, n. 5293.

[7] Cass. 28 agosto n. 19828/2013, cit.

[8] Cfr. Cass. 23 luglio 2012, n. 12776 e Cass. 11 giugno 2014, n. 13117.

[9] Cfr. art. 5, co. I, della L. 2 febbraio 1973, n. 12.

[10] Ai sensi dell’art. 5, co. IV, della L. 2 febbraio 1973, n. 12, «all’iscrizione degli agenti e dei rappresentanti di commercio presso l’ENASARCO provvede il preponente». Cfr. anche l’art. 3 del Regolamento delle Attività Istituzionali ENASARCO del 2013.

[11] Si vedano l’art. 6, co. I., L. 12/1973, nonché l’art. 4, co. I, del Regolamento delle Attività Istituzionali ENASARCO del 2013.

[12] Cfr. anche art. 1, co. 1, del Regolamento delle Attività istituzionali ENASARCO, secondo cui l’ENASARCO eroga le proprie prestazioni «agli agenti di cui agli articoli 1742 e 1752.c.c.».

[13] ENASARCO – VADEMECUM 2016.

[14] A titolo esemplificativo: preparare, raccogliere ed aggiornare la documentazione contrattuale; prestare assistenza al cliente sia nella stipulazione del contratto che nell’ordinaria gestione del rapporto assicurativo; ritirare le denunce dei sinistri e i preventivi di spesa dai clienti; attività di incasso.

[15] Introducendo, ad esempio, un’area territoriale di operatività e/o un patto di non concorrenza.

[16] Si pensi al patto di esclusiva.

[17] Si leggano le osservazioni di Giorgio Valente riportate sul sito ENASARCO (cfr. www.enasarco.it).

[18] Con riferimento al momento interruttivo della prescrizione, cfr. Cass. n. 1974/2016.

[19] Art. 116, co VIII, L. 23 dicembre 2000, n. 388 e artt. 34 e 36 del Regolamento delle Attività istituzionali ENASARCO. Con riferimento alla distinzione tra omissione ed evasione contributiva, v. anche Cass. 11 giugno2014, n. 13117.

[20] Artt. 39-43.

[21] Detratto quanto dovuto a titolo di indennità di risoluzione del rapporto (“FIRR”), prevista come obbligatoria dagli accordi economici collettivi e non cumulabile con l’indennità ex art.1751 c.c.

[22] Indennità meritocratica e indennità suppletiva di clientela.

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