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OECD/G20: l’accordo politico per un nuovo “ordine fiscale globale”

20 Luglio 2021

Il 9 e 10 luglio scorsi i Ministri delle finanze del G20, sotto la presidenza italiana, hanno raggiunto un accordo che dovrebbe portare a un nuovo “ordine fiscale globale”. L’accordo avalla le proposte formulate dall’OCSE all’esito di un progetto che ha coinvolto 132 giurisdizioni, inclusi i Paesi in via di sviluppo.

L’obiettivo è duplice: recuperare a tassazione i redditi delle imprese multinazionali che, in base alle regole attuali, sono tassati poco o nulla negli Stati di produzione e altrettanto in quelli di residenza (finché non sono rimpatriati); contrastare la “corsa al ribasso” degli Stati nella tassazione dei redditi societari, determinata dalla “globalizzazione senza regolazione” (cioè, senza un coordinamento efficace tra le legislazioni dei vari Paesi).

La “soluzione globale” consta di due “pilastri”:

  • Il primo pilastro prevede l’attribuzione – agli Stati dove sono effettuate le vendite (market jurisdictions) – di una quota degli extra-profitti conseguiti dai gruppi societari con oltre 20 miliardi di euro di fatturato globale e utili superiori al 10 per cento. Sarebbero esclusi i settori estrattivo, i cui profitti sono necessariamente legati al territorio, e finanziario, che non possono razionalmente collegarsi a una sola giurisdizione. Questa misura consentirebbe alle market jurisdictions di recuperare a tassazione redditi altrimenti non imponibili, senza una presenza fisica delle imprese sul territorio (stabile organizzazione).
  • Il secondo pilastro prevede, a completamento del primo, l’imposizione per trasparenza, presso la controllante, dei redditi prodotti dalle società controllate in giurisdizioni a bassa fiscalità. L’aliquota proposta, il 15 per cento, è definita “minima” perché dovrebbe assicurare che tutti i redditi, ovunque prodotti, scontino almeno quell’imposizione. Anche questa misura dovrebbe riguardare i gruppi multinazionali di maggiori dimensioni, ad esclusione delle imprese marittime, e dovrebbe limitare la competizione fiscale tra Stati, che rimarrebbe aperta sul versante dei regimi speciali.

Restano da concordare diversi punti – es., aliquota minima e quota di profitti da ripartire – che confluiranno in un trattato multilaterale, da sottoporre alla firma degli Stati dal 2022.

Tra i problemi principali, vi è il rapporto con le imposte sui ricavi da servizi digitali, che molti Paesi – incluso il nostro – hanno introdotto in attesa della “soluzione globale” e che potrebbero essere eliminate onde evitare doppie imposizioni. L’Unione Europea vorrebbe mantenerle, ma il confronto con gli Usa, che le ritengono discriminatorie nei riguardi delle imprese americane, è aperto.

L’accordo, per ora solo politico, prepara una svolta epocale nel coordinamento fiscale internazionale e riflette l’urgenza, comune a tutti gli Stati, di nuove risorse per finanziare i piani pandemici. Potrebbe in quest’ottica essere decisivo sia per il Recovery Plan europeo, che per la nostra imminente riforma tributaria. (D.C.)

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