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Giurisprudenza

Obblighi informativi in caso di prodotti finanziari caratterizzati dal c.d. «effetto leva»

1 Settembre 2016

Altea Rossi

Cassazione Civile, Sez. I, 31 agosto 2016, n. 17440

Di cosa si parla in questo articolo

La recentissima pronuncia della prima sezione civile della Cassazione (Cass., 31 agosto 2016, n. 17440/2016) torna a soffermarsi su temi noti quanto centrali in materia di protezione del cliente in operazioni finanziarie. Trattasi degli obblighi gravanti sugli intermediari circa l’adeguata informazione della clientela in merito all’operazione posta in essere (sia in fase di stipulazione che di esecuzione), nonché il dovere di offrire esclusivamente prodotti adeguati allo specifico cliente[1]. Con la conseguente responsabilità in caso di violazione degli stessi. Le questioni affiorano, in particolare, quando si tratta di prodotti finanziari altamente rischiosi (disposti con finalità diverse da quelle di copertura) assegnati a clienti che non vestono i panni di investitori qualificati, come nel caso che qui interessa.

La tipologia di prodotto oggetto del rapporto negoziale – nonché esso stesso «contratto» – rientra, infatti, nella categoria dei derivati di tipo «futures» e «options», caratterizzati dal c.d. «effetto leva»: quest’ultimo, permettendo di muoversi sul mercato per un ammontare superiore al capitale posseduto, consente di riflesso di moltiplicare i rendimenti. Meccanismo, questo, funzionante – in senso inverso è ovvio – pure in caso di esito negativo dell’investimento.

La Corte, richiamandosi a quanto già avuto modo di statuire sul tema (Cass., 17 febbraio 2009, n. 3773 in cui si richiama nella specie la sentenza n. 17340 del 25 giugno 2008), cassa la sentenza d’appello nella parte in cui prospetta l’adempimento da parte della Banca convenuta degli obblighi in discorso.

Nella specie, la Corte ribadisce come la totale inaffidabilità dell’operazione unita all’alta rischiosità del titolo sia circostanza capace di rendere di significato e contenuto più pregnante l’obbligo informativo. Non di certo l’opposto, come asserito invece dalla sentenza dell’Appello di Torino, cassata dalla Suprema Corte. La stessa prosegue sottolineando che, affinché la motivazione del provvedimento possa dirsi esaustiva nel valutare la responsabilità dell’intermediario, va tenuta in debito conto la totale assenza di informazione circa la rischiosità stessa dell’operazione in ragione dell’effetto leva di cui si connota. Resta, infatti, del tutto insoddisfacente «il generico riferimento alla possibilità di notevoli variazioni del valore di mercato» e al «rischio di perdite … non quantificabili». Allo stesso modo – continua la Corte – in sede di esecuzione del rapporto, l’obbligo di rendere edotto il cliente delle perdite maturate non può dirsi assolto con il mero invio della documentazione contabile inerente l’operazione. Da ultimo, in punto di valutazione dell’adeguatezza, la pronuncia in discorso evidenzia come la motivazione non possa certamente trascurare rilevanti elementi della fattispecie concreta, quali l’elevato numero di operazioni poste in essere giornalmente (52), nonché le peculiari modalità operative (per fare l’esempio: operazioni compiute in scoperto di conto corrente).

 


[1] In particolare viene in rilievo la normativa che recepisce la direttiva sugli investimenti in valori mobiliari (d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415), nonché il regolamento Consob vigente in materia (Reg. Consob  n. 10943 del 1997). In merito all’adeguatezza si veda, nella specie, il d. lgs. n. 58 del 1998 (T.U.F.), art. 21; la legge n. 1 del 1991 all’art. 6, lett. (d, (e, (f, (g, (h, nonché la normativa emessa dalla Consob che specifica le precedenti.  Senza dimenticare che tali norme costituiscono «solo» estrinsecazione della clausola generale di diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente.

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