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Il nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti e la convenzione di moratoria con intermediari finanziari (Art. 182 septies L.F.)

24 Febbraio 2016

Avv. Ugo Calò, partner, Dott.ssa Greta Pede, DLA Piper

Di cosa si parla in questo articolo

1. Il nuovo art. 182 septies L.F. introdotto dal D.L. 83/2015

Nell’ambito delle soluzioni negoziali giudizialmente assistite della crisi d’impresa, il D.L. 27 giugno 2015, n. 83 come convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132, (di seguito, per brevità indicato come D.L. 83/2015) ha introdotto una serie di importanti novità idonee a rendere gli strumenti volti alla gestione e cura dell’insolvenza più efficienti. In particolare, l’art. 9 del D.L. 83/2015 rubricato “Crisi d’impresa con prevalente indebitamento verso intermediari finanziari” ha disposto l’introduzione dell’art. 182 septies L.F.. Tale norma si configura, quanto meno per quanto riguarda i commi dal primo al quarto, come un’integrazione della disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis L.F; viene infatti introdotto l’istituto dell’accordo di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari, mentre i commi quinto e sesto dell’art. 182 septies L.F. disciplinano il nuovo istituto della convenzione di moratoria con banche e intermediari finanziari.

Con specifico riferimento a tale norma, la principale novità deriva dall’aver immesso nel sistema dei mezzi di composizione stragiudiziale (o quasi) dell’insolvenza strumenti che riguardano esclusivamente le imprese che abbiano contratto debiti verso banche e/o intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo. Rispetto a tale classe di creditori, la disciplina dettata dall’art. 182 bis L.F. è integrata da quanto previsto ai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 182 septies L.F., fermi restando i diritti dei creditori diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari. Un’analisi delle novità introdotte, tale da consentire di comprenderne le implicazioni teoriche e pratiche, non può perciò prescindere da una breve ricognizione della disciplina in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti.

2. La disciplina dell’accordo di ristrutturazione dei debiti in breve

L’istituto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti disciplinato dall’art. 182 bis L.F. esprime il favor del legislatore per la regolazione della crisi d’impresa mediante accordi di natura stragiudiziale, i cui atti esecutivi vengono esclusi da revocatoria ai sensi dell’art. 67, comma terzo, lett. e), L.F.. L’accordo di ristrutturazione dei debiti, infatti, è un contratto liberamente concluso tra debitore e taluni creditori, finalizzato alla rimozione dello stato di crisi dell’impresa anche se non è escluso che lo stesso possa avere anche contenuto liquidatorio. Perché gli atti esecutivi della volontà negoziale delle parti cristallizzata nell’accordo possano beneficiare dell’esenzione da revocatoria è poi necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria.

L’elemento cardine dell’istituto in oggetto e che ne determina la principale differenza rispetto a quello del concordato preventivo, consiste nella tutela garantita ai creditori che abbiano scelto di non aderire all’accordo e, pertanto, definiti “estranei”. Si definisce accordo di ristrutturazione dei debiti, infatti, quello tra l’imprenditore in stato di crisi e i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti e avente un contenuto tale da garantire che il debitore sia poi in grado di pagare i creditori estranei nei modi e nel rispetto dei tempi stabiliti dalla legge. Dunque, in conformità al principio di relatività di cui è espressione l’art. 1372 c.c. l’accordo produce effetti solo tra le parti, sebbene, a ben vedere, la legge ne faccia derivare effetti, non sul quantum, ma sui termini di rimborso, anche extra partes. Al primo comma, infatti, l’art. 182 bis L.F. stabilisce che l’integrale pagamento dei creditori estranei avvenga: entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data ed entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti a quella data, imponendo quindi una sorta di moratoria legale di quattro mesi decorrenti dalla data di omologazione o dalla data di scadenza a seconda del caso.

Il debitore dovrà poi depositare l’accordo corredato da una relazione redatta da un esperto dotato dei i requisiti previsti dall’art. 67, comma terzo, lett. d), L.F. sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento all’idoneità dello stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori non aderenti all’accordo, nonché dai documenti indicati nell’art. 161 L.F., al fine di ottenerne l’omologazione. A partire dalla data di pubblicazione presso il competente registro delle imprese, e per sessanta giorni, è fatto divieto ai creditori aventi titolo e causa anteriore alla data di pubblicazione, di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore e di acquistare titoli di prelazione se non concordati (automatic stay). A decorrere dalla medesima data e comunque entro trenta giorni i creditori e ogni altro soggetto interessato potranno proporre opposizione. Il tribunale decide sulle opposizioni e, se del caso, omologa l’accordo con decreto assunto in camera di consiglio.

3. L’accordo di ristrutturazione dei debiti con intermediari finanziari

Requisito essenziale per l’applicazione dell’art. 182 septies L.F. è che l’indebitamento verso banche e intermediari finanziari rappresenti almeno il 50% dell’indebitamento complessivo dell’impresa.

Qualora tale condizione risulti soddisfatta e qualora l’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis L.F. individui una o più categorie di creditori bancari o intermediari finanziari, il debitore sarà legittimato a chiedere, con ricorso disciplinato dal primo comma dell’art. 182 bis L.F., che gli effetti dell’accordo stesso siano estesi anche ai creditori appartenenti alla medesima categoria che non vi abbiano spontaneamente aderito. Per effetto di tale disposizione, quindi, l’accordo di ristrutturazione dei debiti cessa di produrre effetti solo tra i soggetti aderenti e ciò in forza di deroga espressa all’art. 1372 c.c., ai sensi del quale il contratto produce i suoi effetti inter partes, nonché all’art. 1411 c.c. ai sensi del quale è valida la stipulazione di un contratto a favore di terzo nella misura in cui questi vi abbia interesse e il terzo abbia accettato di profittarne. Tuttavia tale deroga è efficace solo nella misura in cui risultino avverate determinate ulteriori condizioni, chiaramente finalizzate alla tutela del creditore non aderente che, in quanto tale, avrebbe invece avuto diritto al rimborso per intero seppur secondo i termini fissati ex lege.

Perché la predetta deroga sia efficace è in primo luogo necessario che tutti i creditori riconducibili alla medesima categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede. Si intende così salvaguardare i creditori che non abbiano aderito all’accordo non perché contrari ai termini pattuiti ma in quanto non abbiano, per fatto agli stessi non imputabile, partecipato alle trattative venendo così privati della possibilità di contribuire alla definizione dell’accordo medesimo, al quale avrebbero potuto anche, eventualmente, aderire. Restano però poco chiare le modalità di assolvimento del suddetto onere informativo a causa della formulazione generica della norma. Altresì dubbio deve considerarsi il richiamo alla buona fede, non risultando chiaro se lo stesso debba essere riferito al creditore ovvero al debitore – come si ritiene più ovvio che sia – e in cosa si sostanzi, in tale contesto, un comportamento di buona fede.

In secondo luogo, perché il debitore possa chiedere l’estensione degli effetti dell’accordo ultra partes, è necessario che un numero di creditori che rappresentino almeno il 75% dei crediti della categoria abbiano accettato i termini e le condizioni dell’accordo aderendovi. In presenza di tale maggioranza qualificata, il debitore potrà richiedere di beneficiare degli effetti dell’accordo anche nei confronti dei creditori non spontaneamente aderenti in luogo della concessione della moratoria quadrimestrale di cui al primo comma dell’art. 182 bis L.F..

Il testo originale dell’art. 182 septies L.F. come proposto prima della conversione in legge del D.L. 83/2015, disponeva, al secondo comma, che “i creditori ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo sono considerati aderenti all’accordo ai fini del raggiungimento della soglia del sessanta per cento di cui al primo comma dell’art. 182 bis” e cioè della soglia necessaria ai fini dell’omologazione e quindi del trattamento privilegiato (esenzione da revocatoria) degli atti che ne costituiscono esecuzione. Tale disposizione è stata poi rimossa a fronte di forti dubbi di legittimità costituzionale che hanno rivelato l’inopportunità di dotare il debitore, da un lato, ed i creditori banche o intermediari finanziari interessati all’accordo, dall’altro, di quello che sarebbe stato un potente strumento accelerazione del processo negoziale. Infatti, se, da un lato, estendere gli effetti di un accordo a soggetti non aderenti che rappresentino la minoranza di una specifica categoria di creditori significa sminuire di fatto la natura negoziale dell’accordo di ristrutturazione, dall’altro convertire il dissenso di taluni creditori in consenso ai fini del conseguimento della percentuale minima di adesione necessaria per ottenere l’omologazione, comporta un’ingerenza consistente nell’autonomia contrattuale. Senza contare che una norma siffatta avrebbe tra l’altro determinato una sostanziale disparità di trattamento non solo tra le diverse categorie di creditori, ma anche tra debitori, favorendo l’accesso all’istituto dell’accordo di ristrutturazione da parte degli imprenditori che abbiano un’esposizione debitoria sostanzialmente bancaria.

Il tribunale dovrà inoltre verificare che gli interessi economici e la posizione giuridica delle banche e degli intermediari non aderenti siano omogenei rispetto a quelli dei creditori consenzienti. La norma risulta lacunosa nella parte in cui non introduce univoci criteri per l’individuazione dei requisiti di omogeneità, limitandosi a precisare che non si deve tenere conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese; si ritiene, pertanto, che debba farsi riferimento al dibattito sviluppatosi in merito alla suddivisione in classi dei creditori nell’ambito di un concordato preventivo.

I creditori non aderenti avranno poi la facoltà di proporre opposizione avverso il ricorso con il quale il debitore abbia richiesto di estendere gli effetti dell’accordo che dovrà essere accompagnato da una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) attestante la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo medesimo.

Infine, il tribunale è chiamato a verificare che i creditori non aderenti possano ottenere ai sensi dell’accordo non meno di quanto avrebbero ottenuto in sede di attuazione di alternative concretamente praticabili. La norma riproduce quanto previsto dall’art. 180, comma quarto, L.F. che con riferimento al concordato preventivo per classi, prevede che qualora sia stata proposta opposizione da parte di un creditore appartenente ad una classe dissenziente, il tribunale possa omologare il concordato solo qualora ritenga che il credito in questione risulti soddisfatto in sede concordataria in misura non inferiore “rispetto alle alternative concretamente praticabili”. Si tratta della medesima valutazione richiesta anche ai sensi dell’art. 129, comma quinto, L.F. in relazione al concordato fallimentare in sede di opposizione. L’art. 182 septies L.F. introduce quindi un’ipotesi ulteriore in cui il tribunale viene investito del potere di svolgere un sindacato di merito e dunque una valutazione sulla convenienza economica dell’accordo per il creditore opponente. Mentre tale valutazione è solo eventuale nel contesto di un concordato preventivo o fallimentare, in quanto subordinata all’opposizione di un creditore appartenente a una classe dissenziente, la stessa è invece necessaria ogniqualvolta l’accordo rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 182 septies L.F.. Dunque, qualora, avendo provveduto a tutte le necessarie verifiche ai sensi dell’art. 182 septies L.F., il tribunale si pronunci positivamente sull’omologazione, l’accordo dovrà considerarsi efficace inter partes, con riferimento alle esposizioni debitorie nei confronti di soggetti che non sono banche o intermediari finanziari, e anche ultra partes, limitatamente a questi ultimi.

4. La convenzione di moratoria con intermediari finanziari

I commi quinto e sesto dell’art. 182 septies L.F. disciplinano un nuovo istituto anch’esso applicabile solo in relazione all’esposizione debitoria con banche o intermediari finanziari. Il legislatore ha conferito veste normativa a quanto comunemente già avviene nella prassi. E’ infatti ricorrente la fattispecie in cui l’impresa priva di liquidità sufficiente ma che abbia risultati economici positivi concordi con i propri creditori una dilazione dei pagamenti dei crediti, stipulando un accordo di moratoria. Seppur limitatamente ai casi in cui l’accordo riguardi l’imprenditore da un lato, e le banche e/o gli intermediari finanziari dall’altro, tale prassi contrattuale trova per la prima volta nell’art. 182 septies L.F. una disciplina espressa.

Anche rispetto a questa fattispecie la norma deroga ai principi espressi dagli artt. 1372 e 1411 c.c. prevedendo che la convenzione di moratoria stipulata con la stessa maggioranza qualificata dei creditori che sono banche e/o intermediari finanziari richiesta in relazione all’accordo di ristrutturazione (i.e. 75%), produce effetti anche nei confronti delle banche e degli intermediari che non vi abbiano aderito. Anche tale estensione di efficacia è legittima nella misura in cui i creditori non aderenti in questione siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi nelle condizioni di parteciparvi in buona fede. La convenzione di moratoria abbia una collocazione extraprocessuale che la rende più vicina all’istituto del piano di risanamento di cui all’art. 67, comma terzo, lett. d), L.F.; infatti, come per tale istituto, anche in materia di convenzione di moratoria, al fine di ottenere il privilegio dell’esenzione da revocatoria, il legislatore richiede l’intervento di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma terzo, lettera d) ed esclude l’intervento dell’autorità giudiziaria ai fini dell’omologazione. Il suddetto professionista, ai sensi dell’art. 182 septies, comma quinto, L.F., dovrà svolgere uno dei compiti che con riferimento all’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari è invece assegnato al giudice competente per l’omologazione, e cioè verificare “l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria”. L’intervento dell’autorità giudiziaria non è però del tutto esclusa, ma dipende dall’iniziativa dei creditori non aderenti; questi, infatti, potranno proporre opposizione avverso la convenzione chiedendo che la stessa non produca effetti nei loro confronti.

La norma risulta al quanto laconica nel disciplinare la fase processuale avviata da parte del creditore non aderente. Non è infatti desumibile dalla lettera della norma quale sia il rito applicabile all’opposizione mentre viene individuato l’atto con il quale il tribunale competente dovrà decidere sull’opposizione (decreto reclamabile dinanzi alla corte d’appello competente entro quindici giorni dalla comunicazione, in conformità a quanto previsto dall’art. 183 L.F.).

5. Conclusioni

L’analisi del nuovo art. 182 septies L.F. evidenzia la prevalenza ex lege delle esigenze dell’impresa in crisi su quelle dei terzi creditori (in particolare banche e intermediari finanziari). In presenza di tutti i requisiti sopra descritti deve considerarsi legittimo imporre, su richiesta del debitore, l’altrui volontà negoziale espressa all’interno di un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F. o di una convenzione di moratoria, al ceto creditorio rappresentato da banche e/o da intermediari finanziari che abbiano scelto di non aderire a dette pattuizioni.

Di certo la norma avrebbe avuto un impatto ben più forte se, in sede di conversione del decreto, con specifico riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, non fosse stata eliminata la previsione per cui l’estensione ultra partes degli effetti del contratto avrebbe contribuito al conseguimento della soglia del 60% dei crediti dell’impresa, necessario per sottoporre l’accordo al giudizio di omologazione del tribunale ai sensi dell’art. 182 bis L.F.. Una simile disposizione avrebbe accelerato notevolmente il processo negoziale agevolando l’accesso del debitore in crisi a tale strumento di composizione stragiudiziale dell’insolvenza. Tuttavia, se la legge può derogare a se stessa introducendo eccezioni al principio civilistico di relatività, di certo non derogabile è il principio costituzionale di uguaglianza applicabile anche ai rapporti tra creditori che, come sopra osservato, sarebbero stati vittime di una consistente disparità di trattamento.

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