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Giurisprudenza

Nelle società di persone l’azzeramento del capitale sociale per perdite non comporta l’obbligo di ricostituzione o di messa in liquidazione della società

17 Maggio 2017

Brando M. Cremona, Trainee presso Linklaters LLP

Cassazione Civile, Sez. I, 3 gennaio 2017, n. 23

La Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, con la sentenza n. 23 del 3 gennaio 2017, ha stabilito la non sussistenza, in caso di azzeramento del capitale sociale per perdite, dell’obbligo in capo ai soci di una società di presone di ricostituire lo stesso o di liquidare la società. In particolare, sarebbe così possibile “riportare a nuovo” le perdite registrate negli esercizi precedenti, fermo restando che in questo caso il calcolo degli utili potenzialmente ripartibili tra soci deve essere operato sul patrimonio effettivo della società, da calcolarsi a seguito del ripianamento integrale delle perdite subite.

In particolare, nel caso di specie due soci accomandanti di una società in accomandita semplice avevano agito nei confronti dei soci accomandatari, poiché a seguito della decisione di questi ultimi di riportare a nuovo le perdite del precedente esercizio sociale si era determinata una riduzione dell’ammontare di utili ad essi spettante.

Nello specifico, le perdite riportate a nuovo che avevano altresì determinato un azzeramento del capitale sociale sarebbero state ripianate nel bilancio dell’esercizio successivo imputandovi una porzione di utili corrispondente al relativo importo; gli utili rimanenti sarebbero stati poi destinati per metà a fondi di riserva e per metà alla distribuzione.

Tale operazione avrebbe tuttavia determinato, secondo le argomentazioni delle parti ricorrenti, la destinazione a ripianamento delle perdite di una parte di utili spettante ai soci accomandanti superiore rispetto a quello che era l’importo di capitale dagli stessi conferito. Questa circostanza sarebbe così risultata in violazione della norma codicistica (art. 2313 c.c.) che stabilisce come i soci accomandanti partecipino alle perdite solo per un importo massimo pari alla quota di capitale conferito.

Se in primo grado il Tribunale aveva respinto la domanda delle parti attrici, la Corte d’Appello di Napoli, adita in secondo grado, respinge l’impostazione del giudice di prime cure, sulla base del principio che la società avrebbe dovuto, nel ripianare le perdite riportate a nuovo con gli utili dell’esercizio successivo, distinguere le quote di spettanza degli accomandatari da quelle relative agli accomandanti (in relazione alle quali sarebbe stato possibile imputare solo una parte di perdite pari al conferimento effettuato).

La Suprema Corte sconfessa tuttavia l’impostazione dei giudici di secondo grado, ribadendo la possibilità nelle società di persone di poter riportare a nuovo le perdite registrate anche qualora si registri il totale azzeramento del capitale sociale.

Tale circostanza distinguerebbe inoltre le società di persone dalle società di capitali: non sarebbero infatti necessarie la ricostituzione obbligatoria del capitale sociale o la messa in liquidazione della società a causa del venir meno della principale garanzia per i creditori, posto che nelle società di persone la garanzia rappresentata dal capitale sociale è sostituita dall’istituto della responsabilità illimitata dei soci.

Alla luce di quanto precede, la Corte di Cassazione argomenta inoltre come ai sensi dell’art. 2303 c.c. (dettato in materia di distribuzione degli utili), il calcolo degli utili ripartibili deve necessariamente essere effettuato sulla base del patrimonio effettivo della società. Nel caso di specie, tale patrimonio effettivo sarebbe dato dalla porzione di utili rimanente a seguito dell’integrale ripianamento della perdita subita nell’esercizio precedente e correttamente riportata a nuovo.

Di conseguenza, non troverebbe così applicazione al caso di specie il disposto dell’art. 2313, comma 1, c.c., che appunto limiterebbe la potenziale responsabilità dei soci accomandanti alla quota conferita. Non potrebbe infatti riconoscersi l’operatività di tale norma, posto che nessun esborso aggiuntivo, rispetto a quello già effettuato in sede di conferimento della quota, sarebbe stato in alcun caso richiesto agli accomandanti.

Ne consegue così l’accoglimento del ricorso promosso dai soci accomandatari, con conseguente cassazione della sentenza di secondo grado impugnata.

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