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Giurisprudenza

Limiti all’utilizzabilità delle criptovalute in sede di aumento di capitale

29 Agosto 2018

Biagio Campagna

Tribunale di Brescia, 25 luglio 2018, n. 7556

Sommario: 1. I fatti di causa e i motivi della decisione – 2. Un necessario distinguo tra criptovalute e monete elettroniche. – 3.I principi cardine della disciplina dei conferimenti. – 4. L’importanza della perizia nel conferimento delle criptovalute. – 5. Riflessioni.

 

Massima

Non è conferibile in una società di capitali una criptovaluta in fase embrionale, in quanto non ancora oggetto di negoziazioni in alcuna piattaforma di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete aventi corso legale, circostanza ritenuta fondamentale al fine di individuare un attendibile valore della stessa.

1. I fatti di causa e i motivi della decisione

Con il decreto di rigetto n. 7556/2018 del 18 luglio 2018 il Tribunale di Brescia, Sez. Specializzata in materia di Impresa – (RG 2602/2018) – ha respinto il ricorso presentato ai sensi dell’art. 2436.3 c.c. dall’Amministratore Unico di una società di capitali (per la precisione in una società a responsabilità limitata) che si era vista rifiutare l’iscrizione al Registro Imprese di una delibera assembleare da parte del notaio verbalizzante. La delibera, più precisamente, aveva ad oggetto un aumento di capitale sociale a pagamento per complessivi euro 1.400.00,00, da liberarsi con beni in natura, e più precisamente con opere d’arte e diverse unità di una particolare criptovaluta. Entrambi gli insiemi di beni erano stati oggetto di debita perizia, come prescritto dall’art. 2465 c.c. Nel motivare il proprio diniego, il notaio aveva evidenziato come le criptovalute, stante la loro volatilità, non consentono una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto, né di valutare l’effettività del conferimento.Contro tale censura faceva ricorso la società, la quale appunto allegava la sussistenza dei requisiti in questione, e più precisamente: i) il requisito dell’acquisibilità uno actu alla società sussisteva in quanto erano state immediatamente messe a disposizione della società le credenziali (transaction password)[1] da parte del socio conferente, di talchè il passaggio della titolarità della criptovaluta in questione sarebbe potuto avvenire in forza di una banale attività della società conferitaria, senza alcuna ulteriore necessaria attività collaborativa del conferente; ii) la valutazione attuale precisa ed attendibile in termini monetari della criptovaluta risultava dalla perizia di stima che era stata debitamente prodotta ed allegata – del resto, a mente di parte ricorrente, la moneta virtuale in oggetto risultava essere scambiata con discreta diffusione su mercati non regolamentati, ed in particolare su una precisa piattaforma raggiungibile da un preciso indirizzo internet, e che la stessa era soggetta alla valutazione da parte di operatori specializzati; iii) l’iscrivibilità in bilancio era certa, potendo essere trattata come qualsiasi altro bene immateriale, al pari ad esempio dei diritti di proprietà industriale. Nell’affrontare il ricorso, il Tribunale ha tenuto anzitutto a precisare come la propria valutazione non abbia ad oggetto l’idoneità generale della criptovalute a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una S.r.l[2]., bensì se la natura e le caratteristiche in concreto della criptovaluta oggetto di conferimento siano ritenere soddisfatto il requisito relativo alla valutazione economica di cui all’articolo 2464[3] comma 2 cc.In tal senso, il Tribunale ha rilevato come costituiscono requisiti fondamentali di qualunque bene oggetto di conferimento: l’idoneità ad essere oggetto di valutazione; l’esistenza di un mercato del bene; l’idoneità ad essere oggetto di forme di esecuzione forzata.Sulla base di tali presupposti, il Tribunale ha ritenuto che la criptovaluta considerata non presentasse i requisiti minimi per poter essere assimilata ad un bene suscettibile in concreto di una valutazione economica attendibile, posto che l’unico mercato nel quale concretamente opera è costituito da una piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi riconducibili ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta, nel cui ambito funge da mezzo di pagamento accettato.Ne deriva, dunque, un carattere prima facie autoreferenziale dell’elemento attivo conferito, incompatibile con il livello di diffusione e pubblicità di cui deve essere dotata una moneta virtuale che stia a detenere una presenza effettiva sul mercato.

2. Un necessario distinguo tra criptovalute e monete elettroniche

Vi sono tre tipi di schemi di criptovalute: a schema chiuso, con flusso unidirezionale, con flusso bidirezionale. Va precisato che i modelli di moneta virtuale non vanno confusi con la moneta elettronica, disciplinata a livello comunitario dalla Direttiva 2009/110/CE[4] del Parlamento Europeo e del Consiglio legiferata il 16 settembre 2009 e concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le Direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la Direttiva 2000/46/CE. Il legislatore europeo ha sentito l’esigenza di giungere ad una definizione precisa di moneta elettronica, che avesse valenza sia se detenuta su un dispositivo di pagamento in possesso del detentore di moneta elettronica, sia se memorizzata a distanza su un server e gestita dal detentore tramite un conto specifico per la moneta elettronica. Il problema di ogni definizione è il momento in cui viene formulata, mentre l’avanzamento tecnologico incombe veloce. Infatti, la definizione concordata è stata ideata come generale e tale da non ostacolare l’innovazione tecnologica e da includere non soltanto tutti i prodotti di moneta elettronica disponibili oggi sul mercato, ma anche i prodotti che potrebbero essere sviluppati in futuro. Infatti, la definizione di «moneta elettronica» promulgata è stata correlata al «valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento ai sensi dell’articolo 4, punto 5), della Direttiva 2007/64/CE e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall’emittente di moneta elettronica».

3. I principi cardine della disciplina dei conferimenti

La vicenda in esame ruota intorno ad una serie di principi cardine della disciplina dei conferimenti. Primi fra tutti: il principio dell’effettivo valore economico del conferimento e quello dell’effettiva acquisizione dello stesso; principi il cui postulato è costituito dalla c.d. “funzione “storica” primaria del capitale sociale, in chiave di garanzia nei confronti dei creditori”. Quanto all’effettivo valore economico del conferimento, occorre evidenziare come l’orientamento restrittivo adottato dal Collegio garantisca innanzitutto ai creditori sociali un elevato grado di tutela. In particolare, nel decreto in commento si stabilisce un rapporto di diretta proporzionalità fra l’effettivo valore del conferimento e l’esistenza di un mercato di scambio dello stesso. Quest’ultimo, tuttavia, non dovrebbe, da solo, rappresentare la cartina al tornasole per testare la validità di un “progetto”. Tale criterio di valutazione andrebbe coordinato anche con altri elementi (ad esempio, si potrebbe analizzare il protocollo di base o la percentuale di criptovaluta detenuta dagli ideatori della stessa). Passando al principio dell’effettiva acquisizione del conferimento, l’Amministratore della Società afferma, nel suo ricorso, che il trasferimento della disponibilità delle criptovalute in capo alla Società debba considerarsi avvenuto con la “messa a disposizione delle credenziali (“transaction password”) da parte del socio conferente”. Ed infatti è sufficiente comunicare la private-key (la firma digitale che autorizza le transazioni in criptovalute) al destinatario per effettuare la “traditio” (la consegna) della criptovaluta. A testimoniare l’effettiva presenza (e consistenza) del conferimento in criptovaluta vi sarebbe, inoltre, la stessa Blockchain[5], il registro pubblico distribuito, consultabile da chiunque e in qualunque momento. Di conseguenza, non si spiegherebbero i dubbi – presenti nella nota del Notaio – circa tale aspetto. Il principio da ultimo citato, inoltre, assume particolare rilevanza nelle ipotesi di pignoramento del bene conferito. Pignoramento che, nel caso di specie, non sarebbe facile da eseguire senza la collaborazione del conferente. Quest’ultimo, infatti, essendo l’unico a conoscenza della private-key, potrebbe anche rifiutarsi di comunicarla. Tale problema viene evidenziato anche dal Tribunale nella parte finale del decreto di rigetto, in cui attesta “l’esistenza di dispositivi di sicurezza ad elevato contenuto tecnologico che potrebbero, di fatto, renderne impossibile l’espropriazione senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore”. La questione, tuttavia, parrebbe essere solo teorica, atteso che, in concreto, finora, nessuno si è mai rifiutato di collaborare con l’Autorità giudiziaria. Ai principi sin qui descritti si affianca, infine, quello della materialità del bene conferito. Il Tribunale di Brescia, pur tenendo presente l’interpretazione “in senso giuridico-contabile e non già materiale” della funzione di garanzia del capitale sociale, evidenzia la dimensione immateriale delle criptovalute, decretandone l’inidoneità a costituire “bersaglio” dell’aggressione dei creditori sociali”. Ad onor del vero – come afferma lo stesso ricorrente – “se possono costituire oggetto di conferimento sia i crediti sia taluni beni immateriali” – come i diritti di proprietà industriale, “non vi sarebbe ragione per escludere la liceità del conferimento delle criptovalute”. Al riguardo, anche la Giurisprudenza ha da tempo affermato – e di recente confermato – in tema di compensazione tra il credito del socio verso la società e il debito originato dalla sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, che “l’oggetto del conferimento da parte del socio non deve necessariamente identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una resdotata di consistenza economica”[6] . Alla luce di quanto precede, quindi, è possibile affermare come il nocciolo della questione stia tutto nell’individuazione della natura giuridica delle criptovalute. A tale domanda il Tribunale di Brescia risponde indirettamente nella parte del decreto in cui afferma che “non è in discussione l’idoneità della categoria di beni rappresentata dalle c.d. ‘criptovalute’ a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l.”. Sembrerebbe, quindi, che le criptovalute rappresentino una particolare categoria di beni immateriali che, in linea di principio, potrebbero essere idonei ad essere conferiti nel capitale sociale di una società. Nel caso in esame però la criptovaluta non aveva una diffusione ed utilizzo tali da poter essere suscettibile di una valutazione economica certa. In considerazione di ciò, e sulla base della funzione di garanzia del capitale sociale nei confronti dei creditori, il Tribunale ne ha quindi negato la conferibilità.

4. L’importanza della perizia nel conferimento delle criptovalute

Ciò che risulta davvero interessante di questa pronuncia è che, a discapito del provvedimento concreto adottato, il Tribunale di Brescia, Sezione Specializzata in materia di impresa, di fatto pare ammettere con un deciso grado di certezza la conferibilità delle criptovalute purché esse possano essere definitive “eteroreferenziate”, ossia risulti che le stesse siano accettate come mezzo di pagamento con un discreto grado di diffusione anche da soggetti o enti diversi da quelli che le hanno create, così da poter individuare un effettivo mercato della stessa. Data la novità della questione, appare tuttavia più che mai opportuno prestare una non usuale attenzione al contenuto della perizia: essa deve essere completa ed affrontare ogni aspetto e problema anche solo preventivabile ed ipotizzabile relativo al bene criptovaluta. Bisogna infatti considerare che tale perizia avrebbe ad oggetto un bene virtuale nuovo e ancora da molti sconosciuto e non compreso, caratterizzato da una volatilità intrinseca difficilmente controllabile, e che peraltro è chiaramente passibile di comportamenti manipolatori del suo valore.

5. Riflessioni

Il dibattito sull’utilizzo e sul valore delle criptovalute è quanto mai vivo e come in tutte le innovazioni che presentano tanto un impatto profondo a livello sociale quanto a livello di business si guarda con estrema attenzione ai possibili “use case” e all’atteggiamento dei principali attori. Sul tema delle cryptocurrency l’atteggiamento della magistratura è quanto mai importante, anche perché le questioni legate alla regolamentazione e più in generale della governance, possono abilitare o al contrario scoraggiare nuove opportunità di sviluppo. Il decreto riveste un interesse notevole per il mondo delle criptovalute, sdoganando il principio in base al quale la moneta virtuale non sia equiparabile ad un conferimento in natura ai sensi degli articoli 2464 e ss. del codice civile. L’accettazione in pagamento di moneta virtuale aveva già ricevuto legittimazione da parte della Banca d’Italia, nonostante l’individuazione di ampi rischi, legati in particolare all’elevata volatilità. Nella vicenda in questione, la criptovaluta in questione non era presente in nessuna piattaforma “diffusa” di scambio. Quindi, il suo conferimento nel capitale di una S.r.l. avrebbe violato l’art. 2464 cod. civ. che prevede i conferimenti in società di beni valutabili economicamente. Se, nella stessa vicenda, l’aumento di capitale fosse stato effettuato con apporto di, ad esempio, bitcoin oethereum, è molto probabile che non ci sarebbero stati problemi (già dal notaio che avrebbe avallato l’operazione). Quindi, si può essere a favore all’inserimento delle criptovalute nel capitale di una società purché le stesse abbiano un determinato “mercato”, una certa diffusione e soprattutto un valore riconosciuto di riferimento (che permetta di avere un’idea sulla convertibilità della cripto in moneta tradizionale). E per ottenere questo risultato è fondamentale che la perizia di stima (richiesta per tutti i conferimenti diversi dal “denaro classico”) sia accurata e che contenga tutti gli elementi necessari ad una valutazione completa della cripto da conferire, sia sul piano economico che sul piano della diffusione/liquidità. È noto che il controvalore in denaro delle criptovalute può subire forti oscillazioni anche in un tempo piuttosto breve. Quindi se, per fare un esempio, oggi conferissi nel capitale di una S.r.l. 20 bitcoin, questo conferimento avrebbe un controvalore economico di circa 110.000 Euro. Se però il valore del bitcoin scendesse a 2.300 Euro, il controvalore del capitale sociale arriverebbe a soli 46.000 Euro e, di fatto, si avrebbe una perdita superiore ad 1/3, così scattando tutti i meccanismi (di tutele e responsabilità) previsti, in simili casi, dalla legge per le s.r.l. Pertanto, per chi si accinge a conferire criptovalute come capitale all’interno di una società, è necessario che – al momento della valutazione con la perizia – vengano affrontate anche le tematiche relative all’oscillazione di valore e alle conseguenze che potrebbero riversarsi sulla società. Un ulteriore e fondamentale elemento di distinzione appare essere quello tra le differenti categorie di “token” incorporati in una criptovaluta; qualora infatti la stessa sia qualificata come moneta elettronica o prodotto finanziario, potrebbe alternativamente ricadere nell’ambito di una specifica cornice regolatoria, come la normativa bancaria o quella finanziaria. In tali casi – ed in assenza di un’attesa regolamentazione – la giurisprudenza potrebbe valutare criteri specifici per determinare l’effettiva suscettibilità di valutazione del singolo prodotto finanziario, ad esempio valutando quali garanzie ciascuno strumento offra ed il mercato/exchange di riferimento. Il decreto in esame rappresenta quindi un ulteriore passo in direzione del riconoscimento della criptovaluta quale valido elemento dei rapporti commerciali tra privati.



[1] La transacion password è numero di autenticazione della transazione (TAN) che viene utilizzato da alcuni servizi bancari online come una forma di password monouso per autorizzare transazioni finanziarie. I TAN sono un secondo livello di sicurezza al di sopra e al di là della tradizionale autenticazione a password singola.

[2] M. Tassinari, I conferimenti e le partecipazioni sociali nella nuova società a responsabilità limitata, in Atti del convegno sul tema Verso il nuovo diritto societario. Dubbi e attese, Firenze, 16 novembre 2002, 7.

[3] O. Cagnasso, Della società a responsabilità limitata, Introduzione, in Il nuovo diritto societario, artt. 2409 bis-2483 c.c., Bologna, 2004, 1708.

[4] La scopo della direttiva è di definire un regime prudenziale omogeneo per gli intermediari che operano nel settore dei pagamenti in modo da stimolare l’efficienza e la concorrenza in questo segmento del mercato finanziario.

[5] Come evidente la Blockchain si presta a essere interpretata. Più che una tecnologia è un paradigma, un modo di interpretare il grande tema della decentralizzazione e della partecipazione. La Blockchain è una tecnologia che permette la creazione e gestione di un grande database distribuito per la gestione di transazioni condivisibili tra più nodi di una rete. Si tratta di un database strutturato in Blocchi (contenenti più transazioni) che sono tra loro collegati in rete in modo che ogni transazione avviata sulla rete debba essere validata dalla rete stessa nell’“analisi” di ciascun singolo blocco. La Blockchain risulta così costituita da una catena di blocchi che contengono ciascuno più transazioni. La soluzione per tutte le transazioni sono affidate ai Nodi che è chiamato a vedere, controllare e approvare tutte le transazioni creando una rete che condivide su ciascun nodo l’archivio di tutta la Blockchain e dunque di tutti i blocchi con tutte le transazioni. Ciascun blocco è per l’appunto anche un archivio per tutte le transazioni e per tutto lo storico di ciascuna transazione che, possono essere modificate solo con l’approvazione dei nodi della rete. Le transazioni possono essere considerate immodificabili (se non attraverso la riproposizione e la “ri”-autorizzazione delle stesse da parte di tutta la rete). Da qui il concetto di immutabilità.

[6] Cass. n. 3946/2018; n. 4236/1998; n. 936/1996.

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