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Giurisprudenza

Legittima la delibera assembleare che pone a carico del consorzio le spese sostenute in favore del Presidente del CdA

4 Aprile 2017

Brando M. Cremona, Trainee presso Linklaters LLP

Cassazione Civile, Sez. VI, 11 gennaio 2017, n. 543

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, Sezione Sesta Civile, con l’ordinanza n. 543 dell’11 gennaio 2017, ha stabilito la legittimità della delibera assembleare che pone a carico dei consorziati le spese sostenute dal Presidente del consiglio di amministrazione per riparare l’automobile privata danneggiatasi nell’ esercizio delle sue funzioni, qualificandosi tali costi come inerenti alla gestione del consorzio.

Il provvedimento in commento conclude la vicenda nella quale le parti ricorrenti, in qualità di soci del consorzio, avevano richiesto la declaratoria di nullità della delibera consortile con la quale si era stabilita a carico dei consorziati la spesa sostenuta dal presidente del consiglio di amministrazione per la riparazione della propria autovettura privata. Tale deliberazione è stata adottata ai sensi dell’art. 1720 c.c. il quale, in tema di mandato, stabilisce l’obbligo per il mandante di risarcire i danni che il mandatario abbia subito a causa dell’incarico; nel caso di specie, il danno si sarebbe verificato in occasione di un intervento notturno svolto dal presidente presso un impianto di pertinenza del consorzio entrato in avaria.

L’assemblea ha dunque determinato che le spese per la riparazione della vettura sarebbero giustificate alla luce del fatto di essere connesse all’esercizio delle proprie funzioni da parte del presidente, sulla base di un principio di inerenza alla gestione del consorzio.

Rilevando la tardività dell’impugnazione rispetto al termine stabilito a pena di decadenza dall’art. 1109, secondo comma, c.c. (dettato in tema di impugnazioni delle deliberazioni delle comunioni), il Tribunale di Civitavecchia rigetta il ricorso.

Avverso la sentenza del giudice di prime cure, le parti ricorrenti propongono appello presso la Corte d’Appello di Roma, argomentando la totale estraneità, alle competenze di un’assemblea consortile, della tutela di beni che non formino parte della comunione, ma siano invece riconducibili alla proprietà privata del Presidente. Deducevano dunque la nullità della delibera per impossibilità dell’oggetto, con conseguente inapplicabilità del regime previsto per le deliberazioni annullabili (tra cui anche l’operatività del termine di cui al summenzionato art. 1109 c.c.).

I giudici di secondo grado hanno tuttavia determinato di emettere sentenza di rigetto dell’appello proposto, sulla base della valutazione che la qualificazione di una determinata spesa come privata o come inerente ai beni facenti parte della comunione rientri pienamente nell’ambito delle attribuzioni dell’assemblea consortile.

Avverso tale sentenza sfavorevole i soci consortili sono così ricorsi in Cassazione lamentando, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione di legge da parte della Corte d’Appello. Quest’ultima avrebbe infatti rilevato erroneamente solo un vizio di eccesso di potere nella delibera; tale vizio, pur suscettibile di determinarne l’eventuale l’annullamento, risultava tuttavia sanato per effetto del decorso del termine di decadenza a causa della tardività dell’impugnazione.

In particolare, i ricorrenti ribadiscono la radicale nullità della delibera consortile per impossibilità dell’oggetto, ed altresì per contrarietà alla legge, ritenendo totalmente estranea alla natura dei contratti associativi la circostanza che l’organo collegiale possa utilizzare risorse comuni per andare a soddisfare finalità private ed estranee alla comunità.

Sul punto, i giudici di legittimità riprendono un consolidato orientamento espresso dalla Suprema Corte (il riferimento è alla sentenza n. 5889 del 20 aprile 2001), sulla base del quale “il sindacato dell’Autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee dei soci non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei soci, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità”. Nell’ipotesi, paventata dai ricorrenti, di eccesso di potere, quest’ultimo andrà conseguentemente valutato nell’ottica di stabilire se la determinazione assembleare “sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante”.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ritiene che rientri a pieno titolo nelle competenze assembleari la decisione, ai sensi dell’art. 1720 c.c., di farsi carico dei danni patiti dall’autovettura del presidente, e dunque di ritenere tale spesa connessa alla gestione del consorzio e all’esercizio delle funzioni che lo stesso ha attribuito al presidente.

Per poter contestare con successo la sussistenza del vizio di eccesso di potere, le parti ricorrenti avrebbero così dovuto fornire evidenza del fatto che la deliberazione, pur adottata con le maggioranze e le forme prescritte dalla legge, fosse arbitrariamente e fraudolentemente volta al perseguimento di interessi estranei a quelli della società o lesivi dei soci di minoranza.

Da ultimo, la Suprema Corte sottolinea che, in ogni caso, il summenzionato vizio di eccesso di potere deve essere denunciato solamente nei termini previsti per le determinazioni annullabili.

Essendo pacifico come nel caso di specie le parti ricorrenti abbiano proceduto ad impugnare la delibera oltre il termine di legge previsto, ne consegue il rigetto del ricorso.

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