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Leasing finanziario: risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore e procedure di vendita del bene

29 Novembre 2017

Avv. Fabio Civale, Studio Legale Civale Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Il contratto di leasing finanziario: un riconoscimento finalizzato. 2. Il grave inadempimento finanziario dell’utilizzatore. 3. Risoluzione del contratto di leasing: diritti ed obblighi delle parti – 4. Procedure di vendita o ricollocazione del bene – 5. La nuova legge e la sorte dei rapporti non esauriti.

 

1. Il contratto di leasing finanziario: un riconoscimento finalizzato

Il leasing finanziario è un contratto elaborato nella prassi statunitense, importato in Italia a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, che rientra nel c.d. “asset finance” in cui l’intermediario finanziario rende disponibile ad una controparte, di norma (ma non necessariamente) imprese e professionisti, un bene per un certo periodo di tempo ed a fronte del pagamento di un corrispettivo.

A fronte di specifiche e dettagliate discipline vigenti in altri paesi, ripetutamente è stata segnalata l’assenza nel nostro ordinamento di una disciplina legislativa organica avente ad oggetto il contratto di leasing finanziario, seppur nel tempo si siano sovrapposte numerose disposizioni settoriali che hanno considerato quale “esistente” il tipo di contratto di leasing finanziario.

In assenza di una disciplina legislativa, l’individuazione delle norme applicabili – in alcun casi in assenza ed in altri casi in luogo delle previsioni contrattuali – è stata la principale fonte di contenzioso riferita ai contratti di leasing finanziario, in particolare con riferimento alle ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore.

La precitata assenza di disciplina ha condotto parte della giurisprudenza e della dottrina a ricercare, in parte nelle norme di diritto comune dei contratti ed in parte nelle norme dettate per altri e “diversi” contratti tipici, la “soluzione” per assicurare il dovuto equilibrio degli interessi delle parti contrattuali [1].

In tale contesto, brevemente tratteggiato, si innesta oggi l’art. 1, commi 136 – 140 della legge 4 agosto 2017, n. 124 che si occupa contratto di leasing finanziario e della disciplina della risoluzione per grave inadempimento dell’utilizzatore.

La tipicizzazione legale operata dal legislatore è stata alquanto “cauta” e, si ritiene, spiccatamente finalistica.

Nel descrivere il tipo legale rappresentato dal contratto di leasing finanziario il legislatore, attraverso l’art. 1, comma 136, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (2] ha di fatto richiamato le caratteristiche proprie di tale contratto rappresentate da:

  • la qualifica soggettiva del concedente, che deve essere necessariamente una banca o un intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’art. 106 del TUB;
  • la circostanza che il leasing finanziario può essere concluso sia con clienti imprese o professionisti, sia con clienti consumatori;
  • l’obbligo della concedente di “acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore”, con ciò confermandosi la ordinaria trilateralità delle parti (concedente, utilizzatore, fornitore) che si inseriscono nella complessa operazione di leasingfinanziario;
  • l’obbligo della concedente di far“mettere a disposizione” il bene a favore dell’utilizzatore;
  • la natura prettamente “finanziaria” del contratto di leasing in cui l’utilizzatore “assume tutti i rischi, anche di perimento”, riferiti al bene;
  • la necessaria presenza, a favore dell’utilizzatore, dell’opzione finale di acquisto ad un prezzo prestabilito.

Apprezzabili nella descrizione del contratto di leasing finanziario qui appena richiamata risultano due aspetti di dettaglio riferibili alla formulazione delle modalità di consegna del bene all’utilizzatore [3], nonché alla previsione dell’obbligo di riconsegna del bene in capo all’utilizzatore in caso di mancato esercizio del diritto di opzione [4].

La richiamata tipicizzazione legale del contratto di leasing operata dal legislatore attraverso l’art. 1, comma 136, della legge 4 agosto 2017, n. 124 ha valenza generale e risulta, di per sé, in grado di ricomprendere i vari sotto-tipi di contratti di leasing e, nondimeno, appare in grado di essere integrata dalle norme dedicate alla sorte del contratto di leasing in ambito fallimentare, nonché dalle norme dettate in tema di sotto-tipi di contratti leasing, quali ad esempio il contratto di leasing immobiliare abitativodi cui all’art. 1, commi 76 – 84, legge 28 dicembre 2015 n. 208 [5].

Descritto il tipo legale di contratto di leasing finanziario, i successivi commi 137 – 139 dell’art 1 della legge 4 agosto 2017, n. 124 sono dedicati alla disciplina della risoluzione per inadempimento finanziario dell’utilizzatore.

La sensazione che si ritrae è che il legislatore abbia voluto descrivere il contratto di leasing al fine precipuo di poter dettare una disciplina della (sola) fase patologica del rapporto, fonte di maggiore conflittualità tra le parti, rappresentata dall’inadempimento finanziario dell’utilizzatore e dalla conseguente risoluzione del contratto.

Si può quindi rilevare che, almeno per il momento, il legislatore abbia abdicato all’ipotesi di introdurre una disciplina legislativa organica avente ad oggetto il contratto di leasing, ossia una disciplina riferita tanto alla fase fisiologica quanto alla fase patologica del rapporto.

Peraltro l’assenza di una disciplina della fase fisiologica del rapporto non è di per sé deprecabile in assoluto, ciò in quanto qualsivoglia disciplina normativa avrebbe rischiato di provocare un effetto di irrigidimento poco consono ad un tipo contrattuale che, come noto, si articola in tanti sotto-tipi profondamente diversi tra loro in ragione della diversa natura dei beni (si pensi solo alle differenze tra leasing di beni strumentali, leasing nautico, leasing al consumo, leasing immobiliare, leasing c.d. targato, sale and lease back, leasing internazionale ecc.).

Il legislatore ha quindi deciso di occuparsi del leasing finanziario non certo per sancirne una legittimità da tutti riconosciuta, quanto piuttosto per riconoscere l’esistenza di un contratto tipico con una sua specifica disciplina limitata alla fase patologica e che non può essere mutuata da altri contratti tipici che solo all’apparenza possono ritenersi affini.

In termini ancor più espliciti, l’obiettivo neppur troppo celato del legislatore sembra essere quello di riconoscere l’esistenza di un contratto tipico di leasing finanziario per il quale, in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di risoluzione del contratto, non può (ma forse in alcuni casi già non doveva) applicarsi la disciplina degli effetti della risoluzione della vendita con riserva della proprietà ex art. 1526 c.c..

2. Il grave inadempimento finanziario dell’utilizzatore

L’inadempimento “finanziario” dell’utilizzatore, ai sensi dell’art. 1, comma 137 della legge 4 agosto 2017, n. 124, assume i connotati della gravità che può legittimare la risoluzione del contratto di leasing per iniziativa della concedente qualora il cliente

  • in relazione ai contratti di leasing immobiliare non provveda al pagamento di “almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente”;
  • in relazione ai contratti di leasing, diversi dal leasing immobiliare, non provveda al pagamento di almeno “quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente”.

La previsione è volta a qualificare le ipotesi di inadempimento finanziario dell’utilizzatore, al fine di individuarne i caratteri della “gravità” che possono legittimare la risoluzione da parte della concedente [6].

La stessa previsione, peraltro, di per sé non esclude la possibile rilevanza, sempre ai fini della risoluzione del contratto di leasing, di ulteriori ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore, di carattere non finanziario, tra cui la violazione degli obblighi di conservazione, manutenzione o utilizzo del bene oggetto del contratto di leasing. In tali casi, peraltro, occorrerà necessariamente saggiare in concreto il carattere della gravità dell’inadempimento dell’utilizzatore, ovvero rifarsi alle specifiche previsioni contrattuali che possano individuare clausole risolutive espresse.

Tornando ai casi di inadempimento finanziario dell’utilizzatore la previsione, seppur all’apparenza chiara, cela alcune possibili insidie di carattere applicativo ad esempio riferite ai canoni c.d. indicizzati, ovvero all’inadempimento dell’utilizzatore avente ad oggetto oneri di pre-locazione o altri oneri o rimborsi dovuti a titolo diverso rispetto ai canoni. Si tratta di fattispecie che potranno trovare opportuna disciplina nelle previsioni contrattuali in cui potrà essere valorizzata l’espressione “importo equivalente” contenuta nell’art. 1, comma 137 della legge 4 agosto 2017, n. 124.

Talune considerazioni devono altresì essere svolte in relazione ai contratti di leasing immobiliare abitativo.

Come noto, la legge 28 dicembre 2015 n. 208 (c.d. Legge di Stabilità 2016), in vigore dal 1° gennaio 2016, ha introdotto nell’ordinamento italiano una specifica disciplina, di natura civilistica e di natura fiscale, avente ad oggetto la locazione finanziaria di immobili da adibire ad abitazione principale [7].

Ebbene, ai contratti di leasing immobiliare abitativo, ove l’utilizzatore sia un cliente qualificabile quale consumatore risulterà altresì applicabile la disciplina del credito immobiliare ai consumatori di cui al Titolo VI, Capo I-bis del TUB.

Sul punto occorre annotare che l’art. 1, comma 78 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 non prevede una entità minima dell’inadempimento dell’utilizzatore che legittimi la risoluzione. Diversamente, il comma 4 dell’art. 120-quinquiesdecies del TUB prevede che, ai fini dell’applicabilità del c.d. patto marciano, l’inadempimento del cliente deve essersi protratto per almeno 18 rate mensili.

Si pone, all’evidenza, la necessità di indagare se, in relazione ai contratti di leasing immobiliare abitativo ai fini della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore trovi applicazione la regola di cui all’art. 1, comma 137, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (ossia mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi), ovvero la diversa regola prevista dall’art. 120-quinquiesdecies del TUB (mancato pagamento di 18 canoni mensili o di un importo equivalente).

Diversi indici depongono a favore dell’applicabilità (esclusiva) della regola di cui all’art. 1, comma 137, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (ossia mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi).

In tal senso si ritiene rilevi, in primo luogo, la circostanza che nei contratti di leasing, diversamente che nei contratti di mutuo, la concedente non ha la “facoltà” di convenire in caso di risoluzione la restituzione del bene, trattandosi di un effetto naturale e, oggi, di un obbligo ex lege in capo all’utilizzatore.

I presidi previsti a tutela del cliente, che presuppongono l’esercizio di una facoltà da parte del finanziatore di inserimento della c.d. clausola marciana, non paiono potersi estendere all’ipotesi in cui, come nel contratto di leasing, il finanziatore di fatto non esercita, né può esercitare, la facoltà di inserimento del c.d. patto marciano.

In secondo luogo non può sottacersi la circostanza che l’art. 1, commi 137, 138 e 139 della legge 4 agosto 2017, n. 124 prevedono oggi una disciplina “dedicata” ai contratti di leasing (anche immobiliare) che norma con contenuti propri, profondamente difformi dall’art. 120 – quinquies del TUB, il grave inadempimento, la risoluzione e la vendita o ricollocazione del bene oggetto del contratto di leasing [8].

Ove la volontà del legislatore fosse stata quella di estendere ai contratti di leasing immobiliare la previsione di cui all’art. art. 120 – quinquies del TUB sarebbe stato quantomeno opportuno un richiamo di tale norma nell’art. 1, commi 140, della legge 4 agosto 2017, n. 124. Non è un caso, né tantomeno ascrivibile ad una mera “dimenticanza” che il richiamato comma 140 dell’art. 1 della legge 4 agosto 2017, n. 124, pur richiamando la legge 28 dicembre 2015, n. 208, non ha richiamato l’art. 120 quinquies del TUB.

3. Risoluzione del contratto: diritti ed obblighi delle parti

Qualora sussista un inadempimento finanziario dell’utilizzatore, avente i requisiti di gravità indicati nell’art. 1, comma 137, della legge 4 agosto 2017, n. 124, la concedente ha il diritto di risolvere il contratto di leasing.

L’art. 1, comma 138, della legge 4 agosto 2017, n. 124 prevede che in caso di risoluzione per inadempimento finanziario grave dell’utilizzatore sorge il diritto della concedente di ottenere la restituzione del bene e, parimenti, sorge l’obbligo della concedente di corrispondere all’utilizzatore l’importo ricavato dalla “vendita o da altra collocazione del bene, effettuata a valori di mercato, dedotte le somme pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita” [9].

Resta fermo, peraltro, nella misura residua il diritto di credito della concedente nei confronti dell’utilizzatore qualora il valore del bene ricavato dalla vendita sia inferiore al debito residuo dello stesso utilizzatore [10].

Pare doveroso evidenziare che la previsione di cui al comma 138 dell’art. 1 della legge 4 agosto 2017, n. 124 trova applicazione unicamente nei casi di risoluzione del contratto di leasing per inadempimento finanziario grave dell’utilizzatore quale normato nel precedente comma 137 dello stesso art. 1 della legge 4 agosto 2017, n. 124.

La stessa previsione di cui al comma 138 dell’art. 1 della legge 4 agosto 2017, n. 124, peraltro, non troverà necessaria applicazione nei casi in cui la cessazione del contratto di leasing avvenga, ad esempio, per accordo tra concedente ed utilizzatore in sede di c.d. riscatto anticipato.

La scansione, in termini di processo, può così sintetizzarsi: qualora la concedente risolva il contratto per inadempimento dell’utilizzatore, questi è tenuto alla immediata restituzione del bene per consentire alla concedente di attivarsi al fine di procedere con la “vendita o (…) altra collocazione del bene, effettuata a valori di mercato”.

Determinato l’importo ricavato dalla vendita o da altra ricollocazione del bene a valori di mercato, sarà determinato e diverrà esigibile l’eventuale credito dell’utilizzatore ovvero della concedente.

La regolazione del rapporto debito / credito tra l’utilizzatore e la concedente presuppone che sia determinato, da un lato, l’importo ricavato dalla vendita o da altra ricollocazione sul mercato e, dall’altro lato, la somma totale dovuta dall’utilizzatore a seguito della risoluzione che è rappresentata dalla somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scaderein linea capitale, del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché delle spese anticipate dalla concedente per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita.

Sino al momento della vendita o ricollocazione sul mercato del bene, peraltro, non è determinato né l’importo ricavato dalla stessa vendita, né l’importo totale dovuto dall’utilizzatore a seguito della risoluzione, non potendosi individuare con esattezza l’ammontare delle spese necessarie per la conservazione del bene per il tempo necessario alla vendita. Rappresenta un dato di comune esperienza che la vendita di taluni beni può intervenire a distanza di tempo rispetto al momento della risoluzione del contratto di leasing, con conseguenti maggiori oneri anticipati dalla concedente ma da imputare all’utilizzatore per la conservazione dello stesso bene.

Si pone, peraltro, la necessità di trovare una soluzione per quei casi in cui la vendita o la diversa collocazione del bene, conseguente alla risoluzione del contratto di leasing, non intervenga per un lasso considerevole di tempo, ovvero ancora sia di fatto inattuabile o del tutto diseconomica. Non si tratta, è bene segnalarlo, di mere ipotesi di “scuola”.

Ebbene, in tali casi occorre considerare l’interesse dell’utilizzatore e della concedente a ricavare un importo equivalente ad un valore “di mercato” dalla vendita o dalla diversa collocazione del bene, ciò al fine di poter disciplinare e definire i reciproci rapporti di dare e avere. Ove infatti dalla vendita si ricavi un importo superiore ad debito residuo dell’utilizzatore, questi avrà diritto ad ottenere l’eccedenza. Ove invece dalla vendita si ricavi un importo inferiore al debito residuo dell’utilizzatore, la concedente avrà diritto a pretendere dall’utilizzatore la differenza.

Al tempo stesso pare non potersi disconoscere l’interesse dell’utilizzatore e della concedente a non perseguire senza fine procedure di vendita o di diversa collocazione del bene che presentino caratteristiche di diseconomicità e che avrebbero l’unico effetto di aggravare l’esposizione dell’utilizzatore nei confronti della concedente, quantomeno in termini di oneri di conservazione del bene.

Tanto considerato, si ritiene che la disciplina contrattuale possa, nella tutela degli interessi dell’utilizzatore e della concedente, individuare tempi e modi della vendita o ricollocazione del bene, che saranno analizzati nel successivo paragrafo, il cui infruttuoso esperimento legittimi la concedente a ritenere non opportuno, in quanto diseconomico, l’esperimento di ulteriori attività di vendita o di ricollocazione del bene, provvedendo peraltro in tal caso all’offerta di trasferimento della proprietà del bene allo stesso utilizzatore.

4. Procedure di vendita o ricollocazione del bene

Al fine di consentire la regolazione dei rapporti di dare e avere tra le parti, a seguito della risoluzione del contratto di leasing per grave inadempimento finanziario dell’utilizzatore, risulta come detto necessario esperire le procedure di vendita o ricollocazione del bene sul mercato.

L’art. 1, comma 139 della legge 4 agosto 2017, n. 124 non disciplina propriamente le procedure di vendita o ricollocazione del bene sul mercato, ma fissa alcuni criteri finalizzati alla individuazione di un valore di mercato dei beni oggetto dei contratti di leasing, ciò al fine di approntare una adeguata tutela agli interessi dell’utilizzatore.

La scelta del legislatore è stata quella di fissare criteri e presidi di tutela del cliente senza irrigidimentare le procedure di vendita o ricollocazione dei beni da parte delle concedenti. Tale scelta appare sensata e funzionale all’aspirazione della norma di trovare applicazione in relazione ai diversi sotto-tipi di contratti di leasing. Risulta di palmare evidenza, infatti, che in ragione delle diverse categorie di beni oggetto dei contratti di leasing saranno confacenti diverse procedure di vendita o ricollocazione dei beni.

Rimane, quindi, di competenza delle parti disciplinare e regolare, possibilmente ex ante ed in sede contrattuale, le procedure di vendita o ricollocazione del bene, attenendosi per quanto disciplinato ai predetti criteri e presidi di tutela prescritti dal legislatore.

In primo luogo è prescritto che, a seguito della risoluzione del contratto di leasing per grave inadempimento finanziario dell’utilizzatore, la concedente possa procedere alla vendita o ricollocazione del bene sulla base dei “valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati”.

La possibilità di rifarsi a “valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati” assume rilevanza nel caso di beni con caratteristiche standard e la cui rivendita può (e deve) avvenire in modo celere e senza aggravi di costi che potrebbero andare a danno tanto dell’utilizzatore quanto della concedente.

Si ritiene che, in tal caso, le parti possano nel contratto di leasing individuare ex ante quali soggetti debbano qualificarsi quali “soggetti specializzati” ed in che modo e misura le stime dei predetti soggetti possano considerarsi “valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato”.

Sarà altresì opportuno disciplinare, sempre nel contratto di leasing ed ex ante, le modalità concrete di vendita o ricollocazione del bene sul mercato, sulla base del valore risultante dalle precitate pubbliche rilevazioni di mercato [11].

Vi sono peraltro beni che, per loro stessa natura, ovvero per le specificità o personalizzazioni richieste dall’utilizzatore, non hanno valori oggetto di pubbliche rilevazioni di mercato da parte di soggetti specializzati.

Allorquando non sia possibile procedere attraverso la vendita o ricollocazione del bene sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato, ciò in ragione della inesistenza di soggetti specializzati, ovvero di valori di mercato non univoci, ovvero ancora date le caratteristiche specifiche del bene oggetto del contratto di leasing, il legislatore prevede la necessità di attivare un procedimento di stima che passa attraverso la nomina di un perito scelto dalle parti di comune accordo nei venti giorni successivi alla risoluzione del contratto o, in caso di mancato accordo, da un perito “indipendente” scelto dalla concedente in una rosa di almeno tre operatori esperti, i cui nominativi devono essere previamente comunicati all’utilizzatore che può esprimere la sua preferenza vincolate entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione inviata dalla concedente. I termini finali predetti, si ritiene, hanno natura “acceleratoria” e sono posti a presidio dell’interesse della concedente a procedere alla celere vendita o ricollocazione del bene sul mercato anche a fronte di condotte ostruzionistiche da parte dell’utilizzatore.

L’indipendenza del perito rappresenta un presidio di tutela degli interessi dell’utilizzatore e della concedente.

Sul punto il legislatore, attraverso l’art. 1, comma 139 della legge 4 agosto 2017, n. 124, si è “limitato” ad affermare che il perito può ritenersi indipendente allorquando non è legato alla concedente da “rapporti di natura personale o di lavoro tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio”.

L’espressione, dal vago sapore tautologico, non contribuisce ad operare chiarezza su un presidio essenziale per l’intera procedura di vendita o ricollocazione del bene.

Soccorrono, peraltro, le norme di settore che, di recente, hanno disciplinato nelle istruzioni di vigilanza delle banche [12] e degli intermediari finanziari [13] i requisiti di indipendenza dei periti [14].

Nondimeno appare opportuno verificare che il perito non ricada in una delle condizioni che ne impongano l’astensione [15] e che lo stesso perito non abbia intrattenuto, negli anni immediatamente precedenti all’assunzione dell’incarico, rapporti di collaborazione con la concedente o l’utilizzatore che abbiano concorso al fatturato complessivo del perito per una quota significativa o rilevante.

Anche nel caso in cui si proceda alla stima del valore del bene attraverso la nomina di un perito, concedente ed utilizzatore potranno disciplinare, nel contratto di leasing ed ex ante, le modalità concrete di effettuazione della stima da parte del perito, se del caso individuando gli standard ed i valori o rilevazioni a cui lo stesso perito dovrà attenersi, nonché la misura della progressiva riduzione del valore di stima del bene in caso di mancato perfezionamento della vendita entro tempi prestabiliti.

Risulta altresì possibile disciplinare, sempre nel contratto di leasing ed ex ante, le tempistiche entro cui il perito dovrà comunicare alla concedente ed all’utilizzatore la relazione di stima, nonché le modalità e tempistiche per la formulazione da parte della concedente e dell’utilizzatore di eventuali osservazioni ed i relativi riscontri da parte del perito.

Nondimeno la concedente e l’utilizzatore potranno disciplinare, nel contratto di leasing ed ex ante, le specifiche procedure di vendita o ricollocazione del bene sul mercato che dovranno essere esperite sulla base del valore risultante dalla stima effettuata dal perito.

E’ bene ribadire che la norma, ossia l’art. 1, comma 139 della legge 4 agosto 2017, n. 124 non prescrive “una” procedura di vendita o ricollocazione e, nei limiti in cui vi sia aderenza ai criteri ed ai presidi di tutela dell’utilizzatore (ma anche della concedente) indicati nella stessa norma, non risulta di per sé preclusa alcuna scelta compiuta dalle parti ex ante ed in sede contrattuale.

La declinazione concreta delle procedure di vendita potranno, ad esempio, prevedere il conferimento di una delega ad un notaio, un dottore commercialista o ad un avvocato che abbia maturato specifiche esperienze nello svolgimento di procedure di liquidazione di beni, ordinarie o concorsuali.

Si potrebbe altresì prevedere che la vendita avvenga mediante procedure competitive che assicurino un sistema incrementale delle offerte, un’adeguata pubblicità e trasparenza, regole di selezione dell’offerente prestabilite e non discrezionali, piena accessibilità a tutti i soggetti interessati.

Non pare peraltro potersi escludere la possibilità che la concedente, assicurando una adeguata pubblicità commerciale, proporzionata al valore ed alla natura del bene, possa provvedere direttamente, ovvero mediante propri ausiliari o soggetti incaricati, ad individuare sul mercato un’adeguata offerta di acquisto del bene, comunicando all’utilizzatore la miglior offerta ricevuta ed assegnando all’utilizzatore un termine affinché lo stesso possa indicare il nominativo di un eventuale altro acquirente a condizioni migliorative riferite sia alla tempistica di pagamento, sia all’importo del prezzo di compravendita; trascorso tale termine la concedente avrà il diritto di alienare o riallocare l’immobile alle condizioni comunicate all’utilizzatore.

5. La nuova legge e la sorte dei rapporti non esauriti

L’assenza di una disciplina transitoria volta a disciplina la sorte dei contratti non esauriti alla data di entrata in vigore dell’art. 1, commi 136 – 140 della legge 4 agosto 2017, n. 124 pone, come sovente accade nell’ambito del diritto bancario, una “questione di diritto intertemporale”.

La questione deve essere affrontata muovendo dall’assunto che, prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136 – 140 della legge 4 agosto 2017, n. 124, non esisteva una norma che disciplinasse espressamente la risoluzione dei contratti di leasing per inadempimento dell’utilizzatore.

Ne consegue che il quesito “corretto” è se ed in che misura gli effetti dei rapporti sorti in un periodo in cui non vi era una previsione normativa volta a disciplinare la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore siano interessati dalle disposizioni di cui all’art. 1, commi 136 – 140 della legge 4 agosto 2017, n. 124.

La soluzione a tale quesito, si ribadisce in assenza di un espresso regime di diritto transitorio, non può che ricercarsi nei principi generali che presidiano all’efficacia della legge nel tempo.

In tale ambito, secondo la nota tripartizione di origine dottrinale, occorrerà distinguere tra (i) rapporti di leasing pendenti e non risolti (rapporti in corso), (ii) rapporti di leasing risolti ma per i quali residuano da regolare i rapporti di debito – credito tra le parti (rapporti chiusi), (iii) rapporti di leasing risolti per inadempimento dell’utilizzatore per i quali è già avventa la regolazione di crediti e debiti tra concedente ed utilizzatore (rapporti esauriti).

Per i rapporti in corso e per i rapporti chiusi le disposizioni di cui all’art. 1, commi 136 – 140 della Legge 4 agosto 2017, n. 124 andranno ad incidere in relazione a quelle fasi o effetti del rapporto di leasing non ancora definitesi prima dell’entrata in vigore delle richiamate disposizioni di cui all’art. 1, commi 136 – 140 della Legge 4 agosto 2017, n. 124.

Ad esempio, in caso di rapporti di leasing pendenti e non risolti (rapporti in corso), la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento “finanziario” dell’utilizzatore potrà essere dichiarata dalla concedente solo qualora sussistano i presupposti del grave inadempimento di cui al comma 137 dell’art. 1 della legge 4 agosto 2017, n. 124. Sempre in relazione ai rapporti in corso, in caso di risoluzione, occorrerà poi rispettare le disposizioni di cui ai commi 137 – 140 dell’art. 1 della legge 4 agosto 2017, n. 124 in merito alla risoluzione, vendita del bene e regolazione dei rapporti di debito – credito tra le parti.

In caso di rapporti di leasing risolti ma per i quali residuano da regolare rapporti di debito – credito tra le parti (rapporti chiusi), saranno invece applicabili, per le fasi non ancora esaurite, le regole declinate nei commi 138 – 140 dell’art. 1 della legge 4 agosto 2017, n. 124.

 


[1] E’ noto che, al precipuo fine di evitare che il concedente potesse ottenere, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, più di quanto avrebbe avuto diritto a pretendere in caso di esecuzione integrale dello stesso accordo negoziale, la soluzione individuata dalla giurisprudenza prevalente (ma non per questo necessariamente condivisibile) si è basata sull’applicazione “estensiva” ai contratti di leasing finanziario, classificati quali “traslativi”, della disciplina della risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà (art. 1526 c.c.), ovvero sul richiamo dell’istituto della riduzione penale (art. 1384 c.c.).

[2] L’art. 1, comma 136, della legge 4 agosto 2017, n. 124 prevede che “Per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo”.

[3] In particolare si evidenzia la differente formulazione dell’art. 1, comma 136, della legge 4 agosto 2017, n. 124 rispetto all’art. 1, comma 76, della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (c.d. “leasing immobiliare abitativo”) per quanto concerne l’obbligo di consegna in capo all’intermediario concedente. In molti casi, infatti, il bene è consegnato e messo a disposizione dell’utilizzatore direttamente dal fornitore e l’intermediario finanziario acquisisce il verbale dell’avvenuta consegna. Da ciò ne consegue che risulta più corrispondente alla prassi invalsa, come previsto dall’art. 1, comma 136, della legge 4 agosto 2017, n. 124, prevedere un obbligo dell’intermediario di far “mettere a disposizione” il bene a favore dell’utilizzatore, rispetto alla previsione contenuta in tema di leasing immobiliare abitativo in cui si prevede che l’intermediario “mette a disposizione” il bene.

[4] In caso di mancato esercizio del diritto di opzione finale di acquisto, l’utilizzatore ha un “obbligoex lege (e non solo per contratto) di restituire il bene. Tale previsione potrebbe contribuire a snellire le procedure di recupero del bene da parte dell’intermediario concedente in caso di cessazione del contratto in cui non avvenga l’esercizio del diritto di opzione finale da parte dell’utilizzatore.

[5] In tal senso, quindi, non appare affatto ridondante l’art. 1, comma 140, della legge 4 agosto 2017, n. 124.

[6] In caso di mancato pagamento, peraltro, tanto nelle ipotesi in cui sussistano i requisiti temporali prescritti dall’art. 1, comma 137 della legge 4 agosto 2017, n. 124, quanto nelle ipotesi in cui non sussistano tali requisiti temporali, la concedente potrà in ogni caso azionare i propri diritti di credito in via stragiudiziale o giudiziale, senza avvalersi della facoltà di risolvere il contratto di leasing.

[7] La disciplina del c.d. leasing immobiliare abitativo risulta applicabile a tutti i contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto “immobili da adibire ad abitazione principale” (cfr. art. 1, commi 76 – 84, della legge 28 dicembre 2015 n. 208) e ciò a prescindere dalla natura e caratteristiche del cliente / utilizzatore. Peraltro, essendo l’immobile destinato ad assolvere ad una funzione abitativa, risulta evidente che l’utilizzatore dovrà essere necessariamente una persona fisica.

Sebbene, da un lato, le agevolazioni fiscali siano previste esclusivamente a favore di soggetti che risultino possedere i requisiti di età e di reddito individuati nell’art. 1, comma 82, della legge 28 dicembre 2015 n. 208, dall’altro lato, la disciplina “civilistica” avente ad oggetto il leasing immobiliare abitativo risulta avere ambito applicativo più ampio e che ricomprende anche i soggetti che non possono beneficiare delle predette agevolazioni fiscali.

L’elemento rilevante, ai fini dell’applicazione della disciplina civilistica dettata dalla legge 28 dicembre 2015 n. 208, risulta essere l’oggetto del contratto di leasing finanziario necessariamente rappresentato da un “immobile da adibire ad abitazione principale”.

Appare altresì opportuno evidenziare che la nuova disciplina del c.d. leasing immobiliare abitativo risulta applicabile non solo ai clienti / utilizzatori che rientrano nella categoria dei “consumatori”, ma più in genere a tutti i clienti utilizzatori che adibiscano l’immobile ad abitazione principale.

[8] Si pensi, in particolare, alla circostanza che l’art. 120 quinquies del TUB prevede che, in caso di attivazione del c.d. patto marciano, la restituzione del bene comporta in ogni caso l’estinzione dell’intero debito a carico del consumatore anche se il valore del bene o quanto ricavato dalla vendita è inferiore al debito residuo. Di contro, l’art. 1, comma 138 della legge 4 agosto 2017, n. 124 espressamente prevede che resta fermo nella misura residua il diritto di credito della concedente nei confronti dell’utilizzatore qualora il valore del bene o quanto ricavato dalla vendita sia inferiore al debito residuo dello stesso utilizzatore.

[9] L’art. 1, comma 138 della Legge 4 agosto 2017, n. 124 si differenzia dalla analoga previsione introdotta dall’art. 1, comma 78, della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (c.d. “leasing immobiliare abitativo”) in quanto ai fini della determinazione dell’eventuale credito dell’utilizzatore occorrerà dedurre i canoni a scadere “solo in linea capitale” (art. 1, comma 138 della Legge 4 agosto 2017, n. 124) in luogo dei canoni a scadere “attualizzatiti” (art. 1, comma 78, della legge 28 dicembre 2015 n. 208).

[10] Si veda la precedente nota n. 8.

[11] Ad esempio, in caso di contratto di leasing avente ad oggetto una autovettura le parti potrebbero contrattualmente individuare:

a) i “soggetti specializzati” le cui stime possano considerarsi “valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato”;

b) le modalità di individuazione e determinazione del valore di mercato tenuto conto di quanto indicato dai predetti soggetti specializzati e dei diversi parametri rilevanti (ad esempio il kilometraggio, gli optional presenti, lo stato di conservazione, degrado o di usura del bene);

c) le modalità di esperimento celere e trasparente delle procedure di vendita o ricollocazione del bene sul mercato, convenendo le forme di pubblicità da assicurare (ad esempio siti internet o riviste specialistiche) e le forme di concreta vendita (ad esempio vendita tra privati o vendita con soggetti istituzionali che acquistano beni in blocco);

d) le modalità attraverso cui è soddisfatto l’obbligo di informazione da parte della concedente all’utilizzatore in merito al valore ricavato dalla vendita o da altra ricollocazione sul mercato.

[12] Circolare Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013, Parte I, Titolo IV, Capitolo 3, Allegato A, paragrafo 2.2.

[13] Circolare Banca d’Italia n. 288 del 3 aprile 2015, n. 288, Titolo III, Capitolo 1, Sezione VII, paragrafo 2.5.1.

[14] Ai fini della “corretta” valutazione dei beni è quindi necessario che i periti che effettuano la valutazione stessa rispondano ad elevati requisiti di professionalità e indipendenza rispetto al processo di commercializzazione del credito, nonché di vendita o altra ricollocazione sul mercato dei beni.

L’individuazione di un perito esterno rappresenta, ai sensi delle predette disposizioni di vigilanza per le banche e gli intermediari finanziari, una esternalizzazione i cui rischi devono essere opportunamente presidiati anche attraverso una opportuna formalizzazione del contratto e degli obblighi del perito. Il requisito dell’indipendenza, pertanto, non pare imponga alle banche ed agli intermediari finanziari di avvalersi di periti “non convenzionati”, quanto piuttosto di assicurare che i periti (pur se convenzionati) siano indipendenti rispetto al processo di commercializzazione del credito, nonché di vendita o altra ricollocazione sul mercato dei beni.

I requisiti di indipendenza si applicano tanto qualora la concedente si avvalga di periti persone fisiche, quanto nel caso in cui si avvalga di periti costituiti in forma societaria o associativa, dovendosi in tal caso verificare i predetti requisiti sia in capo agli esponenti aziendali dei soggetti costituiti in forma societaria o associativa, sia in capo ai soggetti deputati in concreto alla valutazione dei beni.

[15] Cfr. art. 51 c.p.c..

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