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Giurisprudenza

Le società a partecipazione pubblica che svolgano attività commerciale sono assoggettabili alle procedure concorsuali

25 Luglio 2019

Federica De Gottardo, Dottoranda in Studi Giuridici Comparati ed Europei presso l’Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. I, 2 luglio 2018, n. 17279 – Pres. Didone, Rel. Fichera

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Mediante la sentenza de qua la Corte di Cassazione ha rigettato le censure mosse nei confronti della sentenza Corte territoriale con particolare riferimento (i) all’assoggettabilità a fallimento di una società integralmente partecipata da un ente locale e (ii) alla sussistenza dello stato di insolvenza anche laddove risulti che l’attivo supera il passivo e che non esistono conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili.

Nella specie, la Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento in ordine alla possibilità di assoggettare a fallimento – nonché alle altre procedure concorsuali – le società a partecipazione pubblica totalitaria. In particolare, la Suprema Corte ha ribadito l’irrilevanza di ogni indagine in ordine alla natura in house o meno della società che sia in mano pubblica, dal momento che “la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali – e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico -, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità” (conf. Cass. 7 febbraio 2017, n. 3196; Cass. 27 settembre 2013, n. 22209).

Sulla base di tali considerazioni, unite alla constatazione per cui, con l’art. 14 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), il legislatore ha espresso la precisa volontà di assoggettare le società cd. pubbliche alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, la Corte ha pertanto statuito che “tutte le società cd. pubbliche, che svolgano attività commerciale, quale che sia la composizione del loro capitale sociale, le attività in concreto esercitate, ovvero le forme di controllo cui risultano effettivamente sottoposte, restano assoggettate al fallimento, al pari di ogni altro sodalizio nei cui confronti debbano trovare applicazione le norme codicistiche”.

Quanto al presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento, la Suprema Corte ha chiarito come la circostanza per cui l’attivo patrimoniale superi il passivo e, al contempo, non risultino conclamati inadempimenti da parte della società non esclude l’insolvenza, giacché lo stato di insolvenza rilevante ai sensi dell’art. 5 l. fall. ricorre essenzialmente laddove sia accertato che la società versi in una condizione di oggettiva impossibilità di far fronte alle proprie obbligazioni con mezzi normali di pagamento. In questo senso, la Corte ha infatti chiarito che “il significato oggettivo dell’insolvenza, che è quello rilevante agli effetti dell’art. 5 l. fall., deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all’esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di reddittività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti) nonché nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio”. 

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