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Approfondimenti

Le società fiduciarie tra operatività attuale e prospettive future

16 Marzo 2017

Chiara Bicci e Giuseppe Colombo, Norton Rose Fulbright Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

1. Negozio fiduciario e società fiduciarie: alcuni cenni storici.

Da sempre affiancato al trust e ad altri istituti di pianificazione e protezione patrimoniale, il negozio fiduciario ha formato oggetto di grande interesse sin dal secolo scorso.

Nella categoria dei “negozi fiduciari” è tradizionalmente ricompreso un vasto insieme di fenomeni, anche disparati, che sono tuttavia comunemente connotati dal richiamo al valore extra-giuridico della c.d. ‘fiducia’ [1]. In generale, tali negozi sono caratterizzati dal trasferimento di un diritto da un soggetto (il fiduciante) ad un altro (il fiduciario), il quale ha l’obbligo di esercitare il diritto trasferito con uno scopo ben definito e concordato tra le parti [2].

Vana sarebbe la ricerca, nel nostro ordinamento, di dati positivi sul negozio fiduciario, giacché al fenomeno è dedicata un’unica disposizione, l’art. 627 cod. civ. sulla fiducia testamentaria, dal contenuto essenzialmente negativo.

Tuttavia, pur in assenza di una definizione legislativa dell’istituto del negozio fiduciario, l’ordinamento riconosce e disciplina una categoria di soggetti la cui attività consiste proprio nell’esercizio professionale dell’attività fiduciaria: le società fiduciarie. Queste ultime nacquero spontaneamente, sulla scorta di quanto già avveniva in altri Paesi europei [3], all’inizio del ventesimo secolo; dapprima, la loro attività si basava su una mera opera di carattere informativo, cui si aggiunsero, poi, le funzioni di rappresentanza degli azionisti ed obbligazionisti, liquidazione d’imprese, e, soprattutto, amministrazione di patrimoni di terzi.

La prima regolamentazione normativa delle società fiduciarie, a livello nazionale, avvenne tramite il R.D.L. 16 dicembre 1926, n. 2214, denominato “Disciplina delle società che esercitano funzioni fiduciarie e revisionali”. Tale R.D.L., composto di soli quattro articoli, si limitava a riconoscere una situazione già sussistente, sancendo inter alia che “Le società e gli enti (fiduciari) po(tessero) altresì assumere l’amministrazione di patrimoni che (fossero) loro affidati dagli aventi diritto”. L’intervento normativo, pertanto, fu di tipo sostanzialmente conservativo, apportando, quale unica novità di rilievo, la facoltà di affidamento di incarichi da parte dell’autorità giudiziaria. Tuttavia, l’operato del Legislatore fu comunque salutato con favore, in quanto aveva dato vita ad un primo riordino, e ad una prima regolamentazione, delle attività in parola.

Al di là di alcuni interventi diretti alla disciplina di tematiche peculiari, tra cui il R.D.L. 26 ottobre 1933, n. 1598 sull’istituzione degli enti di gestione fiduciaria [4], una complessiva e globale opera di riordinamento e disciplina delle società fiduciarie si ebbe con l’adozione della L. 23 novembre 1939, n. 1966, che ha introdotto l’obbligatoria soggezione delle società fiduciarie alla preventiva autorizzazione e alla vigilanza del Ministero dell’Industria ([5]), e che, ancor oggi, rappresenta la base normativa fondamentale della materia.

Nel corso degli anni, la disciplina delineata dalla L. 1966/1939 non è stata mutata, se non in alcuni tratti peculiari, con interventi che hanno inciso più sull’operatività delle fiduciarie che non sulla loro struttura [6]. Si registrano infatti vari tentativi di riforma [7], che non hanno però avuto compimento. L’unico intervento normativo di rilievo che abbia trovato attuazione è stato il D.M. 16 gennaio 1995, teso soprattutto a riformare la disciplina autorizzativa delle società fiduciarie e a delineare in modo più puntuale gli elementi propri del contratto di mandato fiduciario.

2. La vigilanza sulle società fiduciarie.

Ad oggi, pertanto, la disciplina fondamentale concernente le società fiduciarie è contenuta nella L. 23 novembre 1939, n. 1966 e nel D.M. 16 gennaio 1995. Tali disposizioni prevedono che le società in menzione siano soggette alla vigilanza del Ministero dell’Industria, oggi Ministero dello Sviluppo Economico. L’attività di vigilanza è bifasica, e viene svolta sia nella preliminare fase di accesso all’esercizio dell’attività fiduciaria, con l’accertamento della sussistenza dei requisiti in capo alle richiedenti sulla base della procedura tracciata dagli artt. 2 L. 1966/1939 e 4 D.M. 16 gennaio 1995, che durante il successivo esercizio della stessa, tramite l’esame dei bilanci e della comune operatività delle fiduciarie.

I poteri di vigilanza sono posti a presidio della tutela del mercato e degli investitori [8]: l’omesso, o non puntuale, esercizio di tali poteri può dar luogo a responsabilità risarcitoria da fatto illecito in capo al Ministero dello Sviluppo Economico [9].

Oltre al Ministero dello Sviluppo Economico, ulteriori Autorità possono esercitare funzioni di vigilanza nei confronti delle società fiduciarie in base al loro gruppo di appartenenza, o al titolo di attività esercitata. In particolare, in forza del disposto di cui all’art. 65, lettera a), del D. L. 19 settembre 1993, n. 385 (c.d. T.U.B.), ove una società fiduciaria appartenga ad un gruppo bancario, sarà soggetta alla vigilanza della Banca d’Italia; ove, invece, essa svolga attività di gestione di patrimoni mediante operazioni in valori mobiliari, sarà soggetta alla vigilanza della CONSOB.

Peraltro, le società fiduciarie rientrano nell’ambito dei soggetti destinatari degli obblighi previsti dalla normativa antiriciclaggio, come sancito dall’art. 11 del D.L. 21 novembre 2007, n. 231 e ss.mm.ii. Ne discende che esse hanno l’obbligo di effettuare un’adeguata verifica nei confronti della clientela, onde evitare che questa possa reimpiegare assets di provenienza illecita.

Da ultimo, non può mancare nella disamina preliminare sulle società fiduciarie nel panorama attuale un breve riferimento alla loro associazione di categoria, Assofiduciaria [10], la quale si prefigge lo scopo di “tutelare gli interessi dei soggetti aderenti che svolgano, professionalmente o sotto forma di impresa, attività fiduciaria, di trust o di investimento”, promuovendo il coordinamento tra le proprie associate, al fine di far valere i diritti di voice di queste ultime nei confronti della Pubblica Amministrazione, fornendo interpretazioni circa le novità legislative e, persino, redigendo clausole generali di contratto fiduciario [11].

3. Il contratto fiduciario: regolamentazione normativa e inquadramento giuridico della fattispecie.

Come anticipato, la regolamentazione normativa del contratto intercorrente tra fiduciaria e cliente non prevede una rigida tipizzazione, come accade, invece, per distinte tipologie contrattuali (fra cui, ad esempio, quelle concernenti i contratti bancari e finanziari). Infatti, la legislazione vigente si limita a disporre che il contratto sia disciplinato dalle norme in tema di mandato (cfr. art. 5, comma 10, n. 1, lett. c, D.M. 16 gennaio 1995) [12].

Nulla, invece, viene esplicitamente sancito riguardo al tema, di grande interesse, teorico e pratico, del rapporto tra intestazione fiduciaria e passaggio di proprietà, restando incerto se in caso di intestazione fiduciaria sia attribuita al fiduciario la piena proprietà dei beni conferiti – secondo il modello della fiducia romanistica – oppure la mera legittimazione ad esercitare in nome proprio i diritti del fiduciante – secondo il modello della fiducia germanistica.

Le conclusioni al riguardo non appaiono pacifiche, tanto che, sia tra gli Autori che si sono occupati del tema, che nelle pronunce giudiziali, sono riscontrabili opposte vedute.

Secondo i fautori della fiducia romanistica, all’interno del nostro ordinamento non potrebbero rintracciarsi norme che attribuiscano la legittimazione all’esercizio di diritti dominicali disgiuntamente dal trasferimento della proprietà, salvo che per i casi, esplicitamente tipizzati, di titoli di credito ed azioni societarie [13]. Lo stesso negotium fiduciae si estrinsecherebbe, piuttosto, come combinazione di due fattispecie negoziali coesistenti: il negozio reale traslativo a carattere esterno, avente piena efficacia verso i terzi, e il “pactum fiduciae”, avente carattere esclusivamente interno ed effetti meramente obbligatori tra i contraenti.

I sostenitori della fiducia germanistica [14], al contrario, ritengono che nella legislazione positiva possano reperirsi diversi indici che dimostrino come sia concepibile la distinzione tra titolarità dei diritti reali e legittimazione al loro esercizio, tra cui, inter alia, le disposizioni che obbligano le società fiduciarie a comunicare a Stato ed enti pubblici i nomi degli effettivi proprietari dei titoli azionari o di quote di società appartenenti ai fiducianti (cfr. art. 1 del R.D. 29 marzo 1942, n. 239, sulla nominatività dei titoli azionari, o l’art. 115, comma III, del D. Lg. 24 febbraio 1998, c.d. T.U.F.).

Si ritiene che il Legislatore, con l’introduzione di tali norme, abbia de facto ammesso e disciplinato il fenomeno fiduciario in conformità alla fiducia germanistica [15]. Tale approdo è stato, peraltro, confortato da talune pronunzie delle corti di merito, nonché della Suprema Corte di Cassazione [16].

Ad avviso di buona parte dei propugnatori della tesi germanistica (ma non solo), la distinzione tra proprietà dei beni conferiti fiduciariamente e legittimazione ad esercitare diritti dominicali sugli stessi sarebbe il frutto della stipulazione di un atipico negozio fiduciario, ammissibile in vista del disposto di cui all’art. 1322 cod. civ., che legittima, come noto, la conclusione di contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela.

In ogni caso, al di là delle opposte teorie dottrinali, ciò che è certo è che il Legislatore si è limitato a fornire una disciplina minima, incardinata sul tipo contrattuale del mandato senza rappresentanza. La sussunzione del contratto fiduciario nell’alveo del mandato ha tratto origine dalla presa di posizione di buona parte della dottrina [17], seppur non fossero mancate, e tutt’ora non manchino, voci contrapposte che vorrebbero ricondurlo a differenti istituti.

4. Attività e prassi applicative delle società fiduciarie.

In base al dato normativo, le fiduciarie si propongono di assumere “sotto forma di impresa … l’amministrazione dei beni per conto di terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni” (cfr. Art. 1, L. 1966/1939).

Nella pratica, le operazioni di amministrazione di beni si presentano svariate ed adattabili ad ogni esigenza, ricomprendendo, senza pretesa di esaustività, l’amministrazione di beni immobili e mobili, la gestione di patrimoni mobiliari, l’attività di organizzazione e revisione aziendale, la rappresentanza di azionisti ed obbligazionisti nelle assemblee societarie, la funzione di trustee ai sensi dell’art. 7 della convenzione relativa alla legge sui trusts e al loro riconoscimento adottata a l’Aja il 1° luglio 1985 e ratificata con Legge 16 ottobre 1989, n. 364.

Ulteriore attività ‘tradizionale’ delle società fiduciarie è quella della gestione dei valori mobiliari affidati dal cliente, ove la fiduciaria si attiva per effettuare investimenti e reinvestimenti dei beni conferiti dal fiduciante. Si parla, in tal caso, di gestione fiduciaria ‘dinamica’, in contrapposizione all’attività di gestione ‘statica’, in cui la società fiduciaria si limita ad eseguire, a salvaguardia del patrimonio conferito dal cliente, le operazioni richieste da quest’ultimo senza assumere autonome iniziative volte ad accrescere il patrimonio conferito [18].

Per tale attività, tuttavia, sono intervenute modifiche normative [19], che hanno ricondotto la disciplina delle fiduciarie di gestione a quella delle società di intermediazione mobiliare, c.d. SIM. In particolare, oggi l’attività delle società fiduciarie di gestione è regolata dall’art. 199 del T.U.F., in base al quale le medesime sono autorizzate e iscritte in una sezione separata dell’albo previsto dall’art. 106 del T.U.B. Le società deputate alla gestione fiduciaria ‘dinamica’ sono state quindi assimilate alle società di intermediazione mobiliare, e non sono più immediatamente soggette alla L. n. 1966/1939; esse esercitano l’attività di gestione con intestazione fiduciaria “in via esclusiva”, previa integrazione della ragione sociale con l’indicazione di “società fiduciaria SIM”.

Oggi, quindi, l’attività tipica delle società fiduciarie è riconducibile alla mera amministrazione/gestione statica, secondo le direttive impartite da parte del cliente. Ciò, con ovvi riflessi in termini di redazione del mandato fiduciario.

Attualmente, la forma ed i contenuti del mandato fiduciario sono espressamente disciplinati dall’art. 10, n. 1, del D.M. 16 gennaio 1995, che, peraltro, dispone l’inderogabilità di tali prescrizioni (ex n. 2 dell’art. 10). Per legge, dunque, un mandato fiduciario deve necessariamente prevedere, inter alia, l’elencazione dei singoli beni e diritti intestati, l’individuazione analitica dei poteri attribuiti alla società, la facoltà in capo al fiduciante di modificarli nonché di revocare in toto l’incarico conferito, e il diritto dello stesso alla restituzione in qualsiasi momento dei beni conferiti. Il mandato inter partes deve altresì contemplare l’indicazione del compenso spettante alla fiduciaria o, quantomeno, l’indicazione dei criteri oggettivi in ragione dei quali esso sia determinato, il divieto per la stessa di cedere il contratto e l’individuazione delle aziende di credito presso le quali vengano depositate le somme e i valori mobiliari dei fiducianti.

Nel contratto dev’essere sempre espressamente disposto che la responsabilità della fiduciaria è regolamentata dagli artt. 1218 e 1710 cod. civ., con riguardo, specificamente, all’adempimento delle obbligazioni sulla stessa gravanti in virtù dell’incarico assunto. Nondimeno, il mandato deve esplicitamente prevedere che la fiduciaria risponda dell’operato dei propri ausiliari, ex artt. 1228 e 2049 cod. civ., sempreché le parti non abbiano indicato il nominativo dell’ausiliario ovvero che la sostituzione sia necessaria in relazione alla natura dell’incarico, ai sensi dell’art. 1717 cod. civ.

Il fatto che il mandato debba essere concluso per iscritto fa sì che le società fiduciarie possano compiere operazioni giuridiche per cui sia prescritta la forma scritta ad substantiam, come, ad esempio, per gli atti di trasferimento di immobili [20].

Le singole operazioni debbono sempre essere precedute da apposite istruzioni conferite dal fiduciante, dal momento che la fiduciaria non ha alcuna facoltà di compiere,sua sponte, atti dispositivi del patrimonio fiduciario. Va da sé che le istruzioni siano generalmente impartite per iscritto, cosicché la società fiduciaria possa dimostrare di aver adempiuto diligentemente ai propri obblighi contrattuali, secondo il combinato disposto degli artt. 1710 e 1176, comma 2, cod. civ.

Nel corso dello svolgimento del mandato la fiduciaria è soggetta alle prescrizioni in tema di comunicazione dell’eseguito mandato ex art. 1712, cod. civ., e ad un obbligo di rendiconto quantomeno annuale, come sancito espressamente dall’art. 10, n. 1, lettera l, del D.M. 16 gennaio 1995.Ciò, fatta salva l’applicazionedell’art. 1713 cod. civ., che contempla il rendiconto da parte del mandatario e prescrive che “il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato”, fra cui “la descrizione e la giustificazione del proprio operato, allegando la relativa documentazione”. A riguardo, è discusso se la documentazione che la società fiduciaria è tenuta a consegnare al fiduciante, in caso di richiesta, riguardi solo la documentazione degli ultimi dieci anni precedenti alla chiusura del mandato, generalizzando il principio di cui all’art. 2220 cod. civ. previsto in tema di conservazione delle scritture contabili, oppure se, diversamente, la fiduciaria debba consegnare tutta la documentazione inerente al mandato [21], e non solo quella intradecennale.

Da ultimo, occorre evidenziare come, nella prassi, le fiduciarie siano solite inserire nelle condizioni di mandato delle clausole di manleva, con cui il fiduciante si impegna a tenerle indenni da “pregiudizi, danni, spese legali e comunque ogni tipo di onere che la stessa dovesse subire in relazione all’esecuzione dell’incarico” [22]. Si tratta di clausole che, come per altri istituti giuridici, dovranno essere, di volta in volta, sottoposte al vaglio dell’art. 1322 cod. civ., ferma restando la loro soggezione ai limiti di ammissibilità e validità di cui all’art. 1229 cod. civ. (e, per quanto attiene al mandato, all’art. 1713, comma 2, cod. civ.).

5. La “fiducia” nel contesto societario.

Uno dei settori in cui si riscontra con maggiore frequenza il fenomeno dell’intestazione fiduciaria è, senza dubbio, quello societario.

Per nulla raro, infatti, è assistere all’intestazione di corposi pacchetti di quote o di azioni a società fiduciarie. I motivi sono riconducibili, principalmente, alla riservatezza che viene garantita dall’intestazione di tal fatta nei confronti dei creditori, dei concorrenti, e, persino, dei soci cui occultare l’esercizio di attività in concorrenza. Ulteriore motivo di interesse per l’intestazione fiduciaria può essere quello di garantire il rispetto dei patti parasociali, con l’intestazione di partecipazioni all’uopo conferite ad un soggetto terzo rispetto ai paciscenti [23].

Quasi naturale è che, a fronte di tanti benefici che rendono appetibile l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie, possano sussistere alcune problematiche, stante la non coincidenza tra proprietario effettivo delle partecipazioni (il fiduciante) e proprietario apparente (fiduciario). Tale interposizione può rendere difficoltoso l’esercizio dei diritti sociali (oltre che, ovviamente, rendere assai rilevante il pericolo di abusi da parte del fiduciario).

Nel dettaglio, se per le società per azioni i rischi che si pongono vertono soprattutto sul tema dell’abuso del fiduciante e dell’impugnabilità delle delibere assunte, non sussistendo posizioni giuridiche in cui lo status di socio sia connaturato ad un’attribuzione di diritti [24], maggiori problematiche possono sorgere in tema di s.r.l. Infatti, nella società a responsabilità limitata come ridisegnata post-riforma, la centralità del socio, definita da alcuni architrave del sistema, fa sì che proprio dalla posizione, sostanziale, di socio derivino alcuni poteri e doveri. Orbene, le disposizioni che attribuiscono tali poteri e doveri non sembrano immediatamente adattabili in caso di intestazione fiduciaria.

Analogamente, questa può interferire con l’attribuzione dei diritti che derivano dallo status di socio, come, ad esempio, di quei ‘diritti particolari’ previsti dall’art. 2468 cod. civ. in tema di vantaggi patrimoniali e diritti di amministrazione. Diritti che sono attribuiti, diversamente da quanto accade nella s.p.a., intuitu personae, e che appaiono non perfettamente riferibili alle società fiduciarie.

Nel limite del possibile, tali imperfezioni dovranno essere risolte tramite la redazione oculata delle clausole statutarie [25].

Anche in merito alla titolarità delle situazioni attive e passive derivanti dallo status di socio, i dubbi non sono ancora fugati, stante la tradizionale ricostruzione in termini di alterità tra titolarità formale e titolarità sostanziale delle partecipazioni.

Per quanto attiene al profilo dell’esercizio dei diritti spettanti al singolo socio, in tema e di impugnativa di delibere, e di partecipazione ad aumenti di capitale sociale, l’opinione più diffusa [26] sostiene che il fiduciario sia, in via esclusiva, il titolare dell’esercizio di tali diritti [27], in consonanza con la tradizionale impostazione che predilige la ricostruzione secondo il modello ‘romanistico’ della fiducia, nonché con i principi di certezza delle situazioni apparenti che dovrebbero essere connaturati alla pubblicità societaria [28]. In merito alle situazioni passive che possono ingenerarsi a causa della posizione di socio assunta dalla fiduciaria, invece, si ritiene che la corresponsabilità possa sorgere ove la fiduciaria abbia consapevolmente dato corso ad operazioni illegittime da parte del fiduciante.

Bisogna poi osservare come l’intestazione fiduciaria possa prestarsi ad essere utilizzata per finalità illecite da parte del fiduciante, al fine di aggirare alcune prescrizioni di legge. Ad esempio, per occultare il possesso di partecipazioni tali da garantire il controllo su, o il collegamento con, una società [29], o, ancora, per eludere il disposto dell’art. 2467 cod. civ. in tema di postergazione dei finanziamenti dei soci [30] o, persino, al fine di aggirare i divieti in tema di acquisto di azioni, e quote, proprie [31]. Orbene, un simile utilizzo dello ‘schermo’ fiduciario non può che dar luogo ad un contratto in frode alla legge, affetto da nullità ex art. 1344 cod. civ., a dispetto della riscontrabilità ‘fattuale’ di siffatto utilizzo ‘abusivo’ dell’intestazione fiduciaria.

Da ultimo, si osserva come un motivo ricorrente nella prassi per cui viene adottata l’intestazione fiduciaria di quote e partecipazioni societarie è quello di occultare ai creditori gli assets conferiti alla fiduciaria, o rendere comunque meno agevole la loro aggressione in executivis. Tant’è che, ove un creditore del fiduciante individui che alcune partecipazioni appartenenti a quest’ultimo siano intestate ad una fiduciaria, il creditore ben potrà esperire le usuali azioni giudiziali a tutela del credito, ma non potrà evitare il rischio che la fiduciaria gli opponga la sussistenza del segreto fiduciario, gravandolo così di corposi oneri probatori [32].

6. Vantaggi e criticità connessi all’utilizzo dello schema fiduciario.

I vantaggi dell’intestazione fiduciaria di beni attengono, come anticipato in materia societaria, specialmente alla riservatezza che viene garantita dalla fiduciaria nell’esecuzione del mandato ed alla discrezione garantita con riguardo alle condizioni patrimoniali del fiduciante rispetto a potenziali soggetti interessati.

Nella prassi operativa, viene fatto ampio ricorso allo strumento fiduciario per assicurare la riservatezza dell’effettiva titolarità di beni, titoli e/o partecipazioni sociali, garantire un’efficiente amministrazione e pianificazione del patrimonio conferito dal fiduciante, amministrare partecipazioni societarie in caso di elevata conflittualità tra soci, nonché mantenere riserbo sull’assunzione di nuove iniziative commerciali.

Può dunque ragionevolmente sostenersi che gran parte dell’appetibilità del contratto fiduciario stia, oltre che nella gestione professionale del patrimonio conferito, nel vincolo della riservatezza cui la fiduciaria è tenuta.

Limiti alla riservatezza e segretezza possono essere imposti, ad avviso di buona parte della dottrina, solo tramite apposite prescrizioni, che impongano obblighi di disclosure in capo alla società fiduciaria [33]. In assenza, parrebbe lecito che la fiduciaria possa, rectius, debba rifiutarsi di rivelare l’identità del fiduciante [34].

Se quelli ora enunciati sono i principali vantaggi derivanti dall’intestazione fiduciaria, quanto ai rischi non si può che osservare come il maggiore di questi sia la gestione infedele da parte del fiduciario. Infatti, benché comportamenti scorretti da parte delle fiduciarie siano disincentivati dalla vigilanza delle Autorità preposte, e, soprattutto, dal reputational risk in cui incorrerebbe una fiduciaria infedele, vi è sempre la possibilità che la fiduciaria/mandataria agisca in contrasto con gli interessi del fiduciante o in assenza di sue istruzioni, specie allorquando questi non vigili attentamente sull’operato della stessa.

Altra fattispecie idonea a mettere a repentaglio il patrimonio del fiduciante, minando l’affidamento da questi riposto in una gestione professionale e altamente qualificata, si configura allorquando la fiduciaria ometta di retrocedere al fiduciante, alla scadenza convenuta o dietro sua espressa richiesta, i beni intestati fiduciariamente, li trasferisca deliberatamente a soggetti terzi o, peggio, si riveli insolvente con conseguente perdita del capitale investito.

In tal caso, la responsabilità della società fiduciaria – da far valere nell’ordinario termine di prescrizione decennale – è assimilata a quella del mandatario, regolata dagli artt. 1218 e 1710 cod. civ. Trattandosi di responsabilità contrattuale, sarà onere della società fiduciaria dimostrare di aver adempiuto correttamente agli obblighi gravanti, considerando anche la sua qualifica personale e la maggior diligenza cui è tenuta ex art. 1176, comma secondo, cod. civ.

7. Brevi spunti di riflessione e prospettive future.

Dalla disamina svolta si comprende come, malgrado l’assenza di una disciplina unitaria, le società fiduciarie siano tenute ad operare nel rispetto delle leggi, delle clausole contrattuali e delle disposizioni di vigilanza.

La disciplina attuale regolamenta le società fiduciarie come soggetti professionalmente qualificati, autorizzati e monitorati dall’autorità pubblica, ma omette di risolvere molte delle questioni ancora aperte. I tentativi di riforma, poi falliti, dimostrano l’esigenza, tutt’ora attuale, di un più ampio riordino della materia, anche alla luce dei contrapposti orientamenti, emersi in ambito giurisprudenziale e dottrinale, circa l’inquadramento giuridico del contratto fiduciario e gli effetti inerenti il passaggio di proprietà dei beni conferiti in amministrazione fiduciaria: tematiche di una certa rilevanza, anche pratica, che meriterebbero di trovare univoca soluzione.

L’adozione di una regolamentazione del contratto fiduciario secondo il modello della fiducia germanistica introdurrebbe nel panorama attuale un efficace strumento di affidamento del patrimonio a terzi, in grado di garantire la separazione dal patrimonio generale del fiduciante (in deroga al disposto dell’art. 2740 cod. civ.), e, al contempo, la possibilità per il conferente di far valere immediatamente nei confronti della fiduciaria i propri diritti dominicali sul patrimonio conferito, nonché di esercitare tali diritti anche nei confronti dei terzi senza alcuna intermediazione.

Una simile riforma renderebbe senza dubbio maggiormente appetibile l’istituto, rendendolo adeguato concorrente del trust di diritto inglese.

 

[1] Cfr. Diurni, Voce: Fiducia e negozio fiduciario (storia), in Digesto, IV edizione, a cura di Sacco, Torino, 2002.

[2] Volendo usare le parole di un illustre Autore, per ‘negozio fiduciario’ si intende “una manifestazione di volontà con cui si attribuisce ad altri la titolarità di un diritto a nome proprio ma nell'interesse, o anche nell'interesse, del trasferente o di un terzo” (cfr. Grassetti, Trustanglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario, in Riv. Dir. Comm., 1936, I, p. 548).

[3] L’amministrazione fiduciaria aveva avuto un’estensione ragguardevole in Gran Bretagna già nel diciannovesimo secolo, con la proliferazione delle cosiddette trust companies (cfr. Franceschelli, Il “trust” nel diritto inglese, Padova, 1935, pp. 131 ss.). Analogamente, in Germania le società fiduciarie videro la luce alla fine del secolo diciannovesimo per lo svolgimento dell’attività fiduciaria e di revisione contabile. Cfr., per un’approfondita disamina, Società fiduciarie e di revisione, in Nuovo Dig. It., Torino, 1940, vol. XII, I, p. 524.

[4] Ossia gli “enti … che abbiano per oggetto la gestione fiduciaria di beni conferiti da terzi, corrispondendo utili sulla gestione”, che, a detta dell’Asquini, “svolge(vano) un'attività affine a quella assicuratrice” (la citazione, ripresa dai lavori preparatori alla redazione della L. 1966/1939, è riportata da Nisio, L’attività di amministrazione delle società fiduciarie (evoluzione e prospettive), in BBTC, 2003, I, p. 53, nonché da Gentili, Società fiduciarie e negozio fiduciario, Milano, 1978, p. 29).

[5] Cfr. Art. 2 L. 1966/1939. Si realizzava in tal modo lo scopo, dichiarato dal Ministro delle Corporazioni Lantini, di “stabilire una più stretta disciplina e controllo delle società in questione, in rapporto alla delicatezza delle funzioni da esse esercitate, e di fissare nettamente il campo d’azione di dette società”.

[6] Senza alcuna pretesa di esaustività, occorre segnalare – inter alia – la promulgazione della L. 23 marzo 1983, n. 77, denominata “Istituzione e disciplina dei fondi comuni d’investimento mobiliare”, con cui si estromisero le società fiduciarie dall’attività di gestione collettiva del risparmio (cfr. Visentini, I valori mobiliari, nel Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1985, 16, t. II, p. 671). Di rilievo fu altresì l’introduzione della L. 2 gennaio 1991, n. 1, con la quale furono regolamentati i profili di attività di intermediazione mobiliare posti in essere dalle società fiduciarie (cfr. Nisio (cit.) pp. 69 ss.).

[7] Nel 1986 fu predisposto da parte del Professor Ferro-Luzzi, per incarico del Ministro dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, un disegno di legge recante la "Disciplina delle attività fiduciarie" (pubblicato, con la Relazione, in Giur. comm., 1986, I, p. 308), seguito dalla proposta di legge n. 205 del 2 luglio 1987, che recepiva quasi totalmente il precedente progetto Ferro-Luzzi. Cfr. Carnevali, I recenti progetti di riforma delle società fiduciarie, ne Le Società, 1987, p. 1012. Nel 2001 fu presentato un nuovo progetto di riforma delle fiduciarie ad opera dei deputati Benvenuto, Agostini, Cennamo, Coluccini, Fluvi, Galeazzi, Grandi, Nicola Rossi, Tolotti, tramite la proposta di legge n. 1945/2001.

Da ultimo, nell’anno 2010 era stata conferita al Governo apposita delega per approvare la disciplina del “contratto di fiducia”, che avrebbe dovuto, nelle intenzioni dei riformatori, costituire una valida alternativa al trust (su tale progetto di riforma, cfr. Manes, Il contratto di fiducia nel disegno di legge comunitaria 2010, inDonazioni, atti gratuiti, patti di famiglia e trustssuccessori, a cura di Del Prato-Costanza_Manes, Bologna, 2010, pp.693 ss.).

[8] Si segnala, tra le molte, la decisione di Cass. Civ., sez. III, 27 marzo 2009, n. 7531 (con nota di Scognamiglio, Responsabilitàdella P.A. per violazione di obblighi di vigilanza e di informazione sull’attività delle società fiduciarie, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2009, p. 1151), con cui la Suprema Corte ha sancito che “La disciplina normativa in materia di autorizzazione all'esercizio e controllo dell'attività delle società fiduciarie, interpretata alla luce degli artt. 41, 47 e 97 Cost. è posta anche a tutela degli interessi dei privati, che abbiano affidato i propri risparmi alla società fiduciaria”.

[9] Sul punto, cfr. Vignocchi, Sulla responsabilità civile dello Stato e della Pubblica Amministrazione per l’esercizio del controllo sugli enti bancari e creditizi, in Scritti in onore di M.S. Giannini, III, Milano, 1988, pp. 989 ss.; Princigalli, La responsabilità civile degli organi di vigilanza bancaria, Bari, 1992; C. Scognamiglio, Responsabilità dell’organo di vigilanza bancaria e danno meramente patrimoniale, in BBTC, 1995, II, p. 534; Mazzamuto, Verso una responsabilità delle authorities?, in Danno e resp., 2000, p. 364. In giurisprudenza, sono di particolare interesse le vicende processuali che hanno visto protagonista, come convenuto, il Ministero delle Attività Produttive, già Ministero dell’Industria, contro i fiducianti delle società Reno S.p.A. e Previdenza S.p.A., per le omissioni informative e i ritardi nell’esercizio delle attività di vigilanza avverso tali società.

[10] Si tratta di una associazione non riconosciuta ex art. 36 cod. civ.

[11] Ulteriore attività, non istituzionale, ma di cui si registrano quantomeno due casi, è quella dell’intervento processuale ad adiuvandum in favore delle associate, laddove consti un caso processuale di interesse per l’intera categoria: si vedano, a tal proposito, Corte App. Milano, 19 giugno 2006 (richiamata da Cass. Civ., sez. I, 13 dicembre 2011, n. 26750, in banca dati De Jure); nonché Corte App. Trieste, 15 gennaio 2004, ne Le Società, 2004, pp. 602 ss., con nota di Di Maio, La «riservatezza» come elemento costitutivo dell’attività della fiduciaria, ibidem.

[12] Tale norma dispone che nel contratto fiduciario siano “fatte salve le norme sul mandato di cui agli articoli da 1703 a 1710 del codice civile”.

[13] Cfr. Gentili (cit.) pp. 72 s.; Jannuzzi, Le società fiduciarie, Milano, 1988, p. 67, che richiama gli argomenti espressi da Foschini, Sull’intestazione fiduciaria dei titoli azionari, in BBTC, 1962, I, pp. 46 ss.; Di Maio, Società fiduciarie e contratto fiduciario, Milano, 1977, pp. 44 ss. In giurisprudenza, cfr. Trib. Cuneo, 27 settembre 2011, in Trust, 2012, p. 165; Trib. Monza, 17 aprile 2000, in Giur. Milanese, 2000, p. 378; Cass. Civ., sez. I, 29 novembre 1983, in BBTC, 1985, II, 294.

[14] Tra cui, ex multis, Lipari, Il negozio fiduciario, Milano, 1964, pp. 444 ss.; Jaeger, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968, pp. 393 ss.

[15] Cfr. Jannuzzi (cit.) p. 69.

[16] Cfr. Corte App. Milano, 31 ottobre 1989, riportata da Di Maio, La società fiduciaria e il contratto fiduciario nella giurisprudenza e nella prassi degli organi di controllo, Padova, 1995, p. 73; Trib. Milano, 19 novembre 2001, in Giur. it., 2002, p. 1438, con nota di Fiorio, Osservazioni in tema di intestazione fiduciaria di quote sociali, voto divergente e compensi eccessivi agli amministratori). Cass. Civ., sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355, in Foro it. 1999, I, c. 1323.

[17] Favorevoli alla riconduzione del contratto fiduciario al tipo legale del mandato, ex plurimis, De Angelis, Fiduciarie (Società), in Digesto, IV Edizione, a cura di Sacco, Torino, 1991; Jaeger, Sull'intestazione fiduciaria di quote di società a responsabilità limitata, in Giur. Comm., 1979, I, p. 202. Per critiche a tale ricostruzione, cfr. Di Maio, Il problema del “mandato fiduciario”, in Contr. e Impr., 2014, pp. 140 ss.; Ragusa Maggiore, il «pactum fiduciae» e l'intestazione fiduciaria di azioni, ne Il Dir. Fallim., 1996, II.1, pp. 204 ss.

[18] La distinzione tra fiducia ‘statica’ e ‘dinamica’ è stata affermata da parte di Assofiduciaria con la circolare n. 15 del 15 maggio 1985, ed è stata recepita, oltre che dalla dottrina (cfr. Jannuzzi (cit.), p. 50), anche in plurime pronunzie giurisprudenziali: cfr. Trib. Trani, 29 settembre 2003, in Gius, 2004, p. 413; Trib. Cagliari, 10 dicembre 1999, in Riv. Giur. Sarda, 2001, p. 661; Cass. Civ., sez. II, 18 ottobre 1991, n. 11025, in Giust. Civ. Mass., 1991.

[19] La L. 2 gennaio 1991 n. 1, e poi il D.L. 23.7.1996 n. 415 (c.d. “decreto Eurosim”).

[20] Cfr. Cass. Civ., sez. II, 9 maggio 2011, n. 10163, in Giur. It., 2012.

[21] Parrebbe più corretta questa seconda opinione, come si desume dal fatto che l’art. 1713 faccia esplicito riferimento a tutta la documentazione inerente il mandato, e non ponga alcuna distinzione tra documentazione ultra e intradecennale, come invece sancito a chiare lettere in tema di consegna della documentazione bancaria. Sul punto, cfr. Trib. Napoli, 8 dicembre 2010, in banca dati De Jure, che ha sancito come l’art. 119 T.U.B., che obbliga le banche a consegnare la sola documentazione inerente agli ultimi dieci anni di rapporto, stabilisca una “limita(zione) ex lege” rispetto “alla regola generale dettata in materia di mandato, di cui all’art. 1713 c.c.”. La mancata generalizzazione di tale regola è stata sottolineata anche da parte di Cass. Civ., sez. I, 20 gennaio 2017, n. 1584, in banca dati De Jure.

[22] Cfr. Art. 12, clausole generali del contratto fiduciario predisposte da Assofiduciaria.

[23] Frigeni, La partecipazione fiduciaria nel diritto vivente, in Riv. Dir. Civ., 2013, pag. 181.

[24] Giacché nelle società per azioni non constano diverse categorie di soci, quanto, piuttosto, diverse categorie di azioni, ex art. 2348 cod. civ.

[25] Cfr. De Stasio, L’intestazione fiduciaria di quote di s.r.l., in BBTC, 2012, p. 626.

[26] Ma non totalitaria, cfr. Trib. Milano,19 novembre 2001, in Giur. it., 2002, p. 1438.

[27] Cfr. Frigeni (cit.) p. 185; Trib. Pavia, 25 maggio 2011, in Dejure; Trib. Milano, 11 febbraio 2011, in Giur. It., 2012; Trib. Mantova, 22 ottobre 2009 in www.ilcaso.it.; Trib. Modena, 14 febbraio 2008, ne Le Società, 2009, pp. 746 ss.

[28] Cfr. Trib. Milano, 21 luglio 2015, ne Le Società, 2016, pp. 406 ss

[29] Per una disamina, cfr. Zoppini – Tombari, Intestazione fiduciaria e nuova disciplina dei gruppi di società, in Contr. e Impr., 2004, pp.  1113 ss.

[30]  Sul punto, v. Balp, I finanziamenti dei soci ‘sostitutivi’ del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. Soc., 2007, pag. 345; Zoppini, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata e i finanziamenti provenienti da “terzi” (con particolare riguardo alle società fiduciarie), in Riv. Dir. Priv., 2004, pag. 428.

[31] Ad esempio, in tema di s.r.l., si ritiene che l’acquisto di proprie partecipazioni tramite società fiduciaria determini il consolidarsi dell’acquisto in capo al mandatario: cfr. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Il Codice civile. Commentario,fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2010, p. 910; Patroni Griffi,Subart. 2474: conferimenti in natura e immediata liberazione delle quote, in S.r.l.: commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, pp. 520 s. A conferma del fatto che nella prassi l’intestazione fiduciaria possa essere utilizzata per finalità abusive, cfr. Cass. Pen., sez. II, 16 aprile 2015, n. 15804, in Riv. Not., 2015, II, p. 664.

[32] Cfr. ex plurimis Corte App. Trieste, 15 gennaio 2004, ne Le Società, 2004, p. 602, con nota di Di Maio.

[33] Si pensi ai poteri di ispezione e verifica dell’Amministrazione Finanziaria, cfr. Accinni, Limiti di opponibilità ai terzi della riservatezza del rapporto fiduciario nell’ambito di procedure esecutive, in Trusts e attività fiduciarie, 2013, p. 268; Corte App. Trieste, 15 gennaio 2004, ne Le Società, 2004, pp. 602 s.

[34] Tanto che si paventa persino una possibile responsabilità risarcitoria in capo alla fiduciaria che non rispetti il segreto fiduciario.

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