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Attualità

Le riserve come asset class di investimento

16 Febbraio 2022

Luigi Mula, Legal Director, DLA Piper

Di cosa si parla in questo articolo

 L’investimento in crediti derivanti da contratti di appalto o da concessioni pubbliche

Tra le asset class dei fondi di investimento figurano anche i crediti vantati da appaltatori e concessionari nei confronti delle proprie controparti pubbliche, operazioni per certi versi analoghe alle più tradizionali operazioni di factoring. Questi investimenti pongono una serie di tematiche meritevoli di approfondimento quali le modalità per rendere efficace l’investimento nei confronti del committente o concedente pubblico, la disciplina della cessione e la possibilità per gli investitori di acquisire non solo il credito maturato per il pagamento del corrispettivo dell’appalto, ma anche i crediti per i pagamenti futuri e quelli derivanti da contestazioni e riserve formulate dall’appaltatore.

Si tratta di una asset class composita e caratterizzata dall’eterogeneità dei crediti in quanto gli stessi possono essere attuali, futuri o oggetto di contenzioso.

Le pretese economiche azionate con le riserve possono riguardare tanto lavori aggiuntivi o attività impreviste, quanto domande risarcitorie in senso stretto. Infatti, nel corso dei lavori accade regolarmente che si presentino imprevisti o esigenze di apportare modifiche all’opera con conseguente incremento dei costi per l’appaltatore ed il tentativo di ribaltare i costi sul committente. Queste pretese sono suscettibili di venire del tutto disconosciute o comunque ampiamente ridimensionate in sede di accertamento giudiziale[1].

Il perfezionamento dell’efficacia dell’investimento e la relativa disciplina

Sotto il profilo dell’efficacia della cessione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione, queste tipologie di cessioni godono di un regime di favore rispetto alla disciplina della generalità delle cessioni di crediti nei confronti della pubblica amministrazione. Infatti, ai fini di rendere efficaci le cessioni dei crediti derivanti dal contratto d’appalto o da una convenzione nei confronti del committente pubblico non è necessario che questi le abbia accettate espressamente ma è sufficiente che si formi un “silenzio assenso”. Il regime in questione è dettato dal comma 13 dell’art. 106 del D. Lgs. 50/2016 e rappresenta una deroga al più rigoroso criterio previsto dall’art. 9, Allegato E della L. n. 2248/1865 (“Legge sul contezioso amministrativo”) secondo il quale: “Sul prezzo dei contratti in corso non potrà avere effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione, se non vi aderisca l’amministrazione interessata”.

Il regime di favore richiede che la cessione di credito venga redatta in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata e notificata alla stazione appaltante o concedente. Il termine per la maturazione del silenzio assenso è di quarantacinque giorni, decorrenti dalla notifica.

Naturalmente, rimane possibile applicare il regime “ordinario” e quindi ottenere un’accettazione esplicita dal committente o concedente, così rendendo superflua la notifica ed il decorso del termine per il formarsi del silenzio assenso.

L’accettazione della pubblica amministrazione può avvenire sia relativamente ad uno specifico credito sia attraverso un’accettazione preliminare e generalizzata contenuta nello stesso contratto di appalto o convenzione.

Il fondo che acquista riserve d’appalto non può invece giovarsi delle agevolazioni previste dalla c.d. legge factoring (Legge 52 del 21 febbraio 1991), la cui applicazione è limitata agli intermediari finanziari, oltre che alle banche[2]. Rimarranno quindi applicabili alle cessioni di riserve le norme del codice civile in tema di cessione del credito, nella misura in cui non derogate dall’art. 106 suddetto[3].  Anche l’art. 1, comma 2, della legge factoring prevede espressamente che, in caso di non applicabilità della disciplina di cui al comma 1 per le cessioni prive dei requisiti prescritti dal medesimo comma, “resta salva l’applicazione delle norme del codice civile”.

Non essendo la disciplina codicistica particolarmente dettagliata sull’argomento, le parti godranno di una buona flessibilità nel modellare le proprie pattuizioni sulle specifiche esigenze e circostanze. Gli accordi di investimento in questa asset class disciplinano tipicamente meccanismi di earn out, le modalità di intervento del fondo nei giudizi relativi alle riserve nonchè eventuali garanzie dell’appaltatore sulla natura delle riserve.

La cessione del credito relativo alle riserve è invece sottoposta ad una disciplina di settore qualora sia effettuata nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione.

L’ammissibilità dell’investimento nelle riserve

La normativa appena illustrata non precisa se, in assenza dei presupposti della legge factoring sia configurare una cessione di credito futuri ovvero una cessione di crediti incerti come sono le riserve.

Traendo le mosse proprio dall’art. 3 della L 52/1991 che disciplina l’ammissibilità dei crediti futuri, potrebbe dedursi che la cessione di crediti futuri non è ammissibile ove non ricorrano i presupposti di applicabilità di tale normativa di settore. Tuttavia, nonostante la legge 52/1991 sembri prevedere la cedibilità di crediti futuri sono a favore degli intermediari finanziari, l’ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico di un negozio dispositivo di crediti futuri si fonda sull’art. 1348 c.c., il quale dispone che ‹‹la prestazione di cose future può essere dedotta in contratto››. Dalla disposizione da ultimo richiamata, si ricava che l’ordinamento riconosce l’autonomia delle parti a prevedere in contratto una prestazione di cose future, ma d’altro canto non si può non rilevare l’assenza di una indicazione che permetta all’interprete di definire il credito futuro.

La nozione di credito futuro non può tuttavia prescindere dall’esistenza al momento della cessione del rapporto giuridico da cui il credito dovrà sorgere e, dunque, della fonte del credito[4].

Nel caso delle riserve, i crediti, oltre ad essere futuri, sono incerti in quanto sottoposti al vaglio della stazione appaltante oppure dell’arbitrato o del giudice. In argomento non vi sono specifiche norme qualificatorie al riguardo. C’è pertanto da chiedersi se siano un bene suscettibile di essere trasferito e di valutazione economica.

È ormai pacifico che possa essere ceduto anche un credito connesso a un rapporto giuridico semplicemente sperato, ossia meramente eventuale, sottendendo una situazione di aleatorietà ancora più accentuata rispetto ai crediti connessi a un rapporto non ancora sorto. Il principio è stato affermato già da tempo dalla cassazione la quale ha affermato che «rientra nella nozione di credito futuro suscettibile di cessione anche un credito semplicemente sperato cioè meramente eventuale; l’aleatorietà che in tal caso caratterizza il contratto di cessione è insita nella nozione di cosa futura e non comporta l’invalidità del negozio»[5].

Legato a questo tema è anche quello dell’ammissibilità della c.d. “cessione in massa” delle riserve, espressamente riconosciuta dalla legge factoring per i crediti sottoposti al suo ambito di applicazione nonché dalla disciplina delle cartolarizzazioni (legge 30 aprile 1999, n. 130). Anche sotto questo profilo, ove non siano applicabili le suddette normative, vengono in rilievo le clausole generali del diritto privato in merito al profilo della determinazione dell’oggetto del contratto (art. 1346 c.c.). Pertanto, nel caso di cessione di una massa di riserve, cedente e cessionario dovranno curarsi di definire in modo chiaro ed obiettivo le riserve oggetto della cessione, identificando i dettagli principali di ognuna delle riserve che vengono trasferite quali ad esempio, la controparte pubblica debitrice, l’importo in contestazione e l’oggetto di massima della riserva.

Dal momento che la cessione delle riserve in massa non ricade di per sé nelle discipline di settore sul factoring e sulle cartolarizzazioni, non saranno applicabili le agevolazioni previste nella notifica della cessione e la notifica andrà perfezionata ad ogni singolo debitore secondo le previsioni del codice civile. Tuttavia, tenendo conto che, nel contesto degli investimenti in riserve, difficilmente la cessione potrà riguardare un numero di riserve comparabile al numero di crediti in massa oggetto di operazioni di cartolarizzazione o factoring[6], l’onere della notifica in questione potrebbe non risultare poi così gravoso.

Un mercato per le riserve

L’investimento in riserve non è ancora particolarmente sviluppato in Italia anche a causa del requisito del silenzio assenso della controparte pubblica e la diffidenza degli investitori nei confronti della tempistica necessaria per ottenere gli esiti dei giudizi.

Sotto quest’ultimo profilo, la recente introduzione del collegio consultivo tecnico quale organo del contratto di appalto o convenzione pubblici potrebbe fornire in futuro maggiore comfort agli investitori. Ulteriori misure volte ad incentivare questi investimenti potrebbero essere la facoltà per gil appaltatori di cedere le riserve senza consenso, anche nella forma del silenzio assenso, al ricorrere di determinati criteri oggettivi e soggettivi dell’operazione e dell’investitore. Inoltre, potrebbero essere previste specifiche qualifiche per i CTU che operano nei contenziosi su grandi opere e fast track dei giudizi dinnanzi alle sezioni specializzate.

Un mercato per le riserve libererebbe ulteriori risorse a favore degli appaltatori e contribuirebbe ad accelerare la realizzazione delle grandi infrastrutture proprio in un momento in cui il nostro paese è chiamato a garantire tempi certi e rapidi nel raggiungimento degli obiettivi del PNRR in materia di infrastrutture e mobilità sostenibile.

 

[1] Per una illustrazione delle tipologie di riserve e modalità di formalizzazione delle stesse si vada, Paolo Carbone, Riserve, transazione e accordo bonario negli appalti di lavori, servizi e fornirure, Maggioli, 2015.

[2] Le agevolazioni previste da tale normativa riguardano tanto la possibilità di acquisizione di crediti futuri ed “in massa” quanto il regime di opponibilità della cessione del credito a terzi.

[3] Cass. Civ. Sez. I 24.09.2007, n. 19571 “Deve quindi ritenersi che la L. n. 109 del 1994, art. 26, comma 5, nel rendere applicabile ai contratti di appalto di lavori pubblici la disciplina della L. n. 52 del 1991, abbia inteso rendere operante la disciplina derogatoria posta da tale legge per i crediti di impresa, ma non anche procedere all’abrogazione delle norme speciali che regolavano in precedenza la cessione dei crediti nei confronti della p.a., rendendo applicabile, per le cessioni non rispondenti alle prescrizioni di cui alla L. n. 52 del 1991, la disciplina codicistica”.

[4] Sul punto anche Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 5943, 5 novembre 1980, secondo la quale «Nei limiti in cui è consentito all’autonomia negoziale dedurre in contratto la prestazione di cose future, è ammissibile la cessione di crediti futuri, sempre che al momento della conclusione del negozio sussista già il rapporto giuridico di base dal quale traggono origine ed essi siano, quindi, fin da quel momento determinati o determinabili». F. Caringella, Le modificazioni soggettive, cit., 104, nota 260, sostiene che l’esistenza del rapporto giuridico è la conditio sine qua non per poter ammettere una cessione di crediti futuri. In particolare, l’Autore rileva come questo concetto venga applicato abbondantemente nell’area lavoristica dove si sono potute fare delle riflessioni importanti. Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 20758, 26 ottobre 2005, ha sostenuto in merito alla cessione del credito per il futuro TFR, secondo la quale ‹‹si dispone di un diritto già maturato, anche se non esigibile prima della cessazione del rapporto››, arrivando a dire che il TFR si configura come un diritto attuale e non come credito futuro.

[5] Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 4040, 8 maggio 1990. Più recentemente, Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 31896, 10 dicembre 2018, ribadisce ancora una volta la possibilità cedere crediti sperati, da ultimo ripresa in Trib. Bergamo, n. 1948, 14 settembre 2019. Cass. Civ. Sez. I, sentenza n. 15141, 26 ottobre 2002, con la quale vengono distinti i crediti futuri in eventuali in concreto e eventuali in astratto, potendo questa classificazione assimilarsi alla distinzione dei crediti futuri e dei crediti sperati.

[6] Si ricorda che uno degli elementi fondanti delle operazioni di cartolarizzazioni o acquisizione di NPL è proprio la presenza di una “massa critica” di crediti, anche ove tale massa sia polverizzata in crediti di modesto importo, elemento che non necessariamente si rinviene negli investimenti in riserve che possono riguardare anche un numero limitato di posizioni purchè di valore “critico”.

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