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Le quote di partecipazione a fondi di investimento chiusi alla prova dei vincoli: pegno e pignoramento

10 Dicembre 2021

Massimo Desiderio, Partner, Cisternino Desiderio & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario 1. Premessa – 2. La nozione di Oicr – 3. La partecipazione al fondo e le relative quote – 4. La documentazione delle quote – 5. La partecipazione ai fondi aperti – 6. La partecipazione ai fondi chiusi – 7. Il “richiamo degli impegni” nei FIA chiusi riservati – 8. I vincoli sulle quote: il pegno; 8.1 Pegno su quote rappresentate da certificato “singolo”; 8.1 Pegno su quote dematerializzate; 8.3 Pegno su quote “immesse” nel certificato cumulativo – 9. Il pignoramento; 9.1 Pignoramento di quote rappresentate da certificato “singolo”; 9.2 Pignoramento di quote dematerializzate; 9.3 Pignoramento di quote “immesse” nel certificato cumulativo.

 

1. Premessa

Scopo di queste note è illustrare alcune questioni che possono porsi allorquando quote di fondi comuni di investimento[1] di tipo chiuso vengano assoggettate a vincoli, quali il pegno o il pignoramento. In tali circostanze, invero, affiorano aspetti della posizione dell’investitore che restano in ombra quando si tratti di fondi aperti.

Il rapporto di partecipazione al fondo chiuso si mostra infatti più complesso, arricchendosi, come si vedrà, dal punto di vista sia dei diritti sia degli obblighi dell’investitore, e purtuttavia resta “racchiuso” nella quota del fondo, della quale egli è titolare.

Tale maggiore complessità si rende evidente nelle vicende in cui la quota di partecipazione, quale elemento del patrimonio dell’investitore, venga ad assumere una funzione di garanzia specifica rispetto alle pretese dei creditori di quest’ultimo, volontariamente (con la costituzione in pegno) o meno (con la sottoposizione all’azione esecutiva).

Considerato che le diverse possibili modalità di documentazione della quota comportano distinte tecniche per la costituzione del vincolo, si noterà che, proprio in tale sede, la ricostruzione della posizione dell’investitore in termini di un mero diritto di credito “restitutorio” (di natura pecuniaria), non troppo lontana dalla realtà in caso di fondi aperti, si rivela invece insufficiente o addirittura fuorviante, rispetto ai connotati della partecipazione al fondo chiuso (che, come si vedrà, può includere anche posizioni debitorie dell’investitore), con conseguenze pratiche non indifferenti.

Per arrivare a toccare in modo ordinato il tema proposto, sarà opportuno ripercorrere brevemente, e per quanto d’interesse, la nozione di Oicr (par.2), i caratteri generali del rapporto di partecipazione (par. 3), le modalità di “documentazione” di tale rapporto e dunque delle relative quote (par. 4). Tale ricognizione sarà ovviamente sommaria, in quanto volta esclusivamente ad una individuazione del “lessico” minimo per addentrarsi nell’analisi successiva.

Verranno poi accennati i caratteri della partecipazione ai fondi aperti (par. 5) ed evidenziate le peculiarità, rispetto a questi, della partecipazione a quelli di tipo chiuso (par. 6) e in particolare a quelli riservati (par. 7), alla luce dei connessi diritti e obblighi.

Ciò consentirà poi esaminare come tali peculiarità, in qualche modo latenti quando si affrontano altre questioni relative ai fondi comuni, emergono alla prova della sottoposizione a vincoli, quali il pegno (par. 8) e soprattutto il pignoramento (par. 9).

2. La nozione di Oicr

L’art. 1, comma 1, lett. k), d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (e ss. mm.) recante il testo unico dell’intermediazione finanziaria (TUF) definisce l’”Organismo di investimento collettivo del risparmio” (Oicr) come:” l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi da consumatori, a valere sul patrimonio dell’Oicr, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata”.

Guardando alle altre definizioni fornite dal comma 1 del TUF, l’”Oicr chiuso” è definito in termini residuali dalla lett. k-ter) come l’Oicr diverso da quello “aperto”, il quale ai sensi della lett. k-bis) è “l’Oicr i cui partecipanti hanno il diritto di chiedere il rimborso delle quote o azioni a valere sul patrimonio dello stesso, secondo le modalità e con la frequenza previste dal regolamento, dallo statuto e dalla documentazione d’offerta dell’Oicr”[2].

A questo punto va introdotta la distinzione, all’interno degli Oicr, tra, da un lato, la categoria “fondo comune di investimento” che è “l’Oicr costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore” (lett. j)) e, dall’altro, gli Oicr costituiti in forma di società per azioni, a capitale variabile (Sicav, forma di Oicr aperto: lett. i)) o fisso (Sicaf, forma di Oicr chiuso: lettera (i-bis)). Si differenziano così gli Oicr a forma “contrattuale” (il cui patrimonio è raccolto mediante l’emissione di “quote”) da quelli a forma “statutaria” o “corporativa” (che invece emettono “azioni”)[3].

Ai primi, cioè ai fondi comuni di investimento, ed in particolare a quelli in forma chiusa, è orientata la presente indagine, rispetto alla quale il tema, molto discusso, della natura dei fondi comuni resta sullo sfondo[4]. Qui interessa solo segnalare che si è fermi nell’escludere in capo all’investitore ogni forma di “comproprietà”, quantomeno formale[5], sui beni del fondo, riconducendo la sua posizione ad un rapporto di natura contrattuale, di “partecipazione” ai risultati della gestione di un patrimonio, nei termini che si vedranno più avanti.

La tassonomia degli Oicr risultante dal TUF è invero ben più complessa, ma esula dalla presente indagine. E’ qui opportuno solo richiamare la distinzione tra organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (Oicvm)[6] e Oicr alternativi (FIA)[7], tra i quali ultimi rientrano i “FIA italiani riservati”, la cui partecipazione è riservata a investitori professionali e alle categorie di investitori individuate dalla normativa secondaria (art. 1, comma 1, lett. m-quater)).

La gestione di un Oicr (e dei relativi rischi) costituisce il servizio di “gestione collettiva del risparmio” (art. 1, comma 1, lett. n), TUF) che viene svolto da una “società di gestione del risparmio” (Sgr) a ciò autorizzata (art. 1, comma 1, lett. o), TUF).

Un tratto comune a tutti gli Oicr è il necessario affidamento dei relativi beni a un depositario terzo, normalmente una banca, a tale funzione autorizzato dalla Banca d’Italia (art. 47 TUF), il quale agendo in modo indipendente e nell’interesse dei partecipanti all’Oicr svolge, oltre a compiti di custodia vera e propria[8], talune funzioni in senso lato di controllo, di cui all’art. 48, comma 3, TUF, nel cui ambito “esegue le istruzioni del gestore se non sono contrarie alla legge, al regolamento o alle prescrizioni degli organi di vigilanza”.

3. La partecipazione al fondo e le relative quote

Limitando, come detto, l’analisi ai fondi comuni di investimento (di seguito, per brevità: semplicemente “fondi”)[9], di seguito si richiamano le disposizioni rilevanti riguardo alla posizione di coloro che investono nel fondo.

Le quote di un fondo emesse a fronte della raccolta del suo patrimonio sono “strumenti finanziari” ai sensi dell’art. 1, comma 2, TUF, che rinvia all’Allegato I, Sez. C, nella cui elencazione figurano al n. 3 le “Quote di un organismo di investimento collettivo”.

I titolari delle quote vengono indicati come “investitori” (art. 1, comma 1, lett. k)) o più spesso come “partecipanti” all’Oicr (art. 35-decies; artt. 36 ss.).

Ai sensi dell’art. 36, comma 2, TUF “Il rapporto di partecipazione al fondo comune di investimento è disciplinato dal regolamento del fondo”. Il regolamento deve avere un contenuto minimo indicato dall’art. 37 TUF, il quale tra l’altro richiede che esso stabilisca (comma 2, lett. b)) “le modalità di partecipazione al fondo, i termini e le modalità dell’emissione ed estinzione dei certificati e della sottoscrizione e del rimborso delle quote nonché le modalità di liquidazione del fondo”.

Alla normativa secondaria, in coerenza con l’ampia e profonda “delegificazione” che connota questo settore, sono rimesse ulteriori disposizioni: (i) sulle caratteristiche degli Oicr, ai sensi dell’art. 39 TUF, attuato con il D.M. 5 marzo 2015, n. 30: “Regolamento attuativo dell’articolo 39 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF) concernente la determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi gli Organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) italiani” e (ii) sulla redazione dei relativi regolamenti, ai sensi dell’art. 36, comma 2, secondo periodo, TUF (secondo cui “La Banca d’Italia, sentita la Consob, determina i criteri generali di redazione del regolamento del fondo diverso dal FIA riservato e il suo contenuto minimo, a integrazione di quanto previsto dall’articolo 39”), attuato con Provvedimento della Banca d’Italia 19 gennaio 2015 recante il “Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio” (come modificato da ultimo dal Provvedimento del 16 febbraio 2021) (“Reg. Gestione Collettiva”). Tale normativa conferma, in linea generale, il richiamato meccanismo di sottoscrizione-rimborso, specificandolo in relazione alle diverse categorie di Oicr, come si vedrà oltre.

I partecipanti sono titolari di un diritto, di fonte negoziale[10], alla prestazione del servizio di gestione “in monte”[11] del fondo, in conformità alla legge e al regolamento di gestione, da parte della Sgr, che assume nei loro confronti “gli obblighi e le responsabilità del mandatario” (art. 36, comma 2, TUF). Espressione di ciò è il diritto al rimborso della quota, il cui valore è pari al valore complessivo netto del fondo (net asset value)[12], suddiviso per il numero di quote emesse[13]. In questo consiste il rapporto di “partecipazione” al fondo, che nella sua configurazione “di base” mette capo ad un credito essenzialmente pecuniario[14].

Il regolamento di ciascun fondo, ad eccezione dei FIA riservati, è soggetto, ai sensi dell’art. 37, comma 4, TUF, ad approvazione della Banca d’Italia che ne valuta la completezza e la compatibilità con i criteri generali determinati ai sensi degli artt. 36 e 37 TUF (cioè specificati dal DM 30/2015 e dal Reg. Gestione Collettiva)[15].

Resta da dire, in questa premessa generale, che la partecipazione ad un fondo di tipo chiuso implica, oltre al diritto, di natura patrimoniale, al rimborso della quota, anche quello di “riunirsi in assemblea esclusivamente per deliberare sulla sostituzione del gestore” (art. 37, comma 3, TUF)[16]. Per i FIA riservati, peraltro, il TUF non prevede espresse limitazioni ai diritti “amministrativi” che il regolamento (si rammenta, non soggetto ad approvazione della Banca d’Italia) può attribuire ai partecipanti, che comunemente includono la possibilità di esprimersi su determinati argomenti, ad es. in materia di modifiche al regolamento stesso, e la nomina di un comitato consultivo (c.d. advisory board) che interloquisce direttamente con la Sgr. Resta fermo, peraltro, il limite costituito dal connotato di “autonomia” dell’attività di gestione collettiva [17].

Dalle disposizioni fin qui richiamate si ricava che il rapporto di partecipazione al fondo, disciplinato dal regolamento, si instaura in via primaria attraverso la “sottoscrizione” delle relative quote, così realizzando l’operazione di “raccolta del patrimonio” dell’Oicr cui si riferisce l’art. 1, comma1, lett. k) TUF, il quale è oggetto di gestione da parte della Sgr. Si tornerà oltre sulle modalità di sottoscrizione, evidenziando possibili differenze tra fondi aperti e fondi chiusi (in particolare, riservati), tali da incidere sull’assetto dei diritti e obblighi in capo al partecipante e suscettibili di emergere in sede di costituzione di vincoli sulle quote.

Ovviamente è anche possibile un acquisto della quota non in sede di sottoscrizione, ma in via secondaria. Invero, il Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo I, nel dettare i criteri generali e il contenuto minimo del regolamento dei fondi (non riservati), al Paragrafo 4.2 (rubricato “Partecipazione al fondo”) prevede che “La partecipazione al fondo comune si realizza tramite sottoscrizione delle quote del fondo ovvero acquisto a qualsiasi titolo del certificato rappresentativo delle stesse”, ma è innegabile che l’alienazione di una quota trasferisca in capo all’acquirente il rapporto di partecipazione al fondo anche laddove sia stata adottata una tecnica di “rappresentazione” della quota diversa dall’emissione del relativo certificato, come si vedrà nel paragrafo successivo.

All’inverso, il rapporto di partecipazione cessa con il “rimborso” delle quote a valere sul patrimonio del fondo (o, dal punto di vista del partecipante, con la loro alienazione). Va aggiunto che in costanza di tale rapporto possono essere distribuiti ai partecipanti, ove previsto dal regolamento, proventi derivanti dalla gestione del fondo[18].

4. La documentazione delle quote

Così sommariamente individuato il meccanismo di partecipazione al fondo, attraverso la titolarità (mediante sottoscrizione o acquisto) di quote, vanno ora identificate le modalità di documentazione di tale rapporto di partecipazione e di legittimazione all’esercizio dei relativi diritti.[19]. Esse infatti possono essere diverse, ferma restando in ogni caso la qualificazione delle quote come “strumenti finanziari”.

Preliminarmente, si rileva che la Sgr deve tenere un registro dei detentori di quote, la cui tenuta rientra nelle attività di amministrazione del fondo (Reg. Gestione Collettiva, Titolo II, Capitolo III, Paragrafo 2). Tuttavia non sembra, in base alle disposizioni di seguito esaminate, che in ciò possa esaurirsi la documentazione del rapporto di partecipazione, come invece accade per le S.p.A. il cui statuto abbia escluso l’emissione dei titoli azionari ai sensi dell’art. 2346, comma 1, c.c.

Si è già accennato al fatto che la sottoscrizione delle quote ha un riflesso nella emissione di “certificati”, così come il loro rimborso è causa di estinzione dei certificati stessi (art. 37, comma 2, lett. b) TUF).

L’art. 36, comma 5, TUF precisa che “Le quote di partecipazione ai fondi comuni, sono nominative o al portatore, secondo quanto previsto nel regolamento del fondo”: l’espressione è riferita alle quote ma allude evidentemente, in primo luogo, alla legge di circolazione dei certificati[20]. La norma prosegue: “La Banca d’Italia può stabilire in via generale, sentita la Consob, le caratteristiche dei certificati e il valore nominale unitario iniziale delle quote, tenendo conto anche dell’esigenza di assicurare la portabilità delle quote”.

Tale delega è attuata dal Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo VII[21], che al Paragrafo 2 ribadisce che “Le quote di partecipazione ai fondi comuni sono rappresentate da certificati nominativi o al portatore, secondo quanto stabilito nel regolamento di gestione di ciascun fondo”, ma contiene due rilevanti ulteriori indicazioni riguardo alle modalità di “rappresentazione” delle quote.

In primo luogo, infatti, si specifica che “In alternativa all’emissione di singoli[22] certificati può essere previsto il ricorso al certificato cumulativo[23], rappresentativo di una pluralità di quote[24]. Il certificato cumulativo va tenuto in deposito gratuito amministrato presso il depositario, con rubriche distinte per singoli partecipanti eventualmente raggruppate per soggetti collocatori”[25]. Questa soluzione ha l’effetto di evitare i costi e i rischi connessi all’emissione e alla circolazione dei certificati singoli[26].

Tale modalità alternativa è del tutto peculiare: l’immissione delle quote nel certificato cumulativo di cui si discute non va confusa con la “gestione accentrata di strumenti finanziari cartolari” di cui agli artt. 85 ss. TUF, posto che il cumulativo è presso il depositario del fondo e non presso una società di gestione accentrata per il tramite di un intermediario aderente ad un sistema di gestione accentrata[27].

Questa tecnica non è peraltro esclusiva (o meglio, definitiva), atteso che, secondo la richiamata norma regolamentare, “[l]’immissione di quote nel certificato cumulativo deve inoltre garantire la possibilità per: – il partecipante di richiedere in ogni momento l’emissione del certificato singolo; – il depositario di procedere, senza oneri per il partecipante e per il fondo, al frazionamento del cumulativo, anche al fine di separare i diritti dei singoli partecipanti”.

Si vedrà in seguito, discorrendo dei vincoli sulle quote (par. 8), come l’attitudine a “rappresentare” le stesse, predicata dalla richiamata disposizione sia per il certificato singolo sia per il cumulativo, assuma in realtà una valenza diversa nei due casi. Qui si può anticipare che si tende ad escludere la natura di titolo di credito del cumulativo, e quale risultato di tale esclusione, a qualificare la posizione del partecipante quale mero diritto di credito[28].

In secondo luogo, il Reg. Gestione Collettiva contempla la possibilità, alternativa alla emissione di qualsivoglia tipo di certificato, che il regolamento preveda “la dematerializzazione delle quote di partecipazione”[29]. In base a tale regime, gli strumenti finanziari “possono esistere solo in forma scritturale” (art. 83-bis, comma 1, TUF) presso un depositario centrale, il quale accende per ogni intermediario conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari disposti tramite lo stesso (art. 83-quater, comma 2, TUF). Il trasferimento di detti strumenti (nonché l’esercizio dei relativi diritti patrimoniali) può quindi effettuarsi solo tramite un intermediario, il quale a sua volta “registra per ogni titolare di conto gli strumenti finanziari di sua pertinenza nonché il trasferimento, gli atti di esercizio ed i vincoli di cui all’articolo 83-octies, disposti dal titolare o a carico del medesimo, in conti distinti e separati sia tra loro sia rispetto agli eventuali conti di pertinenza dell’intermediario stesso” (art. 83-quater, comma 3, TUF)[30].

Tale regime è obbligatorio per gli strumenti finanziari quotati e, appunto, facoltativo[31] per gli altri strumenti finanziari, quindi anche per le quote di OICR non quotati[32].

5. La partecipazione ai fondi aperti

L’identificazione della posizione del partecipante non pone particolari problemi, sotto il profilo dei vincoli che qui interessa, laddove all’atto della sottoscrizione della quota si esaurisca l’apporto di denaro al fondo.

È questo il caso degli Oicr italiani aperti, per i quali l’art. 9, comma 1, DM 30/2015 prevede che “La sottoscrizione degli Oicr aperti ha luogo o mediante versamento di un importo corrispondente al valore delle quote di partecipazione o delle azioni”[33]. Si evidenzia così un carattere, per così dire, di apparente “realità” nell’operazione di sottoscrizione, nel senso di una necessaria contestualità tra il “versamento” e il sorgere del rapporto di partecipazione al fondo[34], che invece, come si vedrà, può venir meno nel caso di fondi chiusi.

All’inverso, ai sensi dell’art. 9, comma 3, DM 30/2015 il “rimborso del valore delle quote” deve avvenire “con periodicità almeno quindicinale per gli Oicvm e almeno annuale per i FIA italiani aperti”, con la precisazione che il calcolo del loro valore ha luogo con la medesima frequenza ed è comunque effettuato in occasione dell’emissione di nuove quote o azioni.

Regola comune a tutti gli Oicr, come accennato, è che “Il valore unitario di ogni singola quota di partecipazione al fondo comune è pari al valore complessivo netto del fondo, riferito al giorno di valutazione del patrimonio, diviso per il numero delle quote in circolazione alla medesima data”[35].

Va detto, per completezza, che gli Oicr aperti si connotano, oltre che per il meccanismo di partecipazione che qui interessa, anche (e soprattutto) per le regole relative all’investimento del patrimonio[36].

Non privo di rilievo è poi il fatto che il rapporto di partecipazione ad un Oicr aperto risulta privo di qualsivoglia diritto di natura “amministrativa”, risolvendosi di fatto nel suo contenuto patrimoniale.

Qui la titolarità della quota, emessa a fronte del(l’immediato) versamento del(l’intero) suo controvalore, si sostanzia semplicemente nel diritto al rimborso della quota stessa, vale a dire alla liquidazione di un valore corrispondente ad una frazione del patrimonio del fondo, nella consistenza (valutata con apposite regole) che questo avrà al momento del disinvestimento.

Ovviamente, detta consistenza sarà il risultato dell’attività di gestione del patrimonio del fondo posta in essere medio tempore dalla Sgr. Tale attività sostanzia un obbligo di facere in capo alla Sgr (a beneficio della collettività dei partecipanti) quale esplicazione del servizio di gestione collettiva (appunto, “in monte”), che si traduce in un obbligo di dare il suddetto controvalore (a beneficio del singolo partecipante che chieda il rimborso della quota).

Il rapporto di partecipazione al fondo, ossia la titolarità di una quota del fondo aperto, si presterebbe apparentemente ad essere dunque qualificato in termini di un mero diritto di credito[37] ad una somma di denaro, il cui ammontare è determinato dal valore della quota al momento del rimborso.

Senonché l’essenza della quota, che esprime la misura della partecipazione all’Oicr, per quanto poco “visibile” in questa tipologia, si traduce ad esempio nel fatto che in caso di fondi “a distribuzione” di proventi, questi non paiono avere natura di interessi[38], bensì vanno riguardati come i frutti dell’attività di gestione, di tempo in tempo accertati dalla Sgr e da questa distribuiti ai titolari di quote. Se poi si tratti o meno di veri e propri “frutti naturali”[39], per accostamento alla categoria indicata dall’art. 820, comma 1, c.c., è questione su cui si può trarre ispirazione dal tema della natura dei dividendi azionari[40].

La posizione contrattuale insita nella quota mostra poi un’altra proiezione nella legittimazione del partecipante a far valere la responsabilità per danni derivanti da mala gestio del patrimonio del fondo nei confronti della Sgr che abbia violato “gli obblighi e le responsabilità del mandatario”[41].

6. La partecipazione ai fondi chiusi

La situazione può essere più complessa con riguardo agli Oicr chiusi.

Questi, si rammenta, sono definiti in negativo, come quelli diversi dagli Oicr aperti, e dunque si connotano per non sottostare alla regola del rimborso del valore delle quote con periodicità almeno quindicinale (per gli Oicvm) o almeno annuale (per i FIA italiani aperti). Anche per gli Oicr chiusi, che finiscono col coincidere con i FIA chiusi, sono dettate peculiari regole relative all’investimento del patrimonio, rivolto essenzialmente ad asset illiquidi[42], che pur, come detto, non incidendo sull’analisi relativa alla posizione dei partecipanti, sottintendono un’operatività del fondo che in parte spiega le particolarità che si vedranno più avanti con riguardo al meccanismo di sottoscrizione delle quote.

La forma chiusa dell’Oicr si traduce nel fatto che il rimborso della quota può avvenire non già con una periodicità predeterminata, bensì di regola alla scadenza del fondo. L’art. 11, comma 1, DM 30/2015 prevede infatti che “Le quote o le azioni di FIA italiani chiusi sono rimborsate ai partecipanti secondo le modalità indicate nel regolamento o nello statuto alla scadenza del termine di durata del FIA”. Possono essere tuttavia previsti rimborsi anticipati in determinati casi (ad es., in occasione di disinvestimenti del patrimonio del fondo) come previsto dal DM 30/2015[43] e, per i FIA non riservati (in ipotesi più limitate), dal Reg. Gestione Collettiva[44].

Anche qui il meccanismo “primario” di partecipazione al fondo contempla un versamento[45], ma si rileva, a differenza dei fondi aperti, una possibile dissociazione tra il momento della sottoscrizione della quota e quello del versamento del relativo controvalore.

Infatti, ai sensi dell’art. 10 DM 30/2015, il meccanismo di raccolta del patrimonio del fondo prevede una o più emissioni di quote di eguale valore unitario che devono essere sottoscritte entro un certo termine (il “periodo di sottoscrizione”)[46]. Il regolamento deve indicare un ammontare minimo da raggiungere, che tuttavia all’esito del periodo di sottoscrizione può essere dalla Sgr adeguato (in diminuzione o in aumento) alle sottoscrizioni effettivamente ricevute. Una volta raccolte le sottoscrizioni, e determinato definitivamente (in relazione ad una data emissione di quote) l’ammontare del patrimonio del fondo, gli investitori dovranno procedere al suddetto versamento entro un termine stabilito dal regolamento.

Con la sottoscrizione della quota, e con la chiusura del periodo di sottoscrizione (e la determinazione del patrimonio del fondo), sembra dunque essersi perfezionato il rapporto di partecipazione.

In questa fase, infatti, può dirsi che l’investitore sia titolare della quota sottoscritta, ma evidentemente, prima del versamento (e salve diverse determinazioni nel regolamento) egli sarà debitore nei confronti del fondo del relativo ammontare. La sottoscrizione dunque, dissociata dal versamento, rappresenta in sé solo l’impegno ad effettuare quest’ultimo (che nella prassi si suole indicare come commitment) e, corrispondentemente, fa sorgere un credito (della Sgr per conto) del fondo di pari importo. Da questo punto di vista, l’operazione di sottoscrizione della quota del fondo chiuso può risultare priva di quel carattere di (apparente) “realità” che, invece, si è rilevato sopra essere proprio dell’investimento nel fondo aperto.

È poi opportuno rammentare che, una volta instauratosi il rapporto di partecipazione al fondo chiuso, esso si arricchisce, rispetto a quello aperto, di taluni diritti “amministrativi” (assemblea dei partecipanti, nomina dell’advisory board: v. sopra, par. 3), con i quali occorrerà fare i conti in caso di vincoli sulle quote.

7. Il “richiamo degli impegni” nei FIA chiusi riservati

Una ulteriore particolarità si evidenzia con riguardo ai FIA chiusi riservati, per i quali l’art. 10, comma 7, DM 30/2015 stabilisce che i versamenti relativi alle quote sottoscritte “possono essere effettuati in più soluzioni, a seguito di impegno del sottoscrittore a effettuare il versamento a richiesta del gestore in base alle esigenze di investimento del FIA medesimo”.

Ciò consente alla Sgr, da un lato, di contare sull’intero ammontare del fondo, che inizialmente è titolare de (o se si preferisce, è costituito da) i crediti relativi a tutte le sottoscrizioni ricevute, per programmarne gli investimenti e, dall’altro, di dosare l’afflusso di liquidità in relazione al concreto procedere di tale programma.

A questo meccanismo si riferisce il Reg. Gestione Collettiva laddove (Titolo V, Capitolo I, Paragrafo 4.2.2) nel disciplinare il contenuto dei regolamenti, sembrerebbe estendere a tutti i FIA chiusi (anche non riservati) la modalità di versamento in più soluzioni. Si prevede infatti che “Il regolamento definisce le modalità di sottoscrizione delle quote e indica […] le modalità e i termini entro i quali devono essere effettuati i versamenti relativi alle quote sottoscritte (richiamo degli impegni). Non si può dar luogo a nuove emissioni prima che sia stato effettuato il richiamo di tutti gli impegni relativi a emissioni precedenti”.

Si tratta ora di comprendere quale sia la posizione del partecipante durante la vita del fondo, allorquando, dove consentito, solo una parte degli impegni relativi alla sua quota (il c.d. commitment) sia stata richiamata, poiché con questa situazione ci si dovrà confrontare in caso di costituzione di vincoli sulla quota.

Si considera l’ipotesi-base, in cui il diritto al rimborso della quota matura solo alla scadenza del fondo. Nella circostanza in esame, il contenuto economico della quota avrà due risvolti. Da un lato, in relazione ai versamenti già effettuati, il partecipante avrà un credito (non certo di restituzione di quanto versato, ma) di “rimborso”, cioè di attribuzione pro-quota dei risultati della gestione del fondo, credito che tuttavia maturerà al termine di scadenza del fondo stesso, e verrà soddisfatto in sede di liquidazione finale.

Dall’altro lato, il partecipante sarà debitore verso il fondo (rectius, verso la Sgr per conto del fondo) dell’ammontare degli impegni relativi alla sua quota, non ancora richiamati. Tale debito diverrà esigibile all’atto dei successivi richiami.

Importante notare che quello relativo al richiamo degli impegni, pur essendo un credito di pertinenza del fondo, e come tale azionabile (una volta divenuto esigibile) nei confronti del partecipante, non viene considerato nel “valore complessivo netto” del fondo stesso, rappresentato nei prospetti contabili previsti dalla normativa di settore (in particolare, Allegato IV.6.2 al Reg. Gestione Collettiva, recante i “prospetti contabili dei FIA chiusi”). Infatti gli schemi di situazione patrimoniale previsti per la relazione di gestione annuale, o per il minor periodo per il quale si procede alla distribuzione dei proventi (schema B.2) e per la relazione semestrale (schema B.1) non contemplano tra le attività tale tipologia di crediti, ma prevedono che venga indicato, al di fuori dello schema: “il controvalore complessivo degli importi da richiamare e il valore unitario delle quote da richiamare”, con l’espressa precisazione che “gli importi da richiamare non concorrono alla determinazione del valore complessivo netto”.

Il credito verso il partecipante per gli ulteriori apporti al fondo non ancora richiamati, dunque, pur facendo parte dal punto di vista giuridico del patrimonio del fondo [47], non viene computato nel suo net asset value. Diversamente, non sembra possa dubitarsi che in questo venga considerato l’importo dei richiami già effettuati, anche se non adempiuti.

Manca qui un parallelismo con il credito relativo ai conferimenti in denaro dei soci di S.p.A. per le azioni solo parzialmente liberate (almeno per il 25 per cento) in sede di sottoscrizione iniziale del capitale (art. 2342, comma 2, c.c.)[48], credito il quale, pur nel rigore delle regole sulla formazione e l’integrità del capitale sociale, viene esposto in bilancio quale componente (peraltro primaria) dell’attivo dello stato patrimoniale (art. 2424, comma 1, c.c., voce A): “Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già richiamata”)[49].

Resta il fatto che il debito del partecipante relativo ai versamenti da effettuare (con modalità e termini, si rammenta, stabiliti nel regolamento) al richiamo degli impegni, appare strettamente inerente alla quota di cui egli è titolare e, dunque, destinato a circolare con essa. Spetterà al regolamento stabilire le eventuali cautele per il caso di alienazione di quote non interamente liberate[50].

La descritta situazione del partecipante richiede di essere considerata quando ci si domandi quale sia il “valore della quota” dal punto di vista del suo patrimonio individuale, e dunque nell’ottica della costituzione di vincoli sulla quota, soprattutto in sede esecutiva.

Per fare un esempio, si consideri un fondo di ammontare 1000 suddiviso in 10 quote, che abbia richiamato per metà gli impegni relativi alle stesse. Il partecipante che abbia sottoscritto una quota di 100, avrà versato inizialmente 50, che insieme ai versamenti degli altri partecipanti avranno creato una disponibilità liquida per il fondo pari a 500, la quale si tradurrà nei primi investimenti del fondo stesso. Ipotizzando che a seguito di tali investimenti il valore complessivo netto del fondo sia pari a 600, il valore di ciascuna quota sarà pari a 60. Ma un eventuale creditore particolare del partecipante dovrà prendere atto che detta quota reca in sé anche l’impegno a versare altri 50.

Pare invero difficile considerare tale debito come meramente eventuale. Esso infatti è essenziale all’attuazione del “mandato” di gestione del fondo assunto dalla Sgr nei confronti di tutti i partecipanti e consacrato nel regolamento (che peraltro indica l’ammontare programmato del fondo), di talché la Sgr che omettesse senza ragione di procedere (agli investimenti in esso prefigurati e dunque) al richiamo degli impegni, verrebbe a rendersi contrattualmente inadempiente nei confronti dei partecipanti, salva diversa disposizione del regolamento (ad es., in materia di riduzione dell’ammontare del fondo). Se dunque, in questi termini, il debito sembra da considerarsi non eventuale ma “certo”, esso è anche determinato nel suo ammontare, e dunque è “liquido”, mentre la sua concreta esigibilità è rinviata al momento fissato dal regolamento. Al momento, cioè, in cui la Sgr eserciterà la facoltà, tutt’altro che arbitraria, di richiamo degli impegni, rispetto alla quale il partecipante è in posizione di soggezione.

Infine, è opportuno segnalare che nella prassi i regolamenti dei fondi chiusi prevedono che l’inadempimento del partecipante all’impegno di effettuare i versamenti successivi[51] sia sanzionato con varie misure, tra le quali la debenza di una penale (e, in caso di persistenza dell’inadempimento oltre un certo limite, addirittura l’annullamento della quota, con ritenzione in capo al fondo di quanto già versato a valere sulla stessa). Anche una tale vicenda, ove in concreto verificatasi in capo a un partecipante, determina una situazione debitoria dello stesso nei confronti del fondo, che va considerata nel momento in cui si guardi al “valore” presente nel patrimonio individuale del partecipante (soprattutto da parte del creditore particolare che agisca esecutivamente nei confronti di questo).

8. I vincoli sulle quote: il pegno

La ricognizione, sopra svolta, della posizione del partecipante ad un fondo (in particolare di tipo chiuso), ossia del titolare di una sua quota, e delle modalità di “rappresentazione” della stessa, è utile per orientarsi su alcune questioni riguardanti i vincoli cui la quota può essere sottoposta.

In primo luogo, non vi è dubbio che la quota possa essere costituita in pegno, a mente del secondo comma dell’art. 2784 c.c., secondo cui: “Possono essere dati in pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti e altri diritti aventi per oggetto beni mobili”[52]. Data l’ampiezza di tale previsione, che ricomprende sia i crediti sia i beni mobili, per i quali le modalità di costituzione sono diverse (v., rispettivamente, artt. 2786 ss. e 2800 ss. c.c., cui si aggiungono le peculiarità dei titoli di credito ex art. 1997 c.c.), le modalità di costituzione in pegno della quota dipendono dalla tecnica in concreto utilizzata per la sua documentazione, tra quelle esaminate sopra (par. 4).

8.1 Pegno su quote rappresentate da certificato “singolo”

Non dovrebbero esservi incertezze laddove sia stato emesso un certificato c.d. “singolo” o “individuale” (rappresentativo cioè di una o più quote di un determinato partecipante), per il quale, trattandosi di documento con attitudine alla circolazione[53], si applica la disciplina dei titoli di credito posta dall’art. 1997 c.c. (“Il pegno, il sequestro, il pignoramento e ogni altro vincolo sul diritto menzionato in un titolo di credito o sulle merci da esso rappresentate non hanno effetto se non si attuano sul titolo”) e per i titoli nominativi anche con annotazione nel registro dell’emittente ex art. 2024 c.c., ove il registro dell’emittente è costituito dal registro dei detentori delle quote, tenuto appunto dalla Sgr.

8.2 Pegno su quote dematerializzate

Neppure sorgono dubbi allorquando si ha l’emissione delle quote in regime di “dematerializzazione” vera e propria, cioè “in forma scritturale” ai sensi dell’art. 83-bis TUF e soggette alla gestione accentrata[54], regime – come detto – obbligatorio per gli strumenti finanziari quotati e, appunto, facoltativo per gli altri. In tal caso si applica l’art. 83-octies TUF, secondo cui “I vincoli di ogni genere sugli strumenti finanziari […] si costituiscono unicamente con le registrazioni in apposito conto tenuto dall’intermediario”[55].

Tra l’altro, tale regime consente anche una particolare forma di garanzia “sul valore dell’insieme” degli strumenti finanziari registrati in uno specifico conto[56]. Infatti, la norma regolamentare espressamente prevede che “Per gli strumenti finanziari registrati in conto in sostituzione o integrazione di altri strumenti finanziari registrati nel medesimo conto, a parità di valore, la data di costituzione del vincolo è identica a quella degli strumenti finanziari sostituiti o integrati” [57], con ciò consentendo per disciplina positiva un possibile carattere di “rotatività” del pegno[58].

Inoltre, la dematerializzazione delle quote rende più agevole costituire il pegno sulle stesse ai sensi della disciplina dei “contratti di garanzia finanziaria” di cui al d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170[59]. Infatti, tra i requisiti di tale garanzia, l’art. 2 di tale decreto richiede che la prestazione della garanzia sia provata per iscritto e che “a tale fine è sufficiente la registrazione degli strumenti finanziari sui conti degli intermediari ai sensi degli articoli 83-bis e seguenti del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”.

8.3 Pegno su quote “immesse” nel certificato cumulativo

Incertezze applicative si sono invece evidenziate con riguardo al c.d. certificato cumulativo nel quale la regolamentazione di settore consente che siano “immesse” le quote.

Si rammenta che il Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo VII, Paragrafo 2, prevede che “In alternativa all’emissione di singoli certificati può essere previsto il ricorso al certificato cumulativo, rappresentativo di una pluralità di quote. Il certificato cumulativo va tenuto in deposito gratuito amministrato presso il depositario, con rubriche distinte per singoli partecipanti eventualmente raggruppate per soggetti collocatori”.

Come detto, va esclusa la riconducibilità di tale fattispecie alla dematerializzazione delle quote, il che rende tra l’altro non praticabile per le quote immesse nel certificato cumulativo il pegno “sul valore dell’insieme” sopra richiamato.

Ebbene, a tale certificato, ancorché la regolamentazione si riferisca allo stesso come “rappresentativo” delle quote (v. par. 4), la giurisprudenza e la dottrina già richiamata hanno correttamente negato la natura di titolo di credito, stante la sua (intrinseca) non destinazione alla circolazione, escludendo il fenomeno della “incorporazione” del diritto nel titolo.

Rilevante al riguardo è la giurisprudenza formatasi in controversie aventi ad oggetto il valido perfezionamento del pegno su quote di fondi (trattandosi sempre di fondi aperti).

La prima controversia nota in materia, dopo alcune incertezze in sede di merito[60], approdava nel 2003 ad una pronuncia della Corte di Cassazione[61] secondo cui “la partecipazione ad un fondo comune di investimento, in mancanza di un certificato individuale, autonomo e separato, costituisce un credito e non un titolo di credito nei confronti del fondo stesso, giacché il certificato cumulativo non incorpora il diritto alla prestazione né può circolare limitatamente ad uno dei soggetti partecipanti al fondo e, dovendo essere sottoposto a pegno mediante annotazione di girata, ove detto certificato fosse un titolo di credito, il pegno in tal caso riguarderebbe l’intero fondo comune[62]e non la quota appartenente al singolo investitore”, così legittimando la costituzione del pegno su quote immesse nel cumulativo, nelle forme del pegno di crediti ex art. 2800 c.c.[63].

In coerenza con tale principio, la Cassazione nel 2011[64] ha confermato che il pegno sulle quote immesse nel certificato cumulativo, per essere opponibile al fallimento del partecipante, deve esser perfezionato ai sensi dell’art. 2800 c.c. Per converso, con una pronuncia del 2019[65] si è stabilita, in caso di emissione di certificati “singoli”, la non opponibilità al fallimento del partecipante del pegno costituito dal fallito ma non risultante da annotazione su detti certificati.

E ciò sempre sulla base dell’assunto che solo i certificati “singoli” (o “individuali”), essendo destinati almeno potenzialmente alla circolazione, hanno natura di titoli di credito.

Diversamente dunque, ritiene la giurisprudenza, quando non si ha emissione di un titolo di credito “incorporante” la quota, ma utilizzazione del certificato “cumulativo” (di per sé non destinato alla circolazione), non resta che riferirsi alla disciplina del pegno su crediti ex art. 2800 c.c. (“Nel pegno di crediti la prelazione non ha luogo, se non quando il pegno risulta da atto scritto e la costituzione di esso è stata notificata al debitore del credito dato in pegno ovvero è stata da questo accettata con scrittura avente data certa”).

Stesso itinerario logico si rinviene in dottrina, laddove si afferma in premessa, correttamente, che “Il quotista che volesse costituire un vincolo, ma in particolare un pegno su una o più quote di sua pertinenza avrebbe conseguentemente due alternative: la prima […] di ottenere lo scorporo della sua quota e quindi l’emissione di un titolo di credito rappresentativo (per poi procedere secondo la disciplina generale del pegno di titoli di credito); la seconda di procedere secondo la disciplina del pegno di crediti, mantenendo la propria quota concentrata insieme alle altre quote nel certificato unico[66].

Ma tale affermazione, necessaria per chiarire che il vincolo di pegno sulle quote, non essendo stati emessi certificati rappresentativi singoli, può essere perfezionato solo con le forme del pegno di crediti, rischia di creare un equivoco sulla natura del rapporto di partecipazione al fondo, racchiuso nella quota.

L’equivoco è testimoniato dalla stessa dottrina appena citata ove conclude che “La seconda possibilità, cioè di costituire vincoli sulle quote immesse nel certificato unico, necessita una ricostruzione del diritto dell’investitore in termini di credito verso il fondo alla restituzione del valore delle quote liquidate[67], con il che si rischia di circoscrivere il rapporto partecipativo ad un mero credito restitutorio di un valore monetario.

Tuttavia la posizione del partecipante, come si è cercato di illustrare sopra (par. 5), non può risolversi nella mera titolarità di un credito pecuniario, posto che la partecipazione al fondo implica il diritto ad una prestazione complessa di facere (cioè gestire il fondo in conformità alla legge e al regolamento), che si traduce al momento del rimborso della quota in un diritto ad una prestazione di dare, questo sì costituendo un credito pecuniario.

Del resto, la stessa massima giurisprudenziale tramandata[68] dà conto di questa sfumatura laddove precisa che in presenza del certificato “cumulativo” “l’investitore è in possesso […] non di documenti equipollenti ad un titolo, ma solo del contratto di partecipazione al fondo, che dà conto della somma di denaro da lui versata nel fondo di investimento e corrispondentemente dell’entità delle quote di partecipazione allo stesso. E’, dunque, di tutta evidenza che, investendo nel fondo, l’investitore acquisisce soltanto un diritto di credito, rappresentato dall’obbligo della società di investimento di gestire il fondo e di restituirgli il valore delle quote di partecipazione” (enfasi aggiunta).

È vero che la complessità della prestazione del gestore e i connotati “partecipativi” della quota restano poco più che una sfumatura se si guarda alla quota di un fondo aperto, priva, come si è detto, di qualsivoglia diritto di natura amministrativa (fatta salva, ovviamente, la reazione verso la mala gestio della Sgr) e soprattutto che vede l’integrale versamento del controvalore in sede di emissione della quota. Il pegno, infatti, avrà quale contenuto economico il credito al rimborso della quota (cioè, semplificando, ad una frazione del valore di un “paniere” di strumenti finanziari), rappresentato o meno da un titolo (e si costituirà con le forme di volta in volta appropriate).

Ma è evidente che il “diritto di credito” alla prestazione gestoria della Sgr altro non è che la complessiva posizione contrattuale dell’investitore relativa al rapporto di partecipazione al fondo, disciplinato dal relativo regolamento, sorto con la sottoscrizione (o l’acquisto) della quota e obiettivato nella quota stessa, e ciò indipendentemente dal modo in cui questa viene “rappresentata” (certificato singolo o cumulativo)[69].

Nonostante dunque possibili diverse suggestioni, resta il fatto che oggetto del pegno sarà la quota come strumento finanziario, cioè un “bene” in cui è riassunto e oggettivato il rapporto di partecipazione. E ove si tratti di un fondo “a distribuzione” dei proventi, trattandosi di bene fruttifero (v. sopra, par. 5) sarà applicabile l’art. 2791 c.c. (“Se è data in pegno una cosa fruttifera, il creditore, salvo patto contrario, ha la facoltà di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale”)[70].

Se poi si considera la posizione del partecipante ad un fondo di tipo chiuso, la complessità del rapporto partecipativo (già in sé non riconducibile a un mero credito pecuniario) si fa ancora più evidente (come illustrato sopra, parr. 6 e 7). Qui la titolarità della quota implica infatti sia diritti amministrativi (il voto nell’assemblea dei partecipanti, la nomina dei componenti dell’advisory board) sia, soprattutto, la possibile presenza di un impegno, assunto all’atto della sottoscrizione, ad effettuare versamenti successivi in sede di richiamo degli impegni.

Dunque, la costituzione di pegno su quote di fondi chiusi dovrà fare i conti con questi aspetti (ove nulla dica il regolamento sul punto), disciplinando da un lato, ad es., il voto nell’assemblea dei partecipanti e dall’altro l’obbligo dei versamenti a liberazione delle quote. Sembrerebbe al riguardo, prendendo atto della possibile reciproca “contaminazione” rilevata in dottrina tra il modello contrattuale e quello statutario di Oicr[71], potersi applicare per analogia[72] l’art. 2352 c.c. dettato in materia di pegno sulle azioni, secondo cui il voto spetta, salvo patto contrario, al creditore pignoratizio e i versamenti vanno effettuati dal socio almeno tre giorni prima della scadenza, con diritto del creditore, in mancanza di tale versamento, di alienare le azioni.

Sul piano pratico, al partecipante che intenda costituire in pegno le proprie quote “immesse” nel certificato cumulativo, potrebbe convenire di chiedere l’emissione del certificato “singolo”, facoltà che dev’essergli sempre riconosciuta dal regolamento, sul quale ospitare l’annotazione del vincolo e delle altre suddette pattuizioni rilevanti per il rapporto partecipativo, evitando i possibili equivoci connessi alle forme del pegno su crediti.

Resta che ove il partecipante abbia scelto di non esercitare tale facoltà, alla Sgr toccherà solo ricevere la notifica della costituzione del pegno, ovvero accettarla, in entrambi casi ai sensi dell’art. 2800 c.c. come pegno di crediti.

Sembra difficile infatti che la Sgr e/o il depositario del fondo (al quale, si rammenta, è normativamente riconosciuta la “possibilità di procedere, senza oneri per il partecipante e per il fondo al frazionamento del cumulativo, anche al fine di separare i diritti dei singoli partecipanti”) possano motu proprio emettere il certificato singolo e così interferire nel meccanismo di perfezionamento scelto dalle parti del contratto di pegno[73], a meno che il regolamento, onde evitare che nel certificato cumulativo risultino promiscuamente immesse insieme a quelle libere anche quote vincolate, non preveda espressamente che ai fini della costituzione del pegno devono necessariamente essere emessi certificati singoli su cui annotare il vincolo.

In ultimo, con riguardo a fondi chiusi “riservati” di cui all’art. 1, comma 1, lett. m-quater), TUF, va tenuto presente che spesso il relativo regolamento contiene una clausola di gradimento (da esprimersi dalla Sgr, anche in ragione dei requisiti soggettivi dei partecipanti) in relazione agli atti dispositivi sulle quote, inclusa la loro costituzione in pegno. Di ciò occorrerà tenere conto, ai fini dell’opponibilità del vincolo alla Sgr.

9. Il pignoramento

Occorre ora considerare la situazione in cui la quota, quale elemento del patrimonio individuale del partecipante, venga aggredita in via esecutiva da un suo creditore particolare. E’ appena il caso di rammentare che, essendo il fondo un patrimonio separato sia da quello della Sgr sia da quello dei partecipanti, “Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi” (art. 36, comma 4, TUF)[74]. Per inciso, trattandosi di avviare un procedimento che mette capo alla vendita o all’assegnazione del bene pignorato, occorrerà confrontarsi con i limiti alla circolazione propri delle quote di fondi riservati di cui all’art. 1, comma 1, lett. m-quater), TUF[75]

Ora, il creditore procedente in via esecutiva “troverà” nel patrimonio del proprio debitore una quota e, così come nel caso di costituzione del pegno[76], ci si dovrà confrontare con le modalità adottate per la sua “rappresentazione”.

Anche qui, dunque, la situazione sarà diversa, a seconda che sia stato emesso un certificato “singolo” (o “individuale”) rappresentativo della stessa o sia stato emesso un titolo dematerializzato, oppure che la quota sia stata “immessa” nel certificato cumulativo.

9.1 Pignoramento di quote rappresentate da certificato “singolo”

Nel primo caso, ove il certificato sia detenuto dal debitore, l’esecuzione dovrà attuarsi attraverso il procedimento di espropriazione mobiliare presso il debitore, ai sensi degli artt. 513 ss. c.p.c. Il pignoramento si esegue mediante diretta apprensione del documento ed annotazione sullo stesso da parte dell’ufficiale giudiziario ex art. 1997 c.c., con successivo deposito in cancelleria a norma dell’art. 520 c.p.c. In caso di certificato nominativo, ai sensi dell’art. 2024 c.c. (secondo cui gli effetti del pignoramento nei confronti dell’emittente e dei terzi si verificano solo in seguito alla doppia annotazione del vincolo sul titolo e nel registro dell’emittente), sarà il custode, nominato ai sensi dell’art. 521 c.p.c., a chiedere alla Sgr, dietro presentazione del titolo pignorato, di eseguire l’annotazione anche nel registro dei partecipanti.

Laddove invece il certificato singolo si trovi presso soggetti diversi dal debitore, il creditore dovrà procedere con l’espropriazione presso terzi di cui agli artt. 543 ss. c.p.c., ove è disciplinato il pignoramento “di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi”, che si attua mediante atto notificato al terzo e al debitore, contenente tra l’altro l’intimazione al terzo (che ex art. 546 c.p.c. è soggetto agli obblighi del custode) di non disporre delle cose o delle somme senza ordine di giudice. Con tale atto, in quanto riferito espressamente al titolo quale oggetto di pignoramento[77], le quote risultano assoggettate all’azione esecutiva. Il terzo sarà poi chiamato nel corso del processo esecutivo a rendere una dichiarazione (ex art. 547 c.p.c.) per specificare di quali cose del debitore si trova in possesso e quando ne deve effettuare la consegna.

Non può peraltro escludersi che sia la stessa Sgr che gestisce il fondo a tenere in deposito il certificato singolo[78]. In tal caso, la Sgr avrà in quanto depositario il ruolo di “terzo pignorato”, con il conseguente obbligo di custodia del titolo nell’interesse della procedura esecutiva. In giurisprudenza si è peraltro ritenuto che lo stesso valga allorquando il certificato singolo sia in deposito presso la banca depositaria del fondo[79].

In ogni caso, l’effetto sarà di assoggettare al vincolo il titolo di credito rappresentativo della quota. Ed è quasi superfluo dire che con ciò verrà pignorato il titolo quale rappresentativo del complesso rapporto di partecipazione al fondo (con le relative implicazioni economiche che ne determineranno il valore), non diversamente da quanto avviene in caso di pignoramento di azioni di società, e non già il mero diritto di credito derivante da tale partecipazione.

9.2 Pignoramento di quote dematerializzate

Ove la quota sia rappresentata da un titolo dematerializzato, viene nuovamente in considerazione, come per il pegno, l’art. 83-octies TUF, secondo cui il vincolo si costituisce “unicamente mediante registrazione in apposito conto tenuto dall’intermediario”. In particolare, l’azione esecutiva dovrà essere promossa nelle forme del pignoramento presso terzi, ove il ruolo di terzo è attribuito all’intermediario incaricato della tenuta del conto in cui lo strumento finanziario è registrato[80].

9.3 Pignoramento di quote “immesse” nel certificato cumulativo

Laddove invece la quota sia stata immessa nel certificato cumulativo, mancherà un titolo (cartolare o dematerializzato che sia) rispetto al quale operare le formalità suddette.

In questo caso, l’unica strada a disposizione del creditore procedente sarà quella del pignoramento presso terzi poiché non vi è altro modo di assoggettare al vincolo la posizione contrattuale di partecipante al fondo, racchiusa nella quota[81].

Del resto, col pignoramento presso terzi venivano pacificamente pignorate le quote di S.r.l. prima della riforma del diritto societario[82] e col medesimo strumento si ritiene debbano essere pignorate anche le azioni di S.p.A. laddove la società abbia scelto, ex art. 2346, 1° comma, c.c., di non emettere titoli rappresentativi delle azioni stesse[83].

L’effetto del pignoramento presso terzi ovviamente non potrà essere diverso da quello dell’esecuzione che sarebbe stata attuata sul certificato singolo ove fosse stato emesso. Il risultato sarà anche qui di assoggettare al vincolo la quota quale strumento finanziario, riassuntivo della posizione contrattuale del partecipante nei confronti del fondo[84], piuttosto che l’espropriazione di un credito.

L’affermazione potrebbe apparire scontata, ma è necessaria per orientarsi ove sorgessero incertezze sull’oggetto del pignoramento, dovute alle caratteristiche dell’espropriazione presso terzi.

Questa, invero, è un procedimento congegnato per aggredire elementi del patrimonio del debitore non omogenei. Infatti, esso può riguardare sia, come si è visto, “cose” (come i titoli di credito) in possesso di terzi, sia crediti vantati dal debitore verso terzi. In tal caso il terzo viene in considerazione non come il depositario di una res, bensì come debitor debitoris. Tale promiscuità dell’oggetto, non necessariamente indicato con precisione nell’atto notificato ai sensi dell’art. 543 c.p.c.[85], e identificato con un procedimento complesso grazie alla cooperazione del terzo[86], potrebbe far sorgere il dubbio, in determinati casi, se l’elemento patrimoniale aggredito sia costituito da eventuali crediti vantati dall’esecutato verso la Sgr ovvero dalle quote del fondo dalla stessa gestito, intestate al partecipante.

Giova osservare che la vicenda del pignoramento presso terzi di quote immesse nel certificato cumulativo coinvolge la Sgr in qualità di terzo pignorato, chiamato a dichiarare ex art. 547 c.p.c. “di quali cose o somme è debitore” dell’esecutato[87].

Nello svolgere tale ruolo, che le compete non già quale depositario di titoli rappresentativi delle quote ma in quanto emittente delle quote stesse (cioè soggetto con il quale l’esecutato intrattiene il rapporto di partecipazione al fondo), la Sgr si presenterà come “debitore” delle prestazioni cui ha diritto l’esecutato in virtù del proprio rapporto di partecipazione al fondo.

Ancora una volta, in caso di fondo aperto, la situazione potrebbe apparire di fatto non dissimile da quella di un debitore di una somma di denaro: quella, cioè, corrispondente al valore di rimborso della quota. Va peraltro considerato che tale valore è mutevole, in dipendenza dell’attività di gestione (del patrimonio) del fondo, cosicché oggetto della dichiarazione di terzo sarà la titolarità in capo all’esecutato di un certo numero di quote, il cui valore continuerà a modificarsi con il tempo e non potrà certo essere cristallizzato al net asset value del fondo alla data di efficacia del vincolo. Tale valore si tradurrà in un credito pecuniario al momento del rimborso della quota, che può essere chiesto in ogni tempo (con la frequenza prevista dal regolamento del fondo aperto). Ovviamente, ove il fondo sia a distribuzione di proventi, il pignoramento si estenderà anche a questi, in quanto “frutti” del bene pignorato, ex art. 2912 c.c.

Giova osservare che se la quota fosse un mero credito, questo, all’esito dell’azione esecutiva, dovrebbe essere oggetto di assegnazione in pagamento come previsto dall’art. 553, 1° comma c.p.c. per i crediti immediatamente esigibili o di breve scadenza (ben potendosi assumere che l’esigibilità del credito entro 90 giorni, ivi prevista, sia di regola compatibile con la frequenza di rimborso delle quote di un fondo aperto), assegnazione che la stessa norma prevede “salvo esazione” (cioè pro-solvendo)[88] e dunque si dovrebbe assumere l’esistenza di un onere a carico dell’esecutante di chiedere il rimborso della quota prima possibile (altrimenti la gestione del fondo medio tempore tra l’assegnazione della quota e il suo rimborso, con le connesse oscillazioni di valore, andrebbe ingiustamente a rischio dell’esecutato).

Al contrario, riguardando la quota come un “bene” (riassuntivo del rapporto di partecipazione), avente un determinato valore, sarà più facile ricostruire l’esito dell’azione esecutiva nei termini dell’art. 552 c.p.c., secondo cui il giudice dell’esecuzione provvede per l’assegnazione (in questo caso satisfattiva e non pro-solvendo[89]) o la vendita delle cose mobili[90]. Ciò, tra l’altro, spiegherebbe meglio il fatto che l’assegnatario, quale nuovo partecipante, acquisisce il diritto ad agire nei confronti della Sgr per danni al patrimonio del fondo derivanti da mala gestio.

Ove poi si tratti della quota di un fondo chiuso, ancora soggetta al richiamo degli impegni, di fronte alla genericità dell’atto di pignoramento sarà ancora più difficile “appiattire” la posizione della Sgr su quella di un debitore di una somma di denaro determinata al momento del pignoramento.

Ove si ricostruisca la posizione dell’investitore (cioè la titolarità della quota) in termini di “mero diritto di credito”, infatti, se è vero che l’esigibilità di questo (di regola) al termine della vita del fondo già determina un trattamento simile a quello delle cose mobili (con l’alternativa tra assegnazione satisfattiva e vendita), grazie al rinvio operato dall’art. 553, 2° comma c.p.c. all’art. 552 c.p.c., è anche vero che il particolare atteggiarsi di un simile credito (a causa del sottostante rapporto partecipativo) rischia di determinare difficoltà in sede di “espropriazione del credito”.

Infatti, il partecipante al fondo chiuso ha sicuramente (come nel caso del fondo aperto) un credito ad una somma corrispondente al valore (pro-quota, appunto) che il fondo avrà al momento della sua liquidazione, quale risultato della gestione medio tempore posta in essere dalla Sgr. Risultato che non è in alcun modo giuridicamente garantito, e che nei casi più sfortunati (salva sempre la mala gestio della Sgr) ma forse meno remoti che per i fondi aperti[91] potrebbe addirittura azzerare il valore del fondo, e dunque il credito di rimborso relativo alla quota. Fin qui, il credito in questione, pur non essendo esigibile e risultando incerto nel suo ammontare, sembra mantenere i requisiti di idoneità alla soddisfazione del pignorante, necessari per la sua pignorabilità[92].

Tuttavia, questo credito del partecipante potrebbe poi essere contrappesato da un debito dello stesso nei confronti del fondo, ove il partecipante stesso si sia reso inadempiente nei confronti (oltre che dell’esecutante, anche) del fondo non onorando i richiami di impegni, ed eventualmente risulti debitore anche di una penale.

In un caso come questo, la considerazione della quota (nella specie, non rappresentata da un titolo di credito ma immessa nel certificato cumulativo) come “mero diritto di credito” è risultata inadeguata, tanto da aver indotto a sospendere l’esecuzione intrapresa sulla quota stessa, non risultando il credito certo e liquido[93].

Al contrario, sembra evidente che la quota di un fondo (non diversamente da una quota di S.r.l.) è la sintesi di un rapporto di partecipazione all’Oicr, che esiste in sé e come tale è espropriabile, mentre i rapporti di credito (ed eventualmente di debito, come si è visto possibile per i fondi chiusi) da questa derivanti in capo al partecipante hanno rilevanza solo per la determinazione in concreto del valore espropriato (così come la hanno il diritto ai dividendi o il debito per residui conferimenti nella S.r.l.), momento che attiene alla stima dell’oggetto del pignoramento, non già alla esperibilità dello stesso.

E sarebbe ben strano che la semplice adozione di una tecnica di documentazione della quota (certificato cumulativo) piuttosto che un’altra (certificato singolo, titolo di credito rappresentativo) potesse avere l’effetto sostanziale di infrangere l’unitarietà del rapporto partecipativo, frammentandolo nei singoli crediti/debiti che da questo sorgono.

Tra l’altro, un effetto paradossale di questa visione disarticolata della quota sarebbe che, una volta notificato l’atto di pignoramento presso terzi, il vincolo di indisponibilità che si produce ai sensi dell’art. 546 c.p.c., non starebbe a significare la semplice inefficacia verso il creditore procedente di atti di disposizione della quota ma potrebbe anche suscitare nel creditore la tentazione di invocare la inopponibilità di qualsiasi fatto sopravenuto a detta notificazione, che determini l’estinzione totale o parziale del credito, ex art. 2917 c.c. Dunque, ad es., in caso di inadempimento del partecipante al richiamo di impegni successivo al pignoramento, la penale eventualmente prevista dal regolamento del fondo non risulterebbe validamente compensabile (nei confronti del creditore procedente) con il valore di liquidazione della quota, come nella prassi dei regolamenti si prevede.

Per fare il punto del discorso, sembra chiarito che l’unico strumento disponibile al creditore per aggredire la quota immessa nel certificato cumulativo sia il pignoramento presso terzi, che però costituisce il pignoramento non di un credito ma di uno strumento finanziario che sintetizza un rapporto di partecipazione, a sua volta foriero di crediti (ed eventualmente di debiti).

Per inciso, va osservato che le incertezze sopra evidenziate, legate alle forme del pignoramento presso terzi, potrebbero essere praticamente superate ove, una volta ricevuta dalla Sgr la notifica del pignoramento, il depositario del fondo (e del certificato cumulativo) procedesse su istruzioni della Sgr allo scorporo della quota pignorata dal certificato cumulativo, con emissione del certificato singolo e contestuale annotazione del vincolo, così riconducendo la vicenda nell’ipotesi di pignoramento di titoli di credito, sopra richiamata sub par. 9.1. Ciò consentirebbe anche la circolazione della quota gravata dal vincolo, che in taluni casi può essere funzionale a risolvere situazioni in cui il partecipante si è reso inadempiente (anche) nei confronti del fondo, per richiami di impegni non onorati (ad es. in presenza di un acquirente della quota disposto a sistemare le diverse posizioni debitorie del partecipante esecutato). Tale soluzione si fonderebbe sulla già richiamata previsione del Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo VII, Paragrafo 2 secondo cui “L’immissione di quote nel certificato cumulativo deve inoltre garantire la possibilità per […] il depositario di procedere, senza oneri per il partecipante e per il fondo, al frazionamento del cumulativo, anche al fine di separare i diritti dei singoli partecipanti”[94].

Tornando ora ed esaminare l’atteggiamento della Sgr terzo pignorato, considerata la complessità del rapporto di partecipazione, in sede di dichiarazione di terzo la Sgr dovrà dare certamente conto delle quote detenute dall’esecutato nonché degli impegni eventualmente già richiamati e non ancora onorati, che, come visto sopra, costituiscono crediti esigibili del fondo e, correlativamente, debiti inerenti alla quota.

Di più. Detti crediti, come si è visto sopra (par. 7), entrano a far parte del valore complessivo netto del fondo, cosicché esso e, per derivazione, il valore unitario della quota rappresentato nei prospetti contabili del fondo, terrà conto dei crediti stessi[95].

Ovviamente, ove si attestasse una definitiva irrecuperabilità del credito per richiamo di impegni nei confronti di un dato partecipante, ciò si rifletterebbe in negativo sul valore del fondo stesso. Ma fino a tale esito, la quota avrà un dato valore, e alla stessa sarà indissolubilmente legato un debito, nascente dall’interno del rapporto di partecipazione al fondo.

Sembra dunque difficile ammettere che il creditore particolare del partecipante possa aggredire la quota, in senso lato “appropriandosi” del suo valore, senza tenere conto del contrappeso costituito dal debito in questione. Su questo valore incideranno altresì eventuali debiti nei confronti del fondo inerenti alla quota, derivanti da inadempimenti del partecipante.

Si pone poi il problema degli impegni non ancora richiamati alla data del pignoramento. Anche questi, come già detto, costituiscono crediti del fondo, i quali, salva diversa previsione del regolamento, possono considerarsi certi e liquidi, ma non ancora esigibili (e non computati nel net asset value del fondo). Si è detto sopra che l’impegno a onorare detti richiami è strettamente inerente alla quota e destinato a “circolare” insieme con questa. Esso è infatti sancito nel regolamento che disciplina il rapporto di partecipazione al fondo, nel quale subentrerà il successivo titolare della quota, e dà luogo ad una vera e propria posizione di credito del fondo, anche se subordinata al concreto venire in essere del richiamo. A fronte di tale credito, vi è un debito del partecipante (o meglio, inerente alla quota), che pure dovrà essere evidenziato in sede di procedura esecutiva sulla quota stessa, essendo destinato a gravare sull’assegnatario.

Tutti questi elementi andranno rappresentati in seno alla procedura esecutiva, beninteso non per aprire la discussione se un credito da espropriare vi sia e se e quanto sia certo e liquido, ma semplicemente per consentire una corretta stima del valore dell’oggetto dell’espropriazione.

[1] La vasta letteratura in materia è ampiamente richiamata da F. Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), fattispecie e forme, Egea, Milano, 2017 e, più di recente, da L. Iacumin, I fondi comuni di investimento, diritto sostanziale e processo, Trieste, 2020.

[2] La distinzione tra Oicr aperti e chiusi è approfondita da F.Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., pp. 104 ss. Essa rileva sul piano sia del rapporto di partecipazione, sotto il profilo della frequenza con cui si può “uscire” dall’investimento nell’Oicr, sia delle modalità dell’investimento del suo patrimonio (principalmente, con riguardo al grado di liquidità degli asset detenibili).

[3] Per un inquadramento di questi due modelli “di base”, quali quelli accolti nell’ordinamento italiano, anche rispetto ad altre forme di gestione collettiva del risparmio conosciute in altri ordinamenti (trust, partnership) v. F.Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., pp. IX ss.

[4] Per una sintetica ricostruzione del dibattito, v. F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Giappichelli, 2020, pp. 220 ss.; R. Costi, Il mercato mobiliare, Giappichelli, 2020, pp. 209 ss. Più ampiamente, v. F.Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., pp. 125 ss.; L. Iacumin, I fondi comuni di investimento, cit., pp. 30 ss. Qui interessa solo segnalare che tale dibattito è stato suscitato da problemi sorti perlopiù in relazione a vicende riguardanti proprio i fondi di tipo chiuso, sia mobiliari che immobiliari.

[5] Trib. Milano 11 maggio 2015, in Società, 2015, 2, pp. 1132 ss. (con nota di P. Giudici) nell’affrontare il tema della legittimazione, anche processuale, del gestore ad esercitare i diritti e ad adempiere gli obblighi ricollegati ai beni presenti nel fondo, sintetizza con chiarezza la ricostruzione derivante da un noto precedente di legittimità (Cass. 15 luglio 2010, n. 16605) individuando nel fondo un “patrimonio separato tanto da quello della SGR, quanto da quello di ciascun partecipante”, e qualificando il fenomeno “in termini di titolarità formale in capo alla SGR del patrimonio segregato nel fondo – dunque delle posizioni giuridiche attive e passive che lo compongono – e in capo ai partecipanti al fondo, della proprietà sostanziale. Dove la prima può definirsi in termini di diritto di disporre e non di godere di quei beni (con l’ulteriore vincolo di disporne a vantaggio dei partecipanti al fondo […]); e la seconda può definirsi in termini di diritto di godere dei beni del fondo e dei loro frutti (con la precisazione che tale diritto di godere può essere fatto valere solo indirettamente verso la SGR nelle forme e nei limiti contrattualmente previsti ed è comunque collegato al diritto della SGR di disporre, costituendo solo quantitativamente l’effetto dell’esercizio di quest’ultimo)”.

[6] Sono gli Oicr rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva 2009/65/CE, c.d. Direttiva UCITS, che sta per undertakings for collective investments in transferable securities (art. 1, comma 1, lett. m) e m-bis) TUF).

[7] Si tratta degli Oicr i cui gestori rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2011/61/UE, c.d. Direttiva AIFM, che sta per alternative investment fund managers (art. 1, comma 1, lett. da m-ter) a m-sexies) TUF). Sulla nozione di FIA e sulla distinzione tra aperti e chiusi e tra riservati e non riservati, v. ampiamente M. Cian, I FIA: osservazioni e interrogativi dal punto di vista del quadro del mercato e delle imprese finanziate, in Banca borsa e titoli di credito, 2017, fasc. 3, p. 293, e in particolare a p. 302.

[8] Esso infatti adempie agli obblighi di custodia degli strumenti finanziari ad esso affidati e alla verifica della proprietà nonché alla tenuta delle registrazioni degli altri beni. Detiene altresì le disponibilità liquide degli Oicr ovvero, se queste sono affidate a soggetti diversi, monitora i flussi di liquidità dell’Oicr.

[9] Nel prosieguo si utilizzerà questa sintetica espressione. Resta fermo che i riferimenti agli Oicr, ove presenti, andranno intesi al sottoinsieme costituito dai fondi.

[10] F. Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., p. 123 chiarisce che “Nessuno ha mai seriamente dubitato che lo schema che regge tali organismi sia, per l’appunto, quello di un contratto, che lega – in primis – la società di gestione, da un lato, e gli investitori, dall’altro. Dubbi sono però emersi, e tuttora sussistono – quantomeno nell’ordinamento italiano – riguardo alla posizione del depositario, in merito al quale – diversamente da quanto si riscontra in altri sistemi – si è discusso se esso sia, tecnicamente, parte del contratto che lega la SGR agli investitori, ovvero si configuri alla stregua di un terzo, che pur assume – nei confronti degli investitori e della SGR – determinati obblighi e responsabilità, secondo quanto previsto dalla legge: la conclusione alla quale giungere con riguardo a questo specifico profilo non modifica, peraltro, la ricostruzione di base dell’OICR contrattuale, come fatto squisitamente ed eminentemente negoziale”.

[11] Cioè distinta dal servizio di investimento di gestione di portafogli di cui all’art. 1, comma 5, lett. d), TUF (c.d. gestione individuale), in quanto “svolta nell’interesse e/o per conto di una collettività di investitori, considerati quale un unicum indifferenziato” così F. Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., p. 39, che connette questo connotato della gestione collettiva all’altro, qualificante, della “autonomia gestionale”. Sulle differenze tra gestione collettiva e individuale, v. M. Cossu, La “gestione di portafogli di investimento” tra diritto dei contratti e diritto dei mercati finanziari, Giuffré, Milano, 2002, pp. 93 ss.

[12] Ai sensi del Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo IV, Sezione II, il valore complessivo netto del fondo è pari al valore corrente alla data di riferimento della valutazione (determinato in base ai criteri ivi indicati) delle attività che lo compongono al netto delle eventuali passività. I criteri di valutazione del patrimonio del fondo sono indicati dalla Banca d’Italia, anche ai sensi dell’art. 6, comma1, lett. c), TUF, nel Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo IV, Sezione II.

[13] Tale calcolo è espresso nel “prospetto recante l’indicazione del valore unitario delle quote di partecipazione e del valore complessivo” del fondo, che il DM 30/2015 (artt. 2 e 3) prevede tra le scritture obbligatorie della Sgr, in aggiunta a quelle prescritte per le imprese commerciali dal codice civile, e che il Reg. Gestione Collettiva al Titolo IV, Capitolo V (e relativi schemi allegati) disciplina in dettaglio.

[14] Rapporto che attribuisce al suo titolare “il diritto a veder investite, secondo le regole stabilite dalla legge, dal regolamento e dalle prescrizioni di vigilanza, le somme versate, nonché il diritto alla restituzione di una somma di denaro pari alla frazione del valore del fondo rappresentata dal numero delle quote che lo stesso abbia acquistato o sottoscritto”: R. Costi, Il mercato mobiliare, cit., p. 207.

[15] Il regolamento dei FIA riservati, non soggetto ad approvazione della Banca d’Italia, va tuttavia inviato a quest’ultima (Reg. Gestione Collettiva, Titolo IV, Capitolo III, Sezione II, Paragrafo 15).

[16] Sul punto, con una accurata ricostruzione dell’evoluzione della disciplina in materia di assemblea dei partecipanti ai fondi chiusi, v. F. Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., pp. 139 ss. La prima previsione di tale assemblea si deve al comma 2-bis dell’art. 37 TUF, introdotto dalla l. 24 novembre 2003, n. 326, che invero da un lato contemplava competenze assembleari più ampie rispetto alla sostituzione del gestore, unica materia indicata dal nuovo comma 3 dell’art. 37 TUF oggi vigente e, dall’altro, si riferiva a tutti i fondi chiusi, mentre l’attuale norma si riferisce al regolamento dei fondi chiusi diversi dai FIA riservati. Sull’impatto dell’introduzione dell’assemblea dei partecipanti con competenza sulla sostituzione della SGR, v. P. Carriere, Problemi aperti di fund governance dei fondi chiusi, in Riv. dir. soc., 2011, p. 39.

[17] Al riguardo, il Reg. Gestione Collettiva, Titolo I, Capitolo II, Sezione II, nel perimetrare la relativa riserva di attività alle Sgr, precisa che “L’attività di gestione collettiva è svolta dal gestore in autonomia dai partecipanti agli OICR; i partecipanti, pertanto, non dispongono di poteri connessi alla gestione operativa dell’OICR e delle attività in portafoglio in conformità alla politica di investimento […]”.

[18] Ai sensi dell’art. 37, comma 2, lett. e), TUF il regolamento deve stabilire “i criteri relativi alla determinazione dei proventi e dei risultati della gestione nonché le eventuali modalità di ripartizione e distribuzione dei medesimi”. Si distinguono dunque i fondi “a capitalizzazione” o “ad accumulazione” dei proventi da quelli “a distribuzione” o “a ripartizione” degli stessi.

[19] Si preferisce qui parlare di “documentazione”, anziché di “rappresentazione”, poiché quest’ultimo termine rischia di indurre confusione sulla presenza o meno di una vera e propria incorporazione della quota in un documento avente natura di titolo di credito. Infatti, chiarito che il rapporto di partecipazione al fondo è certamente rappresentato da (cioè si sostanzia in) quote, altra questione è individuare le relative tecniche di legittimazione in capo ai partecipanti. La distinzione dei due piani è chiara ad es., con riguardo le azioni di società, laddove l’art. 2346, comma 1, c.c. stabilisce che: “La partecipazione sociale è rappresentata da azioni” e subito dopo prevede che “salvo diversa disposizione di leggi speciali lo statuto può escludere l’emissione dei relativi titoli o prevedere l’utilizzazione di diverse tecniche di legittimazione e circolazione”, dal che risulta che l’azione “rappresenta” il rapporto di partecipazione, ma la stessa può essere o meno “rappresentata” da titoli.

[20] Più chiara in questo senso era l’originaria formulazione (del 1998) dell’art. 36, comma 8, TUF secondo cui “Le quote di partecipazione ai fondi comuni, tutte di eguale valore e con eguali diritti, sono rappresentate dai certificati nominali o al portatore, a scelta dell’investitore”. L’attuale formulazione risale alla modifica apportata dall’art. 1 del d.lgs. n. 47 del 16 aprile 2012, evidentemente per tenere conto del possibile regime di dematerializzazione, cui si accennerà oltre.

[21] Le medesime regole ivi dettate sono peraltro riproposte laddove lo stesso Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo I, pone i criteri generali e il contenuto minimo del regolamento dei fondi (non riservati), al Paragrafo 4.3 (rubricato “Certificati di partecipazione”) ribadendo che il regolamento “disciplina le modalità con cui vengono emessi i certificati rappresentativi delle quote di partecipazione e se esse siano nominative o al portatore”.

[22] La norma parla di certificato “singolo”, ma ciò va inteso non nel senso che rappresenta una sola quota, ben potendo rappresentare più quote di uno stesso partecipante: in questo senso forse l’espressione più appropriata sarebbe certificato “individuale”.

[23] Tale opzione è da tempo prevista nella disciplina regolamentare, e da ultimo trasfusa nel Reg. Gestione Collettiva. In generale, v. C. Gandini, Partecipazione a fondi comuni di investimento e certificato “cumulativo”, in Banca, borsa e titoli di credito, 1996, I, p. 477

[24] Nel citato Titolo V, Capitolo I, Paragrafo 4.3. si precisa: quote “di pertinenza di una pluralità di sottoscrittori”.

[25] Si precisa altresì che “Le quote presenti certificato cumulativo possono essere contrassegnate anche soltanto con un codice identificativo elettronico, ferma restando la possibilità del depositario di accedere alla denominazione del partecipante in caso di emissione certificato singolo o al momento del rimborso della quota”.

[26] C. Gandini, Partecipazione a fondi comuni, cit., p. 480, nt. 8 segnala che i costi “sono prevalentemente quelli inerenti alla ‘lavorazione’ dei certificati da parte della banca depositaria del fondo: presso di essa, infatti, sono necessariamente accentrate le operazioni di emissione e di estinzione dei certificati a fronte, rispettivamente, della sottoscrizione di quote e della richiesta di rimborso delle stesse da parte degli investitori”, mentre i rischi “sono tipicamente quelli dello smarrimento, della sottrazione e della distruzione dei certificati”.

[27] Chiariscono questa distinzione F. Mastropaolo ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale mediante pegno di beni mobili, di crediti, di moneta, di azienda, ne I contratti di garanzia, a cura di F. Mastropaolo, Tomo II, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Utet, Torino, 2006, pp. 1442 s.

[28] Vedi F. Mastropaolo ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale, cit., p. 1443, per i quali partendo dagli elementi strutturali posti dalle disposizioni richiamate “si arriva a desumere che il certificato unico [cioè cumulativo, n.d.r.], nel caso rappresenti una pluralità di quote di fondi di investimento, non sia equiparabile ad un titolo di credito in quanto manca degli elementi propri di questa categoria, in particolare della destinazione alla circolazione. Se il certificato non è allora un titolo di credito, il credito restitutorio che il quotista ha nei confronti del fondo comune di investimento e che per la disciplina dei titoli di credito dovrebbe essere rappresentato su di un supporto cartaceo, mancando tale supporto, rimane un puro credito”.

[29] Il richiamo è al regime di gestione accentrata in regime di dematerializzazione, che in precedenza trovava disciplina nel d.lgs. 24 giugno 1998, n. 213 (c.d. Decreto Euro), poi rifluito nel TUF, Parte III, Titolo II-bis, Capo IV, Sezione I: artt. 83-bis ss.,

[30] Tale disciplina da un lato si coordina con quella di livello europeo in materia di attività di gestione accentrata (regolamento (UE) n. 909/2014; direttiva 2007/36/CE) e dall’altro trova attuazione nel Provvedimento unico sul post-trading della Consob e della Banca d’Italia del 13 agosto 2018 (“Disciplina delle controparti centrali, dei depositari centrali e dell’attività di gestione accentrata centrali e dell’attività di gestione accentrata”).

[31] Per il regime di dematerializzazione facoltativa v. art. 83-bis, comma 3, TUF nonché art. 34 del citato Provvedimento sul post-trading.

[32] La dematerializzazione peraltro risulta scarsamente utilizzata per le quote di fondi aperti (ovviamente, non quotati), forse anche a causa dell’assetto della distribuzione di questi “prodotti”, nel quale è forte il legame tra i collocatori e i loro clienti. Al riguardo, F.Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., p. 155, pur constatato che “L’immissione nel certificato cumulativo rende malagevole la circolazione delle quote dei fondi comuni aperti”, segnala le difficoltà di accedere in questo campo alla dematerializzazione e che questa “avrebbe contribuito a frenare la possibilità dei partecipanti di trasferire la propria posizione da un collocatore ad un altro conservando l’investimento in quote di fondi aperti sottoscritte presso il primo”.

[33] In alternativa potrebbe, astrattamente, essere prevista una sottoscrizione in natura. La norma citata infatti così prosegue: “o, nel caso in cui il regolamento o lo statuto dell’Oicr lo preveda, mediante conferimento di strumenti finanziari negoziati in un mercato regolamentato e per i quali i volumi di negoziazione siano rilevanti e la frequenza degli scambi sia tale da consentire la formazione di prezzi significativi.”

[34] La previsione di una “sottoscrizione mediante versamento” sembrerebbe sottintendere un vero e proprio carattere reale del negozio di sottoscrizione della quota. In questa direzione andrebbero anche le disposizioni dei regolamenti dei fondi aperti che tendono ad assicurare l’emissione delle quote solo a fronte dell’effettivo versamento del controvalore: v. ad es. lo schema di regolamento semplificato, sub all. V.1.1 al Reg. Gestione Collettiva, parte c), par. I.1, dove si prevede che la sottoscrizione di quote può avvenire “solo” a fronte del versamento di un importo corrispondente al valore delle stesse (punto 1) e il numero di quote sottoscritte si determina dividendo l’importo del versamento per il valore unitario della quota al giorno di riferimento (punto 4), questo essendo “il giorno in cui decorrono i giorni di valuta riconosciuti al mezzo di pagamento” utilizzato per il versamento. Tuttavia, si tratta a ben vedere di una mera (tendenziale) simultaneità tra versamento e corrispondente emissione della quota, certamente più che consueta nel caso di fondi aperti, ma che non condiziona giuridicamente l’emissione della quota all’effettivo versamento, come risulta dallo stesso richiamato schema di regolamento, che al punto 9 prevede: “In caso di mancato buon fine del mezzo di pagamento, la SGR procede alla liquidazione delle quote assegnate e si rivale sul ricavato che si intende definitivamente acquisito, salvo ogni maggiore danno”. In questo senso, è corretto affermare che “[c] con l’adesione al regolamento di gestione, l’investitore perfeziona la sua partecipazione al fondo” (S. Amorosino, Manuale di diritto del mercato finanziario, Milano, 2014, p. 157) anche se questo aspetto, come si vedrà, è decisamente più evidente nel caso di sottoscrizione di quote di fondi chiusi.

[35] Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo IV, Sezione III.

[36] Infatti, “la natura [aperta o chiusa] dell’OICR reagisce sulle categorie di beni nei quali può essere investito il relativo patrimonio, e viceversa” (F. Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., p. 103). Il DM 30/2015 indica i beni in cui può essere investito il patrimonio degli Oicr italiani aperti, per quanto riguarda gli Oicvm con rinvio alla Direttiva 2009/65/CE, cioè essenzialmente valori mobiliari e strumenti del mercato monetario quotati o quotandi (art. 7) e per i FIA aperti limitando il campo agli strumenti finanziari quotati e depositi bancari di denaro nonché, in misura non superiore al 20 per cento, strumenti finanziari non quotati. In entrambi casi, valgono i limiti e criteri stabiliti dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. c), TUF (criteri e divieti relativi all’attività di investimento; norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio): v. Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo III, Sezione II per gli Oicvm  e Sezione III per i FIA aperti non riservati. Da notare che i fondi aperti non riservati hanno (a differenza dei riservati e dei chiusi) una capacità di indebitarsi molto limitata (v. Paragrafo 6.4 della Sezione II).

[37] Tale qualificazione è corretta nel senso che chiarisce la natura del rapporto tra l’investitore e i beni oggetto della gestione collettiva, posto che “Il diritto del partecipante al fondo è un mero diritto di credito privo di ogni connotato di realità” (corsivo aggiunto: così M. Cossu, La “gestione di portafogli di investimento”, cit., p. 101), in ciò differenziandosi dalla posizione del cliente del servizio di gestione di portafogli “individuale”.

[38] Non sembra infatti potersi dire che i proventi costituiscano il corrispettivo del godimento della somma apportata al fondo, e dunque che si tratti di “frutti civili” ai sensi dell’art. 820, comma 2, c.c., a parte il fatto che la loro entità non è predeterminata in un determinato “tasso” in ragione del tempo. Ne consegue che il diritto alla percezione dei proventi sarà soggetto alla prescrizione ordinaria e non a quella quinquennale ex art. 2948, n. 4), c.c.

[39] I frutti naturali, ai sensi dell’art. 820, comma 1, c.c., sono “quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere”.

[40] Si tratta invero di una questione dibattuta. Per la natura di frutti naturali dei dividendi v. F. Ferrara- F. Corsi, Imprenditori e società, XIII ed., Giuffré, 2006, p. 251, contra: G. E. Colombo, Il bilancio di esercizio, in Tratt. delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Vol. 7, Tomo I, Bilancio d’esercizio e consolidato, UTET, 1994, pp. 525 ss. Pur risultando la prima tesi minoritaria, si rileva che nonostante le diffuse argomentazioni contro la riconduzione dei dividendi ai frutti civili, la giurisprudenza si è indotta a negare loro, poco comprensibilmente, sia l’una che l’altra natura: v. S. Cassani, L’acquisto a non domino di titoli azionari, in Società, 2014, 10, pp. 1086 s. (a commento di Trib. Roma 18 aprile 2013).

[41] V., al riguardo, P. Spolaore, Gestione collettiva del risparmio e responsabilità, in Riv. soc., 2015, p. 1149. Si ritiene in dottrina e giurisprudenza che l’azione risarcitoria del partecipante non possa dirigersi direttamente contro gli amministratori della Sgr: sul punto, v. P. Giudici, commento a Trib. Milano 11 maggio 2015, in Società, 2015, 10, pp. 1411 ss. Nello stesso senso, (e a commento della medesima sentenza) L. Iacumin, L’azione sociale di responsabilità esperita dalla S.G.R. a tutela del fondo gestito, in Giur. it., 2016, 1, pp. 91 ss.

[42] L’art. 10 DM 30/2015 impone la forma chiusa per i FIA italiano il cui patrimonio è investito in strumenti finanziari non quotati in misura superiore al 20 per cento ovvero in altri beni ammessi (in generale: asset immobiliari, crediti o altri beni). Anche qui valgono peculiari limiti e criteri stabiliti dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 6, comma1, lett. c), TUF (criteri e divieti relativi all’attività di investimento; norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio per gli Oicr diversi dai FIA riservati): v. Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo I, Sezioni V e VI. A differenza dei fondi aperti (non riservati), ai fondi chiusi è consentito un significativo ricorso alla leva finanziaria, non solo per i riservati (Sezione VI) ma anche, con certi limiti (10% del valore complessivo netto del fondo) per i non riservati (Paragrafo 6.2 della Sezione V).

[43] Ai sensi dell’art. 11, comma 3, DM 30/2015: “Il regolamento o lo statuto del FIA può prevedere la possibilità che le quote o le azioni siano rimborsate anticipatamente nei seguenti casi: a) su iniziativa del gestore, a tutti i partecipanti, proporzionalmente alle quote o alle azioni da ciascuno possedute; b) su richiesta dei singoli partecipanti, per un ammontare non superiore alle somme acquisite attraverso nuove emissioni e, per i FIA per cui non sia prevista la quotazione in un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, per un ammontare non superiore ai prestiti contratti dal fondo, purché non eccedenti il 10 per cento del valore del FIA. Nel caso in cui il fondo effettui nuove emissioni, i rimborsi anticipati hanno luogo con la medesima frequenza ed in coincidenza con le emissioni stesse e alla stessa data è prevista la determinazione periodica del valore delle quote o delle azioni del FIA. Nel caso in cui le somme necessarie per effettuare i rimborsi eccedano quelle acquisite attraverso le nuove emissioni ed i prestiti consentiti, i rimborsi anticipati avvengono proporzionalmente secondo i criteri stabiliti nel regolamento o nello statuto del FIA al fine di assicurare la parità di trattamento dei partecipanti”.

[44] Infatti, il Reg. Gestione Collettiva, Titolo V, Capitolo I, Paragrafo 4.2.2, prevede che: “Il regolamento indica i casi e le modalità con cui possono essere effettuati, prima del termine di durata del fondo: – rimborsi parziali pro quota a fronte di disinvestimenti; – rimborsi anticipati di quote a fronte di nuov[e] emissioni di quote, specificando i criteri in base ai quali sono soddisfatte le richieste in caso di domande di rimborso eccedenti quelle di nuove sottoscrizioni”.

[45] Per i FIA riservati la sottoscrizione è possibile anche mediante un apporto in natura. Al riguardo, v. art. 10, comma 6, DM 30/2015: “I partecipanti a un FIA chiuso o a un suo eventuale comparto versano un importo corrispondente al valore delle quote o delle azioni sottoscritte; tale importo può essere costituito da crediti certi, liquidi ed esigibili detenuti nei confronti del fondo. I partecipanti a un FIA riservato possono altresì sottoscrivere le quote o le azioni del FIA riservato o di un suo comparto mediante conferimento di beni in natura o di crediti”.

[46] Termine di regola non superiore a 24 mesi dalla conclusione positiva della procedura di commercializzazione di cui agli artt. 43 (per i FIA riservati) e 44 (per i FIA non riservati) del TUF. In caso di offerta al pubblico, il termine decorre dalla pubblicazione del prospetto ai sensi dell’art. 94, comma 1, TUF: v. art. 10, commi 3 e 4 DM 30/2015.

[47] Di ciò, ad es., tiene conto ad un particolare fine lo stesso Reg. Gestione Collettiva laddove (Titolo V, Capitolo III, Sezione VI) con riguardo agli investimenti dei FIA riservati, prescrive che “Nel caso di FIA che investono in crediti, l’investimento in crediti verso una stessa controparte non può eccedere il 10 per cento dell’importo maggiore tra il totale delle attività del fondo e il valore del patrimonio inclusivo degli impegni dei sottoscrittori a effettuare il versamento a richiesta”.

[48] Si rammenta che ai sensi dell’art. 2344 c.c. gli amministratori possono in ogni tempo richiamare i centesimi residui e, in caso di inadempimento, far valere anche giudizialmente il relativo credito o in alternativa provocare l’alienazione delle azioni non liberate, ovvero ancora, in mancanza di acquirenti, dichiarare decaduto il socio moroso, trattenendo le somme ricosse, salvo il risarcimento dei danni. A seguito della decadenza le azioni, se non possono essere rimesse in circolazione entro l’esercizio, devono essere estinte con corrispondente riduzione del capitale sociale. Meccanismo simile, mutatis mutandis, è previsto dall’art. 2466 c.c. per la mancata esecuzione dei conferimenti nelle S.r.l.

[49] Fermo restando che il regolamento potrà prevedere una disciplina del quotista moroso modellata sull’art. 2344 c.c., come suggerito da F. Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., p. 165.

[50] In tale sede, si potrà tra l’altro valutare se e in che misura ispirarsi al meccanismo della responsabilità solidale dell’alienante stabilito per il trasferimento di azioni non liberate dall’art. 2356 c.c.

[51] F. Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., p. 165 precisa che “in assenza di previsioni specifiche rinvenibili nel regolamento del fondo, si applicheranno, innanzitutto, i rimedi invocabili nella materia dei contratti. La SGR, quindi, di fronte all’inadempimento, potrà agire per il recupero di quanto ancora dovuto oppure dichiarare risolto il contratto, salvo il risarcimento dell’eventuale danno subito dal fondo […]. La risoluzione del rapporto con il quotista comporterà altresì i tipici effetti restitutori conseguenti alla relativa pronuncia: gli eventuali richiami già eseguiti a fronte delle quote già sottoscritte andranno dunque restituiti al quotista; le corrispondenti quote andranno annullate.” L’Autore poi considera le possibili previsioni del regolamento in materia di quotista moroso, tra cui quelle indicate in appresso nel testo.

[52] Sull’oggetto del pegno v. G. Gorla – P. Zanelli, Pegno, ipoteche, in Commentario Scialoja Branca, Bologna – Roma, 1992 pp. 28 ss.; A. Montel, Pegno (diritto vigente), in Noviss. Dig. It., Vol. XII, s.d. (ma 1965), pp. 788 ss.

[53] Si rimanda alla definizione di titolo di credito data da A. Asquini, Titoli di credito, Padova, 1966, p. 49, come : “il documento di un diritto letterale destinato alla circolazione, idoneo a conferire in modo autonomo la titolarità di tale diritto al proprietario del documento, e necessario e sufficiente per legittimare il possessore all’esercizio del diritto stesso”. La destinazione alla circolazione, quand’anche non fosse ritenuto il dato immediatamente qualificante il titolo di credito, è comunque ritenuto esserne un indice presuntivo (F. Martorano, Titoli di credito, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 2002, p. 165.

[54] Su cui v. sopra, par. 4.

[55] V. anche art. 56 del Provvedimento unico sul post-trading della Consob e della Banca d’Italia del 13 agosto 2018, secondo cui “1. L’intermediario accende appositi conti destinati a registrare per ogni titolare di conto gli strumenti finanziari di sua pertinenza gravati da vincoli. Tali conti devono contenere le seguenti indicazioni: a) data dell’iscrizione; b) specie degli strumenti finanziari; c) natura del vincolo ed eventuali altre indicazioni supplementari; d) causale dell’iscrizione e data dell’operazione oggetto di iscrizione; e) data di costituzione del vincolo e indicazione delle specifiche numeriche dei certificati, se la costituzione del vincolo è anteriore all’immissione degli strumenti finanziari nella gestione accentrata; f) quantità degli strumenti finanziari; g) titolare degli strumenti finanziari; h) beneficiario del vincolo e indicazione, ove comunicata, dell’esistenza di convenzione fra le parti per l’esercizio dei diritti; i) eventuale data di scadenza del vincolo. 2. La documentazione rilasciata dall’intermediario in favore dei soggetti legittimati all’esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari reca l’annotazione dell’eventuale esistenza di vincoli sugli strumenti finanziari”.

[56] L’art. 57 del Provvedimento unico sul post-trading della Consob e della Banca d’Italia del 13 agosto 2018 prevede infatti che: “Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 83-octies, comma 2, del TUF l’intermediario può accendere specifici conti destinati a consentire la costituzione di vincoli sul valore dell’insieme degli strumenti finanziari in essi registrati. Tali conti devono contenere le seguenti indicazioni: a) data di accensione del conto; b) natura del vincolo ed eventuali altre indicazioni supplementari; c) data delle singole movimentazioni e indicazione della specie, quantità e valore [enfasi aggiunta] degli strumenti finanziari presenti nel conto; d) data di costituzione del vincolo sugli strumenti finanziari; e) titolare degli strumenti finanziari; f) beneficiario del vincolo e indicazione, ove comunicata, dell’esistenza di convenzione fra le parti per l’esercizio dei diritti; g) eventuale data di scadenza del vincolo”.

[57] Al riguardo v. F. Mastropaolo  ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale, cit., pp. 1448 ss. con riferimento alle norme previgenti (art. 34, comma 2, Decreto Euro, art. 46 Regolamento Mercati della Consob) poi sostituite dalle disposizioni in commento. Gli Autori evidenziano che “L’oggetto del pegno, cioè la garanzia, sarà così il valore del conto o iscritto in conto, cioè l’insieme degli strumenti finanziari ivi contabilizzati; qualunque sostituzione o integrazione degli strumenti finanziari sarà possibile senza effetti novativi e quindi senza che venga alterata la data iniziale del pegno stesso”.

[58] Identificano con puntuale disamina le differenze tra questo “pegno di valore”, fondato sulle norme ora richiamate, e il “pegno rotativo”, frutto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, F. Mastropaolo ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale, cit., pp. 1454 ss.

[59] In attuazione della dir. 2002/47/CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria, come modificato dal d.lgs. 24 marzo 2011, n. 48 del 2011. Per garanzie finanziarie si intendono le garanzie – anche di tipo pignoratizio – aventi ad oggetto contante, strumenti finanziari o crediti costituite a fronte di obbligazioni finanziarie (cioè obbligazioni pecuniarie o di consegna di strumenti finanziari) allorché le parti contraenti abbiano determinate qualifiche soggettive. Anche qui la disciplina positiva consente forme di dinamicità nell’oggetto del pegno per mezzo di “clausole di integrazione” e di “clausole di sostituzione”.

[60] La pronuncia di merito edita più risalente è Trib. Verona 10 maggio 1994 (in Banca, borsa e titoli di credito, 1995, II, p. 749): a garanzia di un debito del partecipante era stato costituito il pegno sulle quote di un fondo – immesse nel certificato cumulativo – con le forme del pegno di crediti ex art. 2800 c.c. Successivamente il debitore “aveva disposto dell’oggetto del pegno vanificando la garanzia prestata” e dunque il creditore aveva convenuto la società di gestione del fondo (ora Sgr) chiedendo il risarcimento del danno. Il giudice, pur dando correttamente atto che i certificati rappresentativi delle quote (s’intende, ove emessi) hanno natura di titoli di credito, ne traeva la (erronea) conclusione che il vincolo sulle quote potesse costituirsi unicamente con le forme del pegno su detti titoli (cioè ex art. 1997 c.c.) e che, anche se le quote risultassero immesse nel certificato cumulativo, il pegno costituito ex art. 2800 fosse invalido. Non considerando che le quote esistono indipendentemente dalle diverse modalità con cui possono essere documentate (per ognuna delle quali va rintracciata la modalità appropriata di costituzione del vincolo) il Tribunale osservava che il debitore “avrebbe dovuto richiedere un certificato autonomo […] contenente le proprie quote e trasferirne il possesso al proprio creditore, oppure richiedere un certificato nominativo ed operare poi secondo quanto disposto per la costituzione di pegno su tale categoria di titoli” così respingendo la domanda del creditore. La Corte di Appello di Venezia (come riporta la sentenza di legittimità citata alla nota successiva) riformava sul punto la sentenza veronese, statuendo che il certificato cumulativo non costituisce un titolo di credito e (proprio per questo) il pegno sulle quote in questione, immesse nel certificato cumulativo, si era validamente perfezionato con le forme di cui all’art. 2800 c.c., accogliendo la domanda del creditore.

[61] Cass. 14 luglio 2003, n. 10990, che respingeva il ricorso della Sgr avverso la sentenza di appello citata alla nota precedente.

[62] Rectius, le quote di una pluralità di partecipanti immesse nel cumulativo.

[63] Con il corollario, evidenziato da App. Milano 23 settembre 1997 (in Banca, borsa e titoli di credito, 1998, II, p. 401, con nota di C. Stingone), che “Dopo la notifica della costituzione in pegno, il credito oggetto della garanzia (nella specie: quote di fondi comuni di investimento mobiliare) non è più esigibile dal concedente, ma rimane vincolato a favore del creditore pignoratizio, con la conseguenza che il titolare non può rinunciarvi né novarlo”.

[64] Cass. 27 dicembre 2011, n. 28900.

[65] Cass. 24 maggio 2019, n. 14325.

[66] F. Mastropaolo ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale, cit., p. 1443.

[67] F. Mastropaolo ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale, cit., p. 1464.

[68] Cass. n. 10990/2003, cit.

[69] Al riguardo si è rilevato esplicitamente che “se il titolo di credito è strumento essenzialmente preordinato a soddisfare esigenze di circolabilità della posizione soggettiva menzionata nella chartula, è chiaro che le parti del rapporto possono decidere di non valersene, qualora siffatte esigenze non rilevino. In tale prospettiva, la partecipazione al fondo appare idonea ad atteggiarsi anche come posizione contrattuale avulsa da una rappresentazione documentale” (C. Gandini, Partecipazione a fondi comuni di investimento e certificato “cumulativo”, cit. p. 524).

[70] Regola simile è posta dall’art. 2802 c.c. per il caso di pegno di credito, che attribuisce al creditore pignoratizio il dovere (e non la facoltà) di riscuotere gli interessi imputandoli allo stesso modo, ma si è visto sopra al par. 5 come i proventi in questione siano difficilmente assimilabili agli interessi.

[71] V. F. Annunziata, Gli organismi di investimento collettivo, cit., p. XIII e p. 122, ove si osserva come “il modello contrattuale risulti, per diversi aspetti, influenzato da schemi propri del diritto societario e, quindi, dalle regole che governano (salvo deroghe) gli OICR statutari. Una situazione speculare pare, peraltro, osservabile là dove si consideri il modello statutario di OICR, che risulta – nel contesto della disciplina sulla gestione collettiva – profondamente modificato per effetto di impostazioni e schemi che provengono dallo schema tipico del fondo comune di investimento. L’individuazione di tali punti di contatto (così come delle eventuali antinomie) si mostra di interesse non soltanto […] per una miglior comprensione del fenomeno OICR e delle due forme organizzative di base nelle quali lo stesso si articola nel sistema italiano, ma anche perché, a nostro avviso, può a tratti giustificare l’applicazione, anche in via analogica o estensiva, all’uno e/o all’altro modello, di regole proprie della disciplina, di volta in volta, propria della forma contrattuale o statutaria”.

[72] La questione dell’applicazione analogica di (almeno alcune) norme dettate in materia di società al fine di colmare lacune del regolamento è stata affrontata dalla giurisprudenza di merito, con riguardo al particolare profilo della disciplina dell’impugnazione delle delibere dell’assemblea dei partecipanti, con risposte ora negative (Trib. Padova, 7 settembre 2018, in Società, 2019, n. 7, p. 866) ora positive, in quest’ultimo caso con richiamo alla disciplina delle S.p.A., valorizzando la circostanza che “La netta cesura esistente […] tra la figura del quotista e quella della società di gestione, essendo rimesso in via esclusiva alla seconda tutte le scelte di investimento e, appunto, di gestione del Fondo, con esclusione di qualsiasi ingerenza diretta da parte dei quotisti, assimilabili a tutti gli effetti a dei veri e propri soci di capitale, evoca in qualche modo la logica strutturale delle società per azioni” (Trib. Milano 14 settembre 2018, in Società, 2019, n. 7, p. 855). Si tratta di questione ben diversa dal regime delle quote costituite in pegno, tuttavia sembra possibile evocare le suggestioni a favore della tesi affermativa, ulteriormente arricchite da chi ha commentato adesivamente la decisione (v. E. Guffanti, L’assemblea dei partecipanti nei fondi chiusi, in Società, 2019, pp. 860 ss.), per argomentare anche con riguardo al tema che ci occupa l’applicazione in via analogica di una disposizione dettata per le S.p.A.

Resta, beninteso, ferma la netta distinzione tra il fondo e il fenomeno societario, che si manifesta ad esempio con riguardo all’azione di responsabilità: al riguardo, viene correttamente affermato che “Il partecipante ha un’azione diretta contro la SGR, che è il soggetto che per legge gestisce il fondo in forza del regolamento. L’azionista di società, invece, non può ovviamente agire in proprio contro la società in caso di illiceità nella gestione del patrimonio sociale, ma può soltanto promuovere l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori” (P. Giudici, in nota a Trib. Milano 11 maggio 2015, cit., p. 1142)

[73] Questa è la ragione per cui, ad avviso di chi scrive, non è possibile, in assenza di apposita previsione del regolamento, un’automatica emissione del certificato singolo su cui formalizzare il pegno. Sembrano giungere alla stessa conclusione F. Mastropaolo ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale, cit., p. 1464, ma per un diverso, e non condivisibile, argomento fondato su una restrizione del campo di significato del “frazionamento” del cumulativo. Gli Autori osservano infatti che “il termine ‘frazionamento’ sta ad indicare ed è funzionalmente dedicato all’individuazione delle parti del certificato unico corrispondenti alla quota del partecipante da sottoporre a vincolo e non ad un’uscita delle sue quote dal sistema, previsto dal certificato cumulativo”. Tale ragionamento sarebbe tale da inibire lo scorporo in un certificato singolo anche in sede di pignoramento, ma si vedrà trattando di questo come l’argomento si presti a critiche: v. infra, par. 9.

[74] E’, questo, un riflesso dell’“autonomia” del patrimonio dell’Oicr. Per una disamina dei connotati della separazione patrimoniale propria degli Oicr v. L. Bullo, Trust, destinazione patrimoniale ex art. 2545 ter c.c. e fondi comuni di investimento ex art. 36, comma 6°, del TUF: quale modello di segregazione patrimoniale? In Riv. Dir. Civ., 2012, 4, 10535.

[75] Secondo l’art. 14, comma 7, DM 30/2015, dette quote non possono essere collocate, rimborsate o rivendute (direttamente o nell’ambito della prestazione del servizio di gestione di portafogli) a soggetti diversi da quelli indicati nel regolamento. Con riferimento all’antecedente di tale disposizione (art. 15, comma 4, D.M. 24 maggio 1999 n. 228) è stato ritenuto che il negozio avente ad oggetto il trasferimento di quote in violazione dei suddetti limiti alla circolazione sia nullo ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., in quanto contrario a norme imperative di legge: v. M. Verderio, I fondi riservati, ne I contratti del mercato finanziario, a cura di E. Gabrielli e R. Lener, Tomo II, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Utet, Torino, 2004, pp. 715 ss. La questione dell’alienazione delle quote in sede esecutiva potrebbe essere risolta con l’applicazione analogica dell’art. 2471, comma 3, c.c., riferito all’espropriazione di quote di S.r.l., secondo cui: “Se la partecipazione non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano della quota stessa, la vendita ha luogo all’incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall’aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo”. Tale disposizione (nella formulazione del previgente art. 2480, comma 3, c.c.) è ritenuta applicabile anche alle azioni di S.p.A. (v. Cass. 7 novembre 2002, n. 15605).

[76] Tenuta anche presente la considerazione unitaria, nel sistema del codice civile, dei vincoli consensuali e non (v. Cass. 20 gennaio 2017, n. 1588).

[77] La differenza, in sede di pignoramento presso terzi, tra certificati rappresentativi di quote tenuti in deposito dal terzo e crediti del partecipante verso quest’ultimo è alla base di una decisione di merito (Trib. Bari, Sez. II, 17 maggio 2020, n. 1747, in De Jure). In questo caso, il pignoramento aveva ad oggetto “tutte le somme depositate presso” una banca, ove il debitore aveva in deposito quote di un fondo aperto. La banca, quale terzo pignorato, aveva dichiarato di non considerare i titoli (che la sentenza con una svista qualifica “azionari”) come colpiti dal pignoramento, considerato il tenore letterale dell’atto di pignoramento, avente ad oggetto “somme”. La sentenza così accoglie l’argomentazione della banca: “E’ indubbio che, per la volontà manifestata dal creditore, e per le modalità di apposizione del vincolo, il pignoramento sia caduto esclusivamente sulle somme depositate presso l’istituto bancario, e non anche su beni diversi dal danaro, quali debbono considerarsi le quote di fondi comuni di investimento. Queste rappresentano valori mobiliari, che hanno una individualità propria sul piano economico e giuridico e che non sono assimilabili quindi alle somme di danaro […] Deve di conseguenza escludersi che il pignoramento espressamente eseguito su somme di danaro (ovvero su crediti pecuniari verso il terzo) possa automaticamente intendersi esteso, o comunque estendersi, a cose diverse dalle somme di denaro. Va quindi escluso, in concreto, che il pignoramento sia caduto sui titoli azionari, dei quali l’istituto di credito si è dichiarato depositario”.

[78] Ciò è possibile laddove la Sgr abbia scelto, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. d), TUF di “prestare i servizi accessori di cui all’Allegato I, Sezione B), n. 1), limitatamente alle quote di Oicr gestiti”: si tratta della “custodia e amministrazione di strumenti finanziari per conto dei clienti”.

[79] V. Trib. Mantova, 1° aprile 2021, in www.ilcaso.it, che ha rigettato l’istanza di sospensione dell’esecuzione proposta dalla Sgr. A quanto è dato intendere dal succinto provvedimento, la Sgr quale terzo pignorato aveva reso la prescritta dichiarazione affermando che il debitore esecutato era intestatario di quote di un fondo dalla stessa gestito e precisando che le suddette quote erano rappresentate da un certificato fisico al portatore “che non si trova nella materiale disponibilità” della Sgr, trovandosi, a quanto pare, presso la banca depositaria del fondo. Il Giudice ha ritenuto che nel caso in esame “il titolo si trov[a] presso un soggetto terzo in forza di un rapporto che non gli attribuisce la titolarità del credito” e dunque ha affermato l’ammissibilità del pignoramento presso terzi “essendo il titolo una cosa del debitore posseduta dal terzo stesso”, a nulla rilevando che il certificato fosse in deposito presso la banca depositaria, soggetto “tenuto all’immediata restituzione su richiesta del depositante”. Il presupposto, rimasto implicito, è che nel caso di specie il rapporto di deposito del certificato intercorresse esclusivamente tra la Sgr e la banca depositaria, qualificato in sostanza come un un subdeposito.

[80] V. Cass. 28 febbraio 2007, n. 4653, resa con riferimento alla disciplina posta dal D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213 (c.d. Decreto Euro), poi rifluita nel TUF. Per l’evoluzione in materia, v. anche P.G. Casali, Note (tra teoria e pratica) sulle modalità di espropriazione della quota di s.r.l. (in nota a Trib. Udine 18 febbraio 2013) in Giur. it., 2013, fasc. 4, p. 865.

[81] Così come per la costituzione del pegno si deve ricorrere alle forme del pegno di crediti (v. sopra, par. 8), pur non essendo la quota, quantomeno quella di un fondo chiuso, identificabile con un mero credito pecuniario.

[82]D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che ha introdotto il nuovo art. 2471 c.c.. V., al riguardo,  Cass. 9 dicembre 1992, n. 13019; Cass. 1° ottobre 1997, n. 9577 ove, al capo 3.3, un accurato richiamo della procedura di vendita secondo le norme del tempo.

[83] Sul punto, v. F. Corsini, L’espropriazione di una quota di società a responsabilità limitata tra diritto vigente e prospettive di riforma (con qualche accenno al pignoramento di azioni non emesse), in Giur. It, 2003, 1, in particolare nota 31. F. Mastropaolo ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale, cit., p. 1434, sottolineano per questa ipotesi la centralità del libro soci per l’annotazione di vincoli riguardanti le azioni non emesse. In verità anche per i fondi è previsto un registro dei partecipanti tenuto dalla Sgr, ma come si è rilevato sopra (par. 4) la disciplina regolamentare prevede il necessario ricorso alle modalità alternative di documentazione delle quote sopra illustrate, a differenza delle S.p.a. alle quali è consentito semplicemente di non emettere titoli azionari,.

[84] Così come la quota di S.r.l. V. al riguardo Cass. 21 ottobre 2009, n. 22361: “La quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata, che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell’art. 812 cod. civ., per cui ad essa possono applicarsi, a norma dell’art. 813, ultima parte, cod. civ., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, poiché la quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell’azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti; ne consegue che le quote di partecipazione ad una società a responsabilità limitata possono essere oggetto di pignoramento nei confronti del socio che ne è titolare, a nulla rilevando il fallimento della società, che è terzo rispetto al processo esecutivo, cui pertanto non si applica l’art. 51 legge fall.”. Per una impostazione simile, ma con esplicito riferimento nell’argomentazione ai “prodotti finanziari” (categoria che include gli “strumenti finanziari”) disciplinati dal TUF, v. la già citata Cass. 7 novembre 2002, n. 15605, secondo cui “si è da tempo chiarito che le quote sociali, sia delle società di capitali che delle società di persone, costituiscono posizioni contrattuali “obbiettivate”, suscettibili, come tali, di essere negoziate in quanto dotate di un autonomo “valore di scambio” che consente di qualificarle come “beni giuridici” (Cass. 12 dicembre 1986, n. 7409; 23 gennaio 1997, n. 697; 30 gennaio 1997, n. 934; 4 giugno 1999, n. 5494; 26 maggio 2000, n. 6957). Le obiezioni mosse, in passato, alla possibilità che “situazioni giuridiche” soggettive possano essere assunte direttamente quale “oggetto” di rapporti giuridici, del resto non da tutti condivise, sono ormai destinate a cadere di fronte all’esplicita considerazione, da parte del legislatore, delle forme di investimento di natura finanziaria (che si configurano come rapporti contrattuali, per lo più atipici, aventi ad oggetto lo scambio tra un bene presente, costituito da denaro, e un bene futuro, a sua volta rappresentato da somme di denaro) quale prodotto finanziario (e, quindi, come “entità” suscettibili di appartenenza e di negoziazione), a prescindere dalia circostanza che esse siano, o meno, rappresentate da un documento (art. 1, d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58). Non vi sono pertanto ostacoli ad annoverare anche le quote sociali tra i beni che possono essere oggetto di espropriazione forzata (art. 2910 c.c., in relazione all’art. 2740 dello stesso codice) e di misure cautelari dirette a salvaguardare la garanzia patrimoniale del debitore (art. 2905, c.c.)”.

[85] V. al riguardo Cass. 24 maggio 2003, n. 8239: “L’atto di pignoramento del credito del debitore verso i terzi, e di cose del debitore che sono in possesso dei terzi, deve contenere a norma dell’art. 543 c.p.c. l’indicazione almeno generica delle cose e delle somme dovute; tale indicazione può essere anche assolutamente generica, giustificandosi ciò con la difficoltà che ha il creditore procedente di conoscere i dati esatti concernenti tali somme o cose, a cagione della sua estraneità ai rapporti tra debitore e terzo, e prevedendo il sistema tale genericità venga eliminata mediante la dichiarazione che il terzo è chiamato a rendere a norma dell’art. 547 c.p.c.

[86] Cass. 9 marzo 2011, n. 5529: “Il pignoramento presso terzi costituisce una fattispecie complessa che si perfeziona non con la sola notificazione dell’atto di intimazione di cui all’art. 543 cod. proc. Civ., ma con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito di cui all’art. 549 cod. proc. Civ.; ne consegue che il credito pignorato può essere individuato e determinato nel suo preciso ammontare in data anche di molto successiva a quella della notificazione dell’atto, senza che lo si possa considerare sorto dopo il pignoramento, poiché l’indisponibilità delle somme dovute dal terzo pignorato al debitore e l’inefficacia dei fatti estintivi si producono fin dalla data della notificazione, ai sensi dell’art. 543 cod. proc. Civ.

[87] La posizione della Sgr qui è diversa da quella, esaminata sopra, del depositario di un titolo rappresentativo della quota, nel qual caso è ben chiara la differenza tra la “cosa” del debitore di cui il terzo depositario è in possesso e il debito che questi ha nei confronti del debitore. E pare essere diversa anche qualora fosse la stessa Sgr (come pure è possibile) ad avere il ruolo di depositario del titolo incorporante la quota. Questo infatti ha attitudine alla circolazione, e solo per una circostanza di fatto l’emittente della quota e il depositario del relativo titolo si trovano a coincidere.

[88] V. anche l’art. 2928 c.c.: “Se oggetto dell’assegnazione è un credito, il diritto dell’assegnatario verso il debitore che ha subito l’espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato”.

[89] Questo secondo la lettera della legge, che contiene l’inciso “salvo esazione” solo in relazione ai crediti esigibili fino a 90 giorni, ma non mancano posizioni diverse, secondo cui “la discrasia tra l’art. 2928 c.c. e l’art. 553 c.p.c. è stata certamente risolta a favore del primo, affermandosi ormai che ogni assegnazione del credito è fatta pro solvendo e mai pro soluto, potendo l’interprete facilmente correggere un semplice difetto di coordinamento” (M. Di Bove, La nuova disciplina in materia di espropriazione del credito, in Nuove leggi civili commentate, 2015, n. 1, p. 1). Tale interpretazione estenderebbe le difficoltà sopra rilevate riguardo alle quote di fondi chiusi anche a quelli aperti.

[90] La norma richiama l’art. 529 c.p.c., in materia di esecuzione mobiliare, secondo cui gli esecutanti possono chiedere la vendita dei beni e “Dei titoli di credito e delle altre cose il cui valore risulta dal listino di borsa o di mercato possono chiedere anche l’assegnazione”. Sembra che il rigore e la pubblicità che connotano la determinazione del valore delle quote ben possano essere il presupposto dell’assegnazione della quota al valore che essa mostra in quel momento, senza postulare che si tratti di un “credito” da riscuotere appena esigibile (ossia in breve tempo).

[91] Attesa la illiquidità degli asset in cui sono investiti i fondi chiusi e la, sopra rilevata, possibilità di questi ultimi di ricorrere ad una significativa leva finanziaria. Invece, si rammenta, le regole di investimento proprie dei fondi aperti (non riservati), soprattutto degli Oicvm, non consentono al fondo di indebitarsi (salvo limitate esposizioni tecniche dovute all’investimento in strumenti finanziari derivati).

[92] Infatti, in giurisprudenza si ritiene che il requisito della certezza del credito (ai fini della sua pignorabilità) si deve intendere non solo come riferito a crediti definiti in tutti i loro elementi ma non ancora esigibili, come quelli sottoposti a termine o a condizione sospensiva, ma anche ai crediti cosiddetti eventuali ossia di maturazione incerta. A tal fine, però, bisogna distinguere tra eventualità concreta e astratta; solo la eventualità concreta di maturazione del credito rende lo stesso pignorabile. La Corte di Cassazione (sez. lavoro, 26 ottobre 2002, n. 15141), ha avuto modo di chiarire che “eventuale in concreto” “è il credito, per lo più periodico ma non necessariamente, legato ad un già esistente rapporto giuridico di base, che ne costituisca l’origine e che già attualmente ne permetta l’identificazione degli estremi soggettivi ed oggettivi: in particolare l’identificazione del debitore. Così dicasi ad es. delle annualità delle rendite, o delle pensioni, o dei fitti o pigioni (questa categoria di crediti viene considerata unitariamente, ai fini della prescrizione, nell’art. 2948 cod. civ.). Per quanto concerne i crediti non periodici, si pensi al compenso spettante all’appaltatore per opera non ancora compiuta (Cass. 22 gennaio 1993 n. 11516)”. Rimangono, invece, fuori dalla categoria, e non sono pignorabili, i crediti soltanto eventuali e sperati, e perciò privi, siccome aleatori, di attitudine satisfattiva.

[93] Il Giudice dell’Esecuzione di Pescara, con ordinanza dell’8 gennaio 2020 (inedita), ha ritenuto sussistente il fumus boni iuris dell’opposizione all’esecuzione su una quota (immessa nel certificato cumulativo), poiché ha considerato questa come un “credito” e, pur dando atto che questo aveva in sé i caratteri della pignorabilità, ha ritenuto assorbente la situazione di inadempimento verso il fondo, in cui versava il partecipante esecutato. Il provvedimento infatti così argomenta: “Orbene, come chiarito da quest’ultimo [Sgr terzo pignorato, n.d.r.], a seguito della acclarata e non contestata condizione di debitrice inadempiente da parte della società quotista, il Regolamento […] prevede anzitutto l’annullamento delle quote e che le somme eventualmente spettanti all’investitore solo al termine del periodo di liquidazione del Fondo andranno compensate con quanto dovuto a titolo di penale e di contribuzione alle spese dello stesso, conseguendone una verosimile posizione debitoria [del quotista] nei confronti del Fondo o, quantomeno l’estrema incertezza sulla sussistenza e sulla quantità del credito della debitrice verso il terzo. In altri termini, allo stato, il credito pignorato non appare né certo né liquido, in quanto tale non espropriabile”.

[94] Come già accennato, prendono in considerazione tale disposizione F. Mastropaolo ed E.M. Mastropaolo – P. De Vecchis, Contratti di garanzia reale, cit., p. 1464, i quali (analizzando il pegno sulle quote) se da un lato convengono che tale scorporo non presuppone la richiesta del partecipante, dall’altro sembrano escludere che lo scorporo metta capo all’emissione del certificato singolo, osservando che “il termine ‘frazionamento’ sta ad indicare ed è funzionalmente dedicato all’individuazione delle parti del certificato unico corrispondenti alla quota del partecipante da sottoporre a vincolo e non ad un’uscita delle sue quote dal sistema, previsto dal certificato cumulativo”. Ma in primo luogo non si comprende a cosa servirebbe il frazionamento del cumulativo (che di per sé già ospita “rubriche distinte per singoli partecipanti”) se non all’emissione del certificato singolo, in secondo luogo la soluzione prospettata nel testo sembra coerente con la ratio della norma attributiva alla Banca d’Italia del potere esercitato sul punto con il Reg. Gestione Collettiva: l’art. 36, comma 5, TUF prevede infatti che “La Banca d’Italia può stabilire in via generale, sentita la Consob, le caratteristiche dei certificati […] tenendo conto anche dell’esigenza di assicurare la portabilità delle quote”. Ora, ribadita l’inutilità di un frazionamento che lasci le quote “frazionate” nel cumulativo, sembra che il concetto di “portabilità” delle quote rimandi alla sottoposizione delle stesse alla legge di circolazione (e di apposizione di vincoli) propria dei certificati singoli – titoli di credito.

[95] Può essere utile riprendere un esempio numerico fatto sopra (par. 7), di un fondo di ammontare 1000 suddiviso in 10 quote da 100, che abbia richiamato inizialmente per metà gli impegni relativi alle stesse, e il cui patrimonio, per effetto dell’attività di gestione, sia passato da 500 a 600. A seguito di un successivo richiamo di complessivi 100 (10 a quota), il patrimonio ascende a 700, e il valore di ciascuna quota a 70. Tuttavia, ove per la quota pignorata il partecipante si sia reso inadempiente rispetto al versamento richiestogli di 10, il creditore del partecipante “troverà” una quota di valore 70 e un debito inerente alla stessa di 10.

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