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Le clausole di earn out nei contratti di compravendita di azioni

30 Settembre 2024

Federica Pomero, Partner, Legance

Francesco di Bari, Senior Counsel, Legance

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza i riflessi applicativi delle clausole di earn out, ovvero quelle clausole utilizzate nei contratti di compravendita di azioni per determinare il  prezzo di acquisto delle partecipazioni societarie.


1. La funzione della clausola di earn out nella prassi commerciale e i contrapposti interessi del venditore e dell’acquirente

Le clausole di earn out svolgono un ruolo di particolare rilievo nella determinazione del prezzo di acquisto di partecipazioni societarie nell’ambito dei relativi contratti di compravendita noti, nella prassi con il termine anglosassone “share purchase agreement”.

Con tali clausole atipiche, anch’esse di matrice anglosassone, l’acquirente si impegna a corrispondere al venditore, in aggiunta al prezzo pattuito per l’acquisto della partecipazione compravenduta e dovuto al momento di esecuzione della compravendita (c.d. closing), generalmente differito rispetto alla sottoscrizione del relativo contratto di acquisizione (c.d. signing), una componente aggiuntiva ed eventuale del prezzo medesimo destinata a maturare solo ove la target consegua specifici risultati di performance ovvero si verifichi altro evento futuro e incerto.[1]

L’opportunità di prevedere una componente del prezzo di acquisto differita e collegata all’auspicata crescita dell’azienda o al verificarsi di altro evento futuro e incerto, discende da diversi ordini di ragioni.

In primo luogo, occorre considerare che la determinazione del prezzo rappresenta un punto negoziale particolarmente delicato, intorno al quale insorgono sovente divergenze di interessi e desiderata tra acquirente e venditore. In particolare, diverse sono le “aspettative che le parti contrattuali hanno sulle performance della società oggetto di compravendita[2]: se, da un lato, il venditore intenderà massimizzare il prezzo da ricavare per il trasferimento delle azioni e tenderà a nutrire la massima fiducia sui risultati attesi della società, anche sulla base degli investimenti effettuati o di altri eventi prospettici attesi, dall’altro lato, l’acquirente sarà portato ad un atteggiamento più prudenziale e sarà disposto a corrispondere un prezzo più alto solo ove la target si dimostri più profittevole in concreto ovvero tali risultati attesi siano di fatto realizzati. Ciò spesso è connesso anche all’asimmetria informativa esistente tra parte venditrice e parte acquirente che, per quanto ridotta in fase di due diligence, non permette all’acquirente di avere lo stesso livello di certezza in merito alle prospettive della target.

In tale ottica, la clausola di earn out ben rappresenta uno strumento idoneo a garantire la composizione dei divergenti interessi delle parti e ad agevolare la conclusione dell’accordo[3], potendo i predetti interessi contrapposti convergere nella previsione di un corrispettivo finale aggiuntivo e differito rispetto al prezzo convenuto, legato ai risultati effettivi di esercizio della target ovvero ad altro evento futuro e incerto[4] ritenuto rilevante dalle parti e tale da incidere sulla valorizzazione della società compravenduta.

A ciò si aggiunga che, oltre all’idoneità delle clausole di earn out a comporre o comunque avvicinare gli interessi delle parti e a ridurre l’asimmetria informativa tra acquirente e venditore, riducendo l’alea del prezzo, è stato correttamente osservato come la funzione di dette clausole sia altresì quella “di aggiornare i dati economico/patrimoniali sui quali il compratore ha basato la propria valorizzazione della partecipazione[5], con l’obiettivo di rendere le condizioni del deal più aderenti all’effettivo andamento della crescita aziendale, nonché eventualmente di “fungere da incentivo al management della target in occasione delle acquisizioni poste in essere dai fondi di private equity o altri investitori di natura finanziaria, nel cui contesto viene spesso richiesto all’imprenditore-manager di reinvestire nella target parte dei proventi della vendita e di continuare a rivestire un ruolo apicale nella gestione dell’azienda[6].

L’utilizzo di dette clausole svolge poi una funzione particolarmente rilevante tipicamente nell’ambito delle operazioni aventi ad oggetto società ad alto contenuto tecnologico e più in generale delle start-up innovative, dove la valorizzazione della società risulta particolarmente complessa e basata sulle prospettive future della stessa più che sulle capacità reddituali attuali.

2. Le clausole di earn out più diffuse nei sale and purchase agreement

2.1 Economic earn out, performance earn out e reverse earn out

La funzione della clausola e gli scopi che la stessa si prefigge hanno determinato lo sviluppo di molteplici tipologie di clausole di earn out nella prassi del settore dell’M&A. In particolare, tre sono le fattispecie emerse nella prassi e mutuate nella prassi negoziale italiana: (i)economic earn out”, (ii) “performance earn out” e (iii) “reverse-earn out (talvolta noti anche come earn-in) [7].

Nella clausola di economic earn out il pagamento della componente aggiuntiva eventuale del prezzo è legato al raggiungimento di determinati risultati economici (e.g., EBITDA, utile netto, fatturato, cash flow) realizzati dalla target oggetto di acquisizione; tale clausola è spesso costruita utilizzando l’EBITDA quale parametro per la maturazione della componente di prezzo integrativa. In una delle più recenti sentenze in materia, la giurisprudenza di merito[8] ha affermato la validità della clausola di earn-out con integrazione del prezzo di cessione commisurato all’eventuale attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione.

Nel c.d. performance earn-out, invece, la componente aggiuntiva eventuale di prezzo è parametrata al raggiungimento di specifici risultati della “attività industriale” o al verificarsi di determinati eventi che incidono sulla stessa e più in generale sulla redditività della società target (e.g., sottoscrizione di un contratto strategico di distribuzione o altri determinati contratti di business, ottenimento di autorizzazioni, registrazione di brevetti, ingresso in nuovi mercati, ecc.).

Il reverse-earn out (denominato nella prassi anche earn-in) si articola, invece, nella previsione di “una riduzione” eventuale “del prezzo in ragione del mancato raggiungimento di prefissati obiettivi ovvero del verificarsi di un fatto futuro ed incerto ma incidente in maniera negativa sui risultati della società target[9]. In tal caso, nel “rapporto di forza” tra venditore e acquirente prevale, evidentemente, il venditore e il “sovrapprezzo” pagato al momento della compravendita rimane soggetto a possibile restituzione, subordinatamente al verificarsi o meno degli eventi dedotti nella clausola a tal fine.

2.2 La fisionomia tipica della clausola nei contratti di compravendita

È noto che le clausole di determinazione del prezzo di compravendita – nel cui ambito si colloca la clausola di earn out (come nel seguito meglio argomentato) e al pari di quelle di aggiustamento del prezzo – assumono un’importanza cruciale nell’ambito dei contratti di compravendita di partecipazioni societarie e sono tra le clausole più complesse da redigere e di più serrata negoziazione, implicando il coinvolgimento delle parti e dei loro rispettivi consulenti legali, finanziari e fiscali.

Il prezzo rappresenta, infatti, l’elemento essenziale del contratto di compravendita che, ex articolo 1470 c.c., deve essere sempre determinato o quanto meno determinabile, pena la nullità del contratto stesso. La determinazione del prezzo, tuttavia, risulta operazione non banale nel caso delle compravendite di partecipazioni societarie che pongono la necessità di determinare la valorizzazione del complesso dei beni e rapporti giuridici sottostanti, costituiti dall’insieme delle attività e passività della target, tra l’altro difficilmente cristallizzabili e in continua evoluzione anche dopo il signing, e addirittura il closing.

Di prassi, in ambito M&A, la determinazione del prezzo avviene sia con il metodo del c.d. Locked Box (tale per cui il contratto di compravendita contiene già un’indicazione del prezzo finale fisso sulla base di una “fotografia” storica della situazione economico-patrimoniale della società[10] ad una data di riferimento c.d. “locked box date”), sia con il metodo dei c.d. Closing Accounts (in cui il prezzo è soltanto determinabile sulla base dei criteri inseriti in contratto e sulla base di un valore provvisorio partendo dal quale si perverrà, in applicazione di tali criteri, al calcolo del prezzo finale). In ogni caso, il punto di partenza per l’avvio delle negoziazioni e perché si addivenga alla condivisione di un prezzo di compravendita (e di eventuali componenti differite) è la determinazione, condivisa tra venditore e acquirente, dell’enterprise value della target da cui si perverrà, con i metodi anzidetti – da contrattualizzare e adattare alle peculiarità del caso -, a determinare il prezzo finale, ovvero l’equity value della target.

A tal proposito, l’enterprise value può essere determinato tramite plurimi metodi valutativi, tra i quali la prassi finanziaria attualmente fa principalmente uso di quelli patrimoniali (basati sulla valorizzazione del patrimonio netto della target), di quelli reddituali-finanziari (che valorizzano la capacità della target di generare reddito e/o flussi di cassa) e, infine, dei metodi misti, che costituiscono un mix dei metodi predetti.

È nel contesto di tali clausole di determinazione del prezzo di compravendita, ma in posizione distinta rispetto alle clausole di mero aggiustamento del prezzo nonché rispetto a quello di mero differimento del prezzo, che si collocano le clausole di earn out con la previsione di una componente eventuale e tutta da guadagnare (earn) in funzione del raggiungimento di determinati risultati o del verificarsi di determinati eventi.

Nella maggior parte delle operazioni M&A in cui si fa ricorso a tale figura negoziale, la componente aggiuntiva eventualmente dovuta a titolo di earn out potrà essere determinata individuando uno o più parametri di riferimento della valorizzazione della target e una soglia minima di valorizzazione, come segue:

“Ove il [parametro] fosse superiore alla Soglia, l’Acquirente corrisponderà al Venditore a titolo di integrazione del Prezzo Originario un importo pari a [parametro- Soglia] x Multiplo.”

Tipicamente il calcolo dell’earn out viene basato proprio sull’EBITDA della target (eventualmente normalizzato sulla base dei criteri condivisi tra le parti) e moltiplicato per un multiplo da definirsi sulla base del business di appartenenza:

Earn Out = Multiplo Applicabile x EBITDA Rettificato.

La componente integrativa di prezzo dovuta a titolo di earn out può essere fissa ma ben può essere variabile e crescente in funzione dei risultati, anch’essi crescenti, realizzati dalla target, nell’ambito di un range di valori concordati tra le parti. Tipicamente si prende a riferimento un orizzonte temporale di 3-5 anni che è poi alla base del business plan della target.

In ogni caso la clausola, ancorché formulata in linea con la prassi, andrà rivista e negoziata sulla base delle specificità del caso, avendo riguardo a che la disciplina complessiva dell’earn out consenta una determinazione chiara delle ipotesi in cui matura la componente di prezzo aggiuntiva e il calcolo finale della stessa, con tutte le cautele e garanzie necessarie a tutela delle parti, anche al fine di redimere eventuali controversie tra le stesse.

2.3 La collocazione sistematica della clausola di earn out

In primo luogo, la dottrina[11] ha sottolineato che dalla fattispecie di reverse earn out possono trarsi elementi utili ai fini di una corretta collocazione sistematica della clausola in parola. Difatti, il credito maturato dall’acquirente in conseguenza della riduzione del prezzo derivante dall’operatività del meccanismo di reverse earn out discende dal verificarsi dell’evento futuro e incerto che le parti hanno di comune accordo individuato e dedotto nello stesso come condizione nella clausola medesima, e non dalla violazione di una specifica R&W prestata dal venditore nel contratto di compravendita. Da ciò la configurabilità di tale clausola come “clausola di determinazione del prezzo”, non riconducibile alla fase “patologica” dell’esecuzione del contratto conseguente alla violazione di dichiarazioni e garanzie (R&W) prestate dal venditore nel contratto medesimo, bensì indissolubilmente legata al fisiologico verificarsi dell’evento dedotto in condizione.

In secondo luogo, subordinare il pagamento di una parte del prezzo ad un evento futuro e incerto rende opportuno operare un’ulteriore distinzione – seppur più complessa sul piano pratico – tra clausole di earn out e clausole di aggiustamento o differimento del prezzo.

Quanto a queste ultime, seppur è vero che, per un verso, le clausole di earn out – come le clausole di differimento del prezzo – prevedono il pagamento di una parte variabile del prezzo in un momento differito rispetto al trasferimento della proprietà della partecipazione, tale pagamento è del tutto eventuale e subordinato al verificarsi degli eventi esplicitati nella clausola e per altro verso – anche valorizzando così parte della giurisprudenza e della dottrina[12] che individuano “la necessità di tali clausole, nella pratica, (…) non tanto nel disaccordo tra le parti sulla determinazione del prezzo, bensì nella necessità di aggiornare i dati economico/patrimoniali sui quali il compratore ha basato la propria valorizzazione della partecipazione a quelli effettivi alla data del closing” – le clausole in parola non si limitano a regolare unicamente il calcolo dell’esatto ammontare del prezzo secondo principi concordati, come nel caso delle previsioni sull’aggiustamento del prezzo, ma implicano una componente aggiuntiva e variabile di prezzo legata a un determinato evento futuro e incerto e da maturare in funzione di tale evento.[13] In altri termini, il tratto distintivo dell’earn out si sostanzia nella previsione di un evento (futuro e incerto) post-closing (compreso il raggiungimento di specifici risultati economici), dedotto quale condizione per il pagamento della componente variabile di prezzo, che diventa solo eventuale (incerta nell’an e nel quantum sebbene determinabile); diversamente, le clausole di aggiustamento prezzo regolano il calcolo finale del prezzo dovuto sulla base di criteri predefiniti, mentre quelle di dilazione del prezzo si limitano a rinviare ad un determinato termine il pagamento di una componente aggiuntiva di prezzo, certa e oggetto di mero differimento.

Chiaramente, i confini tra clausole di earn out e di differimento/aggiustamento del prezzo si fanno labili ove l’earn out si configuri quale economic earn out con maturazione del prezzo legata al semplice calcolo di alcuni fattori economico-patrimoniali, senza stabilire, ad esempio, risultati minimi ovvero determinati target, con il rischio così di una sovrapposizione effettiva tra earn out e differimento/aggiustamento del prezzo.[14]

Quanto sopra precisato porta a concludere circa l’applicabilità alle clausole in parola delle previsioni volte a regolare l’apposizione della condizione nel contratto di cui agli articoli 1353 e seguenti c.c., con la conseguenza che, in caso di condotte distorsive dell’acquirente volte a incidere negativamente sulla maturazione dell’earn-out nel periodo post closing, il venditore ben potrà valersi del dovere di buona fede in pendenza della condizione di cui all’art. 1358 c.c., oltre che invocare il generale principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di cui all’art. 1375 c.c.

Sembra, invece, sulla scia della pre-citata recente giurisprudenza in materia[15], doversi tendenzialmente escludere il rischio che la clausola possa essere dichiarata nulla quale clausola meramente potestativa, ove il solo acquirente appare di per sé non idoneo a decidere arbitrariamente il realizzarsi o meno degli eventi tipicamente dedotti in condizioni, dipendendo tali eventi altresì da fattori esterni ed estranei al suo potere di controllo. Si tratta chiaramente di un aspetto da tenere in considerazione nel redigere la clausola al fine di garantirne la legittimità nel nostro contesto normativo.

E’ riconosciuto poi in dottrina che le clausole in parola non sarebbero riconducibilialla fase (…) patologica dell’esecuzione del contratto di compravendita[16], in quanto la realizzazione dell’evento futuro e incerto al quale è legato il riconoscimento di una maggiorazione non è in alcun modo “garantito” dal venditore; dette clausole, come osservato in letteratura[17], non costituiscono in alcun modo “una garanzia prestata dal venditore sulla redditività dell’azienda, ruolo assunto da altre previsioni contrattuali standard in contratti di M&A – quali le dichiarazioni e garanzie (R&W) del venditore relative, ad esempio, alle prospettive reddituali della società – “bensì una modalità di determinazione del prezzo”, circoscrivendone così l’ambito di rilevanza.

Infine, occorre fare cenno all’eventualità che un meccanismo come quello supra descritto non sia rinvenibile solamente nei c.d. share and purchase agreement come componente differita del prezzo, ma anche nei contratti di investimento ove l’ingresso in società sia realizzato tramite un aumento di capitale. Tale approccio, supportato dall’interpretazione del Consiglio Notarile di Milano prevede che “in caso di aumento di capitale con conferimenti in natura è legittimo prevedere l’emissione di un numero di azioni ulteriori rispetto a quelle emesse nel momento della sottoscrizione, al verificarsi di condizioni inerenti l’oggetto del conferimento[18] e realizzando così un effetto analogo a quello dell’earn out. Ovviamente, tale specifico earn out sconta alcune differenze rispetto al comune earn out, poiché “allorché il corrispettivo sia costituito da azioni munite di valore nominale, emesse dalla società per azioni che riceve l’apporto in natura, la possibilità di maggiorare il corrispettivo deve fare i conti con le regole che presidiano la corretta formazione del capitale[19]. Pertanto, l’emissione di tali nuovi azioni in forma di earn out, resta soggetta alla disciplina della verifica della copertura del (nuovo) capitale, da verificarsi a cura del perito incaricato ai sensi dell’articolo 2343 o dell’articolo 2343-ter c.c., mediante una perizia il cui contenuto confermi che il valore di quanto conferito è almeno pari all’ammontare dell’aumento di capitale complessivo, comprendente anche l’importo eventualmente connesso all’emissione delle azioni da rilasciarsi a titolo di earn out.

3. La determinazione del parametro dell’earn out e relativa procedura. Il ruolo dell’esperto.

Un’ulteriore aspetto rilevante ai fini di una completa analisi del meccanismo dell’earn out è quello delle concrete modalità di determinazione dello stesso. Infatti, trattandosi, come sopra esposto, di un meccanismo di determinazione del prezzo, condizionato non tanto ad un valore contabile precedente o preesistente[20] nel momento in cui la partecipazione è stata trasferita ed il closing si è completato, bensì dipendente da una situazione futura e da risultati non ancora realizzatisi e ancora da calcolare, la sua determinazione deve essere necessariamente vincolata a parametri predeterminati e concordati tra venditore e acquirente ed assumono estremo rilievo sia la procedura indicata a tal fine (inclusi i criteri di calcolo e parametri da utilizzare) sia i presidi di controllo del meccanismo complessivo[21].

In primo luogo, come anticipato, l’earn out è un importo spesso legato al valore dell’EBITDA, desumibile ovviamente dal bilancio della società. A tal proposito, e per ridurre il rischio di divergenze tra le parti nonché, in alcuni casi, limitare l’esposizione massima dell’acquirente[22], vengono solitamente adottate alcune cautele.

In prima battuta, è prassi prevedere che il bilancio da cui desumere i valori in oggetto sia certificato, a cura di revisori contabili nominati, solitamente, di comune accordo tra le parti, al fine di assicurarsi che lo stesso rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria ed il risultato economico della società. Ove si preveda la predisposizione di bilanci intermedi o situazioni contabili di riferimento, è stato sottolineato come “i contraenti fanno bene a pattuire nel contratto di compravendita alcune ulteriori particolarità, finalizzate a evitare che sorgano successivamente contestazioni fra le parti[23], quali l’accordo su chi debba procedere alla predisposizione di tale bilancio/situazione patrimoniale di riferimento, la relativa tempistica sia per la predisposizione della stessa sia per eventuali contestazioni, i criteri contabili da utilizzarsi (di regola in linea con la prassi societaria) e chi si addosserà i costi di predisposizione[24] ovvero di eventuali procedure volte a redimire eventuali contestazioni.

In generale, prendendo le mosse dal disposto dell’art. 1346 c.c. che stabilisce che “l’oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile”, è chiaramente fondamentale predeterminare, nel contesto del contratto di compravendita, tutti gli elementi che le parti dovranno concordare ai fini dell’individuazione del valore dell’earn out, tra cui (i) le condizioni che dovranno essere soddisfatte e i target relativi ai livelli dell’EBITDA (solitamente c.d. adjusted ovvero depurato di elementi non ricorrenti, quali ricavi straordinari, svalutazioni o rivalutazione delle scorte di magazzino) che devono essere raggiunti per far sì che l’obbligo di pagare l’earn out diventi efficace, (ii) il periodo di durata della clausola di earn out, (iii) i criteri contabili da seguirsi per accertare il raggiungimento dei relativi target[25], e (iv) gli obblighi dell’acquirente di tenere informato il venditore (soprattutto in caso di acquisto dell’intero capitale sociale e conseguente “uscita” di quest’ultimo) sull’andamento della società post closing, nonché i più generali impegni di gestione nel periodo interinale di riferimento, in linea con la gestione corrente, secondo buona fede e correttezza nonché nel rispetto di principi condivisi e volti ad evitare condotte di mala fede tese ad incidere negativamente sull’andamento della medesima società.

È altresì comune stabilire una procedura volta a redimere eventuali contestazioni tra le parti, con facoltà del venditore (che di regola riceve il calcolo dell’earn out dell’acquirente) di contestare le voci che non reputa consistenti o che ritiene manifestatamente errate entro un termine prestabilito, decorso il quale i dati numerici si intendono accertati. In caso di eventuali divergenze, invece, non risolte entro un termine previsto per l’amichevole conciliazione tra le parti, occorrerà prevedere meccanismi di nomina di un esperto indipendente, il quale, ai sensi del contratto e secondo i precisi parametri ivi previsti dalle parti per la valorizzazione delle singole voci, dirima la controversia insorta.[26] Pertanto, ove nominato, l’esperto agirà non come arbitro ma come terzo arbitratore ai sensi dell’art. 1349 co. 2 c.c. e dovrà adottare la propria determinazione secondo equo apprezzamento, fermo restando che ove tale determinazione sia manifestamente iniqua o erronea, ai sensi del sopracitato art. 1349 c.c., la medesima potrà essere impugnata e sarà operata dal tribunale competente.[27]

4. Il trattamento fiscale delle rettifiche del prezzo

I principi contabili internazionali – nella specie l’IFRS 3 – forniscono una definizione di earn out come “un’obbligazione dell’acquirente a trasferire attività aggiuntive (…) ai precedenti proprietari dell’entità acquisita”, oppure, in caso di reverse earn out, “il diritto al rimborso di una contropartita precedentemente trasferita, se si avverano determinate condizioni”.

Sulla base delle indicazioni contenute nel paragrafo 58 dell’IFRS 3, al momento del trasferimento del controllo, il soggetto acquirente deve rilevare tra le passività nei confronti del venditore anche ilfair value dei corrispettivi potenziali eventualmente dovuti sulla base delle clausole di earn out e, tra le attività, eventuali diritti a ricevere rimborsi del corrispettivo derivanti da clausole di reverse earn out. Qualora successivamente, per effetto di nuove intervenute circostanze, si modifichino le probabilità di avveramento delle condizioni che governano l’earn out, l’acquirente dovrà corrispondentemente procedere ad incrementare (o diminuire) il valore della passività verso il venditore, iscrivendo le relative contropartite nel conto economico dell’esercizio. Il principio in commento non disciplina la posizione del venditore, tuttavia, argomentando sulla base dei principi generali, parrebbe possibile ipotizzare che specularmente questi, al modificarsi della probabilità che l’earn out sia dovuto, debba aggiornare il valore del credito che vanta verso l’acquirente (credito che sarà poi chiuso al momento dell’incasso del pagamento).

Diversamente, ove applicabili, i principi contabili nazionali non contengono una specifica disciplina delle clausole di earn out; il soggetto redattore del bilancio della parte acquirente dovrà quindi fare riferimento ai generali principi dettati per l’iscrizione delle passività ovvero l’OIC 19 – Debiti e l’OIC 31 – Fondi per rischi e oneri. Pertanto, le eventuali integrazioni di prezzo dovute sulla base alle clausole di earn out dovranno essere rilevate – a fronte di un aumento del valore di carico della partecipazione – tra i debiti o tra i fondi a seconda che la relativa passività sia certa e determinabile nel quantum o solo probabile. Cambiando prospettiva, invece, il venditore sulla base del principio di prudenza potrà rilevare il credito da earn out verso l’acquirente solo una volta che questo sia divenuto ragionevolmente certo (credito che sarà poi chiuso al momento dell’incasso del pagamento).

Sotto il profilo fiscale, parrebbe logico assoggettare le componenti differite di prezzo derivanti dalle clausole di earn out al medesimo trattamento fiscale applicato al prezzo originario in capo al cedente; allo stesso modo in capo al cessionario gli importi ricevuti o corrisposti concorreranno a determinare il valore fiscale della partecipazione.

Pertanto nell’ipotesi di cessione di una partecipazione rientrante nel regime di parziale esenzione di cui all’articolo 87 del TUIR (c.d. participation exemption, o PEX[28]), l’earn out corrisposto al venditore che ha già registrato una plusvalenza sulla base della componente fissa del prezzo sarà soggetto al medesimo trattamento riservato alla plusvalenza originaria (i.e. soggetto a IRES nella misura del 5%), lo stesso accadrebbe qualora la plusvalenza originariamente determinata sulla base della componente fissa del prezzo non avesse goduto del regime di esenzione (con la differenza che in tal caso l’intero importo dell’earn out sarebbe soggetto a IRES).

Tanto è stato confermato dall’Agenzia delle Entrate (Risoluzione 184/E/2009) che – con riferimento ad operazioni tra soggetti non IAS-adopter – ha affermato che “trattandosi di una integrazione del prezzo, la componente positiva che viene rilevata nel bilancio (…) deve essere assoggettata alla medesima disciplina fiscale che ha regolato il concorso alla formazione del reddito delle componenti che la stessa va ad integrare”.

Successivamente, la stessa Agenzia delle Entrate (Risposta a Interpello 180/2023) ha avuto modo di chiarire anche in riferimento a soggetti IAS-adopter che “la revisione del prezzo prevista da clausole contrattuali non determina novazione del contratto originario di compravendita; ne consegue che la rettifica in aumento o diminuzione del corrispettivo non assume autonoma rilevanza fiscale ma rimane ancorata agli effetti derivanti dal pagamento del corrispettivo originario”.[29]

Diversamente, non sussistono documenti di prassi pubblicati relativi a casi in cui il pagamento dell’earn outdetermini una modifica sostanziale degli effetti reddituali derivanti dall’operazione di cessione della partecipazione, ad esempio se per effetto di un earn out un’operazione precedentemente minusvalente dia origine ad una plusvalenza.

In tali casi – stante l’asimmetria prevista dal regime di esenzione delle partecipazioni, che prevede minusvalenze totalmente indeducibili a fronte di plusvalenze solo parzialmente esenti – la qualificazione dell’intero aggiustamento prezzo come plusvalenza darebbe luogo a fenomeni di doppia imposizione (in tal caso il trattamento più coerente – per quanto non confermato – dovrebbe prevedere la tassazione, nella misura del 5%, della sola parte di earn out che eccede la minusvalenza precedentemente rilevata).

5. Cenni conclusivi

In conclusione, le clausole di earn out offrono una soluzione ideale ed elastica per comporre gli interessi delle parti nella determinazione del prezzo di compravendita, soprattutto con riferimento alle target di complessa valorizzazione quali quelle ad alto contenuto tecnologico. Da un punto di vista pratico ed operativo, occorrerà però aver cura di definire in dettaglio, con il supporto dei consulenti legali, finanziari e fiscali delle parti, la clausola di earn out alla luce delle peculiarità del caso, determinando in maniera chiara i risultati ed eventi dal cui verificarsi dipenderà la maturazione dell’earn out, i criteri e parametri di calcolo della componente di prezzo aggiuntiva, i documenti contabili di riferimento e la relativa procedura fino all’eventuale risoluzione di contestazioni sorte. Ove, infatti, la redazione della clausola non avvenga con la dovuta perizia, al di là dei rischi giuridici di invalidità della clausola nei casi estremi cui si è accennato, ne risulterà compromessa la funzione stessa di composizione degli interessi contrapposti di parte acquirente e parte venditrice e l’unico risultato ottenuto sarà di fatto quello di rinviare nel futuro contestazioni latenti tra le parti stesse sulla effettiva valorizzazione della società.[30]

 

[1] C. Pomicino, Clausola di earnout, in M. Confortini (a cura di), Clausole negoziali. Profili teorici e applicativi di clausole tipiche e atipiche, Torino, 2017, 990, il quale precisa che, con tali clausole “l’acquirente si impegna a pagare al venditore al momento del closing soltanto una parte del prezzo per l’acquisto della partecipazione […] differendo il pagamento di una eventuale ed ulteriore porzione del prezzo ad un momento successivo, e soltanto subordinatamente al verificarsi di determinati eventi futuri e incerti” L. Renna, Compravendita di Partecipazioni Sociali. Dalla Lettera di intenti al Closing, Torino, 2017, 253 ss.

[2] A. Accornero, Le clausole di aggiustamento prezzo nei contratti di compravendita di partecipazioni societarie, in Società, 10, 2017, 1077 ss.

[3] American Bar Association, 29 giugno 2017: “The return of the Earnout: an important tool for acquisition in today’s economy”, nel quale si evidenzia come la diffusione della clausola di earn out sia legata all’andamento dei mercati: in periodi di particolare crisi collegare parte del prezzo all’andamento della società ovvero al raggiungimento di determinati obiettivi appare determinante per raggiungere l’intesa sul prezzo. Anche G. Penzo, Earn out e dintorni, in Le Società, 7, 2019, 822 ss.

[4] Sulla nozione di incertezza C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 543, n. 277, ha specificato che “l’incertezza obiettiva sussiste quando in base ad un normale giudizio conoscitivo non è possibile sapere con ragionevole certezza se un evento accadrà o non accadrà”.

[5] De Luca – Schiavottiello, Cessione di partecipazioni a prezzo simbolico e clausola di earn-out, in Le Società, 11, 2021, 1214 ss.

[6] A.F.F. Sciortino e F. Michelini, op. cit., 333.

[7] Per una ricognizione di tali tipologie di clausole, A.F.F. Sciortino e F. Michelini, op. cit., 323 ss.; G. Penzo, op cit., 823 ss.; S. Crosio – C. Gregori, Acquisizione di società ad elevato contenuto tecnologico: clausole di earn-out e dichiarazioni e garanzie del venditore, in Contr. e impr., 2000, 3, 1109.

[8] Tribunale di Roma, Sez. Impr., 13 novembre 2020.

[9] G. Penzo, op cit., 823 ss.

[10] A.F.F. Sciortino e F. Michelini, Il prezzo nei contratti di acquisizione: locked box, aggiustamento ed earn-out, in I Contratti, 2023, 3, 325 ss.

[11] G. Penzo, op cit., 823.

[12] Tribunale di Roma, Sez. Impr., 13 novembre 2020 con nota adesiva di De Luca – Schiavottiello, op. cit., 1217¸ G. Penzo, op cit., 823, il quale aggiunge sul piano pratico che: “Semplificando solitamente l’acquirente utilizza dei sistemi di valorizzazione (moltiplicatori di EBITDA, Discount Cash Flow ecc.) che si basano sudati espressi dal bilancio della società target. Ovviamente la valorizzazione è effettuata prima del Closing e comunque i dati di bilancio non possono essere chiusi se non con uno sfasamento temporale rispetto alla data di riferimento. Quindi spesso sorge la necessità di una attività, di non semplice regolazione contrattuale, volta alla chiusura di una situazione di periodo al Closing dalla quale far dipendere, in base ad una formula concordata ed espressa, la determinazione finale del prezzo di cessione”.

[13] G. Penzo, op cit., 823.

[14] G. Penzo, op cit., 823.

[15] Trib. Roma Sez. Imprese, 13 novembre 2020.

[16] Anche G. Penzo, op cit., 822 ss.

[17] F. Bonelli, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del venditore, in Dir. comm. internaz., 2007, 2, 293, il quale afferma “Parimenti non vanno confuse con una vera e propria garanzia reddituale le clausole che prevedono un determinato aumento del prezzo convenuto nel caso che, entro un determinato termine, si verifichino determinati eventi”.

[18] Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 170 – Aumento del capitale sociale con earn out e bonus shares, 7 novembre 2017 in consiglionotarilemilano.it.

[19] Consiglio Notarile di Milano, Motivazione alla Massima n. 170 – Aumento del capitale sociale con earn out e bonus shares, 7 novembre 2017 in consiglionotarilemilano.it.

[20] L. Miele, Compravendita di aziende e di partecipazioni sociali: le clausole di rettifica del prezzo, in Redditi d’impresa, Corriere Tributario 38/2014, 2913.

[21] L. De Rosa, A. Russo, Operazioni straordinarie, clausole sotto la lente per il pagamento del corrispettivo, in NT+ Norme e Tributi.

[22] A. Accornero, op.cit., in Società, 10, 2017, 1078.

[23] V. Sangiovanni, Contratto di cessione di partecipazione sociale e clausole sul prezzo, in I contratti 12, 2011, 1165.

[24] V. Sangiovanni, op.cit., in I contratti 12, 2011, 1165.

[25] Sul punto si noti che il riferimento ai criteri contabili internazionali o nazionali non sempre è dirimente di tutti gli eventuali contrasti applicativi che dovessero insorgere alla luce delle diverse applicazioni che se ne possono fare; pertanto, è preferibile che il contratto di compravendita stabilisca i criteri di valutazione da utilizzare.

[26] G. Iudica, Il prezzo nella vendita di partecipazioni societarie, in Riv. Società, 1991, 756 ss.: F.L.Gambaro, Arbitraggio e perizia contrattuale nelle clausole di Price Adjustment ed Earn Out, in Riv. dir. priv., 2014, 93 ss.

[27] Per un approfondimento sull’iniquità e l’erroneità, si veda G. De Nova, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2011, 131 ss.

[28] Il regime in commento prevede la parziale esenzione (nella misura del 95%) delle plusvalenze derivanti dal realizzo di partecipazioni aventi talune caratteristiche (i.e. iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie, periodo di possesso di almeno dodici mesi, residenza in paesi c.d. white list, esercizio di attività commerciale).

[29] L’applicazione del medesimo trattamento anche a soggetti IAS-adopter appare coerente con il disposto dell’articolo 3, comma 3, del Decreto Ministeriale 1 aprile 2009 ove, in deroga al principio della derivazione rafforzata, dispone che – in relazione alle operazioni aventi ad oggetto le partecipazioni societarie – il regime fiscale, indipendentemente dalla rappresentazione contabile, deve essere determinato avendo riguardo alla natura giuridica dell’operazione.

[30] Sul punto, tra gli altri, F.L.Gambaro, op.cit., in Riv. dir. priv., 2014, 109, nella parte in cui richiama la giurisprudenza statunitense del caso “Airborne Health Inc. and Weil, Gotshal & Manges LLp v. Sqid Soap LP”, in cui i giudici non hanno mancato di rilevare che “What an earn out (and particularly a large one) typically reflects is disagreement over the value of the business that is bridged when the seller trades the certainty of less cash at closing for the prospect of more cash over time. In theory, the earn-out solves the disagreement over value by requiring the buyer to pay more only if the business proves that it is worth more. But since value is frequently debatable and the causes of underperformance equally so, an earn-out often converts today’s disagreement over price into tomorrow’s litigation over the outcome”.

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