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Approfondimenti

La tutela dell’investitore e la disciplina della product governance

7 Febbraio 2022

Roberto Della Vecchia, Partner, Di Tanno Associati; Professore a contratto di Diritto dei Mercati Finanziari, Università di Teramo

Evelina Nobile, Di Tanno Associati

Di cosa si parla in questo articolo

1. La disciplina dei servizi di investimento, tra trasparenza e regole di comportamento[1]

La product governance è uno dei principali strumenti a cui ha fatto ricorso il legislatore comunitario nel 2014 con il dichiarato intento di “rafforzare il quadro per la regolamentazione dei mercati finanziari … al fine di aumentarne la trasparenza” e, di conseguenza, ripristinare la fiducia degli investitori, compromessa dalla crisi finanziaria scoppiata nel 2008[2] e da eclatanti casi di misselling[3].

In proposito vale la pena ricordare come, nella vigenza della Legge SIM[4], del Decreto Eurosim[5] e poi del TUF[6] (nella sua versione originaria), la tutela dell’investitore era stata identificata nella “disclosure” volta al livellamento delle asimmetrie informative sussistenti tra i diversi attori del mercato finanziario (emittenti, intermediari e clienti).

Ciò non significa che mancassero all’epoca specifiche regole di condotta, come ad esempio quelle concernenti i conflitti di interessi e la valutazione di adeguatezza; tuttavia, basandosi sul principio di autodeterminazione dell’investitore e del “caveat emptor”, esse non avevano natura “bloccante” ed era sufficiente la consapevolezza e l’eventuale consenso dell’investitore per procedere legittimamente alla prestazione del servizio di investimento da parte dell’intermediario.

Tale impostazione, tuttavia, venne considerata scarsamente protettiva nei confronti dei risparmiatori e si pervenne quindi alla decisione -attuata per mezzo della Direttiva MiFID[7]– di affiancare alle già esistenti regole un più ampio e pervasivo dovere degli intermediari di “servire al meglio gli interessi dei loro clienti[8], passando così da una logica di “trasparenza” ad una logica di “trasparenza e servizio[9].

La profondità dei mutamenti indotti dal recepimento della MiFID nell’ordinamento nazionale fu tale da portare la Consob a programmare un complesso piano di azione al fine di agevolare il processo di adeguamento dell’industria finanziaria al nuovo impianto normativo attraverso una “transizione consapevole ed efficace[10].

Come illustrato nella Relazione Consob per l’anno 2009[11]:

  • in una prima fase “l’attività della Consob si è svolta con obiettivi di prevenzione e con spirito di collaborazione, in modo da orientare i processi organizzativi aziendali in conformità al nuovo quadro regolamentare”.
  • sono state compiute verifiche ispettive … per accertare l’osservanza della disciplina … [ponendo] specifica attenzione al conseguimento dell’interesse sotteso al migliore e più adeguato servizio alla clientela, in particolare quella al dettaglio, rispetto all’interesse dell’industria alla commercializzazione dei prodotti finanziari.
  • all’esito di tali indagini “sono state riscontrate carenze in particolare nell’area dei conflitti d’interesse fra clienti non professionali e intermediari …[a fronte delle quali] la Commissione ha ordinato la convocazione degli organi amministrativi, richiamandone l’attenzione sulle criticità riscontrate …, [attendendosi] un’immediata adozione delle, pur discrezionali, misure aziendali idonee a conseguire la correzione di ogni disallineamento … [e prevedendo] in assenza … [di] assumere atti più stringenti sulla determinazione delle scelte aziendali degli intermediari inadempienti, ricorrendo, se necessario, a misure di amministrazione attiva, tra le quali provvedimenti ingiuntivi, e/o sanzionatorie.

Infine, nel marzo 2009 l’Autorità ha richiamato tutti gli intermediari all’osservanza di principi e criteri di condotta maggiormente rigorosi in sede di trattazione di prodotti finanziari illiquidi nei rapporti con la clientela al dettaglio, mediante l’emanazione di un’apposita comunicazione al riguardo[12].

Parallelamente, a livello comunitario, maturava la consapevolezza che “un certo numero di disposizioni dell’attuale MiFID fanno sì che gli investitori non beneficino di livelli di protezione sufficienti o adeguati, con la conseguenza che gli investitori possono essere indotti ad acquistare prodotti finanziari per loro inadeguati o operare scelte di investimento non ottimali[13].

All’esito di tale percorso sono state dunque varate, nell’ambito della Direttiva MiFID II[14], le norme in materia di product governance, la cui introduzione era stata invero già anticipata da alcuni provvedimenti delle Autorità di vigilanza, tanto a livello comunitario che nazionale[15].

Obiettivo della product governance è quello di “evitare e ridurre sin dall’inizio i potenziali rischi di mancato rispetto delle regole di protezione degli investitori[16] ed è perseguito imponendo agli operatori del mercato finanziario (i) l’adozione di determinati presidi organizzativi e (ii) l’osservanza di specifiche regole già nella fase di strutturazione dei prodotti di investimento (ancor prima, dunque, della commercializzazione o distribuzione degli stessi alla clientela)[17].

Si può quindi concludere che l’introduzione del regime della product governance segna il passaggio, nell’ambito della disciplina inerente alla prestazione dei servizi di investimento, a una logica di “trasparenza, servizio e prodotto”.

2. La disciplina vigente e il processo di product governance

A livello nazionale, le previsioni inerenti alla product governance sono state recepite nell’ambito del TUF (specificamente, all’art. 21, commi 2-bis e 2-ter), per poi essere maggiormente dettagliate dalla normativa di secondo livello (e, in particolare, dagli artt. 62 e ss. del Regolamento Intermediari[18]).

In sostanza, la disciplina della product governance integra un processo di natura circolare, che comporta un dialogo costante tra due attori principali: il produttore[19] e il distributore[20]. L’iter definito dalla normativa si articola nei seguenti passaggi, ripetibili ciclicamente durante l’intera vita del prodotto:

  1. espletamento del processo di approvazione da parte del manufacturer, comprensivo della definizione del “target market potenziale[21] (positivo e negativo) e della strategia distributiva del prodotto;
  2. trasmissione di tutte le necessarie informazioni sul prodotto (ivi comprese quelle concernenti il target market potenziale e la strategia distributiva) dal manufacturer al distributor[22];
  3. definizione del “target market effettivo[23] (positivo e negativo) e della strategia distributiva del prodotto da parte del distributor;
  4. riesame periodico del target market effettivo e della strategia distributiva da parte del distributor;
  5. trasmissione delle informazioni sulle vendite[24] e, se del caso, sugli esiti del riesame periodico dal distributor al manufacturer;
  6. riesame periodico del target market potenziale e della strategia distributiva da parte del manufacturer.

In base al tenore letterale del Regolamento Intermediari, il processo di product governance appare improntato ad una struttura di tipo “top-down”, nella quale l’iniziativa di avviare la creazione del prodotto è sempre affidata al manufacturer.

A ben vedere, tuttavia, l’art. 21, comma 2-bis, del TUF riferisce il concepimento dei prodotti ai “soggetti abilitati alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento” in genere e quindi, indifferentemente, a manufacturers e distributors.

Nulla vieta che sia proprio il distributore, a fronte delle concrete esigenze manifestate dalla propria clientela, a rivolgersi al manufacturer affinché esso curi la strutturazione di un nuovo prodotto che a tali esigenze possa rispondere.

Tale struttura di tipo “bottom-up” richiede naturalmente appropriate forme di contatto tra il distributor e la clientela di riferimento, fermo restando che sarà sempre e comunque il manufacturer a dover creare il prodotto e definirne il funzionamento.

Resta poi a carico del distributor il dovere di valutare in concreto il prodotto in termini di appropriatezza / adeguatezza rispetto al profilo di ciascun cliente interessato alla relativa sottoscrizione: le (già) vigenti regole di trasparenza e condotta, infatti, non sono state affatto sostituite dalla product governance, ma continuano a rivestire fondamentale importanza ai fini della protezione degli investitori[25].

La corretta definizione dei ruoli di manufacturer e distributor rileva, invero, anche ai fini dell’organizzazione interna dell’impresa[26].

Le norme in materia di governo del prodotto, infatti, impongono agli intermediari produttori di “adotta[re], esercita[re] e controlla[re] un processo di approvazione per ogni strumento finanziario … e per ogni modifica significativa agli strumenti finanziari esistenti”, nonché di “istitui[re], attua[re] e manten[ere] procedure e misure idonee a garantire che la realizzazione degli strumenti finanziari rispetti gli obblighi in materia di conflitto di interessi … e assicura[re] che, nella realizzazione degli strumenti finanziari … non si arrechi pregiudizio ai clienti finali o all’integrità del mercato …[27].

Tali norme, inoltre, attribuiscono espressamente all’organo con funzione di supervisione strategica l’onere di esercitare un controllo effettivo sul processo di product governance adottato dall’intermediario e all’organo di controllo quello di monitorare lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure e misure di product governance istituite[28].

Quanto invece agli intermediari distributori, essi sono chiamati dalla normativa ad “adotta[re] adeguate misure e procedure per assicurare che gli strumenti e i servizi che intendono offrire o raccomandare siano [e rimangano nel tempo] compatibili con le esigenze, le caratteristiche e gli obiettivi di un determinato mercato di riferimento e che la strategia di distribuzione prevista sia coerente con tale mercato[29].

Anche in questo caso sono poi attribuiti all’organo con funzione di supervisione strategica e all’organo di controllo i medesimi compiti previsti per gli analoghi organi degli intermediari produttori[30].

3. La peculiare posizione dei gestori di organismi di investimento collettivo del risparmio

Nell’esame del quadro normativo inerente alla product governance, un discorso a parte va affrontato con riferimento ai gestori di OICR.

Questi, infatti, non rientrano di per sé nell’ambito di applicazione soggettivo della MiFID II, fatta salva l’ipotesi in cui prestino uno o più dei servizi di investimento cui possono essere autorizzati (i.e. consulenza in materia di investimenti, gestione di portafogli e, per quanto concerne i GEFIA, ricezione e trasmissione di ordini)[31].

Cionondimeno, a livello nazionale, la Consob ha ritenuto opportuno estendere a tali soggetti l’applicazione delle norme in materia di product governance applicabili agli intermediari distributori, con riferimento all’attività di commercializzazione di OICR propri e di terzi[32].

Tale scelta -inizialmente messa in discussione dalle principali Associazioni di categoria- risulta tutto sommato ragionevole in quanto volta a “garantire agli investitori le medesime tutele in fase di sottoscrizione di OICR, indipendentemente dal canale di acquisto utilizzato (distributore terzo ovvero … gestore che procede direttamente alla commercializzazione di OICR propri)[33].

Quanto invece agli obblighi di product governance gravanti sugli intermediari produttori, l’Autorità di vigilanza ha riconosciuto che gli stessi non trovano diretta applicazione nei confronti degli operatori che prestano esclusivamente il servizio di gestione collettiva del risparmio[34].

Tale esclusione, tuttavia, rimane a livello teorico.

Infatti, nel diritto dei mercati finanziari è immanente il principio in virtù del quale l’intermediario deve preventivamente acquisire adeguata conoscenza del prodotto che intende distribuire (c.d. “know your merchandise rule”).

Così, ove non siano altrimenti reperibili informazioni pubbliche rilevanti[35], i distributori sono chiamati ad “adotta[re] tutte le misure ragionevoli per ottenere informazioni adeguate e attendibili anche da … [parte di tali soggetti] al fine di garantire che gli strumenti siano distribuiti conformemente alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi del mercato di riferimento[36].

Ne consegue dunque che il gestore di OICR intenzionato ad avvalersi dei servizi di un intermediario terzo per la distribuzione dei propri prodotti dovrà inevitabilmente procedere -su base volontaria o a fronte di apposito accordo commerciale con il distributore stesso- (quantomeno) all’elaborazione e condivisione dei dati necessari per la determinazione del target market di tali prodotti[37].

Tale impostazione si traduce, a livello pratico, nella piena applicazione da parte dei gestori di OICR di tutte le norme in materia di product governance: quelle relative ai distributors in via cogente e diretta ogni qualvolta effettuino l’attività di commercializzazione di OICR propri o di terzi, quelle relative ai manufacturers in via indiretta ogni qualvolta intendano avvalersi dei servizi di un distributore terzo.

4. Strumenti di enforcement della disciplina

A sostegno della disciplina della product governance è stato introdotto un nuovo strumento di vigilanza al quale possono, a determinate condizioni, fare ricorso le Autorità comunitarie (specificamente, l’ESMA e l’EBA) e le autorità nazionali (in Italia, la Consob e la Banca d’Italia)[38] al fine di tutelare gli investitori da potenziali minacce insite nella circolazione di determinati prodotti e/o attività finanziarie.

Trattasi dell’istituto della c.d. “product intervention[39], il cui quadro strategico è stato ricostruito, nel 2017, con eloquenti considerazioni da parte dell’allora Presidente della Consob[40]:

  • la cosiddetta product intervention” è uno strumento che “non esiste” nel nostro ordinamento fino a tutto il 2017, che “esisterà dal 3 gennaio [2018] e che si sarebbe potuto utilizzare quattro anni prima, se fosse stato concesso”;
  • peraltro, pur “in assenza di uno specifico potere di product intervention, nel maggio del 2014, CONSOB ha avviato una consultazione sulla distribuzione di prodotti complessi alla clientela retail. Ne è derivata una comunicazione, definitivamente adottata nel dicembre di quell’anno, volta a dissuadere gli intermediari – non abbiamo potere di veto, ma una moral suasion o soft law – dal collocare prodotti complessi alla clientela al dettaglio. Anche a seguito di questi interventi, il peso delle obbligazioni nei portafogli dei clienti retail si è pressoché dimezzato”;
  • con la product intervention le autorità hanno un’arma atomica e, quindi, se la usano, effettivamente può creare dei danni seri. Tutto sta nella deterrenza, nella minaccia di usarle e, quindi, indurre. Questo dipende dai rapporti di forza, dalla situazione di mercato, dalla credibilità della istituzione che lo minaccia”.

Alcuni casi concreti possono aiutare a comprendere meglio la realtà operativa e la complessità delle scelte -normative e di vigilanza- più appropriate da adottare in relazione ad essa.

Ad esempio, può valere la pena ricordare che all’inizio del 2000 ebbe avvio un rilevante contenzioso legato al collocamento, da parte di una banca salentina, di certi piani finanziari (denominati My Way, For You, etc.) e prodotti strutturati (denominati BTP Tel, BTP On Line, etc.). La Consob dispose un’ispezione in loco e, ritenendo che vi fossero state carenze organizzative e procedurali nella definizione di quello che oggi potremmo definire il target market potenziale ed effettivo di tali prodotti, esercitò una moral suasion tale da portare il Consiglio di Amministrazione della banca a cessare il collocamento degli stessi.

Molti anni dopo, sempre in assenza di poteri di product intervention ma a seguito dell’emanazione della Comunicazione del 2009 sulla distribuzione di prodotti illiquidi, la Consob si trovò a esaminare preventivamente il caso dell’aumento di capitale di una banca veneta. Nella circostanza, la Commissione -con decisione a lungo dibattuta- decise “a favore dell’inserimento dello scenario probabilistico [all’interno del prospetto informativo relativo all’offerta delle azioni rivenienti dal suddetto aumento di capitale, n.d.r.]”. In proposito, è stato in seguito osservato che “con il senno di poi, ci rendiamo conto che, forse, abbiamo sbagliato”: invero, “lo scenario probabilistico secondo il metodo CONSOB sull’emissione di Popolare di Vicenza … dava una possibilità di guadagnare al 77 per cento a quell’epoca … Anni dopo lo scenario è completamente cambiato …[41].

Piuttosto, paradossalmente, nel caso dell’aumento di capitale della suddetta banca si rivelò efficace una misura che la Consob suggerì dopo aver contestualmente consentito una deroga al regime bloccante dell’adeguatezza (che, come visto, era stato già da qualche anno introdotto con la normativa di recepimento della MiFID): “in ipotesi di riscontrata non adeguatezza dell’operazione, i soci sottoscrittori avrebbero dovuto produrre una dichiarazione olografa circa la volontà di aderire all’offerta, nonostante il contrario avviso della Banca [dovuto ai sensi degli artt. 39 e 40 dell’ora vigente Regolamento Intermediari Consob n. 16190/2007, n.d.r.] … Ovviamente, il risultato è stato quello che i sottoscrittori retail non hanno sottoscritto, tranne per una cifra risibile … [42].

In seguito, “analoghi presidi sono stati posti in essere con riguardo all’operazione di aumento di capitale promossa da MPS, anch’essa non andata a buon fine. Poi c’è stata la ricapitalizzazione a carico sostanzialmente del settore pubblico …[43].

La più recente esperienza dell’aumento di capitale deliberato dalla Casa di Risparmio di Genova (CARIGE) appare ancor più originale.

In quel caso la Consob chiese al Consiglio di Amministrazione della banca di inserire, nel materiale da consegnare agli investitori, la seguente avvertenza: “si evidenzia che l’investimento in azioni Banca CARIGE è altamente rischioso e che l’investitore rischia di vedere azzerato il valore del proprio investimento in caso di mancato buon esito dell’aumento di capitale per un ammontare minimo di euro 500 milioni”. Come osservato dall’allora Presidente della Consob, “sono due righe comprensibili da chiunque, ciononostante l’aumento di capitale è stato sottoscritto. La libera volontà, quindi, prevale anche rispetto ai caveat più forti[44].

Se i principi del caveat emptor e dell’autodeterminazione rimangono tutto sommato validi, non mancano certo esempi di vero e proprio intervento interdittivo da parte delle Autorità di vigilanza.

Nel maggio 2018, l’ESMA ha adottato misure di temporaneo divieto della commercializzazione, distribuzione e vendita agli investitori retail di opzioni binarie, oltre che di ampia limitazione delle medesime attività con riferimento ai contracts for differences (CFDs).

Tali presidi sono stati in seguito ripresi e rafforzati a livello nazionale da parte dalla Consob che, con le delibere nn. 20975 e 20976 del 20 giugno 2019, ha adottato in via definitiva e fino ad eventuale revoca analoghi divieti e limitazioni con riferimento alla circolazione di opzioni binarie e CFDs in Italia e dall’Italia.

Resta ferma, in ogni caso, la vigilanza sugli istituti bancari autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento.

Al riguardo, l’attività svolta dalla Consob nel 2019 ha coinvolto i principali operatori nazionali e ha dato luogo a iniziative correttive volte a “garantire il pieno allineamento delle procedure ai requisiti imposti dalla disciplina comunitaria relativa alla product governance del produttore e del distributore e alla valutazione di adeguatezza[45].

In definitiva, l’ampio quadro regolamentare raggiunto con la MiFID II e le numerose -e non di rado dolorose- esperienze vissute nell’arco di circa un trentennio dovrebbero consentire di pervenire a una equilibrata disciplina dei servizi di investimento, improntata alle numerose e tutelanti regole organizzative, di comportamento e di intervento sopra illustrate, ma anche tale da permettere l’adozione di soluzioni ragionevoli commisurate ai singoli casi concreti.

5. Le evoluzioni della disciplina della product governance: le più recenti novità e uno sguardo al futuro

Il regime della product governance è stato recentemente oggetto di ulteriori interventi normativi.

In base a quanto disposto dalla Direttiva Delegata (UE) 2021/1269, infatti, dovranno essere integrati nell’ambito di tale disciplina i c.d. “fattori di sostenibilità”, inerenti -secondo la relativa definizione di cui all’SFDR[46]– “[al]le problematiche ambientali, sociali e concernenti il personale, il rispetto dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione attiva e passiva[47].

Segnatamente, secondo l’impostazione adottata dal legislatore comunitario, tali fattori dovranno essere presi in considerazione -in aggiunta agli ulteriori aspetti già identificati dalla vigente normativa- da parte di intermediari produttori e distributori nell’attività di definizione e riesame periodico del target market positivo[48] (rispettivamente, potenziale ed effettivo) di ogni prodotto finanziario oggetto di emissione e distribuzione, al fine di valutarne la coerenza rispetto agli “obiettivi legati alla sostenibilità” del cluster di clientela cui esso è indirizzato.

Trattasi di una previsione avente portata ricognitiva più che innovativa, dal momento che -come osservato dalla Consob già nel 2020[49] – le tematiche ESG costituiscono ormai da tempo e sempre più di frequente un “driver per la distribuzione di prodotti/servizi di investimento” e che gli Orientamenti ESMA sugli obblighi di governance dei prodotti già annoveravano gli obiettivi di sostenibilità tra i fattori da prendere in considerazione da parte di produttori e distributori ai fini della determinazione del target market dei prodotti finanziari emessi/distribuiti[50].

Ulteriori sviluppi al riguardo sono peraltro attesi all’esito della consultazione recentemente avviata dall’ESMA (e aperta fino al 27 aprile p.v.), per mezzo della quale sono stati proposti degli interventi sugli “Orientamenti su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della MiFID II” pubblicati nel 2018 al fine di aggiornare tale documento rispetto alle novità normative introdotte in materia di sostenibilità[51].

Un altro recente intervento sulla disciplina della product governance è rinvenibile poi nel corpo della c.d. Direttiva Quick Fix[52], parte del “pacchetto per la ripresa dei mercati dei capitali” concordato nel 2020 tra il Consiglio e il Parlamento europeo al fine di facilitare la ricapitalizzazione delle imprese comunitarie sui mercati a seguito della crisi pandemica mediante l’introduzione di “modifiche mirate e limitate” alla normativa in vigore sui servizi finanziari[53].

Specificamente, per mezzo della Direttiva Quick Fix è stata esclusa l’applicazione delle regole di product governance nell’ipotesi in cui “il servizio di investimento prestato riguarda obbligazioni che non hanno derivati incorporati diversi da una clausola make-whole”, in tal modo intendendo facilitare l’accesso degli investitori al dettaglio a più obbligazioni societarie “plain vanilla”, consentendo al contempo agli emittenti di attingere a una più ampia base di investitori e pur sempre salvaguardando la tutela del risparmio[54].

Inoltre, gli intermediari sono stati esentati dall’adempimento dei doveri in materia di product governance nel caso in cui “gli strumenti finanziari sono commercializzati o distribuiti esclusivamente a controparti qualificate”, in considerazione dei limitati vantaggi apportati da tale onere a fronte di costi piuttosto ingenti in termini di tempo e risorse[55].

La Direttiva Quick Fix è figlia non soltanto della necessità di agevolare gli investimenti nell’economia reale e consentire una rapida ricapitalizzazione delle imprese europee poste a dura prova dall’emergenza sanitaria, ma anche di alcune osservazioni già in precedenza sollevate da parte degli operatori del mercato.

Come chiarito dalla Commissione europea nella presentazione della proposta della Direttiva, infatti, “già nel 2019, le parti interessate avevano avvertito … che diversi aspetti delle norme di distribuzione della MiFID II erano superflui o percepiti come eccessivamente onerosi”, necessitandosi dunque una riflessione volta a “trovare il giusto equilibrio tra un livello sufficiente di trasparenza nei confronti del cliente, i più elevati livelli di protezione e costi di conformità accettabili per le imprese[56].

Alcune osservazioni di analogo tenore erano, inoltre, emerse anche in occasione della consultazione pubblica indetta dalla Commissione europea tra febbraio e maggio 2020 al fine di raccogliere le opinioni dei vari attori del mercato circa il funzionamento complessivo del regime MiFID II / MiFIR a distanza di due anni dalla data della relativa applicazione e presentare, di conseguenza, al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione al riguardo[57] eventualmente corredata da una proposta di riforma del corpus normativo.

In tale circostanza, infatti, “le parti interessate dalla consultazione relativa alla MiFID II [avevano] presentato elementi di prova relativi al fatto che le norme in materia di governance dei prodotti per determinati strumenti … hanno impedito una distribuzione ottimale del capitale per mezzo di mercati secondari dinamici[58].

Segnatamente, esse avevano manifestato un’esigenza di semplificazione della richiamata normativa al fine di consentire un più facile accesso da parte della clientela retail a prodotti di investimento semplici, osservando in proposito che le regole ad oggi in essere finiscono, a volte, per precludere a tale tipologia di clientela l’accesso a prodotti astrattamente alla medesima appropriati / adeguati[59].

Nella stessa occasione è stato, peraltro, indicato da parte di molti degli intervenuti che le regole imposte dalla MiFID II risultano iperprotettive nei confronti di quei clienti al dettaglio provvisti di un sufficiente livello di esperienza relativamente ai mercati finanziari, tanto che è stata da molti caldeggiata l’introduzione di una nuova categoria di investitori retailesperti[60].

Tale proposta risulta peraltro coerente con quanto già indicato a livello comunitario circa l’opportunità di valutare l’istituzione di una nuova categoria di investitori c.d. “HNWI” (“expert high net worth individuals”) per i quali prevedere regole di investor protection ad hoc che ne agevolino gli investimenti[61], nonché con quanto sta accadendo in altri ambiti del diritto finanziario in cui la figura dell’investitore retail è già stata in qualche modo ripresa in considerazione[62].

I riscontri raccolti in sede di consultazione potrebbero, dunque, indurre il legislatore europeo a un (almeno parziale) ripensamento del vigente impianto normativo in materia di investor protection di cui al pacchetto MiFID II / MiFIR, con l’obiettivo di rendere il mercato maggiormente inclusivo nei confronti della clientela retail[63].

Frattanto, a livello nazionale, nell’ambito della disciplina dei fondi di investimento alternativi, è atteso a breve l’abbattimento della soglia minima per l’accesso all’investimento da parte degli investitori retail (ad oggi pari a 500.000 Euro), proposto dal Dipartimento del Tesoro con il dichiarato obiettivo di “consentire l’accesso a queste forme di investimento alternativo ad una platea di clientela retail più ampia, con patrimoni di medie/grandi dimensioni, disponibile ad investire nel medio/lungo periodo in asset illiquidi e in società non quotate[64].

In conclusione, in un periodo in cui la ricchezza finanziaria delle famiglie è complessivamente aumentata in virtù del forte incremento al risparmio indotto dalla pandemia da Covid-19 e si attendono altresì ingenti sostegni pubblici ai settori produttivi, il quadro regolamentare appare ormai propizio affinché gli intermediari possano raccogliere la fiducia degli investitori mediante la creazione di prodotti adeguatamente calibrati.

 

[1] Nelle more della pubblicazione del presente scritto, la Consob, con avviso del 3 febbraio u.s., ha formalmente revocato le proprie comunicazioni concernenti la distribuzione di prodotti finanziari illiquidi e complessi nei confronti della clientela retail, in quanto “direttamente o indirettamente assorbit[e] dalle più ampie e articolate regole dettate dal vigente quadro normativo”.

[2] Ai sensi del considerando n. 4 della Direttiva 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari (“MiFID II”) “la crisi finanziaria ha fatto emergere carenze nel funzionamento e nella trasparenza dei mercati finanziari. L’evoluzione dei mercati finanziari ha evidenziato la necessità di rafforzare il quadro per la regolamentazione dei mercati degli strumenti finanziari, anche quando la negoziazione in tali mercati avviene fuori borsa (OTC), al fine di aumentare la trasparenza, tutelare meglio gli investitori, rafforzare la fiducia …”.

[3] Al riguardo, cfr. Relazione Consob al Ministro dell’Economia e della Finanze per l’anno 2009, ove alle pp. 19-20 si dà atto di “un contesto di mercato caratterizzato dalla nota crisi di liquidità, cui il sistema bancario ha risposto incrementando l’emissione di obbligazioni collocate presso gli investitori retail …”, nonché della “presenza [nei portafogli degli investitori retail] di obbligazioni in prevalenza illiquide e talvolta più rischiose dei titoli di stato senza che tali rischi siano adeguatamente riflessi nel rendimento offerto”. Cfr. anche Indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati, Camera dei Deputati, VI Commissione Finanze, Audizione di Emilio Barucci, Professore Ordinario di Finanza Matematica presso il Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano, 3 giugno 2015: “… alcuni strumenti derivati sono troppo complessi, la loro valutazione è complicata anche per gli addetti ai lavori. Questo ha fatto sì che molti operatori non esperti siano stati “gabbati” più o meno consapevolmente da parte di operatori più esperti … Il principio cardine della trasparenza che dovrebbe essere il presupposto indispensabile per permettere agli operatori (professionali e retail) di prendere decisioni consapevoli è una foglia di fico in presenza di derivati complessi …”.

[4] Legge 2 gennaio 1991, n. 1.

[5] D.lgs. 23 luglio 1996, n. 415.

[6] D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

[7] Direttiva 39/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 relativa ai mercati degli strumenti finanziari.

[8] Ai sensi dell’art. 19, par. 1, della MiFID “… le imprese di investimento, quando prestano servizi di investimento e/o, se del caso, servizi accessori ai clienti, agisc[o]no in modo onesto, equo e professionale, per servire al meglio gli interessi dei loro clienti …”.

[9] Sul punto, cfr. L. Cardia, L’attuazione della direttiva MiFID in Italia nella regolamentazione secondaria, 21 settembre 2007, che descrive l’obiettivo della nuova normativa di “potenziare il principio della centralità dell’interesse del cliente quale destinatario del servizio prestato dall’intermediario”, sottolineando come “nella catena ‘società/prodotto-distributore-cliente’ l’intermediario dovrà privilegiare l’obiettivo di ‘fornire un servizio al cliente’ piuttosto che la logica di integrazione con il produttore …”.

[10] Cfr. L. Cardia, L’attuazione della direttiva MiFID in Italia nella regolamentazione secondaria, cit.

[11] Cfr. Relazione della Consob al Ministro dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2009, pag. 19.

[12] Cfr. Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009, “Il dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e traasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi”.

[13] Cfr. Documento di lavoro dei servizi della Commissione, Sintesi della valutazione dell’impatto che accompagna i documenti “Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai mercati degli strumenti finanziari” e “Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai mercati degli strumenti finanziari”, 20 ottobre 2011.

[14] Cfr., in particolare, artt. 16, par. 3, e 24, par. 2 della MiFID II. Tali previsioni trovano poi specificazione nell’ambito della Direttiva Delegata (UE) 2017/593 (cfr. artt. 9 e 10). Significativi chiarimenti al riguardo sono rinvenibili, inoltre, negli Orientamenti sugli obblighi di governance dei prodotti ai sensi della MiFID II emanati dall’ESMA il 2 giugno 2017 e nelle Q&A on MiFID II and MiFIR investor protection and intermediaries topics da ultimo aggiornate dall’ESMA il 19 novembre 2021.

[15] Il riferimento è, a livello comunitario, alla Joint Position of the ESAs on Manufacturers’ Product Oversight & Governance Processes emanata da EBA, ESMA ed EIOPA nel novembre del 2013, al Regulation of Retail Structured Products emanato dalla IOSCO nel dicembre 2013, nonché alle opinion emanate dall’ESMA a febbraio e marzo 2014 e intitolate, rispettivamente, MiFID practices for firms selling complex products e Structured Retail Products – Good practices for product governance arrangements. A livello nazionale, invece, si richiama la Comunicazione Consob n. 0097996 del 22 dicembre 2014 sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail, nell’ambito della quale veniva evidenziato che “gli intermediari hanno il dovere di condurre autonome valutazioni per la delimitazione del perimetro dell’offerta di prodotti finanziari, in coerenza con le connotazioni del proprio target di clientela, anche individuando ex-ante i prodotti che, per caratteristiche intrinseche, non si prestano alla realizzazione delle esigenze di investimento dei propri clienti” ed è stato raccomandato agli operatori di non consigliare o distribuire alcuni prodotti particolarmente complessi alla clientela al dettaglio.

[16] Cfr. considerando n. 15 della Direttiva delegata (UE) 2017/593.

[17] Purtroppo, come messo in luce da A. Genovese, ne La regolamentazione dei servizi di investimento. Novità e prime evidenze di mercato, 11 giugno 2018, pagg. 2-3, in Italia la distribuzione nei confronti della clientela aveva mostrato ancora carenze molto rilevanti: “le istruttorie culminate nelle sanzioni 2017 hanno evidenziato un corto circuito provocato da conflitti di interesse non dichiarati … e solo in apparenza sterilizzati. Il tutto aggravato da pratiche preordinate ad aggirare la disciplina MiFID apparentemente rispettata (riprofilature strumentali, abbinamento di offerta di prodotti di investimento e di finanziamento in modalità “baciate”)”.

[18] Regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 20307/2018.

[19] Ai sensi dell’art. 62, comma 1, lett. a), del Regolamento Intermediari sono definiti “intermediari produttori” quelli che “creano, sviluppano, emettono e/o concepiscono strumenti finanziari o che forniscono consulenza agli emittenti societari nell’espletamento di tali attività”.

[20] Ai sensi dell’art. 62, comma 1, lett. b), del Regolamento Intermediari sono definiti “intermediari distributori” quelli che “offrono o raccomandano strumenti finanziari ai clienti”.

[21] Il “target market potenziale” è individuato dal produttore all’interno della pertinente categoria di clientela sulla base della propria conoscenza teorica ed esperienza pregressa rispetto al prodotto o a prodotti analoghi, ai mercati finanziari, nonché alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi dei clienti finali potenziali.

[22] A tal proposito, viene sovente utilizzato nella prassi il c.d. European MiFID Template (“EMT”), un format elaborato a livello internazionale da parte dal gruppo di lavoro “FinDatEx” e liberamente utilizzabile su base volontaria da parte dei manufacturers di OICR e prodotti strutturati al fine di standardizzare i flussi nei confronti dei distributori necessari all’adempimento –inter alia– degli obblighi di product governance. Nell’ambito dell’EMT è infatti presente una sezione dedicata alla definizione del target market del prodotto, nell’ambito della quale il manufacturer può inserire le necessarie informazioni circa le caratteristiche della clientela target e la strategia distributiva ritenuta più opportuna.

[23] Il “target market effettivo” è individuato da parte dell’intermediario distributore in considerazione delle informazioni trasmesse da parte del manufacturer, delle caratteristiche della propria clientela, nonché dei servizi di investimento prestati. In proposito, gli Orientamenti ESMA sugli obblighi di governance dei prodotti specificano che è facoltà del distributor -a seguito di approfondita analisi- adottare un’impostazione meno prudente rispetto alla strategia di distribuzione proposta dal manufacturer, ma una simile decisione dovrebbe essere comunicata al produttore affinché quest’ultimo possa tenerla in considerazione nei propri processi di product governance e nella selezione dei propri distributori.

[24] Al riguardo, gli Orientamenti ESMA sugli obblighi di governance dei prodotti chiariscono che non è necessaria la comunicazione al produttore delle vendite al di fuori del target market positivo ove queste avvengano a fini di diversificazione/copertura nell’ambito della prestazione dei servizi di consulenza di portafoglio o di gestione patrimoniale (fermo restando il fatto che, in ogni caso, la giustificazione dello scostamento andrebbe documentata); al contrario, le vendite all’interno del target market negativo -che dovrebbero avvenire raramente e con giustificazione “significativa”- dovrebbero sempre essere comunicate al produttore, anche ove effettuate a fini di diversificazione/copertura.

[25] In proposito, la stessa MiFID II, al considerando n. 71, precisa infatti che gli obblighi in materia di product governancedovrebbe[ro] applicarsi senza arrecare pregiudizio alla valutazione dell’adeguatezza [rectius appropriatezza] o idoneità [rectius adeguatezza] che le imprese di investimento dovranno successivamente effettuare nella fornitura di servizi di investimento a ciascun cliente, sulla base delle sue esigenze, caratteristiche e obiettivi personali”.

[26] Cfr. A. Genovese, cit., pagg. 8 e ss., “la product governance proietta le questioni di adeguatezza/appropriatezza nella dimensione imprenditoriale che connota l’attività dell’intermediario. Le principali leve gestionali dell’intermediario (pianificazione, budget, formulazione di obiettivi della rete e connessa incentivazione del personale) non possono prescindere dalle risultanze del processo di product governance operato a monte sulla gamma dei prodotti finanziari offerti alla clientela”.

[27] Cfr. artt. 63, comma 1, lett. a), e 65 del Regolamento Intermediari, adottati in attuazione dell’art. 16, par. 3, della MiFID II e dell’art. 9, par. 2, della Direttiva Delegata (UE) 593/2017.

[28] Cfr. art. 66 del Regolamento Intermediari.

[29] Cfr. artt. 72 e 75 del Regolamento Intermediari.

[30] Cfr. art. 73 del Regolamento Intermediari.

[31] Sul punto, cfr. art. 6, par. 4, della Direttiva 2009/65/CE (Direttiva UCITS) e art. 6, par. 6, della Direttiva 2011/61/UE (Direttiva AIFM), oltre che la Relazione illustrativa degli esiti della consultazione del Regolamento Intermediari pubblicata dalla Consob il 16 febbraio 2018, pag. 178.

[32] Cfr. artt. 107 e 109 del Regolamento Intermediari.

[33] Cfr. Relazione illustrativa degli esiti della consultazione del Regolamento Intermediari pubblicata dalla Consob il 16 febbraio 2018, pagg. 176 e ss.

[34] Cfr. Relazione illustrativa degli esiti della consultazione del Regolamento Intermediari pubblicata dalla Consob il 16 febbraio 2018, pag. 111: “gli operatori che prestano esclusivamente il servizio di gestione collettiva del risparmio non ricadono espressamente nel perimetro applicativo della MiFID II e quindi non sono soggetti agli obblighi di product governance gravanti in capo agli intermediari produttori”.

[35] Il riferimento è, a titolo esemplificativo, alle “informazioni divulgate in conformità degli obblighi della direttiva sul prospetto, della direttiva sulla trasparenza, della direttiva OICVM, della direttiva GEFIA o degli obblighi equivalenti di un paese terzo” (sic Orientamenti ESMA sugli obblighi di governance dei prodotti).

[36] Cfr. art. 74 del Regolamento Intermediari.

[37] Secondo gli Orientamenti ESMA sugli obblighi di governance dei prodotti, “se il distributore non è nella posizione di ottenere in alcun modo informazioni sufficienti sui prodotti creati dalle entità non soggette agli obblighi di governance dei prodotti … l’impresa potrebbe non essere in grado di adempiere ai propri obblighi nel quadro della MiFID II e dovrebbe pertanto evitare di inserirli nella propria gamma di prodotti”.

[38] Nel nostro ordinamento, cfr. art. 7-bis del TUF.

[39] Cfr. art. 69 della MiFID II, Regolamento (UE) 600/2014 sui mercati degli strumenti finanziari (MiFIR), Regolamento Delegato (UE) 2017/567 e, nell’ordinamento italiano, art. 7-bis del TUF.

[40] Cfr. atti della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, resoconto stenografico n. 32, 14 dicembre 2017, Audizione del Dottor Giuseppe Vegas, Presidente della Consob, pagg. 10 e 31.

[41] Cfr. Resoconto stenografico n. 32, 14 dicembre 2017, Audizione del Dottor Giuseppe Vegas, Presidente della Consob, pagg. 20 e 62.

[42] Cfr. Resoconto stenografico n. 32, 14 dicembre 2017, Audizione del Dottor Giuseppe Vegas, Presidente della Consob, pagg. 11-12.

[43] Cfr. Resoconto stenografico n. 32, 14 dicembre 2017, Audizione del Dottor Giuseppe Vegas, Presidente della Consob, pag. 12.

[44] Cfr. Resoconto stenografico n. 32, 14 dicembre 2017, Audizione del Dottor Giuseppe Vegas, Presidente della Consob, pag. 12.

[45] Cfr. Relazione Consob al Ministro dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2020, pag. 45.

[46] Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari.

[47] Cfr. art. 2, par. 1, p.to 24), dell’SFDR.

[48] I fattori di sostenibilità non impattano invece sulla definizione del target market negativo in ragione del fatto che, come indicato nell’ambito del considerando n. 7 della Direttiva Delegata (UE) 2021/1296, “per garantire che gli strumenti finanziari con fattori di sostenibilità restino facilmente disponibili anche per i clienti che non hanno preferenze di sostenibilità, le imprese di investimento non dovrebbero essere tenute a identificare gruppi di clienti le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi non sono compatibili con lo strumento finanziario con fattori di sostenibilità”.

[49] Cfr. Richiamo di attenzione Consob n. 1/20 del 12 marzo 2020 avente ad oggetto: “Prestazione di servizi di investimento e questioni ESG”.

[50] Cfr. par. 18, lett. (e), degli Orientamenti ESMA sugli obblighi di governance dei prodotti, ove è indicato che “un prodotto può essere concepito con caratteristiche particolari per conseguire obiettivi di investimento specifici quali … «l’investimento verde», «l’investimento etico», ecc.”.

[51] In particolare, i principali interventi normativi riflessi nella proposta di modifica degli Orientamenti ESMA riguardano: (i) la raccolta di informazioni relativamente alle preferenze di sostenibilità della clientela, (ii) la verifica circa la coerenza dei prodotti rispetto alle preferenze di sostenibilità della clientela, nonché (iii) alcuni requisiti organizzativi che le imprese di investimento sono chiamate ad adottare (cfr. https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-consults-review-mifid-ii-suitability-guidelines).

[52] Direttiva (UE) 2021/338 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2021.

[53] In base al considerando n. 1 della Direttiva Quick Fix, obiettivo della stessa è quello di “rimuovere gli oneri burocratici non necessari e introdurre misure attentamente calibrate ritenute efficaci al fine di mitigare le difficoltà economiche”. Il successivo considerando n. 3 riconosce inoltre che “per quanto riguarda gli obblighi volti a proteggere gli investitori, la direttiva 2014/65/UE non ha pienamente raggiunto l’obiettivo di adottare misure che tengano sufficientemente conto delle peculiarità di ciascuna categoria di investitori … Alcuni di tali obblighi non sempre hanno migliorato la tutela degli investitori, ma talvolta hanno ostacolato la regolare esecuzione delle decisioni di investimento”.

[54] Cfr. considerando n. 4 della Direttiva Quick Fix: “Le obbligazioni senza nessun altro derivato incorporato se non una clausola make-whole sono generalmente considerate prodotti semplici e sicuri, ammissibili per i clienti al dettaglio. Nel caso del rimborso anticipato, un’obbligazione senza nessun altro derivato incorporato se non una clausola make-whole protegge gli investitori dalle perdite, garantendo che tali investitori ricevano un pagamento pari alla somma del valore attuale netto dei pagamenti delle cedole residue e del valore nominale dell’obbligazione che avrebbero percepito se l’obbligazione non fosse stata ritirata”.

[55] Cfr. considerando n. 4 della Direttiva Quick Fix: “Le controparti qualificate [hanno] una conoscenza sufficiente degli strumenti finanziari. È pertanto giustificato esentare le controparti qualificate dai requisiti di governance dei prodotti applicabili agli strumenti finanziari commercializzati o distribuiti esclusivamente ad esse”.

[56] Cfr. Commissione Europea, 24 luglio 2020, COM(2020) 280 final, pag. 1.

[57] Cfr. artt. 90 della MiFID II e 52 del MiFIR.

[58] Cfr. Commissione Europea, 24 luglio 2020, COM(2020) 280 final, pag. 9.

[59] Cfr. Summary Report of the Public Consultation on the Review of MiFID II/MiFIR by the European Commission, 20 ottobre 2021, pagg. 9 e 10. Addirittura, oltre un quarto degli intervenuti si è dichiarata favorevole ad abilitare gli intermediari a vendere un prodotto finanziario a clienti rientranti nell’ambito del relativo target market negativo, qualora siano i clienti stessi ad insistere in tal senso.

[60] Cfr. Summary Report of the Public Consultation on the Review of MiFID II/MiFIR by the European Commission, 20 ottobre 2021, pagg. 11 e 16.

[61] Cfr. CMU-Next Group, rapporto di ottobre 2019, ove una delle raccomandazioni è la seguente: “Introduce the definition of a new category of experienced High Net Worth (“HNW”) investors with tailor made investor protection rules. HNW investors could be defined as those that have sufficient experience and financial means to understand the risk attached to a more proportionate investor protection regime. The EU Commission should carry an impact assessment of the cumulative dis-incentivizing effect of investor protection provisions of several pieces of legislation (UCITS, MiFID, PRIIPs) on investors access to markets and suggest appropriate measures”.

[62] Il riferimento è, a titolo esemplificativo: (i) alla disciplina del crowdfunding, nell’ambito della quale sono state dettate specifiche previsioni per gli “investitori sofisticati” (cfr. art. 2, par. 1, lett. j), del Reg. (UE) 2020/1503); (ii) alla normativa in materia di EuVECA ed EuSEF, a determinate condizioni accessibili anche all’investitore non professionale che abbia rilasciato una “dichiarazione di consapevolezza” (cfr. art. 6 del Reg. (UE) 345/2013 e art. 6 del Reg. (UE) 346/2013).

[63] In tale direzione sembra muovere anche l’ulteriore iniziativa intrapresa dalla Commissione europea nel corso del 2021 avente ad oggetto la “strategia dell’UE per gli investitori al dettaglio”, il cui scopo è quello di far sì che “i consumatori che investono sui mercati dei capitali possano farlo con fiducia, che i risultati di mercato migliorino e che la partecipazione dei consumatori aumenti [anche al fine di] convoglia[re] il capitale verso le imprese del settore privato … [e] accelerare il processo di ripresa economica dopo la pandemia …”, relativamente alla quale è prevista l’emanazione di una proposta normativa entro la prima metà del 2022.

[64] Cfr. Consultazione pubblica sulla proposta di modifica dell’art. 14 del DM 30/2015 (http://www.dt.mef.gov.it/it/dipartimento/consultazioni_pubbliche/consultazione_art14.html).

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Roberto Della Vecchia, Partner, Di Tanno Associati; Professore a contratto di Diritto dei Mercati Finanziari, Università di Teramo

Evelina Nobile, Di Tanno Associati

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