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Editoriali

La riforma annunciata dell’IRPEF e la rivoluzione fiscale che non c’è

5 Ottobre 2020

Alessandro Giovannini

Professore ordinario di diritto tributario, Università degli studi di Siena

Di cosa si parla in questo articolo

Stando alle comunicazioni del Governo, una delle principali novità fiscali collegata alla prossima legge di bilancio consisterebbe nella modifica del meccanismo di determinazione dell’IRPEF dovuta da ogni contribuente.

Roba tecnicamente complessa. Proviamo velocemente a “sminuzzarla” per capire di cosa si tratta. La riforma comporterebbe l’abbandono della progressività per scaglioni a favore della progressività lineare o continua e quindi l’eliminazione degli scalini tra l’aliquota corrispondente ad uno scaglione e quella di un altro. Ad esempio, tra lo scaglione da 15 mila e fino a 28 mila euro, e lo scaglione da 28 mila e fino a 55, lo scalino, ora, consiste nel passaggio istantaneo del reddito eccedente 28 mila euro da un’aliquota del 27 ad una del 38. Con la riforma questo brusco passaggio scomparirebbe.

Inoltre, per garantire il corretto fluire della linearità, la proposta prevede la cancellazione delle detrazioni, ad esclusione di quelle per carichi di famiglia.

La continuità della progressione, quindi, determinerebbe una crescita senza soluzione di continuità dell’aliquota fino al raggiungimento di quella massima ipotizzata al 45 per cento per i redditi superiori a 70 mila euro. Infine, poiché la linearità comporta variazioni infinitesimali dell’aliquota stessa all’aumentare del reddito, il calcolo verrebbe affidato ad un algoritmo costruito su una funzione matematica.

Roba cervellotica, come detto, nata in “laboratorio”, alla quale però il Governo guarda con grande interesse per poter finalmente annunciare una riforma fiscale epocale funzionale alla rinascita economica del paese.

Sarebbe davvero così? Ritengo di poterlo escludere. Niente di epocale. Stando alle più accreditate simulazioni degli scienziati delle finanze, per un numero molto consistente di redditi, specie per quelli compresi tra 20 e 30 mila euro, non cambierebbe niente, la tassazione non avrebbe significative variazioni. Per i redditi più bassi, il prelievo potrebbe diminuire da pochi euro fino a 25 euro al mese, così come per quelli compresi tra 30 e 70 mila. Infine, per i redditi superiori a 70 mila la tassazione diverrebbe sensibilmente più pesante.

La proposta, inoltre, accentuerebbe in maniera significativa le differenze tra tipologie di redditi a parità di ammontare. Ad esempio, riprendendo di nuovo quelle simulazioni, per un reddito di 10 mila euro, se prodotto da un’imprenditore o da un professionista, la tassazione raggiungerebbe il 10 per cento; se derivante da pensione, si fermerebbe al 5; se frutto di lavoro dipendente, sarebbe vicina allo zero.

Si potrebbe continuare con altri esempi, ma la sostanza non cambierebbe: con la riforma i redditi d’impresa e di lavoro autonomo subirebbero un prelievo sempre maggiore di quello di altre categorie, almeno fino al raggiungimento di 100 mila euro.

È mia convinzione che una manovra come questa non aiuti la ripresa italiana; approfondisca ingiuste disuguaglianze a danno dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo e determini l’impiego di risorse pubbliche, coincidenti con la contrazione delle entrate, che non avranno un significativo impatto sull’economia reale.

La riforma, stringi stringi, sembra ripetere politiche fiscali di incentivo ai consumi, politiche che nella storia anche recente hanno già dimostrato la loro inefficacia rispetto, proprio, al raggiungimento di questa finalità. Inoltre, pare ripetere politiche in qualche modo antagonistiche alla libera iniziativa economica, quasi che la ricchezza privata di mercato sia figlia di un dio minore e come tale da tassare più pesantemente di altre ricchezze.

Io credo che in questo momento il Paese non abbia bisogno di questo tipo di fiscalità. Piuttosto, avrebbe bisogno di vedere realizzata, con sguardo di lungo periodo, di sistema e senza ulteriori attese, una vera e propria rivoluzione fiscale in grado di trasformare i tributi in pungoli per la produzione e l’incremento della produttività, per la ricerca, la tecnologia avanzata, gli investimenti in capitale di rischio e capitale umano. E al tempo stesso in grado di alleggerire non soltanto il peso delle imposte, ma anche l’enorme burocrazia contabile; consentire la determinazione anticipata del reddito rispetto all’inizio dell’attività o dell’anno, in contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e con validità almeno biennale; permettere alle grandi imprese di verificare in corso d’anno, sempre in collaborazione con l’amministrazione, la congruità del reddito e la corretta tenuta dei conti.

Rovesciare il sistema, questo è quello che occorre fare per tentare di rialzare il paese. Il resto sono pannicelli caldi, del tutto inadeguati a curare le profonde ferite dell’economia nostrana.

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