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Attualità

La Corte di Cassazione si esprime sulla residenza fiscale delle persone fisiche e sulla presunzione di esterovestizione

21 Luglio 2016

Elio Andrea Palmitessa, LL.M., Dottore Commercialista in Milano

Cassazione Civile, Sez. V, 15 giugno 2016, n. 12311

Di cosa si parla in questo articolo

Con la Sentenza n. 12311 del 15 giugno 2016, la Corte di Cassazione torna ad esprimersi in tema di trasferimento della residenza fiscale all’estero, annotando, ancora una volta, che “ai fini della determinazione del luogo della residenza normale si riconosce la preminenza dei legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato”, intendendo con ciò “la presenza fisica di quest’ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali”.

Il rinnovato intervento dei giudici di Piazza Cavour offre l’opportunità di proporre alcune riflessioni alla luce dei più recenti indirizzi della giurisprudenza in tema di residenza fiscale ed esterovestizione delle persone fisiche (intesa come fittizia localizzazione all’estero, con il solo fine di sottrarsi all’ordinamento tributario nazionale).

Ricordiamo innanzitutto che, ai fini dell’articolo 2, comma 2 del Tuir, “si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.

I tre presupposti, così come enunciati dalla norma mediante utilizzo di congiunzione disgiuntiva “o”, evidenziano un vincolo di alternanza per cui sarebbe (in linea teorica) sufficiente che uno soltanto dei presupposti si realizzi, perché la persona sia considerata fiscalmente residente in Italia.

Tuttavia, secondo il consolidato orientamento di prassi e giurisprudenza, l’iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) non è elemento probatorio tale da escludere la residenza fiscale in Italia, diversamente dai requisiti soggettivi costituiti dal domicilio o dalla residenza della persona fisica. Occorre brevemente ricordare che, ai sensi dell’articolo 43 del Codice Civile, il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

Ne consegue che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e la conseguente iscrizione all’AIRE non è un requisito sufficiente per determinare la residenza al di fuori del territorio dello Stato, allorché il soggetto abbia ancora nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come “sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali, non risultando determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell’interessato, ma dovendosi contemperare la volontà individuale con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi, per cui il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi” (Cassazione Civile, Sentenza n. 5385/2012). A tal fine, ciò che conta non è la presenza continuativa in un luogo, quanto la volontà di rimanervi e ritornarvi appena possibile, nonché mantenervi le proprie relazioni familiari e sociali (Cassazione Civile, Sentenza n. 961/2015).

Questa lettura, peraltro, ben si coniuga con le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza comunitaria. Nelle Sentenze C-262/99 (Louloudakis contro Stato ellenico) e C-156/04 (Commissione delle Comunità Europee contro Repubblica ellenica), si afferma che, nel caso in cui un soggetto non abbia legami personali e professionali concentrati in un solo Stato, ai fini della determinazione del luogo della residenza normale tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire la presenza fisica del soggetto e dei suoi familiari sul territorio di uno Stato, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali, il luogo in cui siano preminenti gli interessi patrimoniali, i legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali. Nella Sentenza C-528/14 (X contro Staatssecretaris van Financiën) i Giudici della Corte affermano che, i fini della determinazione del luogo della residenza normale, devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, sulla base dei presupposti evidenziati dall’articolo 7 della direttiva 83/182/CEE, si presume che la residenza normale sia quella del luogo dei legami personali, purché tale persona vi ritorni regolarmente.

Tali considerazioni collimano, peraltro, anche con la più diffusa giurisprudenza di legittimità. In una (seppur) non recentissima pronuncia del 2010 (Sentenza n. 12259) riguardante le vicende di un noto motociclista italiano cui veniva contestato il fittizio trasferimento di residenza nel Principato di Monaco, i Giudici ermellini affermano che un soggetto conserva il domicilio fiscale in Italia anche quando, prescindendo dalla sua presenza nel territorio italiano, mantenga in Italia il centro dei suoi interessi e dei suoi affari.

Peraltro, nei casi di trasferimento della residenza in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato (come è, nel caso appena citato, il Principato di Monaco), la norma rubricata nell’articolo 2, comma 2-bis del Tuir introduce una presunzione legale di residenza in Italia della persona fisica, con inversione dell’onere della prova. In tal modo, l’amministrazione finanziaria è legittimata all’emissione dell’atto impositivo senza necessità di attivare un contraddittorio preventivo, mentre incombe sul contribuente dimostrare di avere reciso ogni rapporto significativo con il territorio dello Stato, trovando applicazione il principio dell’unicità del domicilio ai sensi dell’articolo 43 del Codice Civile (Cassazione Civile, Sentenza n. 961/2015; Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. Brescia, Sentenza n. 3869/2015; Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, Sentenza n. 589 del 5 giugno 2015). Ricordiamo anche che la presunzione di residenza in Italia, prevista a carico dei cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, può essere legittimamente superata dalla positiva valutazione di elementi di fatto forniti dal contribuente, quali il contratto di affitto relativo ad un appartamento nel Paese estero, la regolare corresponsione di affitti e spese accessorie, la congruità delle spese relative alle varie utenze in uso in detto appartamento, la stipulazione di utenze telefoniche, televisive, e di contratti bancari (Cassazione Civile, Sentenza n. 20285/2013).

Sintetizzando i principi appena espressi in rassegna, osserviamo come la più recente giurisprudenza, quale criterio di individuazione della residenza fiscale di un individuo, abbia inteso dare impulso al luogo nel quale sono prioritariamente localizzati gli interessi economici ed effettivi della persona, partendo dalla sfera delle relazioni personali, inteso come insieme degli interessi morali, sociali e familiari del contribuente (tra gli altri, Cassazione Civile, Sentenza n. 12311/2016 e Cassazione Civile, Sentenza n. 9723/2015), fino a giungere alla sede principale dei suoi affari e degli interessi economico-patrimoniali.

Nella già citata Sentenza n. 12311, la Corte di Cassazione ha affermato che tutti gli elementi di fatto rilevanti, e attinenti ai legami personali e professionali dell’interessato, debbano essere presi in considerazione. I fatti discussi nei gradi di merito sono relativi ad un pilota automobilistico che dal 1987 aveva spostato nel Principato di Monaco la residenza. L’Agenzia delle Entrate sottoponeva il contribuente ad accertamento fiscale per gli anni dal 1997 al 2000, in virtù dell’introduzione con Legge Finanziaria 1999 del comma 2-bis nel corpo dell’articolo 2 del Tuir (l’originario testo normativo, poi rimodulato con Legge Finanziaria 2008, prevedeva che “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”). I giudici di merito, pur accogliendo parzialmente il ricorso del contribuente per le annualità 1997-1998 sul presupposto di irretroattività della norma, sostenevano la tesi erariale per le successive annualità 1999-2000 ritenendo che il contribuente non avesse superato, come suo onere, la presunzione legale fissata dalla citata norma. Con la decisione in commento, i giudici di Piazza Cavour hanno respinto i motivi del ricorso presentato dal contribuente, basando le motivazioni sul presupposto che vi sarebbero un numero di circostanze fattuali che testimonierebbero la costante presenza del contribuente in Italia quale centro dei suoi affari ed interessi economici nonché delle proprie relazioni personali: le frequenti visite al figlio, l’apertura di svariati conti correnti, i soggiorni a vario titolo, la circostanza che numerosi contratti di sponsorizzazione prevedano come foro competente in caso di controversie quello italiano, la sottoscrizione di polizze assicurative in Italia, il recapito della posta ad un indirizzo italiano. Pertanto, la somma delle circostanze indicate dall’amministrazione finanziaria ha attribuito contenuto alla presunzione legale, dimostrando che la sede principale degli affari ed interessi e delle relazioni personali del contribuente era ancora sul territorio italiano.

È interessante osservare come, pur basandosi sui medesimi principi, la Corte di Cassazione abbia risolto a favore del contribuente un’altra Sentenza (n. 20285 del 4 settembre 2013). Anche in questo caso i fatti sono molto lineari e sono relativi ad un tennista professionista che negli anni aveva spostato nel Principato di Monaco la propria residenza. Entrambi i giudici di merito avevano accolto le doglianze del contribuente basandosi su prove documentali dalle quali risultava logico, sufficiente ed idoneo che l’individuo, pur tenuto conto dell’attività professionale che lo portava molto spesso a viaggiare all’estero per tornei professionistici (con numerosi scali aerei in partenza ed in arrivo in Italia), avesse nel Principato di Monaco il centro delle proprie relazioni personali. Dunque, alla luce dei principi enucleati nella Sentenza commentata in precedenza, i Giudici ermellini ritengono, in questo caso, soddisfatte le condizioni per ritenere effettivo il trasferimento della residenza del contribuente (e di sua moglie), avendo valutato positivamente l’insieme dei dati fattuali presentati, quali il contratto di affitto relativo ad una appartamento sottoscritto a nome del contribuente e di sua moglie, la regolare corresponsione degli affitti e delle spese accessorie, la congruità delle spese relative alla varie utenze in uso in detto appartamento, la stipulazione di utenze telefoniche, televisive, contratti bancari, etc, insomma evidenziando la volontà di rimanervi e ritornarvi appena possibile. Dunque, gli elementi evidenziati dal contribuente sono stati ritenuti idonei a superare la presunzione legale di residenza in uno Stato a fiscalità privilegiata.

Non sempre, però, la giurisprudenza ha inteso privilegiare il lato delle relazioni personali dell’individuo su quello degli interessi economici e patrimoniali. Un caso evidente è la Sentenza n. 6501 del 31 marzo 2015, nella quale i giudici della Corte di Cassazione, relativamente al caso di una persona che dal 1978 aveva trasferito la propria residenza fiscale in Svizzera dove prestava attività di lavoro autonomo, hanno inteso enfatizzare il centro degli interessi economici (piuttosto che il centro dei legami affettivi e personali) quale criterio per individuare la residenza fiscale dell’individuo. Tale circostanza era stata ripresa dalla stessa amministrazione finanziario nel documento di prassi n. 9/E del 26 gennaio 2001 quando, in risposta ad un quesito, specificava che “deve considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga il centro dei propri interessi familiari e sociali in Italia. Tale circostanza si concretizza, ad esempio, nel caso in cui (…) emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato abbia quivi mantenuto il centro dei suoi affari e interessi

Ricordiamo, concludendo, che particolare attenzione al luogo nel quale è situato il centro delle relazioni personali ed economiche dell’individuo è posto anche a livello convenzionale. Infatti, nei casi di doppia residenza fiscale, troveranno spazio le c.d. “tie-break rules” (articolo 4, paragrafo 2 del Modello di convenzione contro le doppie imposizioni Ocse), con le quali gli Stati contraenti individueranno lo Stato di residenza dell’individuo ai fini fiscali.

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