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Editoriali

L’impatto dell’IFRS9 anche alla luce delle considerazioni della BCE

11 Dicembre 2017

Umberto Bocchino

Professore ordinario, Università di Torino; Direttore ABIReL – Accounting For Banking & Insurance Research Lab

Di cosa si parla in questo articolo

[*] Mancano ormai pochi giorni alla fine dell’anno e all’inizio del 2018. Con questo Capodanno si darà anche definitivamente il saluto allo storico IAS 39, un principio contabile che ha avuto, con i suoi pregi e difetti, una importanza cruciale per tutte le aziende che adottavano gli IAS/IFRS per i loro bilanci e più ancora, su tutte, sulle aziende del settore creditizio. Approvato dallo IASB lo IAS 39 apparve nel dicembre 1998, quando il mondo era radicalmente diverso da quello di oggi, prima della stagione dei grandi scandali finanziari, della bolla della new economy, della convivenza con gli attentati terroristici ma, soprattutto, molto prima delle turbolenze e dei problemi che ebbero inizio con i grandi “scossoni” finanziari del 2007 e 2008, che hanno visto il settore finanziario mondiale coinvolto in prima persona, con alcune problematiche – anche effetto degli aspetti estimativo contabili – che presentano conseguenze ancora oggi, a distanza di un decennio. Pur con modifiche e integrazioni lo IAS 39 è stato accusato di essere del tutto inadeguato di fronte alle crisi finanziarie quali quelle manifestatesi tra il 2007 e il 2009, sfociate poi in una profonda crisi economica, se non addirittura considerato da alcuni studiosi un elemento causante. Oggi, a consuntivo, non è infatti del tutto fuori luogo ritenere che il ricorso al fair value – quale valore di riferimento per la contabilizzazione degli strumenti finanziari – possa avere prodotto una attività amplificativa in termini di pericolosi meccanismi di prociclicità. Anche dalla disamina dei bilanci di un significativo campione di banche è ragionevole condividere il convincimento che una delle cause principali delle dinamiche (tutt’ora in atto) fosse la ritardata rilevazione delle perdite sui crediti e sulle altre attività finanziarie. Tale fenomeno indusse a “bollare” lo IAS 39 come totalmente inadeguato (se non addirittura pericoloso) e spinse immediatamente i legislatori, lo IASB e altri enti analoghi a provvedere all’emanazione di principi radicalmente nuovi che superassero le regole attuali.

Ed ecco che, nel luglio 2014, lo IASB arrivò alla pubblicazione della versione definitiva del nuovo principio contabile IFRS9, in sostituzione dello IAS39. Il cambiamento è sicuramente di portata epocale e impatta in misura decisamente significativa su tutti i soggetti IAS compliant e, in modo particolare, proprio sugli istituti bancari i quali, ormai da tempo, sotto la pressione anche delle autorità di vigilanza, hanno impiegato tempo, sforzi e notevoli risorse economiche per cercare di arrivare preparati all’appuntamento del nuovo anno.

Il documento del novembre 2017 della Banca Centrale Europea, relativo ad una analisi sullo stato di preparazione degli intermediari creditizi all’adozione dell’IFRS9, contiene evidenza degli enormi sforzi e delle ingenti risorse investite dagli enti creditizi per adeguarsi a questo epocale cambiamento di mentalità e di approccio contabile, gestionale e valutativo. Inevitabilmente (e non potrebbe che essere così) le differenze riscontrate tra istituti di diversa dimensione, business e tipologia sono marcate e rilevanti. L’analisi stessa viene impostata all’origine sulla distinzione tra “enti significativi” ed “enti non significativi”. Il risultato di sintesi più rilevante riguarda la stima dell’impatto negativo medio che l’introduzione dell’IFRS9 avrà sul coefficiente patrimoniale regolamentare CET1: -0,4% sugli enti significativi, che diventa -0,6% per quelli non significativi. Tale diverso impatto viene interpretato in relazione al maggior ricorso al metodo standardizzato (SA,) nel calcolo dei requisiti prudenziali a fronte del rischio di credito per gli enti non significativi, rispetto al metodo IRB.

Al di là della mera stima dell’impatto sul coefficiente CET1 (seppure tutt’altro che irrilevante), alcune considerazioni di massima possono essere suggerite come spunti di riflessione a partire sia da alcuni elementi dell’analisi della BCE, sia dalle dinamiche in atto ormai da parecchi mesi a questo proposito.

1. L’impatto dell’adozione dell’IFRS9 non riguarda esclusivamente gli ambiti contabili circoscritti all’accounting e al reporting, nè le tradizionali funzioni di risk management, bensì coinvolge in misura significativa praticamente tutte le altre funzioni della banca, dai livelli dirigenziali a tutte le unità operative, richiedendo più che in passato una governance forte, competente e preparata anche nei suoi Organi Sociali; mentre un ruolo fondamentale l’avranno processi interni ben definiti, chiari e precisi. La consapevolezza di questo fenomeno pare essere piuttosto evidente agli istituti creditizi, anche se di non semplice e immediata attuazione. Per quanto riguarda il turn-over della governance occorre, peraltro, una adeguata riflessione sul cosiddetto metodo della “lista del consiglio” (proposto di recente da più parti) che pare più legato al mantenimento dello status-quo dei rapporti esistenti che non ad un nuovo mind-set delle banche.

2. Il coinvolgimento, diretto o indiretto, di praticamente tutte le funzioni aziendali dovrà necessariamente portare ad una sempre più stretta, continua e consapevole collaborazione tra le funzioni stesse, le strutture preposte da un lato alla gestione del rischio di credito e dall’altro quelle amministrative e, persino, quelle commerciali per arrivare sino ai livelli apicali degli Organi Sociali. Un efficace passaggio all’adozione delle logiche e delle disposizioni dell’IFRS9, infatti, necessariamente impatta in modo integrato a 360 gradi, dal punto di vista organizzativo e dei processi a partire dal livello apicale, direzionale e strategico fino alle scelte di definizione dei contratti e di selezione della clientela, dal pricing ai sistemi di controllo, dall’accounting alla disclosure.

3. Il passaggio richiesto dall’IFRS9 da un approccio essenzialmente backward-looking ad uno completamente forward-looking richiede un cambiamento di mentalità, di cultura, di scelte gestionali e operative, di sistemi di misurazione e controllo. Accanto a tutto questo una maggiore preventiva attenzione alle valutazioni sull’onerosità di questo processo – sia in termini di maggiori accantonamenti e di incremento delle provision sia dei costi di struttura per le risorse dedicate – forse potrebbe risultare auspicabile. Il passaggio alle nuove regole previste dall’IFRS 9 non può infatti essere ridotto ad un semplice esercizio contabile, né ad un mero ulteriore adempimento normativo o di disclosure. Esso è un vero e proprio cambio di paradigma che, per essere efficace, deve veramente essere percepito come tale. Si ritiene che proprio la valutazione prospettica dei crediti e l’approccio forward-looking costituiscano probabilmente l’elemento più significativo e rilevante di tutto l’impianto del nuovo IFRS9. Gli accantonamenti basati sulle perdite attese (e non più su quelle effettivamente registrate) richiedono di anticipare la rilevazione delle perdite già dai primi segnali di deterioramento. Si tratta quindi di adottare un’ottica di anticipazione e prevenzione delle anomalie, piuttosto che di interventi “ex post”, come invece prevalentemente accaduto fino ad ora. I crediti in bonis dovranno essere infatti distinti in base all’evoluzione prospettiva del merito creditizio rispetto al momento dell’erogazione e non ci si potrà più limitare al verificarsi di specifici eventi (impairment test).

4. Le procedure di valutazione del business model per la classificazione degli strumenti finanziari e il test SPPI fondato sulla logica del cash flow, da un lato impongono un aggiornamento e una armonizzazione sostanziale delle procedure contabili e dei modelli valutativi. Dall’altra, tuttavia, anche in questo caso, richiedono ingenti investimenti in tempi, procedure, risorse e dati che nuovamente vanno a impattare sulle strutture, con effetti potenzialmente molto differenti tra gli istituti significativi e quelli non significativi: motivo ulteriore per riflettere su un percorso di nuove aggregazioni tra i vari attori del ceto creditizio-finanziario ed in particolare quelli non significativi.

5. Per quanto attiene l’inclusione di informazioni prospettiche, nel modello per il calcolo delle riduzioni di valore degli ECL, la documentazione interna è risultata sino ad oggi insufficiente. Per questo con l’IFRS9 la valutazione puntuale delle garanzie reali (con particolare riguardo ai beni immobili) è determinante nell’ambito degli accantonamenti di cui sopra. L’incertezza nella dimensione di futuri realizzi può e deve essere contrapposta da solide informazioni che dimostrino la concreta sostenibilità nelle valutazioni, soprattutto in quelle incrementative ossia nei casi in cui la parte garantita dell’esposizione aumenta nel tempo. Tutto ciò significa investire pesantemente nella raccolta di più informazioni possibili relative ai clienti.

6. Sarebbe inoltre necessario anche ad un aumento nella cultura economico finanziaria[1] ad ampio raggio nella stessa clientela delle banche; portando, ad esempio, ad una crescita nella consapevolezza da parte del cliente dell’evidente legame tra la possibile evoluzione della rischiosità del prenditore di fondi e il prezzo proposto dalle banche.

Tutto ciò fa ritenere che sarà comunque necessario un periodo di adeguato adattamento.

 


[*] Editoriale realizzato con il contributo del dott. Francesco Venuti – PHD ABIReL.

[1] In tal senso si condividono pienamente le conclusioni di una analisi-studio del Centro Studi di Intesa SanPaolo del recente maggio 2017.

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