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Attualità

Investment management exemption una spinta all’industria se modificata ed accompagnata da necessari chiarimenti

7 Dicembre 2022

Luca Rossi, Partner, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la nuova normativa in materia di Investment Management Exemption contenuta nella bozza di Legge di Bilancio per il 2023.


La bozza di Legge di Bilancio per il 2023 introduce una norma che potrebbe essere considerata di attrazione per il nostro Paese. La finalità è quindi lodevole ma la previsione normativa proposta deve essere a mio avviso modificata ed inoltre deve essere accompagnata da un’altra disposizione che non può più essere rimandata in virtù dei principi comunitari sovraordinati.

Mi riferisco in particolare alla cosiddetta “Investment Management Exemption”, contenuta nell’articolo 49 della detta bozza di Legge di Bilancio. La disposizione ricalca un’analoga previsione contenuta nell’ordinamento inglese ed il suo fine è quello di delineare le condizioni al ricorrere delle quali il gestore di un veicolo di investimento non può configurare una stabile organizzazione del medesimo veicolo in quanto considerato “agente indipendente”.

L’art 49, quindi, interviene sul disposto dell’art 162 del TUIR che come noto delinea i casi di esistenza ovvero insussistenza di una stabile organizzazione nel nostro Paese.

La disposizione, nella sua essenza, prevede che il gestore (ovvero qualsiasi entità che opera nella catena del valore del gestore) viene considerato agente indipendente del veicolo di investimento estero al ricorrere di determinate condizioni. In particolare:

  • il veicolo di investimento e le sue controllate devono essere localizzate in un Paese White list ai fini della normativa dei titoli dei grandi emittenti (Dlgs. n. 239/1996),
  • il veicolo di investimento deve rispettare determinati requisiti di indipendenza che saranno individuati da un apposito decreto ministeriale. Relativamente a questa condizione potrebbero essere di ausilio i chiarimenti forniti dalle linee guida dell’amministrazione finanziaria inglese (HMRC) relativamente all’“investment manager exemption rule” prevista dall’ordinamento locale. Concentrando l’attenzione sui fondi di investimento, infatti, HMRC ha specificato (cfr. parr. da 35 a 44 dello Statement of Practice 1 pubblicato l’1 febbraio 2001) che l’indipendenza del gestore va misurata nei confronti degli investitori, e pertanto ove il fondo sia detenuto da una pluralità di investitori (ovvero le quote del fondo siano state offerte in sottoscrizione con apposita attività di raccolta), l’indipendenza del gestore è in re ipsa esistente,
  • il gestore ovvero il soggetto che svolge l’attività di gestione del veicolo di investimento estero non deve partecipare ai risultati economici del medesimo veicolo di investimento in misura superiore al 25%. Anche questa regola tende evidentemente ad intercettare situazioni di “non indipendenza” del gestore, configurandosi egli stesso quale investitore “rilevante” del veicolo. Interessante rilevare come, secondo la corrispondente normativa inglese la soglia di rilevanza è pari al 20%,
  • il soggetto che agisce in qualità di gestore non deve ricoprire cariche del consiglio di amministrazione o di controllo del veicolo di investimento estero ovvero di società da esso controllate. E’ questa la regola che desta molte perplessità e che, a mio avviso, deve essere eliminata. E ciò per due ordini di motivi, uno pratico ma (soprattutto) uno concettuale. Quello pratico è che, se la norma deve essere attrattiva e di concreta applicazione, richiedere che gli uomini del gestore non entrino nel CdA del veicolo di investimento estero, ma soprattutto delle sue controllate estere o italiane, rende praticamente impossibile dotare la nuova norma di utilità concreta. E’ ovvio infatti che il gestore pone, e sempre porrà, propri uomini soprattutto nelle controllate del veicolo di investimento. Il motivo concettuale è semplice, posto che l’indipendenza del gestore va misurata con riferimento agli investitori del veicolo di investimento e non al veicolo stesso e alle sue controllate, porre come condizione di indipendenza la non partecipazione degli uomini del gestore nei predetti organi di amministrazione e controllo non coglie nel segno. Prova ne è che tale condizione non viene posta in alcun modo dalla normativa inglese introdotta ormai da diverse decadi nel loro ordinamento,
  • il soggetto gestore, ovvero il soggetto appartenente alla catena del valore del gestore, deve predisporre la documentazione “transfer pricing” che si qualifichi ai fini della scriminante sanzionatoria prevista dal Dlgs. n. 471/1997. Qui è importante un punto di riflessione. La norma non richiede che la remunerazione sia adeguata ma che la documentazione predisposta abbia le caratteristiche per la copertura sanzionatoria. Intendo dire che se in fase di verifica la remunerazione fosse rettificata in aumento ciò non dovrebbe inficiare l’applicazione della investment management exemption ma semplicemente lasciare al verificatore la (piena) possibilità di rettificare il “transfer pricing” del soggetto verificato. Un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate dovrà poi delineare le linee guida per individuare l’adeguata remunerazione del gestore.

La norma si completa con un ultimo chiarimento: ossia, la non sussistenza di una stabile organizzazione materiale del veicolo di investimento estero presso i locali del gestore (ovvero del soggetto impegnato nella catena del valore del gestore) per il sol fatto che i dipendenti di tale soggetto recano un beneficio a favore del veicolo di investimento estero.

Quanto sopra deve intendersi come una prima breve disamina della questione senza alcuna pretesa di esaustività.

Veniamo ora però ad un tema che, come noto, mi è alquanto caro operando io nel settore ahimè da tantissimi anni. Mi riferisco al fatto che tale lodevole norma deve essere affiancata da altra normativa richiesta dall’Unione Europa nonché dalla ormai univoca posizione della nostra Corte di Cassazione. Mi riferisco alla normativa di piena equiparazione fiscale di determinati fondi extra Ue ai fondi italiani ed europei, quanto meno in riferimento alla (non) tassazione alla fonte dei dividendi e dei capital gain. Il legislatore con l’art 49 in disamina vuole dare un chiaro impulso all’industria del risparmio gestito estero nel nostro Paese, essendo questa un’industria meritoria che investe svariati miliardi di euro nelle infrastrutture e nelle società italiane; quindi, è oltremodo coerente immaginare che al fianco di una norma tesa a chiarire che, in presenza di determinate condizioni, il veicolo di investimento non ha una stabile organizzazione nel nostro Paese e, quindi, non deve pagare imposte nazionali, venga inserita una norma in forza della quale anche i fondi extra Ue, purché localizzati nei medesimi Paesi white list previsti dall’art 49, non debbono scontare alla fonte imposte sui dividendi e capital gain al pari dei fondi italiani ed europei. Si tratta di una norma di civiltà giuridica, necessaria sulla base dei principi comunitari. Rappresento per completezza che Assonime, autorevolissima associazione di categoria, evidenzia (nell’ambito della Consultazione sulla bozza di Legge di Bilancio) le stesse tematiche sopra rappresentate, ossia la necessità di modifica dell’art 49 per una sua compiuta efficacia nonché la ormai indifferibile necessità di equiparazione dei fondi Extra Ue ai fondi nazionali ed europei.

Un’ultima notazione di chiusura: la norma dell’art 49 sulla investment management exemption della bozza di Legge di Bilancio ha un po’ la stessa funzione della normativa del carried interest. In presenza delle condizioni previste dalla norma non vi è in radice alcuna stabile organizzazione (secondo la disposizione sul carried interest, in presenza delle relative condizioni, i redditi hanno, per presunzione assoluta, natura finanziaria). In assenza delle condizioni, non si deve inferire che sussista una stabile organizzazione, ma occorre applicare i principi generali dell’art 162 del TUIR che comunque, nel caso dei fondi, deve tenere conto di due principi basilari: l’OICR è per legge (cfr. art 73 TUIR) un ente non commerciale e, quindi, ex se non può generare attività di impresa di investimento; e, comunque, l’indipendenza del gestore ai fini dell’art 162 del TUIR deve essere misurata nei confronti degli investitori e non del veicolo di investimento, comportando, nei casi di veri veicoli di investimento, la necessaria indipendenza del gestore dagli investitori stessi (così come nel caso del carried interest, in carenza delle condizioni richieste dalla norma fiscale, il reddito non diviene necessariamente di lavoro ma occorre applicare i principi generali per misurare l’equiparazione dell’investimento del management ad un normale investimento finanziario).

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