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Giurisprudenza

L’investimento speculativo in strumenti derivati: obblighi di informazioni ed «effetto leva»

28 Ottobre 2016

Edoardo Grossule, Assegnista di ricerca in Diritto Commerciale all’Università degli Studi di Pavia

Cassazione Civile, Sez. I, 31 agosto 2016, n. 17440

Di cosa si parla in questo articolo

Il provvedimento in commento ripropone il tema degli obblighi di informazione, a carico dell’intermediario, in favore del cliente non qualificato nella prestazione di servizi di investimento a carattere esecutivo. Più in particolare sono due i profili di rilievo: l’informazione che precede l’erogazione del servizio di investimento e l’informazione successiva, in executivis, specie in presenza di perdite consistenti.

Per entrambi i profili rileva innanzitutto la portata prescrittiva dell’articolo 21, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 58 del 24 febbraio del 1998 – Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (di seguito, “t.u.f.”) – che impone agli intermediari di «acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati», norma che precisa il contenuto della precedente lettera a) che richiede all’operatore abilitato di «comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse del cliente». Il contenuto di tali regole di condotta, che si caratterizzano per la generalità del principio espresso, trovano la loro specificazione in un regolamento di rango secondario approvato dalla Consob – attualmente il Regolamento approvato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 (di seguito, “Regolamento Intermediari”). Di qui, il sistema vigente rende rilevante sia il primo profilo summenzionato, ossia la distinzione in primo luogo tra servizi di investimento esecutivi e non esecutivi, che il momento in cui deve essere adempiuto l’obbligo informativo a carico del cliente, dunque, la fase che precede la sottoscrizione dell’ordine di acquisto o la fase successiva di informazione post-contrattuale sull’andamento del titolo.

A tal proposito, le norme regolamentari di attuazione del t.u.f. declinano in modo dettagliato il contenuto prescrittivo della norma primaria in parola, lasciando però aperte alcune questioni. Nel caso dell’informazione che precede la stipula del contratto esecutivo, l’interprete viene chiamato a trovare lo strumento più adeguato per assolvere l’obbligo informativo. Per quanto riguarda l’informazione in executivis è invece cruciale stabilire se l’obbligo legale di informazione ricorra solamente nei casi previsti dalla norma secondaria, prescindendo dal contenuto dell’art. 21, t.u.f., o se invece sull’intermediario gravi l’obbligo in parola anche in relazione a servizi di investimento meramente esecutivi, al ricorrere di particolari condizioni che giustificano un obbligo di maggiore protezione del cliente.

In questa prospettiva si può legge la decisione della Corte di legittimità. Per quanto riguarda l’informazione preliminare all’effettuazione dell’investimento, il quadro normativo impone all’intermediario di seguire un determinato standard di diligenza nella prestazione del servizio e, nel contempo, chiede sempre all’operatore autorizzato di portare a conoscenza del cliente le informazioni che solo un soggetto qualificato è in grado di acquisire. L’intermediario si pone dunque come “consulente” del risparmiatore e non come controparte con lo scopo di operare nel miglior interesse dell’investitore. Nel concreto, tale obbligo si sostanzia sia, preliminarmente nell’offrire prodotti adeguati – in relazione alle specifiche caratteristiche del cliente – sia fornendo un’informazione adeguata sulla natura dell’operazione posta in essere. La relazione tra adempimento dell’obbligazione informativa e specificità del cliente impone, conseguentemente, che il contenuto della prestazione a carico dell’intermediario non sia “standardizzato”, ma piuttosto sia più o meno gravoso a seconda dell’affidabilità dell’operazione e del rischio connesso al titolo, da un lato, e al profilo del cliente, dall’altro. In questa prospettiva, la condizione soggettiva del cliente suggerisce il contenuto dell’informazione: dalla semplice indicazione sulla correlazione rischio-rendimento, a una segnalazione più puntuale del rischio. In alcune pronunce di merito si è talvolta sostenuto che «gli obblighi di informazione a carico dell’intermediario sono inversamente proporzionali al livello di preparazione specifica dell’investitore»[1]. Nel caso in parola, pur trattandosi di investitori non propriamente sprovveduti (emerge infatti il quadro di risparmiatori pienamente consapevoli di investire in strumenti derivati futures e options su indice MIB30 per finalità non di copertura), l’intermediario, limitandosi ad un generico riferimento alla possibilità di notevoli variazioni del valore di mercato e al rischio di perdite non quantificabili, non ha sufficientemente posto l’accento sulla rischiosità delle operazioni in derivati caratterizzati dall’effetto leva[2].

In generale, il grado di rischiosità dello strumento finanziario è decisiva per definire il contenuto dell’obbligo informazione in ordine al giudizio di appropriatezza o di adeguatezza. In quest’ottica, l’operatore autorizzato deve soffermarsi sul grado di rischio ex ante conoscibile e assicurarsi che l’operazione, sia alternativamente, coerente con gli obiettivi di investimento del cliente e sia di natura tale che questi possa finanziariamente sopportare qualsiasi rischio ad esso connesso, o che il cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario a comprendere i rischi connessi all’operazione richiesta. In questo quadro l’interprete è chiamato a trovare il giusto equilibrio tra le istanze di tutela provenienti dagli investitori e le richieste opportunistiche da parte di chi, in concreto, cerca una generica assicurazione contro le perdite dovute ad un investimento “sfortunato”. In questa prospettiva, da un lato sembra che l’intermediario si liberi dall’obbligazione classificando i rischi con la diligenza professionale che gli è propria, dall’altro al cliente che agisce contro l’operatore qualificato non basta dedure la perdita è altresì necessario fondare la domanda su un’anomalia della perdita subita. Nel caso di strumenti derivati caratterizzati dall’effetto leva, pur di fronte ad un investitore retail “esperto” la Corte, con la pronuncia in commento, segnala la necessità che la banca ponga l’accento sulla rischiosità legata proprio alla leva – che agisce come moltiplicatore di guadagni come delle perdite, ravvisando in questo aspetto l’anomalia della perdita che rende il rischio assunto inappropriato o inadeguato. D’altronde, sull’effetto leva, oggi l’art. 31, co. 1, lett. b) del Regolamento Intermediari chiede espressamente una spiegazione più tecnica su «effetto leva» e sulla «sua incidenza». Di qui, l’insufficienza di un generico riferimento alla rischiosità. In questi casi, permane tuttavia il rischio che le valutazioni sull’adeguatezza dell’informazione siano operate ex post e condizionate dal “senno di poi”.

Per quanto riguarda l’obbligo dell’intermediario di informare il cliente delle perdite effettive o potenziali, la disciplina regolamentare è sufficientemente precisa sul punto. Oltre alla necessità di un’informazione in executivis nel caso della gestione di portafogli giustificata da un maggiore affidamento del cliente nell’intermediario e nel rischio di comportamenti opportunistici da parte di quest’ultimo, la prescrizione dell’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522 (di seguito, “Vecchio Regolamento Intermediari”), indicava la necessita di dare pronta notizia all’investitore, per iscritto di perdite effettive o potenziali pari o superiori al 50% nel caso di investimento in strumenti finanziari derivati per finalità non di copertura, questo in ragione della particolare rischiosità dell’investimento in derivati a cui si aggiungono le maggiori difficoltà di valutazione dell’andamento dello strumento. L’impostazione è confermata anche dall’art. 55 del Regolamento Intermediari, attualmente in vigore, tuttavia la soglia delle perdite non più fissata al 50% viene stabilita convenzionalmente dalle parti. In via generale la sussistenza di un obbligo legale di informazione post-contrattuale nell’ambito dei servizi esecutivi rappresenta un punto controverso. L’antinomia tra la disposizione di rango primario dell’art. 21, co. 1, lett. b), t.u.f. e le norme regolamentari di attuazione apre all’interprete la possibilità di accogliere diverse soluzioni. Se la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria – sviluppatesi soprattutto in vigenza del Vecchio Regolamento Intermediari propendono per la valorizzazione della norma regolamentare e dunque escludono un obbligo legale di informazione in executivis, non mancano tuttavia “voci” discordanti che sottolineano comunque la rilevanza della norma primaria il cui contenuto non può essere del tutto svuotato dalle norme secondarie regolamentare. Di qui, si è sviluppata una lettura, poco seguita, che differentemente dalla giurisprudenza ha tentato di conciliare in modo equilibrato il contenuto dell’art. 21 t.u.f. e le norme regolamentari di attuazione cercando di non prescindere mai completamente dal contenuto dell’una o delle altre disposizioni, sul punto[3]. Il filone giurisprudenziale maggioritario invece privilegia l’applicazione della rule sullo standard.Si interpreta l’art. 21, t.u.f., in correlazione con l’art. 28 del Regolamento Consob 11522, nel senso che l’obbligo di informativa sulla natura e sulle caratteristiche del titolo sussista sino al tempo dell’investimento. Si sottolinea che in assenza di un rapporto di gestione di portafogli o di un investimento in derivati con finalità di copertura si deve escludere che sull’intermediario gravi l’onere ex lege di monitorare l’andamento dei titoli[4]. Seppur minoritarie e più risalenti nel tempo, non mancano pronunce che privilegiando gli obblighi di correttezza e trasparenza, unitamente con quanto stabilito dalla lettera b), dell’art. 21, co. 1, t.u.f. hanno esteso l’obbligo di mantenere informato l’investitore sui prodotti oggetto delle negoziazioni concluse[5]. In vigenza del Regolamento Intermediari il problema rimane aperto. Se in via generale non si possono configurare obblighi di informazione in executivis, l’interpretazione in senso ampio del servizio di consulenza data dal Committee of European Securities Regulators (in seguito, “CESR”)[6]che estende, di fatto, la suitability rule e le conseguenti ulteriori tutele ai servizi meramente esecutivi, può consentire talvolta una diversa lettura. In questa logica, infatti, laddove la componente fiduciaria nella relazione intermediario-cliente è particolarmente rilevante, può essere coerente configurare in capo all’intermediario degli obblighi di protezione ulteriori a tutela del contraente debole, che in peculiari circostanze, giustificano un’estensione analogica dell’obbligo di segnalazione di eventuali perditeon going, anche nei casi in cui il servizio di investimento prestato abbia carattere meramente esecutivo.



[1] In questi termini, ad esempio, Trib. Catania, 8 febbraio 2007, in www.ilcaso.it. Ben descrive la dinamica del rapporto intermediario-risparmiatore, L. Purpura, L’evoluzione “fiduciaria” dei doveri di comportamento dell’intermediario nella prestazione dei servizi di investimento alla clientela al dettaglio, in Banca bors. tit. cred., II, 2013, 222.

[2] In questo senso si era già pronunciata, Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773 e Cass. 25 giugno 2008, n. 17340.

[3] Nella vigenza del Vecchio Regolamento Intermediari la dottrina ha cercato di ovviare all’antinomia proponendo una soluzione di “compromesso”: l’applicazione analogia del art. 28, co. 3, Reg. 11552 al ricorrere di una perdita consistente e potenzialmente destinata ad aumentare. Sul punto, contra, con particolare riferimento all’estensione oltre una certa soglia, M. Cian, L’informazione della prestazione dei servizi di investimento, in E. Gabrielli – R. Lener (a cura di), I contratti del mercato finanziario, 2nd ed., II, Tomo 1, Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno – E. Gabrielli, 2011, Torino, 228 ss.

[4] In questo senso, Cass. 30 gennaio 2013, n. 2185 e la giurisprudenza di merito dominante, tra cui App. Trieste, 11 maggio 2012 e App. Torino, 27 dicembre 2010, Trib. Bologna, 5 febbraio 2008, Trib. Milano, 31 luglio 2007. Si evidenzia che le pronunce del Tribunale di Milano, in particolare, confermano tale orientamento e circoscrivono l’obbligo di informativa successiva al solo caso di prestazione del servizio di gestione di portafoglio. In letteratura si esprimono in questo senso, ex multis, R. Lener – P. Lucantoni, Commento all’art. 21, in M. Frattini – G. Gasparri, Il testo unico della finanza, 2012, Torino, Tomo I, 381 ss.; M. Cian, Gli obblighi informativi degli intermediari, in Nuove leggi civ. comm., 2009, 1197 ss. F. Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, 2004, Milano, 186 ss.

[5] Così, ad esempio le pronunce di merito di Trib. Roma, 25 maggio 2005, Trib. Roma, 17 luglio 2006 e Trib. Cosenza, 1 marzo 2006. La Corte di Cassazione, n. 2185 del 2013, conferma comunque che «non possono configurarsi obblighi di informazione successivi alla concreta erogazione del servizio e relativi, quindi, all’investimento effettuato, quando non sia previsto dal contratto un servizio di gestione di portafoglio o un servizio di consulenza». In dottrina, inter alia, M. Guernelli, L’intermediazione finanziaria fra tutela del mercato, legislazione consumeristica e orientamenti giurisprudenziali, in Giur. Comm., I, 2009, 370; F. Greco, Il consumatore-risparmiatore e gli obblighi informativi “continuativi” tra fonte legale e fonte convenzionale, in Resp. civ. e prev., 2011, 1357 ss.

[6] Sul punto confronta, CESR, Understanding the definition of advice under MiFID, Consultation Paper (ref. Cesr 09-665).

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