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Giurisprudenza

E’ illegittimo l’avviso di accertamento emesso prima dei sessanta giorni senza che l’Ufficio provi la sussistenza di una concreta fattispecie di urgenza

12 Febbraio 2016

Gabriella Antonaci, Avvocato, Marco Zambrini, Praticante Avvocato, Loconte&Partners

CTR Bari, Sez. XIII, 18 novembre 2015, n. 2464

“Riguardo alla nullità o meno degli avvisi di accertamento notificati prima del decorso di sessanta giorni dalla notifica del p.v.c., spesso motivata dall’urgenza consistente nell’imminente scadenza del termine di accertamento, le SS.UU. del Supremo Collegio, con sent. n. 18184 del 29/7/2013 hanno fissato il seguente principio di diritto: In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12 comma 7 della L. n. 212 del 2000 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

Così la C.T.R. di Bari, con la sentenza n. 2464 del 18 novembre 2015, ha ribadito l’illegittimità degli atti impositivi emessi ante tempus, in violazione del termine dilatorio di 60 giorni che deve intercorrere tra la chiusura delle operazioni di verifica e l’emanazione dell’avviso di accertamento.

La pronuncia in esame appare importante perché ribadisce l’importanza del contraddittorio endoprocedimentale tra Amministrazione e contribuente, ponendosi in linea con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario espresso dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.

Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria aveva emessoa carico della società contribuente e del suo legale rappresentante, in base alle risultanze del p.v.c. redatto in data 16/6/2009 a seguito di verifica effettuata presso la sede dell’impresa dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, due avvisi di rettifica e liquidazione e uno di liquidazione dell’imposta suppletiva, notificati in data 9/7/2009 e relativi, rispettivamente, a due atti notarili aventi ad oggetto: il primo, la cessione di un complesso immobiliare ad uso industriale, il secondo, la cessione di cespiti mobiliari allocati nel suddetto complesso e di 38 silos di stoccaggio.

La società e il legale rappresentante impugnavano dinanzi alla Commissione provinciale, con distinti ricorsi, i tre avvisi, eccependo in ciascuno, tra gli altri vizi,la violazione del termine di 60 giorni di cui all’art.12, comma 7 della L. n. 212 del 2000[1] giacché l’atto era stato emesso dopo soli 23 giorni dal rilascio di copia del p.v.c.Chiedevano, pertanto, la dichiarazione di illegittimità degli atti impugnati.

L’Ufficio si costituiva nei giudizi con distinte controdeduzioni, rigettando le eccezioni del contribuente.

In data 19/11/2014 la C.T.P. di Bari accoglieva parzialmente i ricorsi riuniti disattendendo, tuttavia, l’eccezione della difesa sulla violazione dell’art. 12, comma 7 della L. n. 212/2000.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la decisione dei giudici di prime cure.

Gli appellati depositavano controdeduzioni e appello incidentale, con il quale eccepivano, pregiudizialmente, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del comma 7 dell’art. 12 della L. n. 212/2000 per l’inosservanza del termine di 60 giorni decorrenti dalla notifica del processo verbale di constatazione (16/06/2009) e la notifica degli avvisi di liquidazione e rettifica (9/7/2009), in assenza di ragioni di particolare e motivata urgenza.

La C.T.R. di Bari rigettava l’appello dell’Ufficio e accoglieva le doglianze dei contribuenti formulate con l’appello incidentale, ritenendo, in particolare, fondata l’eccezione di nullità dell’accertamento per violazione del termine di cui al comma 7 dell’art. 12 della L. n. 212/2000.

Nell’accogliere l’eccezione difensiva, nella motivazione, i giudici di appello hannorichiamato espressamente la sentenza n. 18184/2013, con la quale le Sezioni Unite della Cassazione hanno elevato a principio generale dell’ordinamento il contraddittorio endoprocedimentale, diretta espressione dei princìpi costituzionali di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente (art. 97 Cost.) e diretto alla tutela ed all’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

Il termine dilatorio di 60 giorni è infatti previsto per permettere al contribuente di “comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”, e tale comunicazione rientra nell’esercizio del diritto di difesa in quanto gli garantisce la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni che l’Ufficio è tenuto a valutare. A riprova dell’importanza degli interessi tutelati, la condizione esonerativa del rispetto del suddetto termine è prevista espressamente dal comma 7, con la formula “salvo i casi di particolare e motivata urgenza”.

Secondo consolidata giurisprudenza, di merito[2] e di legittimità[3], che viene espressamente richiamata dai giudici della Commissione Tributaria Regionale di Bari nella parte motiva della sentenza, il vizio invalidante l’accertamento emesso ante tempus consisterebbe non nella mera omessa enunciazione dei motivi di urgenza, bensì nell’effettiva assenza di tale requisito: l’Ufficio è infatti onerato dal fornire la dimostrazione che all’epoca dell’emissione[4] dell’atto di accertamento sussisteva una concreta fattispecie di urgenza.

È bene rilevare come nella pronuncia in esame la Commissione Tributaria Regionale di Bari abbia sottolineato che, in tema di contraddittorio endoprocedimentale, si sia registrata “una lunga alternanza di decisioni delle commissioni di merito e della Corte di Cassazione”, riguardo la nullità degli avvisi di accertamento notificati prima del decorso dei sessanta giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione. Il contrasto giurisprudenziale in tema di contraddittorio preventivo si è manifestato principalmente nelle indagini “a tavolino”, ove a fronte di posizioni pro fisco, che limitavano l’obbligatorietà del contraddittorio soltanto a seguito di accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio dell’attività di impresa,si contrapponevano le pronunce pro contribuente, secondo cui il contraddittorio meritava di essere elevato a principio generale, applicabile a tutti i tipi di accertamento, compresi quelli emessi a seguito di indagini svolte negli Uffici dell’Amministrazione finanziaria.

Proprio quest’ultimo orientamento sembrava potesse prevalere, ma le aspettative dei contribuenti, e non solo, sono state frustrate dalla recente pronuncia n. 24823 del 9 dicembre 2015 delle Sezioni Unite della Suprema Corte, con cui è stata sancita l’inesistenza di un principio generale che impone all’Amministrazione finanziaria un obbligo circa l’instaurazione del contraddittorio con il contribuente.

La sentenza delle Sezioni Unite ha destato reazioni nel mondo della giurisprudenza, al punto tale che si registranodecisioni che mirano a estendere l’applicazione del confronto preventivo tra Ufficio e contribuente prima dell’emissione dell’atto di accertamento anche per le imposte dirette e i controlli “a tavolino”, e non solo per i tributi armonizzati come l’IVA e nei casi in cui è espressamente previsto dalla legge.

In particolare, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con la sentenza n. 126/1/2016, ha accolto il ricorso di un contribuente, ritenendo fondate le due eccezioni sollevate in ordine alla violazione del contraddittorio endoprocedimentale. Con la prima, veniva sottolineato come non si potesse comprimere il diritto del contribuente a partecipare alle attività svolte durante la fase amministrativa sfociate successivamente in un p.v.c., atteso che, nel caso di specie, nessun rappresentante della società era stato presente al momento della verifica, né risultava che il contraddittorio fosse stato successivamente instaurato. Con la seconda, si rimarcava l’importanza del contraddittorio anche in merito ai tributi non armonizzati, atteso che, in un accertamento riportante rettifiche sia ai fini Iva che ai fini Irap ed Ires, il principio dell’unicità dei fatti osta a ritenere applicabile il contraddittorio solo per l’Iva e non anche per gli altri tributi, tanto più che il ricorrente aveva prodotto dei documenti con il ricorso che, se esaminati prima dell’emissione dell’accertamento, avrebbero potutodeterminare almeno teoricamente una diversa o minore pretesa tributaria[5].

Tra le altre pronunce recenti in tema di contraddittorio, merita di essere menzionata la sentenza n. 5/1/2016 della C.T.P. di Reggio Emilia la quale ha invece affrontato la questione della mancata instaurazione del contraddittorio nelle verifiche “a tavolino”, sostenendo che è proprio in questi casi che deve essere rispettato il principio del contraddittorio, in quanto, mentre “negli accessi e ispezioni presso la sede del contribuente vi è … una interlocuzione molto stretta con quest’ultimo, sancita anche dalla redazione dei verbali giornalieri delle operazioni compiute dai verificatori, delle domande fatte e delle risposte ricevute, al contrario, nei controlli “a tavolino” il contribuente potrebbe trovarsi a ricevere un accertamento esecutivo per tutta risposta di una produzione documentale – magari effettuata da terzi! – o della risposta a un questionario, senza aver potuto mai interloquire con l’Ufficio finanziario e prospettare le proprie ragioni nei confronti dell’ipotesi accusatoria, che sarà conosciuta per la prima volta soltanto a seguito di un atto già esecutivo, suscettibile di cristallizzarsi se non impugnato entro uno stretto termine di decadenza”.

Si segnala, infine, l’ordinanza n. 736/1/2016 con cui la C.T.R. Toscana rilevandole incongruenze di un’applicazione a “macchia di leopardo” della garanzia difensiva a favore del contribuente, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7 della L. n. 212/2000 nella parte in cui riconosce il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdeduzioni nelle sole ipotesi in cui l’amministrazione abbia “effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività” del contribuente.

Non resta che attendere la pronuncia della Corte Costituzionale, auspicando che possa porre fine agli orientamenti ondivaghi della Corte di Cassazione esprimendosi a favore dell’applicazione generalizzata del principio del contraddittorio.



[1] L’art. 12, comma 7 della L. n. 212/2000 statuisce che “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

[2] C.T.R. Liguria Genova n. 458/2015; C.T.R. Sardegna Cagliari n. 378/2015; C.T.R. Lazio Roma n. 3307/2014.

[3] Cass. n. 12773/2015, n. 4543/2015, n. 8482/2014 e n. 3142/2014.

[4] Riguardo l’emissione è bene ricordare che la Cassazione, con la sentenza n. 11088/2015, ha adottato una linea maggiormente garantista per il contribuente, statuendo che il termine di 60 giorni deve intercorrere tra la data di notifica del p.v.c. e la data della sottoscrizione dell’atto impositivo da parte del funzionario dell’Ufficio, non rilevando la data della successiva notifica dello stesso al contribuente.

[5] Principio espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza Kamino del 3/7/2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, per cui “il giudice nazionale, avendo l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”.


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