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Il Regolamento MICA e il rebus NFT

20 Aprile 2022

Paolo Carrière, Legal Counsel, Studio CBA; Academic Fellow, Università Bocconi

Di cosa si parla in questo articolo

1. Inquadramento

Il 17 marzo scorso il Parlamento Europeo in seduta plenaria ha adottato[1] la sua posizione sul controverso e incipiente fenomeno delle cripto-attività, intervenendo sulla prima compiuta proposta di regolamentazione di esse (o meglio, come vedremo, di alcune tipologie di quelle) a livello europeo di cui alla Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council on Markets in Crypto-assets, and amending Directive (EU) 2019/1937 , (COM(2020) 593 final-2020/0265(COD), (“MICA”), del 24 settembre 2019[2]

L’iniziativa legislativa in questione si inseriva nell’ambito dell’ambizioso “pacchetto per la finanza digitale”, perseguito dalla Commissione e articolato su più fronti: i) la definizione degli orizzonti strategici per la “finanza digitale” e per i “pagamenti al dettaglio”; ii) una (prima) proposta di regolamentazione a livello europeo delle “cripto-attività”; iii) la definizione di proposte legislative aventi ad oggetto la c.d. “la resilienza digitale”. L’iniziativa si basava sulla consapevolezza che”un mercato unico digitale innovativo per i finanziamenti creerà benefici per i cittadini europei e sarà fondamentale per la ripresa economica dell’Europa, offrendo prodotti finanziari migliori per i consumatori e aprendo nuovi canali di finanziamento per le imprese”[3]; essa doveva inoltre inquadrarsi nel Piano d’Azione del 2018[4] e muoveva dai lavori del Parlamento europeo e dai contributi delle autorità europee di vigilanza; lavori accompagnati da una ampia consultazione che ha avuto luogo nella primavera del 2020[5].

Nella presente nota ci proponiamo di svolgere alcune prime considerazioni in relazione ad alcuni rilevanti profili di perimetrazione dell’ambito di applicazione della normativa in progress, quali paiono emergere da alcune modifiche apportate dal Parlamento al testo della Proposta, con particolare riguardo alla inafferrabile e mutevole fattispecie degli NFT[6] – alla quale viene qui per la prima volta riconosciuta identità e cittadinanza giuridica nella normativa europea – che ha prepotentemente preso la scena del panorama cripto negli ultimi due anni, con riguardo soprattutto alla c.d. cripto-arte[7] ma non solo. Come vedremo, gli interventi adottati dal Parlamento in questo ambito appaiono a prima vista di portata potenzialmente rilevante, meritando forse una ulteriore e più ponderata valutazione dei loro effetti, essendosi lo scontro politico consumato essenzialmente sulla tematica di natura ambientale sottostante al meccanismo di consenso PoW; nel dibattito pubblico l’esito del voto è stato salutato come la vittoria della linea pro-innovazione tecnologica contro quella che invece si prefiggeva di bloccare l’impetuoso sviluppo della tecnologia DLT, soprattutto nelle sue applicazioni “monetarie”, in primis il Bitcoin.

2. La nuova perimetrazione dell’ambito applicativo

L’intervento in esame muove dalle risultanze che emergevano già dall’Advice elaborato dall’ESMA[8] ad inizi del 2019 e che si era focalizzato sulle problematiche di (possibile/eventuale) applicazione della disciplina dei servizi di investimento, per quei token che fossero qualificabili o descrivibili come “strumenti finanziari”/“prodotti di investimento” (e definiti ormai nella prevalente letteratura specialistica e regolamentare come “security-like/investment-type token/asset token”, o sinteticamente “security tokens”); in tale sede, l’ESMA si era limitata a suggerire ai regolatori nazionali, senza peraltro proporre univoche scelte normative, l’opportunità di valutare una regolamentazione solo per quei tokens che, invece, non potessero qualificarsi come tali (v. in particolare par. 8 ESMA Advice 2019), attesa la difficoltà di concepire oggi un’opera di adeguamento della disciplina avente ad oggetto i tradizionali “strumenti finanziari” alla loro versione crypto (security tokens), a maggior ragione fuori da qualsiasi contesto armonizzato europeo.

In tal senso, allora, l’ambito di intervento della Proposta MICA, risultava circoscritto alle sole cripto-attività diverse da strumenti finanziari[9], ad esclusione quindi di tutte le cripto-attività che fossero descrivibili e/o qualificabili e/o assimilabili come/a “strumenti finanziari” ai sensi MIFID, e, quindi, qualificabili come security tokens; in sostanza l’ambito di intervento è limitato a quelli che nella tassonomia ormai invalsa sono detti utility tokens o ai c.d. payment-like o monetary tokens; in particolare, con riguardo a quest’ultima categoria si fa riferimento alla nozione di “stablecoins”, comprensiva a sua volta delle due sub-categorie di “asset-referenced tokens” e “e-money tokens”. Tale stesso approccio risultava peraltro in linea con l’orientamento che, nel nostro ordinamento, era stato elaborato da Consob col “Rapporto finale” pubblicato il 2 gennaio 2020 a seguito dell’ampia consultazione pubblica chiusasi il 5 giugno 2019 sul suo “Documento per la discussione” del 19 marzo 2019 avente ad oggetto “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”[10]; appare infatti chiaro che a queste fattispecie (e, in particolare, agli Utility Tokens) anch’essa si riferisse quando nel “Rapporto finale” la Consob chiariva di adottare una impostazione definitoria che fosse idonea “a tipizzare le cripto-attività diverse da strumenti finanziari, quale autonoma categoria…” e similmente già nel Documento si evidenziava come quello intrapreso risultasse essere “un esercizio definitorio che viene condotto al di fuori del perimetro degli strumenti finanziari e dei prodotti di investimento (PRIIP, PRIP e IBIP), disegnato dal legislatore UE”.

L’orientamento di cui sopra parrebbe confermato ora anche dal Parlamento Europeo che puntualizza anzi ulteriormento come “because of the specific features linked to their innovative and technological aspects, it is necessary to identify clearly the requirements for classifying a crypto-asset as a financial instrument. For that purpose, the European Securities and Markets Authority (ESMA) should be tasked by the Commission with publishing guidelines in order to reduce legal uncertainty and guarantee a level playing field for market operators” (v. Considerando (2a)); e ancora, “Moreover, crypto-assets that have the same or very similar features to financial instruments should be treated as equivalent to financial instruments, insofar they provide profit or governance rights or a claim on a future cash flow. Such crypto-assets should be subject to Union financial services legislation and not to this Regulation. In order to achieve legal clarity regarding which cryptoassets fall under the scope of this Regulation and which crypto-assets are excluded, ESMA should specify the conditions under which a crypto-asset should be treated as a financial instrument based on its substance and regardless of its form” (Considerando 6).

In tal senso, dunque, dopo aver ribadito nel par. 2 dell’art. 2 (scope) che il Regolamento non si applica – inter alia – alle cripto-attività che si qualificano come “financial instruments”, viene introdotto il nuovo paragrafo 2a. che chiarisce come “For the purpose of paragraph 2, crypto-assets shall qualify as financial instruments where they meet the criteria and conditions to be deemed equivalent in substance to any of the instruments referred to in Section C of Annex I to Directive 2014/65/EU, irrespective of their form. ESMA shall develop draft regulatory technical standards outlining the criteria and conditions for establishing when a crypto-asset is to be considered to be equivalent in substance to a financial instrument irrespective of its form, as referred to in the first subparagraph. ESMA shall submit those draft regulatory technical standards to the Commission by … [12 months after the date of entry into force of this Regulation]. Power is delegated to the Commission to adopt the regulatory technical standards referred to in the second subparagraph in accordance with Articles 10 to 14 of Regulation (EU) No 1095/2010”.

Non può tuttavia non segnalarsi qui la perplessità a cui dà adito la lettura del nuovo considerando (8a) – disposizione, come vedremo oltre, appare centrale nel delineare quello che dovrebbe ritenersi oggi il nuovo ambito di applicazione del Regolamento, con l’effetto di escludere inter alia gli NFT – nel momento in cui afferma del tutto incomprensibilmente come “however, this Regulation should apply to non-fungible tokens that grant to its holders or its issuers specific rights linked to those of financial instruments, such as profit rights or other entitlements. In those cases, the tokens should be able to be assessed and treated as security tokens, and be subject, together with the issuer, to various other requirements of Union financial services law”. In sostanza dopo aver riaffermato, come visto sopra, l’impostazione originaria che sottrae all’ambito di applicazione del Regolamento Mica quei crypto-assets qualificabili come financial instruments, parrebbe qui   affermare del tutto contraddittoriamente che esso Regolamento si applichi invece a quei non-fungible tokens che siano qualificabili come security tokens(!).

3. (segue) In particolare, la nuova nozione di utility tokens e la problematica esclusione degli NFT

Passando in esame il testo adottato dal Parlamento Europeo saltano subito all’occhio alcuni interventi apportati chirurgicamente sul testo della Proposta che paiono di portata davvero assai rilevante e problematica per chi debba orientarsi nel già “criptico” (!) mondo delle cripto-attività. In particolare, nella descrizione dell’ambito di applicazione, il nuovo centrale Considerando (8a)[11] enuclea dalla categoria generale dei crypto-assets alcune specifiche sottocategorie al fine di affermare che esse dovrebbero essere escluse dall’ambito di applicazione del Regolamento e quindi sottratte alla sua disciplina[12]; in particolare possono individuarsi le seguenti fattispecie: (i) crypto-assets that are not able to be transferred among holders without the issuer’s permission; (ii) crypto-assets that are unique and not fungible with other crypto-assets; (iii) crypto-assets that are not fractionable and are accepted only by the issuer, including merchant’s loyalty schemes; (iv) crypto-assets that represent IP rights or guarantees; (v) crypto-assets that certify authenticity of a unique physical asset; (vi) crypto-assets that represent any other right not linked to the ones that financial instruments bear, and are not admitted to trading on a crypto-asset exchange.

Risulta di immediata evidenza come ciascuna di queste sottocategorie presenti profili ricostruttivi delicatissimi, soffermandoci in questa sede ad analizzare quella sub (ii) che si richiama chiaramente la fattispecie – oggi prepotentemente assurta agli onori della cronaca – dei NFT (e per certi versi a tale fattispecie potrebbe ricondursi anche la tipologia sub (v) di cui sopra).

A tal riguardo, sin nelle definizioni di cui all’art. 3 della Proposta MICA si interviene attribuendo un inedito e -a nostro avviso – altamente problematico rilievo centrale al concetto di fungibilità sin qui del tutto assente nel Regolamento e, in genere, nella tassonomia adottata nella ormai consolidata impostazione analitica del fenomeno.

Abbiam già visto come venga confermato l’orientamento – esplicitato nell’art. 2.2, in via negativa – di escludere dal perimetro di applicazione, inter alia, quelle cripto attività che fossero qualificabili come “strumenti finanziari” (così come, moneta elettronica, depositi, depositi strutturati o cartolarizzazione), delimitando quindi l’applicazione del Regolamento MICA essenzialmente a Utility Tokens e Stablecoins; e proprio con particolare riguardo alla definizione di “Utility Token”, questa viene ora descritta nella MICA come “a type of fungible crypto-asset which is accepted only by the issuer, is used for purposes other than for the payment or exchange of external goods or services, and is intended to provide digital access to a good or service, available on DLT, and is only accepted by the issuer of that token” (l’evidenza corrisponde a quella adottata nel testo del Report per marcare le modifiche intervenute rispetto al testo iniziale del Regolamento).

Quindi, in definitiva, il Regolamento pare oggi applicabile solo a Utility Tokens – qui ormai per definizione qualificati come “fungible” – risultando comunque e viceversa da escludersi (come chiarito nel Considerando 8a)) la sua applicazione a qualsiasi altra tipologia di cripto-attività che risulti “unique” e “non-fungible[13], lasciandosi appunto pensare ai famigerati NFT. Rimandando altrove per l’analisi di altri profili problematici che la categoria degli Utility Tokens presenta[14], l’introduzione ora di tale concetto di “fungibilità” – peraltro non meglio definito nel Regolamento – appare davvero problematico, nell’evidente obiettivo (incomprensibilmente generoso, alla luce delle sottese istanze di tutela che stanno alla base della regolazione del fenomeno e che, anzi, per molti versi, appaiono qui ancor più urgenti alla luce della incontrollata pervasività, opacità e insidiosità del fenomeno) di sottrarre dall’ambito di regolamentazione gli NFT[15] proprio in virtù della loro natura not-fungible e unique; ed è su tale specifico profilo che dovremo dunque soffermarci ora.

4. Il rebus della “fungibilità”

Iniziamo col ribadire come il carattere della “fungibilità” non pare, di per sé, esser mai stato sin qui adottato come significativo elemento descrittivo e qualificatorio nella tripartita tassonomia classicamente invalsa nella letteratura specialistica: payment tokens; investment (o security) tokens; utility tokens. E che anzi, fino ad ora, si è per lo più ritenuto[16] di annoverare gli NFT nell’ambito degli utility tokens (ovvero di quelli c.d. “ibridi”), da cui invece oggi il Regolamento vorrebbe proprio escluderli in virtù del loro tratto di infungibilità.

Ciò detto, occorre dunque soffermarsi sul concetto giuridico di “fungibilità” per osservare subito – anticipando qui la conclusione a cui perverremo – come esso potrebbe risultare di per sé incapace di porsi in alcun modo come un valido elemento discretivo, utile a selezionare efficacemente quali crypto-assets sottoporre a, ovvero escludere da, regolazione di natura imperativa, a tutela di beni giuridici di valenza pubblica.

Dobbiamo dunque ricorrere – in assenza, come detto, di alcuna specifica nozione di “fungibilità” fornita dal Regolamento[17]  – alla nozione generale operante in ambito civilistico e consistente nel tratto di “unicità” di un bene, intesa come sua “insostituibilità”; a tal riguardo, può allora osservarsi come la qualità in esame che tipicamente i beni mobili possono presentare, può dipendere da una serie di prospettive analitiche che ben possono sovrapporsi e incrociarsi. Può innanzitutto adottarsi una prospettiva di tipo oggettivo, avendo riguardo ai dati tecnico-fattuali intrinseci al bene esaminato; e a tal riguardo, mentre la “fungibilità” è associata alla qualità del bene come “bene di genere”, non identificabile “tecnicamente”, oggettivamente, nella sua specificità e, dunque, sostituibile indifferentemente con altro del medesimo genere, appunto (un litro di quel vino, un metro di quella stoffa, beni per i quali vale il brocardo “res quae pondere numero mensura constant”), la “infungibilità oggettiva”, al contrario, attiene alla qualità di “bene di specie”, come tale identificabile invece oggettivamente, potendosi a tal fine portare l’esempio di scuola del tal quadro dipinto da quel tale autore. Si osservi però come questo tratto della unicità o “infungibilità oggettiva” potrebbe, ad esempio e in teoria, ben riscontrarsi “tecnicamente” anche con riferimento alle banconote aventi corso legale, essendo ciascuna di esse identificabile – nella sua unicità e irreplicabilità – da un numero di serie univoco; senonché, financo nella manualistica può trovarsi il riferimento proprio alle banconote come tipico esempio di bene eminentemente fungibile, in virtù allora di una preminente valutazione di tipo “sociale” – identificabile in quella che si dice la “comune valutazione” – che prevale normalmente sulla possibilità “tecnica” di ritenere il bene pur “oggettivamente fungibile”. E tuttavia, a sua volta, il giudizio di fungibilità (sia questa oggettiva o sociale) può ben cedere innanzi alla assorbente prospettiva “soggettiva”, identificabile nella volontà delle parti che quindi sono ben libere di attribuire carattere di infungibilità a qualsiasi bene che, da un punto di vista “tecnico” e/o secondo la “comune valutazione” avrebbe potuto o dovuto ritenersi “normalmente” fungibile; è il caso di quello specifica copia di un libro che è appartenuta a una persona cara (bene di per sé oggettivamente fungibile ma soggettivamente infungibile) o di quello specifico biglietto di banconota da un dollaro che fosse stato guadagnato da un noto capitano d’industria a conclusione del primo affare che ha dato il via al suo impero e a cui un collezionista di cimeli della storia economica attribuisca dunque, nella sua valutazione soggettiva, resa negozialmente esplicita, un particolare valore che rende proprio quella banconota evidentemente “unica” e insostituibile con nessun altra banconota da un dollaro (bene quindi di per sé tecnicamente infungibile ma generalmente  socialmente fungibile, che torna ad essere “infungibile” in base ad una prevalente valutazione soggettiva).

Ora, si badi come nella prospettiva civilistica classica, alla luce di quanto sopra, la valutazione soggettiva può ben prevalere su quella oggettiva o sociale senza particolari problemi, ove si considerino gli effetti che l’ordinamento fa promanare dal carattere in esame, essendo questi del tutto rimettibili alla libera valutazione e disponibilità delle parti e, quindi, da esse liberamente integrabili nel loro programma negoziale, attenendo essenzialmente alle modalità di adempimento dell’obbligazione di dare e di trasferimento della proprietà (che per i beni fungibili richiede la “specificazione”) e alle conseguenze derivanti dal perimento fortuito del bene consegnate al brocardo “genus numquam perit”.

Ciò detto, ove, come nel caso qui in esame (che pare inedito quanto agli effetti che si pretende di far conseguire alla valutazione di quello specifico carattere che il bene può presentare), al tratto della “fungibilità” si voglia e si debba invece attribuire una portata giuridica di tipo qualificatorio, in funzione “prescrittiva” – dovendo esso operare come criterio capace di selezionar efficacemente tra quali tipologie di “beni” sottoporre a regolazione di natura imperativa e quali invece escludere da essa – la cosa risulta ben più problematica. Perché, chiaramente, una tale esigenza di delimitazione dell’ambito di applicazione di una disciplina imperativa appare ad evidenza del tutto incompatibile con la consueta prevalenza attribuita in sede civilistica alla prospettiva soggettiva che, essendo come tale imperscrutabile e indiscutibile, risulta allora del tutto inefficace nel selezionare le fattispecie che si ritenga di sottoporre a regolazione in base a sottostanti istanze di protezione; istanze che potrebbero essere così assai facilmente eluse. Per evitar ciò occorrerebbe allora far ricorso a una valutazione di tipo “oggettivo” o semmai “sociale”, ma come ora vedremo con riguardo al caso qui in esame, ciò appare alquanto problematico[18].

Calando infatti il discorso sul fenomeno qui preso in esame, quello dunque  di quei particolari “beni” che sono i tokens – e in particolare dei (sedicenti) NFT – occorre innanzitutto osservare come qualsiasi token appaia di per sé oggettivamente “unico” e (potenzialmente) “tecnicamente” infungibile[19], ben potendo questo risultare sempre e necessariamente identificato, univocamente, da una stringa alfanumerica unica e non replicabile[20], al pari delle banconote identificate dal loro numero di serie; insomma, da un punto di vista “oggettivo”[21], qualsiasi token potrebbe essere considerato come “non-fungible[22] e, viceversa, nessun token potrebbe dirsi di per sé fungible! Ne consegue che il tratto della fungibilità – che, come visto, dovrebbe oggi costituire un tratto distintivo e qualificante degli utility tokens – non possa affatto ritenersi oggettivamente verificabile, essendo invece tutti i tokens, per loro natura, tecnicamente considerabili “infungibili”, di talché la loro natura “fungibile” potrebbe esser esclusivamente rimessa ad una valutazione di tipo ”sociale” o soggettiva (proprio come abbiamo visto avvenire per le banconote); similmente, il tratto della “infungibilità” che possa dirsi giuridicamente rilevante a fini qualificatori – al di là, dunque, del tratto di infungibilità “oggettiva”,  di per sé, come detto, verificabile  in relazione a qualsiasi tokens – non potrà, allora, che derivare anch’essa da una valutazione di tipo “sociale” o “soggettivo”. Dovendosi però escludere, come sopra detto, il ricorso ad una prospettiva propriamente “soggettiva” che varrebbe evidentemente a render del tutto vana qualsiasi ambizione regolatoria di tipo imperativo – rimettendosi alla libera autodeterminazione delle parti la scelta se auto-definire il token in oggetto quale fungible o non-fungible, al fine, dunque, di sottomettersi o sottrarsi alla disciplina normativa – rimane da valutare la possibilità di ricorrere necessariamente alla prospettiva di tipo “sociale”;  occorre, dunque, considerare su che basi si possa efficacemente giungere, in base ad un giudizio basato sulla “comune valutazione”, a concludere se uno specifico tokens (di per sé sempre e necessariamente oggettivamente infungibile) debba, nello specifico, ritenersi (“socialmente”) fungibile (al pari delle banconote) e, quindi, come tale, qualificabile come utility tokens rientrante nell’ambito di applicazione del Regolamento, ovvero, al contrario “infungibile”, NFT, escluso invece da quell’ambito. Ma una tale valutazione – a cui dovrebbe dunque conseguire la rilevantissima conseguenza di rendere o meno obbligatoriamente applicabile la disciplina di tutela degli interessi protetti – si pone nella realtà assai complicata e difficile.

A parte la delicatissima questione di dover valutare – in base al modello di governance del fenomeno che si ritenga di adottare – quando (in sede di offerta? O di accesso alle piattaforme di negoziazione? O in occasione sello svolgimento di qualsiasi “crypto-asset service” che li avesse ad oggetto?) e a chi rimetter tale valutazione (agli operatori in base ad una autoanalisi? All’autorità di vigilanza preposta? A soggetti certificatori esterni? Ai qualsiasi “crypto-asset service provider”?), appare in ogni caso davvero difficile procedere “dall’esterno”, in base alla “comune valutazione”, a identificare quel tratto della “fungibilità/infungibilità” di uno specifico token; giudizio che potrebbe allora, forse, condursi solo sulla base dell’analisi del suo “contenuto”, del suo “modello di business”.

Insomma, occorrerebbe procedere a tale “comune valutazione” dando rilevanza centrale al contenuto del token che – limitandoci all’ analisi delle piattaforme di “cripto-arte” osservabili oggi sul “cripto-mercato” e costituenti oggi la gran parte dei sedicenti NFT – ci paiono essenzialmente individuabili i seguenti modelli di business:

  1. la creazione di NFTs rappresentativi e “collegati” ad una sottostante opera d’arte “fisica” (o meglio, analogica), talora in via frazionaria; potremmo chiamare queste opere d’arte tokenizzate[23].
  2. La creazione di NFTs non rappresentativi di una sottostante opera d’arte analogica ma di un’opera essa stessa digitale e “cripto” o c.d. “nativi”; potremmo chiamare queste cripto-opere d’arte (in senso stretto, quindi)[24].
  3. La creazione di tokens, finalizzati alla raccolta di capitali tramite ICOs destinate al “finanziamento” di progetti artistici (di natura imprenditoriale?) e variamente rappresentativi di diritti connessi a quei progetti: art-utility/security tokens.
  4. La creazione di NFTs, rappresentativi di una sottostante basket di investimenti in opere d’arte analogiche e/o digitali- cripto; chiameremo queste cripto-art fund units[25].
  5. L’utilizzo di tokens quale modalità di certificazione e autenticazione delle opere d’arte[26], ovvero quale strumento per la gestione dei diritti d’autore e dei diritti di sfruttamento delle opere d’arte.

Da questo punto di vista si potrebbe allora a prima vista concludere che, tanto maggiore risulti la connessione tra il token e un sottostante asset fisico, analogico o digitale – e ulteriormente in maniera crescente se questo sia poi a sua volta unico o quantitativamente limitato – tanto più potrebbe invocarsi e sostenersi la sua natura “infungibile”. Ma sarebbe questa una conclusione comunque fallace e parziale, ove si consideri come l’unicità e infungibilità potrebbe (e dovrebbe) sempre e comunque attribuirsi al token in sé (anche solo quale mera stringa crittografica univoca e non-replicabile), a prescindere da un “sottostante”, che potrebbe anche  ben mancare del tutto, come oggi può verificarsi in maniera vieppiù crescente in quel processo di progressivo distacco da ogni sottostante realtà fisica, analogica o anche digitale, venendo sempre più i tokens ad assumere essi stessi valenza di “bene infungibile”, passibile di atti di disposizione autosufficienti, guidati da una logica di “collezionismo”, e ciò anche in assenza di un loro valore intrinseco o anche di scambio, ovvero di altre, ulteriori, utilità ritraibili da quel “bene” (di tipo possessorio, estetico, di utilità, sociale etc.).

In sostanza, ogni tale tentativo di generalizzazione che si volesse basare sul contenuto del token apparirebbe, vago, generico, parziale, discutibile e smentibile – in definitiva, del tutto “soggettivo” e arbitrario – innanzi alle motivazioni delle parti; e in effetti, pur nella imperscrutabilità e insindacabilità di quelle interne motivazioni, può ben ritenersi che, nella stragrande generalità dei casi, quelli che hanno oggetto NFT siano proprio qualificabili, per loro natura ed essenzialmente, alla stregua di atti di “collezionismo” (spesso associati ad una logica di “investimento”), in cui quindi l’elemento della infungibilità soggettiva – dall’esterno difficilmente smentibile, censurabile e discutibile – risulta determinante nel programma negoziale delle parti, a prescindere da qualsiasi diversa valutazione “sociale” si pretenda di fare in base al contenuto del token in questione.

In definitiva, allora, quando – come avviene del tutto inconsapevolmente nella vulgata a-tecnica e a-critica – a quell’elemento che si pretende determinante nell’identificazione della dilagante fattispecie NFT – il suo preteso, sedicente, carattere “non-fungible” appunto – si vogliano attribuire rilevantissime conseguenze d’ordine giuridico, addirittura qualificatorie, in ordine all’applicabilità o meno di un regime normativo di natura imperativa a tutela di interessi pubblici, ci si potrebbe trovare innanzi a problemi davvero delicati e probabilmente insormontabili.

 

[1] Cfr. Report on the proposal for a regulation of the european parliament and of the council on Markets in Crypto-assets, and amending Directive (EU) 2019/1937, (COM(2020) 593 final-2020/0265(COD), A9-0052/2022

[2] La citata Proposta era poi accompagnata da un Commission Staff Working Document Impact Assessment (SWD/2020/380 final) e da una collegata Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on a Pilot Regime for Market Infrastructures Based on Distributed Ledger Technology – (COM/2020/594 final), (“Pilot Regime”), accompagnata a sua volta da un Commission Staff Working Document Impact Assessment (SWD/2020/201 final). Per primi commenti, cfr. R. Lener – S.L. Furnari, Cripto-attività: prime riflessioni sulla proposta della commissione europea. Nasce una nuova disciplina dei servizi finanziari “crittografati”?, in dirittobancario.it, ottobre 2020; F. Annunziata, Verso una disciplina europea delle cripto-attività. Riflessioni a margine della recente proposta della Commissione UE, in dirittobancario.it, ottobre 2020; P. Carrière, Crypto-assets: le proposte di regolamentazione della Commissione UE. Opportunità e sfide per il mercato italiano, in dirittobancario.it, ottobre 2020; F. Mattasoglio, Le proposte europee in tema di crypto-asset e DLT. Prime prove di regolazione del mondo crypto o tentativo di tokenizzazione del mercato finanziario (ignorando bitcoin?), in Riv. dir. banc., 2021, 2, 413 ss.; D. Masi, Le criptoattività: proposte di qualificazione giuridica e primi approcci regolatori, in Banca Imp. Soc., 2, 2021, 241 ss.

[3] Così nella dichiarazione del Vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis.

[4] Commissione Europea, FinTech Action plan: for a more competitive and innovative European financial sector, marzo 2018, in https://ec.europa.eu/info/publications/180308-action-plan-fintech_en.

[5] Complementare ai citati interventi normativi si poneva poi la Proposal For A Directive Of The European Parliament And Of The Council Amending Directives 2006/43/EC, 2009/65/EC, 2009/138/EU, 2011/61/EU, EU/2013/36, 2014/65/EU, (EU) 2015/2366 and EU/2016/2341– (COM/2020/596 final) che interviene a modificare la vigente normativa finanziaria europea in molteplici ambiti, al fine di coordinarla con le numerose novità di cui al suddetto “pacchetto per la finanza digitale”; per quel che più riguarda l’ ambito di indagine adottato in questa sede rileva in particolare il primo paragrafo dell’art. 6 finalizzato a chiarire il trattamento giuridico delle cripto-attività, modificando la definizione di “strumento finanziario” di cui alla Direttiva 2014/65/EU, al fine di chiarire che per tali devono oggi intendersi anche quelli emessi tramite utilizzo di tecnologie DLT. A tal fine si prevedeva che “in Article 4(1), point 15 is replaced by the following: ‘financial instrument’ means those instruments specified in Section C of Annex I, including such instruments issued by means of distributed ledger technology”.

[6] Da un punto di vista tecnologico, può essere sufficiente osservare con i NFT – rappresentazioni crittografiche-digitali che su pretenderebbero (ma vedi oltre nel testo) caratterizzate tecnologicamente, rispetto alla maggioranza dei tokens, dal tratto specifico della loro “unicita” e quindi “infungibilità” , “irripetibilità”, “irreplicabilità” e “indivisibilità” che ne consente e giustifica la loro “collezionabilità” e la creazione di un loro “mercato” secondario – possono essere “creati” (“emessi”) da chiunque utilizzando una blockchain che si avvalga della tecnologia Distributed Ledger Tecnology (DLT), tipicamente la blockchain Ethereum, (di tipo permissionless e decentralizzata) utilizzando protocolli e smart contracts standardizzati – i più noti, in questo specifico ambito, sono il “ERC-721 token standard” e il “ERC-1555 token standard” – normalmente col supporto tecnico di operatori specializzati che rilasciano i codici al pubblico (sotto forma di open source license), dopo averli “validati”. Il momento della “creazione” dei NFT (coincidente spesso con il momento del “collocamento”) avviene quindi direttamente sulla blockchain per impulso di “creatori” – normalmente detti founders/promoters o developers, o “artisti” – “pubblicizzandoli” poi attraverso internet o social media (Twitter, Reddit, Telegram, Slack etc.); una volta così creato il token e “messo in vendita” chiunque, worldwide, disponga di una connessione internet ha allora la possibilità di “acquistarlo”, facendolo trasferire e mantenendolo poi custodito in appositi digital wallet. In sostanza si può descrivere il fenomeno in termini di un “collocamento” su scala mondiale e totalmente disintermediato (self-placed) che si svolge sulla (e si avvale della) piattaforma blockchain supportata da internet. Nella generalità dei casi tali NFTs paiono offribili/negoziabili su mercati secondari c.d. “marketplaces on-line” specializzati, quali OpenSea, SuperRare, Nifty, Gateways, Rarible, Artory, Verisart, UNXD.

[7] P. Carrière, La “cripto-arte” e i non-fungible tokens (NFTs): tentativi di inquadramento giuridico, in dirittobancario.it, agosto 2021; P.G. Magri, La Blockchain può rendere più sicuro il mercato dell’arte, in Aedon, 2019, 2, 1 ss.; S. Morabito, Profili giuridici degli N.F.T. (non fungible tokens). Tra arte e blockchain in Italia, in BusinessJus, 2021. F. Annunziata e A. Conso, NFT, L’arte e il suo doppio, Milano, 2021.

[8] ESMA Advice- Initial Coin Offrings and Crypto-Assets, 9 gennaio 2019, che fa seguito al più generale precedente intervento The Distributed Ledger Technology Applied to Securities Markets, febbraio 2017, in https://www.esma.europa.eu/system/files_force/library/dlt_report_-_esma50-1121423017-285.pdf, sul quale, per un primo commento, vedasi F. Annunziata, Distributed Ledger Technology e mercato finanziario: le prime posizioni dell’ESMA, in M.T. Paracampo (a cura di), FinTech, Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino, 2017 p. 229 s.

[9] Viceversa, l’ambito della Proposta Pilot Regime è proprio quello delle cripto-attività che risultino descrivibili e/o qualificabili e/o assimilabili come/a “strumenti finanziari” ai sensi MIFID, e, quindi, qualificabili come security tokens; in virtù di tale assimilazione o qualificazione, dunque, già oggi potrebbe risultare conseguentemente applicabile molta della disciplina che si applica agli strumenti finanziari (disciplina di varia natura: da quella dei servizi di investimento a quella del prospetto; da quella della market abuse, a quella dello short selling, etc.). Preso atto di ciò – e pur adeguandosi il novero degli strumenti finanziari, come visto, anche a “such instruments issued by means of distributed ledger technology” – in base all’opzione di intervento prescelta, non si procede (ancora) ad una attività di “adeguamento” disciplinare di tutta quella complessa e articolata normativa, al nuovo fenomeno tecnologico; un tale intervento ritenendosi oggi assai complesso e comunque prematuro. La scelta regolatoria adottata è pertanto quella di prevede un “regime pilota” (o “sandbox”) di sperimentazione temporalmente limitato, al fine di poter dunque procedere in un secondo momento a quell’opera di adeguamento sulla base delle esperienze che saranno così maturate.

[10] Per approfondimenti sul Documento, si rinvia A.  Sciarrone Alibrandi, Offerte iniziali e scambi di cripto-attività: il nuovo approccio regolatorio della Consob, in Diritto Bancario online, 4 aprile 2019; M. Nicotra, Il regime giuridico delle ICOs. Analisi comparata e prospettive regolatorie italiane, in Diritto Bancario online, Aprile 2019; P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, in Diritto Bancario online, maggio 2019 e Id., The Italian Regulatory Approach to Crypto-Assets and the Utility Tokens’ ICOs, luglio 2019. BAFFI CAREFIN Centre Research Paper No. 2019-113, in SSRN: https://ssrn.com/abstract=3414937.

[11]This Regulation should only apply to crypto-assets that are able to be transferred among holders without the issuer’s permission. It should not apply to crypto-assets that are unique and not fungible with other crypto-assets, that are not fractionable and are accepted only by the issuer, including merchant’s loyalty schemes, that represent IP rights or guarantees, that certify authenticity of a unique physical asset, or that represent any other right not linked to the ones that financial instruments bear, and are not admitted to trading on a crypto-asset exchange. The fractional parts of a unique and non-fungible crypto-asset should not be considered unique and nonfungible. The sole attribution of a unique identifier to a crypto-asset is not sufficient to classify it as unique or non-fungible. Similarly, this Regulation should also not apply to crypto-assets representing services, digital or physical assets that are unique, indivisible and non-fungible, such as product guarantees, personalised products or services, or real estate. However, this Regulation should apply to non-fungible tokens that grant to its holders or its issuers specific rights linked to those of financial instruments, such as profit rights or other entitlements. In those cases, the tokens should be able to be assessed and treated as security tokens, and be subject, together with the issuer, to various other requirements of Union financial services law, such as Directive (EU) 2015/849 of the European Parliament and of the Council 9 , Directive 2014/65/EU, Regulation (EU) 2017/1129 of the European Parliament and 8 FATF (2012-2019), International Standards on Combating Money Laundering and the Financing of Terrorism & Proliferation, FATF, Paris, France (www.fatf-gafi.org/recommendations.html). 9 Directive (EU) 2015/849 of the European Parliament and of the Council of 20 May 2015 on the prevention of the use of the financial system for the purposes of money laundering or terrorist financing, amending Regulation (EU) No 648/2012 of the European Parliament and of the Council, and repealing Directive 2005/60/EC of the European Parliament and of the Council and Commission Directive 2006/70/EC (OJ L 141, 5.6.2015, p. 73.) RR\1252126EN.docx 11/173 PE663.215v02-00 EN of the Council10, Regulation (EU) No 596/201411 and Directive 2014/57/EU of the European Parliament and of the Council12 “

[12] In realtà poi, inspiegabilmente, tali categorie vengono solo in considerazione solo nell’art. 4.2, (c).al fine di una limitata esclusione della disciplina applicabile.

[13] Tranne, forse, ma allora del tutto contraddittoriamente, come già sopra evidenziato, i non-fungible tokens che siano qualificabili come security tokens (?).

[14] P. Carrière, Il fenomeno delle cripto-attività (crypto-assets) in una prospettiva societaria, in Banca Impresa Società, 2020, 461.

[15] Fattispecie che non ha infatti trovato sin qui alcuna autonoma considerazione nella tassonomia del fenomeno rintracciabile nella lettura specialistica e nelle posizioni di regulators e policy makers.

[16] V., per tutti, F. Annunziata e A. Conso, NFT, L’arte e il suo doppio, Milano, 2021, 28 e 99.

[17]  Da questo punto di vista, l’unica indicazione che a tal riguardo può trarsi da Regolamento, ma ai nostri fini ben poco utile, può rintracciarsi nell’ambito del Considerando (8a), laddove può leggersi come “The sole attribution of a unique identifier to a crypto-asset is not sufficient to classify it as unique or non-fungible “.

[18]  Si osservi al riguardo come nel nuovo Considerando (9) si sia chiarito come “ (…) The crypto-assets that are the subject of this Regulation should be defined on the basis of, primarily, objective technical criteria and then also on the basis of their intended use directly linked to such technical criteria…Furthermore, an objective approach should be adopted when determining whether a token is a non-financial instrument and thus subject to this Regulation or else (…)”. (evidenza afggiunta).

[19] Una qualsiasi transazione che avviene sulla blockchain comporta dunque che il nodo cedente/mittente (A) crei il digest della transazione, l’impronta digitale, attraverso la funzione di un hash. Di seguito (A) firma tale impronta impiegando la propria chiave privata in modo tale da ottenere la firma digitale della transazione. Infine (A) aggiunge la chiave pubblica del cessionario/destinatario (B). Solo dopo aver effettuato questa operazione (A) può inviare la transazione medesima agli altri nodi della rete.  Per hash si intende una funzione algoritmica informatica non invertibile che mappa una stringa alfanumerica di una lunghezza arbitraria in una lunghezza definita o predefinita (il digest). L’hash quindi, identifica in maniera certa e univoca ciascun blocco e dal momento che contiene il digest delle transazioni, ne garantisce la immodificabilità e assicura consequenzialità cronologica alla catena.

[20] Per una chiara illustrazione del concetto in relazione alla tecnologia Blockchain, cfr. R. Garavaglia, Finalità, funzionamento e tipologia di utilizzi della Blockchain, in Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giuridica, N. 87, settembre 2019 – Le nuove frontiere dei servizi bancari e di pagamento fra PSD 2, criptovalute e rivoluzione digitale, pp. 163 ss.

[21] Criterio questo che, come appena visto, il Considerando (9) tenderebbe a suggerire come quello da adottare preferibilmente, appare qui del tutto incapace di individuare selettivamente in maniera efficace il tratto discretivo della “fungibilità”, attesa l’intrinseca unicità che qualsiasi tokens presenta iscritta nei suoi geni “crittografici”.

[22] Ma si veda l’affermazione introdotta nel Considerando (8a) del Regolamento e già sopra riportata alla nota 18.

[23] Si veda il caso della piattaforma Maecenas.

[24] Pare questo il caso del Tondo Doni tokenizzato nel maggio 2021 dagli Uffizi, con finalità fund rising; con il relativo Digital Art Work una versione digitale dell’opera di Michelangelo è stata resa “unica” grazie a un sistema crittografato che ne impedisce la manomissione e la replicazione, tramite un NFT che ne certifica la proprietà venduto ad un collezionista per 140 mila euro.

[25] Ad es. la piattaforma METAPURSE.

[26] Anche ex art. 64 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. In relazione ad un utilizzo di certificazione, v. ad es. la piattaforma ART RIGHTS.

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