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Approfondimenti

Il regime fiscale degli strumenti di investimento “Convertendi” in Startup e PMI

26 Aprile 2023

Fabio Brunelli, Partner, Di Tanno Associati

Stefano Cacace, Di Tanno Associati

Carlo Curti, Di Tanno Associati

Valerio Forestieri, Di Tanno Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il corretto inquadramento e il trattamento fiscale degli accordi di investimento “Convertendi” finalizzati alla patrimonializzazione delle Startup e PMI.


Con una recente Risposta ad interpello “nuovi investimenti” (prot. n. 956-19/2022), l’Agenzia delle Entrate ha reso importanti chiarimenti in merito al corretto inquadramento e trattamento fiscale dei cc.dd. accordi di investimento “Convertendi”, strumenti finanziari innovativi finalizzati alla patrimonializzazione delle Startup e PMI italiane.

Dopo aver ripercorso brevemente la struttura negoziale dei Convertendi, si procederà di seguito a un loro inquadramento civilistico e all’esame della relativa disciplina contabile, per poi analizzare le indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria in merito al regime fiscale di tali accordi. Il documento di prassi fissa invero principi di portata sistematica in ordine alla qualificazione di questa specifica tipologia di strumenti, di assoluta rilevanza per l’intero comparto del Venture Capital. Le conclusioni dell’Agenzia, in effetti, presentano elementi tecnici di rilevante interesse, dando importanti chiarimenti a beneficio degli operatori di un settore fondamentale per l’innovazione e la crescita occupazionale del Paese.

Struttura negoziale

I Convertendi riconoscono essenzialmente al sottoscrittore, a fronte di un versamento in denaro non rimborsabile, il diritto di ottenere la conversione dell’apporto in quote di partecipazione della società beneficiaria (c.d. target) al verificarsi di eventi prestabiliti.

Nonostante la specificità delle clausole che possono essere di volta in volta concordate dalle parti, i Convertendi presentano normalmente le seguenti caratteristiche:

  • sono stipulati tra gli investitori, da un lato, e le singole target con i propri soci (founder e altri), dall’altro;
  • gli apporti in denaro degli investitori sono effettuati senza previsione di alcun obbligo di rimborso né di alcun rendimento;
  • a fronte dell’apporto, la società target iscrive una riserva di capitale di pari importo nel patrimonio netto, “targata” in favore degli investitori, non distribuibile e indisponibile per usi diversi dalla conversione;
  • la conversione avviene automaticamente al verificarsi di determinati eventi, tra i quali di regola rientrano (i) un successivo round di investimento che presenti determinate caratteristiche (il c.d. “Round Qualificato”)[1] ovvero (ii) un atto di disposizione del controllo della target (cc.dd. “Evento di Exit”)[2] o ancora (iii) il decorso di un termine temporale prestabilito (c.d. “Conversione a scadenza”)[3];
  • le quote di partecipazione da attribuire all’investitore in sede di conversione sono determinate dal rapporto tra l’apporto in denaro (al numeratore) e la valutazione della target (al denominatore), in base a criteri contrattualmente prestabiliti[4];
  • al solo fine della determinazione del rapporto di conversione, l’apporto in denaro (come detto, posto al numeratore) può essere incrementato in misura pari a interessi “figurativi” computati ad un tasso annuo stabilito. Tali interessi hanno il solo fine di incrementare, per l’appunto “figurativamente”, l’ammontare al numeratore del rapporto di conversione, senza mai essere effettivamente dovuti né tantomeno versati dalla target agli investitori.

A seconda dei casi, inoltre, le strutture utilizzate possono prevedere, alternativamente,

  • la “cartolarizzazionedel Convertendo, quindi l’emissione da parte della target, a fronte dell’apporto, di un certo numero di titoli “convertendi” – a tutti gli effetti strumenti finanziari partecipativi (“SFP”) ai sensi dell’art. 2346, comma 6, c.c. – di eguale valore nominale e con eguali diritti[5], intrasferibili o limitatamente trasferibili al ricorrere di determinate condizioni; ovvero
  • la conclusione di un generico contratto di investimento (non cartolarizzato), che attribuisce all’investitore diritti analoghi a quelli riconosciuti al detentore degli SFP (modello “contrattuale”)[6].

Inquadramento giuridico dei Convertendi

Così sintetizzate le principali caratteristiche degli accordi di investimento in esame, è di chiara evidenza che essi non risultano riconducibili a uno schema negoziale “tipico” disciplinato dall’ordinamento[7].

Si tratta, perciò, di contratti che non trovano disciplina in una normativa specifica ma rientrano nell’autonomia negoziale delle parti ai sensi dell’art. 1322 c.c.

I Convertendi, in special modo, hanno l’obiettivo principale di consentire a imprese che generano innovazione e che si trovano in una fase iniziale di attività (sia embrionale che di prima espansione), di avere accesso alle risorse finanziarie necessarie a sviluppare il proprio progetto imprenditoriale, senza ricorrere né al debito né all’ingresso immediato di nuovi soci nella compagine sociale. Il capitale di rischio apportato mediante tali strumenti, invero, consente da un lato di non gravare la target di oneri finanziari in una fase in cui il business non è ancora sufficientemente consolidato, dall’altro di lasciarne la gestione ai promotori dell’iniziativa, con la prospettiva di attrarre ulteriori investitori in fasi successive.

In tal modo, è inoltre possibile differire la valutazione della target, strumentale alla determinazione (del rapporto di conversione e quindi) della quota di partecipazione dell’investitore, a un momento successivo all’erogazione iniziale del capitale, quando il valore della società si sarà (auspicabilmente) manifestato; in sostanza, si rinvia per un certo tempo la formazione del rapporto sociale (che avverrà secondo un parametro prestabilito) perché si vuole attendere l’emersione effettiva e concreta del valore della target, che nella fase iniziale non è agevolmente determinabile.

Al contempo, le modalità di determinazione del rapporto di conversione – che, come detto, tiene conto del versamento in denaro del sottoscrittore al numeratore e della valutazione della target al denominatore[8] – pongono un tetto al rischio di diluizione dell’investitore in caso di incremento significativo del valore dell’impresa; la valutazione della target ai fini della conversione coincide infatti, a seconda dei casi, con la valutazione alla base del Round Qualificato o dell’Evento di Exit, scontata in un certa misura contrattualmente prestabilita (ad es., del 25%), ovvero con un valore convenzionalmente definito nell’accordo di investimento.

Il differimento dell’ingresso nella compagine sociale dell’investitore viene peraltro valorizzato riconoscendo un “premio” di conversione (i.e. l’interesse figurativo) che, incrementando per l’appunto “figurativamente” l’ammontare dell’apporto (come detto, al numeratore del rapporto di conversione) garantisce un’ulteriore protezione dell’investitore rispetto al fattore temporale[9].

In un’ottica sistematica, i Convertendi sembrano ispirati dall’esperienza statunitense del c.d. “Simple Agreement for Future Equity” (“SAFE”)[10], uno strumento finanziario partecipativo irredimibile[11] che consente l’ingresso posticipato ed eventuale dell’investitore nel capitale sociale, differendo la valutazione della società – strumentale alla determinazione della partecipazione – a un momento successivo all’erogazione dell’apporto.

Vale peraltro evidenziare che strumenti con caratteristiche in parte diverse ma finalità similari – anche tenuto conto delle esigenze di sostegno alle piccole imprese acuite dalla pandemia – sono inoltre quelli di “quasi-equity[12] introdotti nell’ordinamento dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 27 giugno 2019 (c.d. D.M. Sostegno al Venture Capital) e, da ultimo, dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 1° ottobre 2020 (c.d. D.M. Rilancio)[13].

In definitiva, nel caso qui esaminato i Convertendi rappresentano forme di investimento non riconducibili ad uno schema negoziale tipico che, non avendo natura di strumenti di debito (con obbligo di rimborso o remunerazione fissa), si caratterizzano per una causa essenzialmente “associativa” o “pre-associativa”.

Disciplina contabile dei Convertendi

Per ciò che concerne la contabilizzazione dei Convertendi, ferme le indicazioni di regola contenute nei contratti e già richiamate al precedente paragrafo, occorre esaminare in modo distinto la prospettiva della società beneficiaria e quella degli investitori.

Si esaminerà il caso di  target e investitori[14] che adottano i principi contabili nazionali nella redazione del bilancio d’esercizio (OIC adopter)[15].

Aspetti contabili per la target

Alla luce della natura dei Convertendi non è rinvenibile nel codice civile o nei principi contabili OIC una chiara indicazione in merito alla contabilizzazione dell’apporto nell’ottica della società beneficiaria. Al riguardo, l’art. 2432-bis c.c. chiarisce che, in mancanza di più puntuali indicazioni normative, la rilevazione e la presentazione delle voci di bilancio deve avvenire tenendo conto della “sostanza” delle operazioni effettuate, con l’effetto che ai fini della contabilizzazione dell’apporto è necessario guardare alla funzione economica assolta, nel complesso, dall’operazione.

Nella specie, la classificazione nel bilancio dell’emittente degli strumenti finanziari va fatta dipendere, secondo la dottrina prevalente, dalla “partecipazione” o meno al rischio d’impresa che consegue alla sottoscrizione degli strumenti[16], assimilando il trattamento degli stessi rispettivamente al capitale di rischio ovvero al capitale di debito[17].

Per l’effetto, sono da ritenersi “partecipativi”, e quindi rientranti nel capitale di rischio, unicamente gli strumenti emessi a fronte di attribuzioni definitive, non suscettibili di restituzione ovvero la cui restituzione e/o remunerazione è vincolata all’andamento della gestione dell’impresa emittente.

Si tratta di conclusioni che trovano riscontro anche nei principi contabili OIC. Al riguardo, invero, l’OIC 19 qualifica come debiti unicamente le “obbligazioni a pagare ammontari determinati di solito a una data prestabilita”. Ne emerge che l’elemento fondamentale per distinguere i debiti dal capitale di rischio (contabilmente rappresentato dal patrimonio netto) consiste proprio nell’esistenza (o meno) di un obbligo di rimborso delle somme versate[18]. Qualora non sia previsto l’obbligo di rimborso, dunque, l’apporto del sottoscrittore di strumenti finanziari deve essere contabilizzato dall’emittente nell’ambito del capitale di rischio e, nello specifico, in una riserva del patrimonio netto, dal momento che l’operazione si caratterizza per l’ingresso nella società di nuove “attività”, che ne incrementano in via definitiva la consistenza patrimoniale (ancorché non incrementino il capitale sociale).

Nel caso di specie, peraltro, la “targatura” della riserva rende altresì manifesta la destinazione futura dell’apporto a servizio della conversione in quote di partecipazione, cosicché risulti evidente – anche a vantaggio dei terzi – che la riserva sarà, rispetto alle altre riserve statutarie, intaccata per ultima dalle perdite (ma prima del capitale)[19]. Pertanto, le indicazioni contenute nei Convertendi in merito all’iscrizione nel bilancio della società target di una riserva “targata” in favore degli investitori trovano piena conferma nella prassi contabile e valgono, inoltre, a chiarire la volontà delle parti in merito alla causa dell’apporto (i.e. equity contribution)[20].

Gli “interessi figurativi”, eventualmente previsti nella struttura contrattuale dei Convertendi, costituiscono peraltro un mero parametro finanziario che rileva unicamente ai fini della conversione dell’apporto in quote di partecipazione, non risultando mai effettivamente dovuti dalla target (nemmeno nel caso di mancata conversione). Dalla natura meramente “figurativa” di tali interessi ne consegue la loro irrilevanza ai fini del bilancio della società beneficiaria; invero, tali interessi non originano – anche in base alle indicazioni dell’OIC 19 – né un debito della target nei confronti dell’investitore né un credito dell’investitore verso la società beneficiaria e non danno luogo ad alcun flusso finanziario[21].

Al verificarsi di un evento di conversione, la riserva “targata” rilevata a patrimonio netto sarà imputata integralmente a capitale sociale a copertura dell’incremento di capitale deliberato e, per il residuo, a sovrapprezzo (senza perciò modificare l’ammontare totale del patrimonio netto)[22].

Qualora infine sopravvenga l’impossibilità della conversione, la riserva di patrimonio netto (ove non erosa dalla perdita) resterà iscritta in bilancio, visto che – come si è ampiamente chiarito – l’apporto relativo agli SFP costituisce un’attribuzione in via definitiva a vantaggio della target. In caso di mancata conversione, tuttavia, viene meno la “targatura” a beneficio dei sottoscrittori, giacché si recide, in modo irreversibile, il legame tra la riserva e la (ormai irrealizzabile) conversione in partecipazioni[23].

Da ultimo, vale osservare che per la target non si ravvisa alcuna componente di derivato da iscrivere e valorizzare[24].

Aspetti contabili per gli investitori

Anche nella prospettiva dell’investitore, i Convertendi costituiscono strumenti non riconducibili ad uno schema negoziale tipico che non trovano precise regole di riferimento nei principi contabili nazionali[25]. Anche in tal caso, dunque, nella contabilizzazione dello strumento è necessario seguire un approccio contabile che tenga conto della sostanza dell’operazione sottostante.

Ne consegue che gli strumenti devono ragionevolmente trovare collocazione tra le immobilizzazioni finanziarie del sottoscrittore, poiché rappresentano un investimento destinato ad essere durevolmente mantenuto nel patrimonio aziendale[26]. Il valore di iscrizione non può che corrispondere al costo, alla luce del divieto di utilizzare il fair value per la valutazione di strumenti diversi dai derivati.

Simmetricamente a quanto accade per la target, nel caso in cui siano previsti “interessi figurativi”, essi non saranno rilevati né nello stato patrimoniale né nel conto economico del sottoscrittore atteso che si tratta di un mero parametro finanziario che incide unicamente sulla determinazione del rapporto di conversione.

Al verificarsi della conversione il sottoscrittore iscriverà, in luogo dei Convertendi, le partecipazioni ricevute al medesimo valore (i.e. in continuità di valori).

Mette conto rilevare che neppure per l’investitore si ravvisa nella fattispecie alcuna componente di derivato da iscrivere e valorizzare[27].

Vale peraltro evidenziare che, poiché non sussiste un obbligo di valutazione mark to market per gli strumenti diversi dai derivati, i Convertendi manterranno l’iscrizione al costo nel bilancio del sottoscrittore salvo che non si renda necessario effettuare una svalutazione alla luce di una perdita durevole di valore dello strumento[28] [29].

Regime fiscale dei Convertendi– La conferma dell’Agenzia delle Entrate

Alla luce dell’inquadramento giuridico e della rappresentazione contabile dei Convertendi, è possibile tracciarne il seguente trattamento fiscale ai fini dell’imposizione diretta, che risulta confermato dalla citata Risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate, per la prima volta pronunciatasi su questi specifici e innovativi strumenti di investimento.

Occorre premettere che l’art. 5 del D.M. 8 giugno 2011 stabilisce che ai fini dell’individuazione del trattamento fiscale degli strumenti finanziari partecipativi, indipendentemente dalla qualificazione e della classificazione adottata in bilancio, si considerano (i) similari alle azioni gli strumenti finanziari che presentano i requisiti di cui alla lettera a) del comma 2 dell’art. 44 TUIR ovvero (ii) similari alle obbligazioni gli strumenti finanziari che presentano i requisiti di cui alla lett. c) del medesimo comma 2. L’art. 5 del D.M. sopra menzionato ha pertanto introdotto una deroga al principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83 TUIR, in virtù della quale il trattamento fiscale degli strumenti finanziari partecipativi va determinato unicamente in base ai criteri di qualificazione e classificazione previsti dal TUIR, a prescindere dal relativo trattamento contabile.

Peraltro, la previsione, originariamente applicabile soltanto ai soggetti che adottano i principi contabili internazionali per la redazione del bilancio d’esercizio (IAS adopter), è stata estesa dall’articolo 2 del D.M. 3 agosto 2017 anche alle imprese che si conformano ai principi contabili nazionali.

Al riguardo, l’articolo 44 del TUIR stabilisce che si considerano similari alle azioni, i titoli e gli strumenti finanziari che hanno una remunerazionecostituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari partecipativi sono stati emessi”.

Viceversa, si qualificano come similari alle obbligazionii titoli di massa che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’impresa emittente o dell’affare in relazione al quale siano stati emessi”.

Alla luce del richiamato quadro normativo, nonché delle indicazioni già fornite nella Circolare n. 26/E/2004, la qualificazione degli strumenti finanziari in generale può dunque condurre alla loro collocazione in una delle seguenti tre categorie individuate dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria:

  • se la remunerazione dello strumento è totalmente collegata ai risultati economici dell’emittente, esso sarà assimilabile alle azioni;
  • se non è soddisfatta la condizione di cui sopra, ma lo strumento prevede il rimborso integrale del capitale e l’assenza di diritti di partecipazione alla gestione dell’impresa emittente, esso sarà assimilabile alle obbligazioni;
  • se lo strumento non soddisfa pienamente i requisiti di assimilabilità alle azioni e alle obbligazioni, esso si collocherà nella categoria residuale (a fini fiscali) degli strumenti “atipici”[30].

Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha più volte precisato che la remunerazione di uno strumento finanziario può dirsi interamente correlata ai risultati economici dell’emittente (e, perciò, qualificare lo strumento come “similare alle azioni”) unicamente laddove tale connessione riguardi sia l’an che il quantum delle somme o dei proventi corrisposti ai sottoscrittori a titolo di remunerazione dell’investimento. In sintesi, pertanto, l’assimilazione alle azioni è consentita solo se la partecipazione del titolare degli strumenti finanziari ai risultati dell’emittente, e perciò agli utili e alle perdite derivanti dalla gestione sociale, avviene in modo similare a quanto accade per i soci[31].

Ai fini dell’individuazione del corretto trattamento fiscale dei Convertendi, dunque, si trattava di chiarire se tali strumenti, che non riconoscono all’investitore alcuna remunerazione all’infuori della prospettiva di conversione, fossero assimilabili alle azioni e dovessero perciò essere assoggettati al relativo trattamento fiscale.

Con la Risposta ad interpello in commento, l’Amministrazione finanziaria, condividendo l’interpretazione dell’istante, ha ritenuto che i Convertendi (cartolarizzati o meno) hanno natura partecipativa sul piano fiscale e sono perciò assimilabili alle azioni ai sensi dell’art. 44, comma 2, lett. a) del TUIR.

Invero, tali strumenti determinano una piena esposizione dell’investitore al rischio di perdita del capitale investito, non prevedendo alcun diritto al rimborso dell’apporto versato. Sotto tale profilo, dunque, la posizione dei sottoscrittori dei Convertendi è similare a quella dei soci, atteso che l’andamento negativo della gestione sociale ben potrebbe “erodere” (fino ad azzerare del tutto) il valore degli strumenti, con la conseguente “perdita” dell’investimento[32].

D’altra parte, la partecipazione agli utili si concretizza soltanto una volta che il sottoscrittore avrà acquisito la qualifica di socio per effetto della conversione. In tal senso, occorre tuttavia tener conto del fatto che l’apporto eseguito dal sottoscrittore dei Convertendi non ha altra prospettiva all’infuori dell’acquisizione della qualità di socio della target. L’apporto in questione, cui deve riconoscersi la natura di capitale di rischio, viene dunque erogato a fronte dell’aspettativa di avere accesso ai risultati positivi generati in futuro dalla target. Il rapporto contrattuale, dunque, nasce chiaramente con la finalità di effettuare la conversione ed è funzionale alla creazione del rapporto sociale (che si perfeziona solo dopo un certo tempo), con l’effetto che l’unica remunerazione cui ha accesso l’investitore è il dividendo una volta assunta la qualità di socio.

Del resto, nella fisiologia dei casi, la conversione avverrà quando la target avrà fatto un deciso passaggio verso una prospettiva di consolidamento della propria capacità (almeno potenziale) di generare utili per propri i soci. Al contempo, è del tutto evidente che prima del verificarsi di uno degli eventi di conversione – sintomatici dell’accrescimento delle prospettive economiche della target – molto difficilmente essa sarà in grado di generare utili distribuibili.

L’Agenzia delle Entrate ha dunque concluso che i Convertendi – nel caso di specie – determinano una partecipazione immediata alle perdite e prospettica agli utili della target e, pertanto, la relazione tra l’investitore e la società beneficiaria è da intendere ab origine come un rapporto di carattere “partecipativo” sorto a fronte di un apporto avente natura di equity.

Come confermato dall’Agenzia, dunque, dalla riconduzione dei Convertendi tra gli strumenti similari alle azioni deriva il seguente trattamento ai fini della fiscalità diretta.

Aspetti fiscali per la target

L’incasso delle somme di denaro messe a disposizione dagli investitori è privo di effetti reddituali in capo alla target, come emerge anche dalla rilevazione contabile (a patrimonio netto) del denaro ricevuto sotto forma di riserva “targata”, atteso che si tratta nella sostanza di un apporto di mezzi propri (art. 88, comma 4, TUIR)[33].

Nel caso in cui sia previsto un interesse figurativo, esso costituisce un mero parametro finanziario privo di rilevanza reddituale, in quanto non è mai “effettivamente” dovuto e non è mai iscritto né come onere nel conto economico né come debito nello stato patrimoniale della target. L’interesse figurativo, dunque, assume una funzione unicamente nella dinamica dei rapporti tra i soci della target (e non già tra i soci e la società), riequilibrando la relazione tra “soci investitori” e “soci pregressi” in funzione del tempo trascorso tra il momento dell’investimento (i.e. la sottoscrizione dello strumento) e la conversione. Per tale motivo, gli interessi non solo risultano irrilevanti ai fini IRES, ma neppure possono rappresentare una forma di remunerazione riconosciuta al titolare del Convertendo[34].

In sede di conversione, la target imputa a capitale sociale (e a sovrapprezzo) la riserva “targata” iscritta a patrimonio netto, assegnando le relative quote di partecipazione agli investitori senza che vi sia il transito di elementi a conto economico e senza che la conversione abbia alcun effetto ai fini della fiscalità diretta.

Come confermato dall’Amministrazione finanziaria, poiché la riserva rappresenta l’apporto effettuato a fronte dell’attribuzione dei Convertendi, essa resta definitivamente acquisita dalla target fin dal momento del versamento, indipendentemente dal verificarsi (o meno) della conversione. Da ciò consegue che, in caso di mancata conversione (presumibilmente nell’ipotesi di andamento economico negativo della società) la riserva – anche laddove non del tutto erosa dalle perdite – non è mai fonte di effetti reddituali per la target, atteso che l’apporto relativo ai Convertendi costituisce un’attribuzione in via definitiva a vantaggio della società beneficiaria.

Anche ai fini IRAP, gli eventi che caratterizzano i Convertendi (apporto, interessi figurativi, attribuzione di azioni, eventuale mancata conversione), avendo contenuto meramente patrimoniale e non facendo emergere a conto economico componenti redditualmente rilevanti, non incidono sulla determinazione della base imponibile ai sensi dell’articolo 5 del Decreto legislativo n. 446/1997.

Aspetti fiscali per gli investitori

Del pari, nella prospettiva degli investitori l’apporto effettuato in sede di sottoscrizione dei Convertendi è fiscalmente privo di rilevanza reddituale ai fini IRES e IRAP. Al versamento dell’apporto fa infatti da contropartita l’iscrizione degli strumenti tra le immobilizzazioni finanziarie dello stato patrimoniale al valore di costo, senza rilevazione di componenti a conto economico.

Come per la target, anche per l’investitore l’interesse figurativo, dove previsto, non genera flussi rilevanti ai fini dell’imposizione diretta.

Al verificarsi di un evento di conversione, il sottoscrittore del Convertendo riceve l’assegnazione di un numero di azioni più che proporzionale (anche per effetto dell’interesse figurativo) rispetto all’apporto versato, senza che si generino riflessi reddituali in ragione del fatto che la conversione, come detto, determina l’iscrizione delle quote di partecipazione ricevute al medesimo valore dell’apporto eseguito (i.e. in continuità di valori)[35].

Alla luce dell’assimilabilità alle azioni, inoltre, la svalutazione dei Convertendi risulta fiscalmente irrilevante a noma dell’art. 110, comma 1, lett. d) del TUIR, ai sensi del quale “il costo degli strumenti finanziari similari alle azioni si intende non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali non concorrono alla formazione del reddito”. Analogamente, sono prive di rilevanza fiscale le rivalutazioni degli strumenti.

Nel caso in cui la conversione non si verifichi con effetto definitivo, in presenza delle condizioni previste dall’art. 87 del TUIR per l’applicazione del regime della participation exemption, alla cancellazione dello strumento dal bilancio conseguirà una minusvalenza fiscalmente indeducibile ai sensi dell’art. 101 del TUIR.

Ai fini IRAP, così come accade per la target, le vari fasi della vita del Convertendo – apporto, interessi figurativi, attribuzione di azioni, svalutazioni e rivalutazioni, mancata conversione –, avendo natura meramente patrimoniale e non facendo emergere componenti rilevanti a conto economico, sono inidonee a produrre effetti sulla base imponibile di cui all’art. 6, comma 9, del D.Lgs n. 446/1997.

Da ultimo, l’Amministrazione ha rilevato che, nel caso in cui si verifichi la conversione, in occasione della successiva cessione delle azioni acquisite, troverà eventualmente applicazione il regime della participation exemption al ricorrere delle condizioni individuate dall’art. 87 del TUIR. Al riguardo, peraltro, l’Agenzia ha confermato che, con particolare riferimento al requisito del minimum holding period, occorre assumere come termine di decorrenza il momento della sottoscrizione dell’accordo di investimento, tenuto conto del fatto che la conversione costituisce un evento “neutrale” a fini fiscali e, in quanto tale, non determina alcuna interruzione del periodo di possesso. Si tratta di un importante chiarimento che interviene a confermare l’orientamento già manifestato dall’Agenzia delle Entrate in due Risposte ad interpello pubblicate nel corso del 2022 (n. 44/E/2022 e n. 64/E/2022)[36], che a loro volta facevano seguito alla Risposta n. 818/E/2021 di segno contrario[37] [38].

La Risposta in esame fornisce peraltro un ulteriore importante chiarimento, confermando che i criteri dettati dal TUIR ai fini dell’assimilazione degli strumenti finanziari alle azioni ovvero alle obbligazioni sono validi anche con riferimento alla qualificazione fiscale degli accordi Convertendi non “cartolarizzati”. Nel caso di specie, l’Amministrazione ha invero applicato i criteri di cui all’art. 44 TUIR non soltanto in ordine alla qualificazione fiscale degli SFP convertendi, ma anche con riferimento ai meri contratti di investimento che non prevedono l’attribuzione di alcun “titolo” all’investitore. Vale evidenziare, peraltro, che l’assimilazione di un contratto “non cartolarizzato” a uno strumento finanziario ai fini dell’inquadramento fiscale era già stata ritenuta legittima dall’Amministrazione finanziaria in un precedente documento di prassi (Risposta a interpello n. 477/2021[39]).

Conclusioni

Con questa Risposta ad interpello l’Agenzia delle Entrate ha quindi fornito chiarimenti di grande rilievo a beneficio degli operatori del comparto del Venture Capital impegnati nel sostegno alle Startup e PMI in merito al trattamento fiscale dei sinora inediti strumenti di investimento Convertendi oggetto di esame.

Detti chiarimenti, nel confermare l’assimilazione di tali strumenti alle azioni, valorizzano in pieno la natura pre-associativa dell’apporto (riconducibile nell’ambito di un versamento di equity) nonché la prospettica partecipazione all’utile sociale, che rappresenta l’unica possibile forma di remunerazione. Viene inoltre chiarita l’irrilevanza – nel caso specie – degli interessi “figurativi” (che impattano unicamente nel rapporto tra soci pregressi e soci investitori, in funzione del tempo trascorso dal momento dell’apporto a quello della conversione).

L’Agenzia delle Entrate ha altresì confermato che sia l’apporto iniziale (contabilizzato in una riserva targata) sia la conversione degli strumenti non hanno rilevanza reddituale (con continuità dei valori) e che la eventuale mancata conversione (nell’ipotesi in cui la target non sia riuscita ad esprimere valore secondo le condizioni previste) non altera la natura partecipativa degli stessi. Dal punto di vista dell’investitore gli strumenti Convertendi seguono coerentemente il trattamento dei titoli similari alle azioni e trovano collocazione tra le immobilizzazioni finanziarie, rappresentando un investimento durevole. Alle condizioni previste dal TUIR si rende quindi altresì applicabile la disciplina della PEX, in relazione alla quale l’Agenzia delle Entrate ha confermato che ai fini del computo dell’holding period occorre fare riferimento al momento della sottoscrizione iniziale degli strumenti[40].

 

[1] A titolo esemplificativo, sono considerati tali i successivi investimenti nella target non inferiori a determinati importi, che coinvolgano nuovi investitori diversi dai soci attuali e dalle parti dell’accordo di investimento in una percentuale minima di partecipazione prestabilita.

[2] A titolo esemplificativo, sono considerati tali la fusione, la vendita o il trasferimento di almeno il 51% delle partecipazioni nella target a soggetti terzi, ovvero la quotazione in borsa, nonché ogni atto di disposizione – quali, sempre a titolo esemplificativo, la cessione di azienda, lo scorporo, la licenza esclusiva – di tutti o della sostanziale maggioranza degli asset della target.

[3] Mette conto evidenziare che, oltre alla conversione automatica, può essere altresì prevista la facoltà di conversione a discrezione dell’investitore, da esercitarsi generalmente entro talune “finestre” temporali contrattualmente individuate (c.d. “Conversione volontaria anticipata”).

[4] Di regola, la conversione avviene sulla base di un rapporto che tiene conto al denominatore di una valutazione della target pari al minore tra (i) la valutazione pre-money fully diluited alla base del Round Qualificato o dell’Evento di Exit, scontata in una certa misura contrattualmente stabilita (ad es. del 25%) e (ii) la valutazione convenzionalmente definita nell’accordo di investimento (c.d. “valore di riferimento”, “valutazione cap” o “floor”).

[5] Si tratta, in sostanza, del diritto di conversione e di alcuni limitati diritti amministrativi (quali, a titolo meramente esemplificativo, il diritto di ricevere documentazione informativa dalla società emittente o di nominare un rappresentante comune).

[6] Nel modello “contrattuale”, in sostanza, i diritti degli investitori verso la target trovano fonte esclusivamente nel contratto di investimento, senza l’emissione (da parte delle Startup o PMI) e l’attribuzione (agli investitori) di un titolo.

[7] Nel mercato italiano, peraltro, si rinvengono già strumenti di finanziamento prospetticamente diretti alla possibile acquisizione di una partecipazione e che sono privi di un diritto d’opzione in capo al finanziatore, diversamente da quanto previsto per le obbligazioni convertibili dall’art. 2420-bis c.c. Al riguardo la dottrina distingue i prestiti convertendi “in senso stretto” da quelli “impropri”, a seconda che la conversione sia automatica ovvero sia rimessa ad una scelta discrezionale della società finanziata (cfr. A. GIANNELLI, Obbligazioni convertibili, convertende e a conversione sintetica, in Riv. Soc., 2016, 689).

[8] Per maggior dettaglio, cfr. nota n. 4.

[9] L’alea dell’investimento effettuato senza diritto al rimborso e senza certezza di acquisire una partecipazione che giustifichi l’investimento è quindi compensata – nell’eventualità in cui l’impresa invece si valorizzi – da un’attribuzione “sopra la pari” (rispetto all’importo versato) di azioni. Specularmente i soci preesistenti, “diluiti” ma sostanzialmente beneficiari di un apporto a fondo perduto che non sarebbe stato agevolmente reperibile a condizioni così vantaggiose sul mercato finanziario, traggono un’evidente convenienza da tale schema contrattuale.

[10] Si tratta di una tipologia di strumento di investimento flessibile nato nella Silicon Valley al fine di agevolare l’afflusso di risorse finanziarie a Startup in fase di seed senza le complicazioni derivanti dall’indebitamento.

[11] Cfr. F. REDOANO, Il “Simple agreement for future equity” nel diritto italiano, in Banca, borsa e titoli di credito, n. 6/2021.

[12] Si veda la definizione di finanziamento di “quasi equity” contenuta nel D.M. Sostegno al Venture Capital art. 1 lett. j) e nel D.M. Rilancio (art. 1 lett. q): «un tipo di finanziamento che si colloca tra equity e debito e ha un rischio più elevato del debito di primo rango (senior) e un rischio inferiore rispetto al capitale primario (common equity), il cui rendimento per colui che lo detiene si basa principalmente sui profitti o sulle perdite dell’impresa destinataria e che non è garantito in caso di cattivo andamento dell’impresa. Gli investimenti in quasi-equity possono essere strutturati come debito, non garantito e subordinato, compreso il debito mezzanino e in alcuni casi convertibile in equity o come capitale privilegiato (preferred equity)».

[13] Tali interventi si pongono obiettivi di rafforzamento del Venture Capital e di promozione degli investimenti in capitale di rischio da parte degli operatori professionali individuati dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145 (“Legge di Bilancio 2019”).

[14] Peraltro, nel caso in cui l’investitore sia un fondo di investimento valgono, mutatis mutandis, le medesime considerazioni illustrate con riferimento alle società OIC adopter, tenendo tuttavia conto dei peculiari schemi di rendicontazione previsti per gli OICR dall’autorità di vigilanza.

[15] Visti gli stringenti limiti previsti dall’art. 2435-ter c.c., appare difficilmente configurabile l’utilizzo (quale investitore o quale target) di c.d. “micro-imprese” ammesse alla redazione del bilancio in forma semplificata, cui pertanto non si fa riferimento nell’analisi.

[16] Si tratta di un approccio riscontrabile anche nel Documento n. 69 della Fondazione Aristeia, “Profili contabili degli strumenti finanziari ex art. 2346, comma sesto, cod. civ.” di gennaio 2007, che, focalizzando l’attenzione sulla causa del rapporto che si instaura tra sottoscrittore ed emittente, individua nella partecipazione al rischio d’impresa il parametro di riferimento ai fini della determinazione del trattamento contabile degli strumenti. Più di recente, cfr. L. SCARANI-L. SINTONI, Gli strumenti finanziari partecipativi, in Bilancio e Revisione n. 3/2020; F. LEGROTTAGLIE, Strumenti finanziari partecipativi per i soggetti OIC-adopter, in Bilancio e reddito d’impresa, n. 3/2018; M. MANULI, Gli strumenti finanziari partecipativi nelle S.p.A.: riflessioni critiche, in Le Società, n. 1/2013.

[17] Anche il Consiglio notarile di Milano, nella massima n. 164, chiarisce che «gli strumenti finanziari partecipativi emessi ai sensi dell’art. 2346, comma 6, c.c., possono prevedere o meno, a carico della società, l’obbligo di rimborso dell’apporto o del suo valore. Nel primo caso, l’obbligo di restituzione comporta l’iscrizione di una voce di debito nel passivo dello stato patrimoniale; nel secondo caso, invece, l’apporto comporta l’iscrizione di una riserva nel patrimonio netto della società nella misura in cui esso sia iscrivibile nell’attivo dello stato patrimoniale o nella misura della riduzione del passivo reale».

[18] D’altra parte, come chiarisce l’OIC 28, il patrimonio netto è una grandezza residuale che scaturisce dalla differenza tra attività e passività di bilancio e rappresenta (in aggiunta al capitale sociale) il «capitale di pieno rischio» delle imprese, in quanto la sua remunerazione e il suo rimborso sono subordinati al prioritario soddisfacimento delle aspettative di remunerazione e rimborso di tutti i creditori.

[19] Sebbene non manchino voci in dottrina contrarie alla possibilità di concludere accordi di “targatura” delle riserve, essa è ampiamente utilizzata nella prassi e avallata anche dalla giurisprudenza (Cass. n. 24 luglio 2007, n. 16393). Sull’ammissibilità della targatura, in dottrina, cfr. F. REDOANO, cit.

[20] Alle medesime conclusioni è pervenuta anche la giurisprudenza nell’unico precedente giurisprudenziale sul tema (Ord. Trib. di Napoli 25 febbraio 2016), in cui è stata validata l’appostazione di strumenti finanziari convertibili senza rimborso in una riserva del patrimonio netto, come previsto dallo statuto della società emittente, ritenendo l’autonomia statutaria sovrana nel definire la causa (debito ovvero quasi-equity) degli SFP e la loro conseguente natura contabile.

[21] Per quanto concerne gli obblighi di informativa si segnala che la società target, qualora sia un soggetto che redige il bilancio in forma “ordinaria” (e non in forma abbreviata ex art. 2435-bis c.c.), dovrà fare menzione all’interno della nota integrativa, dell’esistenza e della “maturazione” dell’interesse figurativo. Infatti, ai sensi dell’art. 2427, comma 1, n 19), c.c., la nota integrativa deve indicare il numero e le caratteristiche degli strumenti finanziari emessi dalla società, con menzione dei diritti patrimoniali e amministrativi che sono conferiti da tali strumenti e delle principali caratteristiche delle operazioni connesse all’emissione. Al riguardo, l’OIC 12 (para. 119) precisa che la nota integrativa deve in particolare indicare «l’articolazione dei diritti relativi agli strumenti finanziari prevista nello statuto». Ne deriva, in questi casi, l’obbligo per la target di specificare in nota integrativa gli elementi che valgono a determinare il rapporto in virtù del quale può effettuarsi la conversione.

[22] In tal senso, cfr. Massima n. 166 del 7 novembre 2017 del Consiglio Notarile di Milano.

[23] Mette conto evidenziare che non mutano le conclusioni raggiunte circa il trattamento contabile degli strumenti nel caso in cui non sia prevista l’emissione di SFP da parte della target. Per ragioni sostanzialistiche, confermate dalla prassi notarile (Commissione dei Notai del Triveneto, Massima H.L.2, 1° pubbl. 9/07), non vi sono ragioni per non ritenere che anche l’apporto di un terzo possa avere una causa partecipativa. In tal senso, cfr. anche Trib. Milano n. 1468 del 7 febbraio 2017.

A tale proposito, si evidenzia inoltre che nella fattispecie dei cc.dd. “versamenti in conto futuro aumento di capitale” la dottrina ha ravvisato che, laddove si possa escludere un obbligo di restituzione (in quanto non è previsto un termine finale entro il quale effettuare l’aumento di capitale ovvero restituire il versamento), la società destinataria del versamento debba rilevare in bilancio non un debito bensì una riserva di capitale (Cfr. F. REDOANO, cit., che cita a sua volta R. DE RITIS, Gli apporti spontanei in società di capitali, Torino, 2001, p. 137). La logica che porta a tale conclusione avvalora, anche nelle fattispecie qui in esame – nelle quali le parti stesse esplicitamente escludono un obbligo di restituzione e prevedono l’iscrizione di una riserva di capitale – la natura di apporto di capitale di rischio (e non di debito) dei versamenti effettuati.

[24] Fermo restando che nella fattispecie in esame non si ravvisa alcuna componente di natura derivata, vale peraltro evidenziare che non sarebbe in ogni caso necessario lo “scorporo” della stessa perché l’OIC 32 (par. 4.a. delle Motivazioni) esclude dal proprio ambito di applicazione i contratti derivati su azioni proprie.

[25] Nell’ambito di applicazione dell’OIC 21 rientrano le “Partecipazioni”, definite come “investimenti nel capitale di altre imprese”, mentre gli strumenti finanziari pienamente assimilabili ai titoli di debito sono disciplinati dall’OIC 20 “Titoli di debito”. Manca un principio contabile di riferimento per gli strumenti non assimilabili a quelli di debito e non immediatamente riconducibili all’investimento nel capitale di altre imprese.

[26] Sul punto, in dottrina, L. SCARANI-L. SINTONI, Gli strumenti finanziari partecipativi, in Bilancio e Revisione n. 3/2020. Nonostante l’OIC 1 non sia più in vigore, vale peraltro evidenziare che l’Organismo Italiano di Contabilità, nell’“Appendice di aggiornamento all’OIC 1” del 30 maggio 2005  si era soffermato sulla nozione di immobilizzazioni finanziarie rilevando che esse sono idonee a ricomprendere “non solo le partecipazioni iscritte al costo, ma anche quelle altre poste iscritte nella voce B (Immobilizzazioni) dell’attivo dello stato patrimoniale, di cui all’art. 2424 del Codice civile, quali – ad esempio – i titoli e gli strumenti finanziari partecipativi iscritti al costo”.

[27] Al riguardo, vale osservare che, ove pure si configurasse un’opzione implicita nel meccanismo di conversione, essa non sarebbe caratterizzata da un corrispettivo economicamente apprezzabile (l’apporto effettuato rappresenta infatti il corrispettivo dell’acquisto prospettico delle azioni, laddove l’ipotetico derivato risulterebbe perfettamente “simmetrico” e “bilanciato”). Inoltre, detta eventuale opzione sarebbe comunque strettamente correlata al contratto primario, ossia l’acquisto (condizionato e a termine) delle azioni; pertanto, ai sensi dell’OIC 32 par. 42, non vi sarebbe comunque scorporo della componente derivata (cfr. sul punto anche l’Appendice C par. C.12 dell’OIC 32 che tra i casi di mancato scorporo menziona quello, assimilabile alla fattispecie in esame, di un contratto di acquisto o vendita di un’attività che prevede un cap e un floor).

[28] Il principio OIC 9, nella specie, definisce perdita durevole di valore «la diminuzione di valore che rende il valore recuperabile di un’immobilizzazione, determinato in una prospettiva di lungo termine, inferiore rispetto al suo valore netto contabile». Alla luce dei chiarimenti offerti dal principio OIC 12, la perdita durevole di valore determinerà l’imputazione della differenza di valore rispetto al costo d’acquisto a conto economico nella voce D19b)“svalutazioni di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni”, e la rilevazione dell’immobilizzazione nello stato patrimoniale a tale minor valore.

[29] Anche nel caso in cui non sia prevista l’attribuzione al sottoscrittore di strumenti finanziari partecipativi, non muta il trattamento contabile del Convertendo alla luce della necessità di tenere conto della “sostanza” dell’operazione, che richiede pur sempre l’iscrizione dello strumento tra le immobilizzazioni finanziarie.

[30] Nella Circolare n. 26/E/2004 si considerano atipici gli strumenti finanziari che non prevedono una remunerazione legata in toto ai risultati economici della società emittente ovvero non garantiscono la restituzione del capitale, o ancora, pur garantendo il rimborso, assicurano anche una partecipazione diretta o indiretta alla gestione della società emittente.

[31] In particolare, l’Amministrazione finanziaria ha avuto modo di chiarire che devono considerarsi esclusi dal novero degli strumenti finanziari assimilabili alle azioni i titoli a rendimento prestabilito, ovvero per i quali sia previsto un “tetto massimo” alla remunerazione. In tali casi, infatti, è da escludere la sussistenza di un pieno collegamento tra remunerazione e andamento della gestione. In tal senso, la citata Circolare n. 26/E/2004, che richiama a sua volta la relazione di accompagnamento al D.Lgs. 344/2003. Nella stessa direzione anche la Circolare n. 6/E/2006 e, più di recente, le Risposte alle istanze di interpello nn. 477/E/2021, 867/E/2021 e 881/E/2021.

[32] È chiaro, infatti, che il valore economico dei Convertendi dipende dal valore della partecipazione potenzialmente acquisibile per effetto della conversione.

[33] L’Agenzia delle Entrate, in precedenti documenti di prassi (Ris. n. 29/E/2006), aveva già avuto modo di evidenziare che, qualora il conferimento «abbia per oggetto soltanto una determinata somma di denaro, assume natura “permutativa”, nel senso che si concretizza nel mero scambio, inidoneo a produrre nuovi valori fiscalmente riconosciuti presso la conferitaria, tra il denaro apportato dai soggetti conferenti e le azioni emesse dalla società». In dottrina, si veda T. DI TANNO, Conferimenti proporzionali e non proporzionali – Profili fiscali, in Rassegna Tributaria, n. 5/2004, p. 1662 e ss., ove si osserva che «L’operazione di conferimento in sé, cioè di apporto di nuovi mezzi affluenti al capitale di rischio, non dà luogo a particolari conseguenze, sotto il profilo delle imposte sul reddito, qualora il conferimento abbia per oggetto denaro contante. In tal caso si procede al puro e semplice computo della relativa moneta di conto senza che dal relativo apporto possano derivare maggiori o minori valori rispetto a quelli iscritti nel bilancio della conferente». Con speciale riferimento agli apporti diversi dai conferimenti “tipici” cui segua l’emissione di strumenti finanziari partecipativi, cfr. V. FICARI, I conferimenti in società a responsabilità limitata nella riforma tributaria, in Rassegna Tributaria n. 3/2005, p. 726 e ss., in cui si rileva che «questi apporti non originano componenti positive per la beneficiaria quale sopravvenienza (attiva o passiva) ex art. 88, comma 4, e 101, comma 7» del TUIR.

[34] Alla luce della natura meramente figurativa degli interessi, non si verificano nel caso di specie i presupposti per l’applicazione di ritenute alla fonte da parte della target, come accadrebbe invece nel caso di pagamento di interessi “effettivi” a un fondo di investimento a valere sullo strumento.

[35] Il carattere “permutativo” del conferimento non dà luogo a un’operazione suscettibile di generare elementi reddituali imponibili (ovvero deducibili), trattandosi di un’operazione che non determina l’emersione di “ricchezza novella” presso i soggetti beneficiari. In tal senso si è espressa anche la Ris. n. 29/E/2006, in cui l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il costo fiscale delle azioni assegnate al conferente è sempre pari al valore del denaro conferito (secondo la regola generale di cui all’art. 9, comma 2, del TUIR), con l’effetto che il conferimento non proporzionale resta un’operazione neutrale. Secondo l’Amministrazione finanziaria, infatti, l’assegnazione non proporzionale trova fondamento in una libera determinazione dei soci ed esplica perciò il suo effetto unicamente nell’ambito dei rapporti tra i soci medesimi, nel senso che alcuni di essi acconsentono a ricevere un minor numero di azioni di quello che altrimenti sarebbe di loro spettanza in proporzione al valore effettivo del conferimento effettuato.

In dottrina, cfr. E. ROMITA-F. PEDROTTI, Fiscalmente neutro il conferimento non proporzionale, in Corriere Tributario, n. 14/2006, p. 1127 e ss., ove gli Autori evidenziano che non si verificano in tal modo salti d’imposizione atteso che la tassazione della maggiore ricchezza eventualmente emergente in capo all’assegnatario avverrà (oltre che a mezzo dell’imposizione sui dividendi eventualmente percepiti) al momento del realizzo delle azioni oggetto di assegnazione più che proporzionale, allorché sia incassato il corrispettivo monetario del valore delle azioni stesse.

[36] In particolare, le Risposte nn. 44 e 64 del 2022, nel contesto di operazioni di fusione finalizzate alla quotazione in borsa tramite c.d. SPAC, trattavano la conversione di azioni di categoria speciale – incorporanti ab origine il diritto di conversione – in azioni ordinarie finalizzata alla successiva cessione di tali azioni in sede di OPA. In questo contesto, l’Amministrazione aveva ritenuto la conversione neutrale a fini fiscali e perciò non incidente sul periodo di possesso ai fini PEX.

[37] Nella Risposta n. 818/E/2021, l’Amministrazione finanziaria, affrontando un caso relativo alla conversione (in vista della successiva cessione) di azioni con diritti patrimoniali rafforzati (carried interest) detenute da un veicolo posseduto dai manager dell’emittente, ha ritenuto che la conversione costituisse un evento interruttivo dell’holding period ai fini PEX, in quanto, con essa, avveniva l’attribuzione “in natura” del rendimento incorporato nelle azioni da convertire.

[38] Vale peraltro evidenziare come la dottrina aveva già evidenziato che la Risposta n. 818/E/2021 dovesse ormai intendersi superata dai chiarimenti delle Risposte nn. 44 e 64 del 2022. In tal senso, G.M. COMMITTERI-A. CERRAI, Irrilevanza della conversione di azioni ai fini dell’holding period in regime pex, in Il fisco n. 10/2022 e M. LEO, Le imposte sui redditi, Giuffrè Francis Lefbvre, 2022, pag. 1563.

[39] Nella Risposta n. 477/E/2021, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che i criteri dettati dal TUIR per assimilare un titolo/strumento alle azioni ovvero alle obbligazioni fossero applicabili anche con riferimento all’interesse su un “Venture Loan Agreement” che assumeva la fisionomia di un contratto di finanziamento non cartolarizzato.

[40] Vista la natura di equity contribution dell’apporto, sembra lecito interrogarsi sull’applicabilità ai Convertendi dell’agevolazione relativa agli investimenti in start-up e PMI innovative (prevista rispettivamente dall’art. 29 del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179 e dall’art. art. 4, comma 1, del D.L. 24 gennaio 2015 n. 3), che in estrema sintesi riconosce ai soggetti IRPEF la detrazione dall’imposta lorda e ai soggetti IRES la deducibilità dal reddito complessivo di un importo pari al 30% della somma investita nel capitale sociale di una start-up e/o di una PMI innovativa.

Invero, l’art. 3 del Decreto attuativo (attualmente vigente) del 7 maggio 2019 ha stabilito che l’agevolazione si applica ai conferimenti in denaro che siano “iscritti alla voce del capitale sociale e della riserva da sovrapprezzo delle azioni o quote delle start-up innovative, delle PMI innovative ammissibili o delle società di capitali che investono prevalentemente in start-up innovative o PMI innovative ammissibili, anche in seguito alla conversione di obbligazioni convertibili in azioni o quote di nuova emissione”. L’Agenzia delle Entrate è intervenuta sul tema con la Risposta n. 96/E/2019 per specificare che un eventuale investimento in SFP (in quel caso iscritti tra i debiti al momento dell’emissione) che prevedono clausole di convertibilità in quote della società emittente è agevolabile solo “a condizione che la conversione abbia effettivamente luogo”. Nel caso dei Convertendi, tuttavia, la relazione tra l’investitore e la società beneficiaria, indipendentemente dal verificarsi o meno della conversione, nasce ab origine come un rapporto “partecipativo” sorto a fronte di un versamento avente carattere di equity (iscritto in una riserva del patrimonio netto). Pertanto (anche laddove la conversione concretamente non si realizzi) ci si può legittimamente domandare se l’apporto del sottoscrittore dei Convertendi possa rientrare tra gli investimenti agevolabili fin dal momento del versamento.

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