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Attualità

Il recesso unilaterale ed il diritto di opzione nei patti di non concorrenza post-contrattuali stipulati con i dipendenti e con gli agenti commerciali

16 Febbraio 2017

Attilio Pavone e Vincenzo Di Gennaro, Norton Rose Fulbright – Milano

Di cosa si parla in questo articolo

Com’è noto, la limitazione – per il periodo successivo alla cessazione del rapporto – dello svolgimento di attività in concorrenza da parte del lavoratore subordinato e dell’agente di commercio è regolata da due distinte norme del Codice Civile: l’art. 2125, per il rapporto di lavoro subordinato, e l’art. 1751 bis per quanto riguarda il contratto di agenzia commerciale.

La prima delle due norme specifica che il patto di non concorrenza, oltre a dover essere stipulato in forma scritta e a dover prevedere un corrispettivo a favore dell’ex dipendente, debba specificare i limiti di oggetto, di tempo e di luogo del vincolo imposto al lavoratore, che non può avere durata superiore a cinque anni, in caso di dirigenti, e a tre anni per gli altri dipendenti.

La seconda norma, riferita al rapporto di agenzia commerciale e introdotta nel 2000, specifica che il patto, oltre a dover essere stipulato in forma scritta e ad avere una durata massima di due anni, debba prevedere un’indennità a favore dell’agente che sia proporzionata alla durata, alla natura del contratto di agenzia e all’indennità di fine rapporto. Tale norma prevede, inoltre, che il divieto di concorrenza debba riguardare la medesima zona, clientela, nonchè beni e servizi pattuiti nel contratto di agenzia.

Da sempre un’esigenza particolarmente sentita dai datori di lavoro e dalle preponenti è stata quella di prevedere meccanismi contrattuali diretti a “disinnescare” unilateralmente l’operatività del patto di non concorrenza prima della data di cessazione del rapporto di lavoro o di agenzia.

I due strumenti maggiormente utilizzati a tal fine sono

a) la previsione contrattuale di una clausola che consenta il diritto di recesso unilaterale dal patto di non concorrenza da parte del datore di lavoro / preponente;

b) una opzione in favore del datore di lavoro / preponente per la conclusione del patto di non concorrenza.

Il primo istituto consiste nell’inserire all’interno del patto di non concorrenza una clausola che consenta al datore di lavoro/preponente di recedere ad nutum dal patto di non concorrenza, dispensando pertanto il lavoratore/agente dal rispetto degli obblighi di non concorrenza e al contempo esonerando il datore di lavoro/preponente dal pagarne il corrispettivo.

L’opzione è, invece, prevista dall’art. 1331 c.c., e consiste nella possibilità di stipulare un patto che vincoli una delle due parti alla propria dichiarazione, considerata irrevocabile, lasciando la facoltà all’altra parte di accettarla o meno. Tale istituto, riferito al patto di non concorrenza nel rapporto di lavoro o nel contratto di agenzia, attribuisce al datore di lavoro/preponente un diritto potestativo in ordine alla conclusione del patto di non concorrenza, tenendo il concedente (in questo caso il lavoratore/agente) vincolato alla propria dichiarazione irrevocabile.

La giurisprudenza è stata nel tempo oscillante nel riconoscere o meno l’ammissibilità di tali clausole contrattuali nei rapporti di lavoro subordinato e in quelli di agenzia commerciale.

a) Rapporti di lavoro subordinato

In particolare, in materia di lavoro subordinato, lo strumento del recesso unilaterale del datore di lavoro era stato considerato inizialmente legittimo dalla giurisprudenza più risalente (Cass. 10 aprile 1978, n. 1685), che poi ha mutato il proprio orientamento ritenendo, dapprima, che tale facoltà fosse legittima solo nel caso in cui il recesso venisse esercitato dal datore di lavoro entro la data di comunicazione di recesso (Trib. Milano, 15 dicembre 2001) e, più di recente, che tale clausola fosse radicalmente nulla poiché conferisce, di fatto, al datore di lavoro un totale arbitrio in merito alla possibilità di sciogliere il patto di non concorrenza e, conseguentemente, nel non pagarne il corrispettivo al lavoratore (Cass. 13 giugno 2003, n. 9491 e Cass. 8 gennaio 2013, n. 212).

Sempre con riferimento al patto di non concorrenza nel rapporto di lavoro subordinato, si è riscontrato un andamento oscillante anche in tema di patto di opzione. Alcune risalenti pronunce giurisprudenziali, infatti, affermavano la piena compatibilità tra la disciplina del patto di non concorrenza e quella del patto di opzione – in quanto ritenuti due istituti a sé stanti – purché quest’ultimo fosse stipulato anteriormente al contratto di lavoro e lasciasse al lavoratore la possibilità di accettare offerte di lavoro provenienti da terzi quando l’imprenditore, titolare del diritto di opzione, non intendesse avvalersi dell’opzione stessa (Corte d’Appello de L’Aquila, 13 marzo 1985). Successivi arresti giurisprudenziali avevano, in un primo momento, affermato la nullità di un patto di concorrenza che preveda la facoltà di opzione da parte del datore di lavoro, in quanto si ravvisava in tale pattuizione una notevole sproporzione tra le parti (Cass., 13 giugno 2003, n. 9491), salvo poi ritenere legittimo il patto di opzione, con il solo limite che l’opzione venga esercitata entro un termine preciso, che la giurisprudenza ha ritenuto ragionevole determinare in un momento antecedente alla cessazione del rapporto (Trib. Milano, 30 maggio 2007).

b) Contratti di agenzia commerciale

Volgendo, invece, lo sguardo al patto di non concorrenza nel rapporto di agenzia commerciale si può constatare come, prima dell’introduzione dell’art. 1751-bis c.c., la giurisprudenza maggioritaria (Cass. 6 novembre 2000, n. 14454) escludesse l’applicabilità al rapporto di agenzia dell’art. 2125 c.c., ritenendo invece applicabile l’art. 2596 c.c., norma che disciplina i limiti contrattuali alla concorrenza tra imprenditori, che devono essere circoscritti in precisi limiti di durata massima, di zona e attività, ma che non prevede – a differenza degli artt. 2125 e 1751 bis c.c. – alcun obbligo di corrispettivo all’agente.

In una recente pronuncia, intervenuta in epoca successiva all’introduzione dell’art. 1751-bis c.c., la Cassazione ha sancito la piena legittimità del patto di opzione stipulato in un patto di non concorrenza nell’ambito di un contratto di agenzia commerciale, affermando che una clausola contrattuale che prevede la facoltà della preponente di vincolare l’operato dell’agente al divieto di concorrenza, con relativa corresponsione di un corrispettivo, non integra una condizione meramente potestativa, bensì la fattispecie del patto di opzione di cui all’art. 1331 c.c. (Cass. 8 settembre 2016, n. 17770).

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Alla luce di quanto esaminato emerge con chiarezza che, con riferimento al rapporto di lavoro subordinato – in cui la posizione del lavoratore è maggiormente tutelata dall’ordinamento – la giurisprudenza è molto restia nel consentire al datore di lavoro di riservarsi strumenti che consentano di alterare l’equilibrio negoziale sussistente al momento della stipula del patto di non concorrenza. Al contrario, nel rapporto di agenzia contrattuale, che è caratterizzato da una maggiore libertà negoziale delle parti (in considerazione del fatto che l’agente, sebbene in alcuni casi sia un collaboratore coordinato e continuativo della preponente, resta pur sempre un imprenditore) la giurisprudenza consente maggiori margini di esercizio dell’autonomia negoziale delle parti in relazione al patto di non concorrenza.

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