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Attualità

Il patto di gestione della lite nei contratti assicurativi

Il recupero delle spese di lite

27 Giugno 2025

Luciana Cipolla, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Roberta Maria Pagani, Managing Associate, La Scala Società tra Avvocati

Francesco Ceolin, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema del recupero delle spese della lite dell’assicurato da parte della compagnia di assicurazione, soffermandosi sul patto di gestione della lite e su altre modalità di gestione delle spese.


1. La questione

Il patto di gestione della lite è, in via generale, quella clausola presente nella maggior parte dei contratti di assicurazione della responsabilità civile che conferisce all’assicuratore il potere di gestire il contenzioso relativo al danno cagionato a terzi dall’assicurato.

Il tenore della clausola, secondo una versione utilizzata nella prassi, può essere, in via esemplificativa, il seguente: “[l]’assicuratore assume fino a quando ne ha interesse la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale, tanto in sede civile che penale, a nome dell’assicurato, designando, ove occorra, legali e tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all’assicurato stesso. L’assicuratore non riconosce le spese per legali o tecnici che non siano da esso designati”.

Il patto gestorio produce effetti circoscritti ai rapporti interni dei contraenti e non ha rilevanza processuale: convenuto in giudizio dal danneggiato è l’assicurato, che rilascia la procura alle liti al difensore, sicché parte in causa è sempre e comunque l’assicurato e non l’assicuratore.

Ciò rappresenta un problema di non poco conto qualora l’assicurazione, in caso di esito positivo della lite, voglia agire nei confronti della parte condannata al pagamento delle spese di lite: la titolarità del diritto di credito, infatti, spetta unicamente a chi ha assunto la qualità di parte nel processo in cui è stata resa la sentenza.

Ciò significa che, per poter validamente ed efficacemente agire per il recupero delle spese di lite, l’assicurazione dovrà ottenere la sottoscrizione, da parte del proprio assicurato, di un contratto di cessione del credito.

Nella prassi, l’ottenimento di tale sottoscrizione si rivela essere spesso piuttosto difficoltoso: gli assicurati, non avendo nessun reale interesse alla firma di tale cessione, spesso non si dimostrano collaborativi, rendendo le operazioni di recupero complesse. In alcuni casi è persino difficile rintracciare gli assicurati stessi.

L’assicurazione, per far sì che la sentenza faccia stato anche a suo favore, dovrebbe, a rigore, intervenire in giudizio: una tale soluzione, tuttavia, se formalmente corretta da un punto di vista giuridico, presenta un profilo di palese antieconomicità. L’assicurazione, infatti, dovrebbe a propria volta nominare un legale, con conseguente “duplicazione” delle spese di lite. Peraltro, la costituzione in giudizio dell’assicurazione non sarebbe utile a risolvere la questione inerente alla legittimazione attiva per il recupero delle spese liquidate a favore dell’assicurato.

2. Una possibile soluzione: la sottoscrizione di un contratto di cessione di credito futuro

Una possibile soluzione al quesito posto potrebbe consistere nella sottoscrizione, da parte dell’assicurato, di un contratto di cessione di credito futuro che consenta l’automatico trasferimento del diritto di credito concernente le spese di lite in capo all’assicurazione (per il caso di esito della causa in senso favorevole all’assicurato).

Oggetto di cessione, infatti, possono essere anche i crediti futuri (art. 1348 c.c.).

Al riguardo, se si ritiene che, nel momento in cui si perfeziona il contratto di cessione, debba già esistere il rapporto dal quale detti crediti futuri deriveranno, non pare possibile inserire una clausola ad hoc direttamente all’interno del contratto di polizza: il rapporto a cui ci si riferisce, infatti, è quello che viene eventualmente ad esistere tra la parte soccombente del giudizio, condannata al pagamento delle spese di lite, e la parte vittoriosa, a favore della quale tali spese devono essere corrisposte. È evidente che tale rapporto non esiste al momento della sottoscrizione del contratto di polizza, ma sorge eventualmente ed in un momento successivo, ossia nel momento in cui l’assicurato viene citato in giudizio dalla parte attrice.

Presupposto quanto precede, per individuare il momento più conveniente per la sottoscrizione del contratto di cessione, occorre distinguere tre diversi casi.

  1. Caso 1: L’assicurato demanda interamente la conduzione della vertenza all’assicuratore (ad esempio per evitare i fastidi della lite, perché non vuole sostenere gli anticipi per legali e tecnici, perché è convinto dell’infondatezza della pretesa del terzo o perché ripone ampia fiducia nell’assicuratore). In questo caso egli nominerà il difensore designato e pagato dalla compagnia, conferendo a quest’ultimo la procura alle liti.
    In questo caso, la sottoscrizione del contratto di cessione non dovrebbe incontrare particolari ostacoli, potendo avvenire in concomitanza con il rilascio di detta procura alle liti.
    Le spese verranno rimborsate come previsto nella polizza e l’assicurazione potrà agire in rivalsa per l’importo liquidato dal Giudice.
  1. Caso 2: L’assicurato, il quale intende farsi assistere da un proprio legale di fiducia, si accorda preventivamente con l’assicurazione al fine di definire le modalità operative del patto di gestione della lite.
    Anche in questo caso, non sorgono particolari problemi: il patto di cessione del credito futuro potrebbe essere sottoscritto in sede di perfezionamento dell’accordo.
    Le spese verranno rimborsate così come concordato in sede di accordo, dunque anche parzialmente, e l’assicurazione potrà agire in rivalsa per l’importo liquidato dal Giudice.
  1. Caso 3: L’assicurato decide di nominare un proprio legale di fiducia senza accordarsi preventivamente con la propria compagnia assicuratrice.
    Sul punto la giurisprudenza[1] è chiara nel precisare che, per rendere operante il patto, occorre che le parti abbiano manifestato la volontà di avvalersene: dalla nomina di un legale di fiducia senza un previo accordo con la compagnia assicuratrice deriva dunque l’esclusione del diritto al rimborso.
    Secondo parte della giurisprudenza di merito[2], anche nel caso in cui l’assicurato abbia, con un proprio avvocato di fiducia, chiamato in causa l’assicuratore[3], il primo dovrà ritenersi inadempiente al patto gestorio, con conseguente negazione del rimborso delle spese di resistenza.
    Basandosi sulle conclusioni di detta giurisprudenza, dunque, il tema della cessione del credito in questo caso non si porrebbe, e ciò in quanto la compagnia assicurativa non sarebbe tenuta a risarcire le spese di lite al proprio assicurato, neppure ai sensi e nella misura di cui all’art. 1917 co. 3 c.c..
    Tuttavia, secondo parte della dottrina[4], nel caso di chiamata in causa dell’assicurazione, all’assicurato dovrebbero comunque essere rimborsate le spese di resistenza nei limiti di cui all’art. 1917, co. 3, c.c..

3. Il rifiuto o silenzio del contraente

Come evidenziato supra, l’ottenimento della sottoscrizione del contratto di cessione del credito per spese di lite da parte del contraente assicurato si rivela spesso difficoltoso.

Se, come visto, la soluzione maggiormente vantaggiosa sul piano pratico è rappresentata dalla cessione di credito futuro, occorre ora soffermarsi sulla questione concernente i rimedi eventualmente esperibili dalla compagnia di assicurazione nei confronti dell’assicurato che si rifiuti di sottoscrivere la cessione di credito, impedendo, de facto, il recupero del credito rappresentato dalle spese di lite liquidate in sentenza.

Occorre a tal proposito distinguere

  1. il caso in cui la parte soccombente non abbia ancora corrisposto le somme liquidate al contraente assicurato
  2. dal caso in cui la parte soccombente abbia corrisposto all’assicurato quanto liquidato in sentenza a titolo di spese di lite.

Nel primo caso, si può ipotizzare che l’assicurazione abbia il diritto di agire direttamente nei confronti del soccombente in forza del disposto dall’art. 1916, co. 1, c.c., il quale prevede, a favore dell’assicuratore che abbia pagato l’indennità, la surroga nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili.

Anche a voler conferire alle spese di lite una natura meramente indennitaria (e non, dunque, risarcitoria[5]), infatti, sembrano sussistere tutti i presupposti applicativi dell’art. 1916 c.c., la cui ratio consiste proprio nell’evitare che un evento pregiudizievole (come, nel caso di specie, l’avvio di un giudizio, con il conseguente obbligo di anticipo delle spese processuali in capo al convenuto) si trasformi, grazie all’assicurazione, in un evento favorevole per l’assicurato, il quale, qualora conservasse il diritto di agire contro il terzo, potrebbe ricevere un doppio vantaggio patrimoniale.

Merita di essere sottolineato, in tal senso, che l’art. 1916, co. 1, c.c. fa genericamente riferimento ai “diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili” e non ad un diritto al risarcimento del danno dell’assicurato verso i terzi responsabili.

Peraltro, il trasferimento del diritto dall’assicurato all’assicuratore dà luogo, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, non già ad una surrogazione in senso tecnico, bensì ad una forma di successione a titolo particolare nel diritto di credito (Cass. n. 14980/2022; Cass. S.U. n. 8620/2015).

Il trasferimento del diritto controverso a favore del successore a titolo particolare permetterà a quest’ultimo di far valere a proprio favore la sentenza che verrà emessa nell’ambito del giudizio instauratosi tra l’asserito danneggiato e l’assicurato, consentendo quindi all’assicuratore di agire direttamente sulla base di quel titolo nei confronti del soccombente, anche in via esecutiva.

Passando al caso in cui la parte soccombente abbia corrisposto all’assicurato quanto liquidato in sentenza a titolo di spese di lite, occorre distinguere due ipotesi.

Qualora il patto di gestione della lite contenga disposizioni idonee a far sorgere, in capo all’assicurato, un obbligo restitutorio in relazione alle somme percepite per le spese legali, quest’ultimo sarà senz’altro tenuto alla restituzione in forza delle clausole del regolamento contrattuale. In tal caso, peraltro, vi sarebbe la possibilità di avviare un procedimento monitorio ex artt. 633 e ss. c.p.c..

In assenza di siffatte pattuizioni contrattuali, si ritiene che l’assicuratore potrebbe comunque agire per il recupero delle spese di lite nell’ipotesi in cui l’assicurato si rifiuti di restituirle. In tal caso, infatti, potrebbe configurarsi, in capo all’assicurato, una responsabilità idonea a generare un obbligo risarcitorio nei confronti dell’assicuratore.

Tale responsabilità, più in particolare, troverebbe il proprio fondamento:

  1. nel pregiudizio arrecato al diritto di surrogazione dell’assicuratore di cui all’art. 1916, co. 3, c.c.; secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, la violazione di tale disposizione determina il sorgere di una responsabilità risarcitoria a carico dell’assicurato (Cass. n. 347/1998);
  2. nell’obbligo di risarcimento per i danni subiti dal mandatario a causa dell’incarico previsto dall’art. 1720, co. 2, c.c., applicabile analogicamente al caso di specie alla luce della qualificazione, da parte della giurisprudenza, del patto di gestione della lite quale mandato in rem propriam senza rappresentanza (Cass. n. 12302/1995; Cass. n. 10170/1993; Cass. n. 3548/1990);
  3. negli obblighi di correttezza e buona fede propri dell’esecuzione del patto di gestione della lite (cfr. artt. 1175, 1375 c.c.), i quali vincolano il comportamento del creditore e del debitore, al fine di garantire un giusto equilibrio tra gli interessi contrapposti delle parti.

Come noto, infatti, dalla clausola di buona fede discendono ulteriori obblighi per le parti, la cui violazione determina il sorgere di una responsabilità risarcitoria a carico della parte che non vi abbia fatto fronte (Cass. n. 9200/2021, Cass. n. 22819/2010).

Con specifico riferimento alla gestione della lite da parte dell’assicuratore, la giurisprudenza ha affermato che una cattiva conduzione della vertenza da parte dell’assicuratore configura a carico di quest’ultimo una responsabilità per mala gestio dovuta alla violazione degli obblighi di buona fede (Cass. n. 12302/1995; Cass. n. 7/1990).

Dunque, all’obbligo dell’assicuratore di gestire la difesa dell’assicurato con la dovuta diligenza, si ritiene che non possa non corrispondere un obbligo, in capo all’assicurato, di preservare l’interesse dell’assicurazione all’ottenimento del rimborso delle spese liquidate in sentenza. Dall’adempimento di quest’obbligo dell’assicurato, infatti, non deriverebbe alcun sacrificio in capo a quest’ultimo, che è stato tenuto indenne dalle spese del giudizio.

 

[1] Da ultimo: Cass. n. 4202/2020. Per una sintesi della pronuncia v. https://www.altalex.com/documents/news/2020/03/13/compagnia-nega-rimborso-spese-legali-se-assicurato-sceglie-avvocato

[2] Trib. Teramo, 22 luglio 2024, n. 840; Trib. Napoli Nord, 11 aprile 2024, n. 1858; Trib. Roma, 31 gennaio 2024, n. 1744; Trib. Gorizia, 4 luglio 2022, n. 194, tutte reperibili in Banca Dati di Merito.

[3] L’art. 1917 co. 4, stabilisce che “[l]’assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in causa l’assicuratore” : l’assicurato vanta dunque un diritto alla chiamata in causa dell’assicurazione. Tale chiamata in causa consente al garantito di cautelarsi in caso di soccombenza della lite contro il danneggiato, offrendo all’assicurato il vantaggio di vincolare il garante alla decisione sul rapporto principale e di conseguire con la domanda di regresso, nello stesso processo, un titolo che gli consentirà, poi, di agire coattivamente contro il garante per l’indennizzo in caso di mancato adempimento spontaneo.

[4] Secondo tale dottrina è inaccettabile, in quanto “una pattuizione che vincolasse un contraente a nominare, per l’eventuale vertenza contro l’altro contraente, l’avvocato da quest’ultima designato risulterebbe […] lesiva del diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.)” (G. Romanelli, Il problema della compatibilità del patto di gestione della lite con l’art. 1917, 4° comma cod. civ., in Arch. giur., 1976, p. 130, ripreso da F. Capasso, Il patto di gestione della lite: profili sostanziali e processuali, in Il Diritto processuale civile 10/2024, pp. 864ss.). L’avvocato si troverebbe in una palese situazione di conflitto di interessi e nell’impossibilità di garantire il fedele svolgimento della sua attività di supporto della sua attività di supporto delle ragioni della parte assistita (art. 10 Codice deontologico forense).

Tutte queste considerazioni porterebbero alla conclusione che, per garantire l’effettività del diritto riconosciuto all’assicurato dall’art. 1917 co. 4 c.c., sia necessario che alla chiamata in causa provveda il difensore di fiducia dell’assicurato, con inevitabili conseguenze sull’operatività del patto.

Quest’ultimo, sempre secondo questa ricostruzione, sembrerebbe dunque doversi intendere quale clausola in contrasto con una disposizione inderogabile di legge, che dovrebbe dunque essere dichiarata nulla per contrarietà a norme imperative (art. 1418 c.c.). Tuttavia, tenuto conto del principio di conservazione degli effetti utili del contratto, previsto dall’art. 1367 c.c., potrebbe ritenersi che il patto di gestione della lite non debba considerarsi invalido, potendosene suggerire una lettura che ne preservi l’efficacia senza al contempo trasgredire all’art. 1917, co. 4, c.c.. L’operatività del patto gestorio sarebbe dunque rimessa ad una scelta dell’assicurato:

– se questi intende demandare interamente la conduzione della vertenza all’assicuratore, nominerà il difensore designato dalla compagnia e rinuncerà ad avvalersi del diritto alla chiamata in causa, ottenendo in contropartita un esonero totale dalle spese di resistenza (perché di queste si farà carico l’assicuratore in forza del patto);

– se, invece, l’assicurato decide di effettuare la chiamata in garanzia, si costituirà con un difensore di fiducia accettando di sostenere gli anticipi e di vedersi rimborsato le spese di resistenza nei soli limiti di cui all’art. 1917, co. 3, c.c., ma beneficerà di maggiori tutele in caso di soccombenza (estensione dell’efficacia soggettiva del giudicato sul rapporto principale e conseguimento di un titolo esecutivo contro l’assicuratore). In tale evenienza il patto resterà inoperante. La scelta di avvalersi di tale facoltà non può essere in nessun caso considerata inadempimento del patto di gestione della lite, in quanto è giustificata dal fatto che l’assicurato sta esercitando un suo diritto, previsto da una norma inderogabile, che non può venire limitato da una pattuizione negoziale.

[5] L’art. 91 c.p.c. è espressione, secondo un’opinione ampiamente diffusa, del principio della soccombenza (cfr. Cass. n. 26364/2017), il quale risponderebbe alla tradizionale regola “victus victori” (il vitto al vincitore, ossia il vincitore si soddisfa a spese del perdente), compiutamente enunciata presso di noi dal Chiovenda, secondo cui il costo del ricorso alla giustizia civile non deve ripercuotersi in pregiudizio della parte che ha ragione, giacché, se così fosse, la parte vincitrice subirebbe una decurtazione patrimoniale non altrimenti giustificabile.

L’onere di sopportare le spese di lite, dunque, possiede, in generale, un carattere indennitario-compensativo, ossia rivolto a tenere indenne la parte che, avendo sostenuto i costi del processo, sia infine risultata vincitrice. Tale la ragione per la quale, ad esempio, in nessun caso la condanna può essere disposta a favore della parte, pur vincitrice, che sia però rimasta contumace.

Va tuttavia segnalato che, accanto all’impostazione, che individua nella soccombenza, intesa nella sua oggettività ed al di fuori di ogni prospettiva sanzionatoria, la chiave di volta della disciplina delle spese di lite, ve n’è un’altra che ritiene che alla base della disciplina delle spese vi sia il principio di causalità. Il fondamento della condanna alle spese, dunque, risiederebbe nella antigiuridicità della condotta posta in essere da colui il quale, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, o azionando una pretesa accertata come infondata, ha dato causa al processo (Cass. n. 5914/1981; Cass. n. 5539/1986; Cass. n. 7182/2000; Cass. n. 20335/2004; Cass. n. 25141/2006; Cass. n. 7307/2011).

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