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Note

Il conto corrente bancario nella giurisprudenza dell’Abf

30 Gennaio 2014

Raffaele Lener e Anna Maria Bentivegna

Sommario: 1. Premessa- 2. Disciplina di trasparenza- 2.1 Segue: diritto di accesso, “codice della privacy”, doveri di correttezza- 3. Cointestazione- 3.1 Firma congiunta- 3.2 firma disgiunta- 4. Ordini di pagamento e procedure di addebito preautorizzato (c.d. RID)- 5. Operazioni realizzate mediante terminali automatici (bancomat, cassa continua)- 6. Recesso e chiusura del conto- 7. Commissioni

 

1. Premessa1

Il conto corrente bancario costituisce, come noto, il principale e più diffuso prodotto bancario 2, che mira a regolare, mediante un sistema di annotazioni contabili, i rapporti tra banca e cliente, rappresentando, in definitiva, la “cornice”, entro cui la prima presta un articolato insieme di servizi in favore del secondo3. Si tratta infatti di uno strumento caratterizzato per la presenza di un’ampia e articolata componente gestoria (o funzione di servizio) svolta dalla banca, che consente al correntista di fruire, dietro pagamento di un corrispettivo (in forma di commissioni, spese, interessi, variamente previsti e denominati), di una molteplicità di servizi -cd. servizi di cassa-4.

Di qui, la ricorrente considerazione del prodotto quale “punto di riferimento essenziale5 e pressoché costante dei rapporti tra banca e cliente. Per le banche si tratta, del resto, di uno strumento che favorisce lo stesso efficiente svolgimento dell’attività bancaria6, grazie alla limitazione della quantità di moneta circolante (sostituita da un sistema di registrazioni contabili) che esso rende possibile nel rapporto tra banca e cliente. Per altro verso, il prodotto si presenta particolarmente utile per il cliente, posto così nelle condizioni di poter disporre in ogni momento7 e mediante un’ampia gamma di strumenti (prelievi o versamenti in contante, assegni, ordini di pagamento, bonifici, etc.) delle somme annotate a suo credito.

Per quanto concerne la disciplina applicabile, se da un lato il codice civile disciplina, sia pur in modo lacunoso, la fattispecie delle “operazioni bancarie in conto corrente”, dall’altro norme puntuali – in tema di trasparenza e diritti e obblighi delle parti (poste essenzialmente a tutela del cliente – ritenuto “parte debole” del rapporto) – sono dettate dalla disciplina speciale di cui al Titolo VI del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (TUB) – oltre che dalle disposizioni emanate dal CICR e dalla Banca d’Italia -.

Tanto premesso, la centralità e diffusione del conto corrente rendono evidentemente ragione della molteplicità di ricorsi presentati al riguardo all’ABF, in relazione a momenti e aspetti diversi del rapporto in questione. Da un esame delle pronunce emerge, in particolare, come i principali problemi portati all’attenzione dei Collegi si siano appuntati su: (i) il corretto adempimento, da parte degli intermediari, degli obblighi informativi e di trasparenza incombenti loro, sia nella fase precedente la conclusione del contratto, sia nel corso del rapporto –ad es. in relazione alle eventuali richieste di informazioni e documenti avanzate dai clienti; (ii) la corretta gestione, da parte degli intermediari, degli ordini di pagamento impartiti dal cliente, specie nei casi in cui i dati forniti dal cliente risultino errati e/o incompleti e la banca abbia omesso di segnalare detta erroneità o incompletezza, pur essendone conoscenza; (iii) l’oggetto e la portata dei doveri di condotta degli intermediari in presenza di conti cointestati (a firma congiunta o disgiunta), nonché (iv) l’identificazione degli obblighi incombenti sulle banche nella fase (finale) di chiusura del rapporto e a fronte del recesso del cliente, riscontrandosi numerosi casi di ritardi, inadempimenti o omissioni, da parte delle stesse, nel procedere all’estinzione del conto.

2. Disciplina di trasparenza

Sia la normativa primaria dettata dal Titolo VI del TUB, sia le Disposizioni di Vigilanza della Banca d’Italia8 individuano puntuali regole di trasparenza e specifici obblighi informativi a carico degli intermediari, e in favore dei clienti, volti ad assicurare a questi ultimi, sin dalla fase che precede l’instaurazione del rapporto, un’informazione chiara, corretta ed esauriente9in merito al contratto da stipulare, alla sua natura, alle caratteristiche, nonché ai rischi e ai costi ad esso connessi10. E’ del resto conforme a un convincimento diffuso l’assunto secondo cui la trasparenza giovi anche alla tutela di interessi più generali, incrementando il grado di concorrenzialità -e l’efficienza stessa- del mercato (interessi, questi, individuati peraltro tra le finalità generali della vigilanza bancaria: art. 5 TUB): ciò, sul presupposto che proprio la diffusione di informazione circa i prodotti presenti sul mercato ponga il cliente nelle condizioni di poter agevolmente confrontare le offerte degli operatori e assumere, su tale base, scelte libere e consapevoli, stimolando, così, la mobilità della clientela e, in definitiva, la concorrenza tra imprese bancarie11.

Sotto il profilo opposto, è peraltro indubitabile che l’imposizione di regole di trasparenza – quali quelle dettate dalla disciplina in esame -, che, per certi versi, si spingono sino a conformare il contenuto dei contratti bancari – ad esempio imponendo la presenza di determinate clausole o vietando l’introduzione di altre, o ancora tipizzando il contenuto di alcuni contratti-, finisca per limitare l’autonomia negoziale delle parti e la libertà imprenditoriale delle banche in particolare: limitazione che si ritiene, tuttavia, giustificata proprio in ragione dell’esigenza di tutelare interessi – generali-, quali quelli alla stabilità, efficienza e competitività del sistema finanziario, ritenuti prevalenti12.

Gli obblighi di trasparenza operano, come è noto, sia nella fase precontrattuale- e addirittura prima della fase delle trattative, in sede di pubblicità delle condizioni contrattuali e dei diritti dei clienti13 -, sia in sede di conclusione del contratto, sia successivamente durantelo svolgimento del rapporto, in via periodica o occasionale (ad esempio in sede di esercizio dello ius variandi da parte della banca, o in relazione agli obblighi di informazione circa l’andamento del rapporto gravanti, su di essa).

In punto di trasparenza precontrattuale, la regola generale (operante in relazione ad ogni contratto bancario, e non solo per l’apertura di un conto corrente) impone alla banca di consegnare al –potenziale- cliente, su sua richiesta, una copia del contratto da stipulare, così da consentire a costui l’adozione di una decisione informata e consapevole, e una ponderata verifica della convenienza del prodotto. La pubblicità delle condizioni contrattuali –nei fogli informativi e nei documenti di sintesi pubblicati nei locali aperti al pubblico- assume peraltro un rilievo centrale- e una valenza in certo modo addirittura sanzionatoria-, potendo giungere sino adeterminare la sostituzione automatica delle clausole contrattuali eventualmente difformi rispetto alle condizioni pubblicizzate (e sfavorevoli per il cliente), secondo il meccanismo di cui all’art. 1339 c.c.

Quanto alla forma del contratto, l’art. 117 TUB impone, come noto, la forma scritta a pena di nullità (co. I e III): nullità che, come le altre nullità previste dalla disciplina in considerazione, si atteggia a nullità “di protezione”, operando a vantaggio del solo cliente e potendo essere rilevata anche d’ufficio dal giudice (art. 127 co. II TUB). La norma ora richiamata – e la portata degli obblighi da essa posti- è stata, invero, oggetto di numerose pronunce dell’ABF, che, dando ad essa puntuale applicazione, ha ad esempio censurato la condotta degli intermediari che, in assenza di disposizione scritta del cliente, avevano ciononostante aperto un conto corrente a suo nome.

Al riguardo, l’Arbitro ha chiarito che, anche in presenza di una richiesta orale del cliente, l’apertura del conto, da parte della banca, si pone in aperta “violazione di una norma imperativache esprime una esigenza ineluttabile del sistema in materia di contratti bancari”- che la stipulazione dei contratti bancari avvenga per iscritto -, e ciò a prescindere dall’eventuale buona fede dell’intermediario o da una sua supposta intenzione di “agevolare” il cliente. In simili ipotesi, si è dunque riconosciuto al cliente il diritto al risarcimento del danno patito in conseguenza dell’avvenuta apertura di un conto corrente senza il suo consenso (scritto)- anche nei casi in cui la banca, a fronte delle contestazioni avanzate da costui, abbia successivamente estinto il conto -, sub specie, in particolare, di danno patrimoniale da “perdita di tempo libero”14, per le attività- e il dispendio di tempo e risorse- in concreto intraprese dal cliente per ottenere la chiusura del rapporto (e il pieno ristoro)15.

Sempre sulla scorta della regola della forma scritta (a pena di nullità), i Collegi hanno precisato che, ove la banca – convenuta in giudizio dal correntista- non sia in grado di produrre alcun documento scritto e sottoscritto (da entrambe le parti) che riporti il contenuto del rapporto e, segnatamente, le condizioni economiche in thesi concordate quali interessi o altri oneri-, questa non potrà pretendere il pagamento di detti oneri o interessi se non nei limiti legislativamente stabiliti (vale a dire, per quanto riguarda ad es. gli interessi passivi a carico del cliente, nella misura del tasso minimo dei BOT annuali emessi nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto, ex art. 117 co. VII TUB). Né l’intermediario è ammesso a surrogare il richiamato requisito della forma scritta, e dunque a provare l’avvenuta conclusione del contratto, producendo il solo documento sul trattamento dei dati personali eventualmente sottoscritto dal cliente o allegandole sole comunicazioni periodiche in ipotesi inviategli nel corso del rapporto, le quali, atteggiandosi a mere dichiarazioni unilaterali -provenienti dalla banca-, potrebbero documentare, al più, lo svolgimento in fatto del rapporto, ma risulterebbero del tutto inidonee a soddisfare il predetto requisito di forma 16.

Un ulteriore tema che, nella prassi, ha dato origine a numerose criticità e a corrispondenti decisioni dell’ABF attiene al ritardato o mancato adempimento, da parte degli intermediari, dell’obbligo incombente loro di soddisfare le richieste di dati e documenti inerenti il rapporto e singole operazioni, eventualmente avanzate dai clienti, ex art. 119 co. 4 TUB17. Tale norma riconosce, infatti, al cliente, ovvero a colui che gli succeda a qualunque titolo o che subentri nell’amministrazione dei suoi beni, il diritto di ottenere copia della documentazione bancaria inerente alle operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, a proprie spese ed entro un termine congruo- che non può però superare novanta giorni dalla richiesta. La medesima disposizione precisa peraltro che al cliente possono comunque essere addebitati solo “i costi di produzione” dei documenti richiesti.

In numerosi casi è stata dunque stigmatizzata l’inerzia o i ritardi della banca nel corrispondere alle richieste così avanzate dai clienti, sul presupposto che, come chiarito da un orientamento ormai consolidato anche nella giurisprudenza di legittimità, l’obbligo di mettere a disposizione del cliente la documentazione inerente il rapporto costituisca espressione dei più generali doveri di buona fede e correttezza contrattuale, che impongono a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere dall’esistenza e dall’assunzione di specifici impegni negoziali, “risultino idonei a preservare gli interessi della controparte”18. L’inadempimento di tali doveri è considerato, del resto, ancor più grave ove la richiesta di accesso alle informazioni e ai documenti inerenti il rapporto sia avanzata dall’erede del titolare defunto del conto, che, come tale, si trovi nella necessità di ricostruire una situazione pregressa a lui ignota e di cui non è stato parte19.

Di qui, la censurabilità della condotta dell’intermediario che, senza giustificati motivi, manchi ovvero tardi nel riscontrare le richieste informative avanzate dai clienti20, o vi corrisponda solo parzialmente o solo dopo la presentazione di un ricorso all’ABF da parte del richiedente21. Alla luce del disposto dell’art. 119 co. IV TUB, qualunque omissione della banca nel rendere al cliente la documentazione richiesta (concernente il rapporto e relativa agli ultimi dieci anni) integra, infatti, in assenza di una (adeguata) giustificazione circa l’impossibilità di fornire quella documentazione, una condotta inadempiente22, che come tale esporrà l’intermediario a responsabilità per i danni (patrimoniali e, ove provati, non patrimoniali23) in thesi patiti da costui. Danni che, per quanto concerne la componente patrimoniale in particolare, sono, ancora una volta, generalmente liquidati (in via equitativa) avendo riguardo all’allegato dispendio di tempoe risorse resosi necessario per rimediare all’inadempimento della banca24.

Avuto riguardo alla ratio di tutela e informazione del richiedente e ai principi di correttezza e buona fede sottostanti al diritto in esame, i collegi ABF – in conformità con un orientamento consolidato anche in giurisprudenza – hanno altresì precisato che il cliente non è tenuto a indicare specificamente gli estremi del rapporto e dei documenti richiesti25, potendo limitarsi a fornire alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentirne l’individuazione. Anche in ragione dei suoi doveri di diligenza professionale, grava sulla banca, infatti, l’onere di individuare in modo puntuale i documenti idonei a soddisfare l’esigenza informativa del richiedente26 (specie, come detto, nei casi in cui il richiedente sia il successore del titolare deceduto, che come tale si trova nella necessità di ricostruire una situazione pregressa a lui ignota e di cui non è stato parte).

La norma, e il diritto informativo da essa sancito, opera, peraltro, a prescindere dall’attualità del rapporto a cui i documenti richiesti si riferiscono e dunque anche nel caso in cui il conto sia stato chiuso- sempre che sussista un interesse attuale dell’istante a ricostruirne la movimentazione: il diritto di accesso sussiste, infatti,-nel rispetto del limite decennale- in relazione a tutte le operazioni poste in essere nel periodo in cui il richiedente risulti interessato, anche se il rapporto si è ormai concluso27.

2.1 Segue: diritto di accesso, “codice della privacy”, doveri di correttezza

Sempre in tema di accesso alla documentazione bancaria, l’ABF, in linea con le “Linee guida per trattamenti dati relativi al rapporto banca-clientela” emanate dal Garante della Privacy (del 25 ottobre 2007), oltre che in conformità con un costante orientamento giurisprudenziale, ha precisato che il diritto di cui all’art. 119 TUB sia diverso- per oggetto e per disciplina applicabile- dal diritto di accesso ai dati personali disciplinato dall’art. 7 del D.lgs. n. 196 del 2003 (Codice della Privacy). Il primo si sostanzia nel diritto del cliente, ovvero di colui che gli succede o subentra nell’amministrazione dei suoi beni, di ottenere, a proprie spese, copia di atti o documenti bancari, contenenti o meno dati personali relativi all’interessato, senza che sia prevista alcuna limitazione all’ostensibilità delle informazioni incluse nei documenti richiesti. Il secondo riguarda il diritto dell’interessato (e di chi ha “un interesse proprio o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione”28) a ottenere “conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile”, e dunque a conoscere gratuitamente se e quali informazioni inerenti dati personali, inclusi rapporti bancari e finanziari, siano oggetto di trattamento: ciò che tuttavia non implica anche il diritto di ottenere senza spese copia della relativa documentazione (per la cui consegna, se richiesta, la banca potrà pertanto chiedere il rimborso delle spese sostenute)29. In tal senso, se a fronte di richieste informative inerenti dati (bancari) personali l’intermediario non può addebitare alcun costo al richiedente, per quelle inerenti dati, di carattere patrimoniale, accompagnate dalla richiesta di documenti -bancari-, questi potrà invece addebitare le spese sostenute ex art. 119 TUB30.

Pur disciplinando un diritto diverso dall’accesso alla documentazione bancaria di cui all’art. 119 TUB, la normativa in materia di protezione e accesso ai dati personali trova, dunque, utilmente applicazione anche in relazione ai rapporti bancari e finanziari31, e anche ove a formulare la richiesta sia il successore del titolare defunto. Per quanto concerne l’accesso a dati inerenti persone decedute in particolare, viene infatti in rilievo il richiamato art. 9 co. III del Codice della Privacy, a norma del quale il diritto di accesso di cui all’art. 7 del Codice può essere esercitato (non solo dall’interessato ma anche) “da chi ha un interesse proprio o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione”.

Alla stregua di tali principi, il diritto di accedere e ottenere copia della documentazione inerente il rapporto è stato ad esempio riconosciuto anche agli amministratori di una società succeduta – a seguito di talune modifiche statutarie- a quella titolare del conto. Al riguardo, l’ABF ha peraltro precisato che l’intermediario non possa rigettare una tale richiesta asserendo che i richiedenti non abbiano provato adeguatamente la loro qualità di amministratori –rappresentanti della società interessata (e i propri poteri): per un verso il fatto costitutivo del diritto in questione deve ravvisarsi proprio (e solo) nella richiesta; per altro verso, e in ogni caso, ove l’esistenza di quella qualifica (nella specie di amministratori della società) e dei relativi poteri in capo ai richiedenti possa accertarsi consultando fonti o banche dati liberamente accessibili, il dato deve ritenersi appartenente alla sfera del fatto notorio e dunque provato (art. 115 c.p.c.)32.

Quanto ai costi per l’esercizio del diritto de quo, come anticipato l’art. 119 co. IV TUB condiziona l’accesso dei soggetti legittimatial pagamento delle spese sostenute dall’intermediario per le attività di ricerca e riproduzione dei documenti richiesti: spese che è l’intermediario a determinare unilateralmente e la cui congruità non è sindacabile dall’ABF, non rientrando nei suoi poteri la valutazione della convenienza o del carattere in thesi eccessivamente oneroso delle condizioni convenute per detta prestazione33.

I Collegi hanno, peraltro, precisato che, in talune ipotesi, l’intermediario può subordinare il rilascio delle copie a condizioni ulteriori rispetto a quelle normativamente previste. In particolare, nei casi in cui il cliente sia un soggetto fortemente esposto verso la banca e il suo conto sia ormai estinto, si ritiene che questa possa non solo legittimamente richiedere a costui – a valle del rilascio della relativa documentazione- il rimborso delle spese sostenute, ma, in via preventiva e cautelativa, altresì subordinare la consegna di quei documenti alla previa costituzione di un deposito avente ad oggetto le relative somme. Ciò, in quanto, in simili ipotesi il meccanismo di tutela della banca postulato dall’art. 119 co. IV TUB, che si sostanzia nella possibilità, per l’intermediario, di conteggiare e addebitare direttamente sul conto del richiedente quanto corrisponde ai costi sostenuti per la duplicazione dei documenti -così contemperando il diritto di costui al rilascio della documentazione e quello della banca a essere tenuta indenne dei relativi costi-, non può in concreto operare, presupponendo evidentemente che il cliente abbia un conto attivo e capiente presso l’intermediario, su cui questi possa regolare subito, tramite addebito, l’operazione34.

Nella medesima occasione si è peraltro osservato come i doveri di correttezza e di diligenza qualificata incombenti sull’intermediario precludano ad esso, specie in presenza di rapporti dotati di particolari profili di criticità, di rifiutare- se richiesta-l’effettuazione di una ricognizione (almeno sommaria) del numero dei documenti per cui ènecessario estrarre copia e di una stima almeno orientativa del costo complessivo delle attività di riproduzione. Risponde infatti a un canone di corretta gestione delle relazioni con la clientela che la banca, a fronte della richiesta di copie, non solo indichi il costo per ogni documento da estrarre, ma proceda anche auna verifica (approssimativa) delle attività da svolgere e a un’indicazione (almeno di massima) dei costi che il cliente dovrà presumibilmente sostenere– ovvero dell’approssimativo ammontare del deposito a cui essa intenda subordinare il rilascio dei documenti35. Ciò, a tutela del cliente, atteso che proprio offrendo un’indicazione preliminare degli oneri che egli dovrà verosimilmente sopportare, egli è posto nelle condizioni di valutare consapevolmente l’opportunità di esercitare o meno l’accesso.

Fermo il generale principio per cui la banca non può fornire a terzi informazioni sui rapporti contrattuali in essere con i propri clienti, si è chiarito come in alcune ipotesi la richiesta informativa possa essere legittimamente avanzata (non dal titolare del conto, ma) da soggetti -almeno formalmente- diversi, come nei casi di istanza formulata dal socio di una società di persone intestataria del conto o dall’associato di un’associazione professionale titolare del rapporto. Al riguardo, peraltro, le pronunce dell’ABF non paiono sempre completamente coerenti. Così, è stata ad es. riconosciuta al socio non amministratore di una società in nome collettivo la legittimazione a ottenere dall’intermediario informazioni e documenti relativi al rapporto intrattenuto dalla società. Ciò in base ad un duplice ordine di considerazioni. Per un verso si è fatto leva su un indirizzo, sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nelle società di persone, non è configurabile un’effettiva condizione di terzietà della società rispetto alle persone de soci che ne fanno parte – i quali restano i destinatari degli effetti sostanziali dei rapporti accesi dalla prima-36. Per altro verso, è stata invocata la generale titolarità, ex art. 2261 c.c., in capo al socio di società personale, di puntuali diritti di informazione, controllo e accesso- sia pure nei confronti degli amministratori-, diritti che confermerebbero come, nei rapporti tra soci e società, non siano ravvisabili ragioni di riservatezza o altre peculiari esigenze di tutela dell’impresa che possano, in ipotesi, impedire l’accesso a documenti (bancari) relativi alla società. Di qui il riconoscimento del diritto de quo al singolo socio, anche se non legato da rapporti contrattuali diretti con l’intermediario e anche ove si tratti di socio non amministratore- proprio valorizzando il dato per cui egli è comunque destinatario degli effetti sostanziali dei rapporti (nella specie di conto corrente- ed eventuale affidamento-) in essere con la società37.

Diversamente, nel caso di conto acceso da un’associazione tra professionisti, si è escluso che l’erede dell’associato abbia diritto di accedere alla documentazione inerente il rapporto: ciò, valorizzando il dato (formale)- viceversa svalutato nell’indirizzo sopra ricordato per l’accesso del socio di s.n.c. – per cui l’associazione professionale, qualificata come “una delle più rilevanti” manifestazioni di società semplice, costituirebbe un soggetto distinto dalle persone fisiche che vi partecipano, operante all’esterno come autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche. Ulteriormente, e con percorso argomentativo forse più convincente, si è richiamato il disposto di cui all’art. 2284 c.c. (recante il regime applicabile in caso di morte del socio di società semplice), osservando come la qualità di associato non si trasferisca in automatico, iure successionis, in capo all’erede, che acquista solo il diritto alla liquidazione della quota del de cuius. Di qui, si è negato all’erede dell’associato il diritto di ottenere dalla banca documenti inerenti il conto intestato all’associazione, non essendo egli annoverabile tra i legittimati ex art. 119 TUB (nemmeno come successore dell’interessato, posto che, secondo l’impostazione ora riportata, interessato sarebbe l’associazione- soggetto distinto rispetto all’associato defunto a cui il richiedente è succeduto)38.

Quanto alle conseguenze del ritardo o dell’inerzia della banca a rilasciare la documentazione richiesta, da un lato alcune pronunce hanno rilevato come l’eventuale domanda tesa a ottenere la condanna della banca a consegnare al cliente i documenti richiesti, postulando la pronuncia di un ordine di facere specifico, esuli dalla cognizione dell’ABF – a cui sono riservate pronunce di accertamento e di condanna al risarcimento dei danni (fino a € 100 mila)-. Dall’altro, si è riconosciuta la risarcibilità dell’eventuale danno patito dal richiedente, il quale, ferma la censurabilità della condotta della banca che abbia tardivamente corrisposto (o ingiustificatamente respinto) la sua richiesta informativa, potrà trovare soddisfazione provando, secondo i generali principi, il nesso causale (tra l’inerzia dell’intermediario e il danno lamentato), e l’esistenza di quest’ultimo- che, se necessario, può essere liquidato in via equitativa ex art. 1226 c.c.39 In questa prospettiva, l’ABF ha ad esempio accolto la domanda risarcitoria avanzata dal cliente in un caso in cui la banca aveva riscontrato con immotivato ritardo la richiesta di dati e documenti la cui conoscenza era necessaria per opporsi a indagini fiscali in corso, poi sfociate nella notifica di un avviso di accertamento e nell’irrogazione di sanzioni, per ottenere l’annullamento delle quali il correntista era stato costretto a rivolgersi a un legale40. In tal caso, a fronte della condotta inadempiente della banca, si è dunque ritenuta provata l’esistenza di un danno patrimoniale risarcibile, sul presupposto che le attività difensive si risolvano in un pregiudizio patrimoniale suscettibile di valutazione economica tanto se affidate a terzi professionisti, con esborsi in loro favore, quanto se sia lo stesso danneggiato a svolgerle personalmente41.

3. Cointestazione

Come noto, il rapporto di conto corrente bancario può essere intestato a più persone, potendosi allora alternativamente prevedere che il potere di operare sul conto debba essere esercitato congiuntamente dai contitolari ovvero disgiuntamente gli uni dagli altri42. Ciò, con l’avvertenza che il patto con cui si dispone che i correntisti possano utilizzare il conto anche separatamente –vale a dire l’opzione per il modello a “firma disgiunta”- dovrà formare oggetto di una esplicita previsione, diversamente operando una presunzione relativa di regime a “firma congiunta”, come desumibile dall’art. 1854 c.c.- norma disciplinante la fattispecie della cointestazione del conto corrente43-. Da tale disposizione si ricava, infatti, sia pure implicitamente, che la facoltà di operare disgiuntamente sul conto costituisca un’eccezione, che deve essere, come tale, espressamente prevista: in assenza di tale previsione, il conto potrà, dunque, esser utilizzato solo congiuntamente dai titolari44.

Il rapporto tra l’intermediario e il gruppo dei cointestatari rimane in ogni caso unitario, derivando da un unico contratto (con conseguente ricadute, inter alia, sul regime di modificabilità delle relative condizioni e clausole negoziali: v. infra), e a struttura bilaterale- pur se con parte soggettivamente complessa, stante la presenza del gruppo di correntisti cointestatari unitariamente contrapposto alla banca45-.

Sempre in punto di disciplina applicabile, il richiamato art. 1854 c.c. prevede un regime di solidarietà tra cointestatari, che si considerano debitori e creditori in solido del saldo del conto: una solidarietà, dunque, sia dal lato attivo, in termini di abilitazione alla riscossione integrale del saldo del conto-in caso di facoltà di utilizzo disgiunto-, sia dal lato passivo, in termini di liberazione integrale della banca nei confronti di tutti i cointestatari per effetto del pagamento da questa effettuato ad uno solo di essi46. La regola della solidarietà è posta, invero, essenzialmente nell’interesse della banca –creditrice-, che, sul piano passivo, vede agevolate e rafforzate le possibilità di ottenere la restituzione del saldo (potendo contare sul patrimonio di ciascun contitolare), e, su quello attivo, vede semplificata l’esecuzione del rapporto e delle relative obbligazioni47. Sul piano dei rapporti interni, questi sono invece regolati dall’art. 1298, co. II c.c., in base al quale il debito o il credito solidale si dividono in quote uguali tra i cointestatari, salvo risulti diversamente48.

Tanto premesso, diverse sono le questioni affrontate dall’ABF in tema di conto cointestato, quali quelle relative all’individuazione dell’oggetto e dei limiti dei poteri di disposizione spettanti a ciascun contitolare, alle condizioni e alle conseguenze dell’esercizio del diritto di recesso dal conto da parte di ciascun cointestatario, alla modificabilità della clausola disciplinante l’operatività (congiunta o disgiunta) del conto, o ancora ai presupposti e alle modalità di chiusura del rapporto, nonché agli effetti della morte del singolo cointestatario.

3.1 Firma congiunta

Quanto al regime di cointestazione congiunta, esso, secondo un’opinione diffusa, risponde sostanzialmente a una finalità di garanzia dei cointestatari -contro il pericolo di abusi sul saldo da parte degli altri-, rendendo necessaria, per l’esecuzione di qualsivoglia prelievo dal conto, la volontà (o firma) congiunta, appunto, di tutti i titolari. Proprio in ragione di tale finalità di garanzia, i Collegi hanno dunque escluso che una clausola che preveda detto regime – congiunto- per il compimento di operazioni sul conto possa considerarsi vessatoria ex artt. 33 ss. Codice del Consumo49.

Se, come detto, il modello a firma congiunta postulail concorso di volontà di tutti i cointestatari per l’effettuazione dei prelevamenti, i versamenti possono invece essere effettuati da ciascun contitolare anche individualmente (indipendentemente dall’opzione per un regime congiunto o disgiunto), e, allo stesso modo, gli accreditamenti possono incrementare il conto anche se disposti a favore di uno soltanto dei contitolari: la somma versata confluisce, infatti, nel conto comune, cadendo nella libera disponibilità di tutti gli intestatari, anche se l’accreditamento era stato originariamente destinato a vantaggio di uno soltanto. Di qui, e dal rilevato regime di solidarietà attiva, l’affermazione per cui la banca può compensare il saldo attivo presente sul conto cointestato con l’eventuale debito di uno dei contitolari in relazione ad un altro rapporto (a lui solo intestato) acceso con la stessa, in applicazione dell’art. 1853 c.c.50

All’opposto, il concorso di volontà di tutti i contitolari rimane necessario affinché l’intermediario possa dar corso a prelievi dal conto (anche a mezzo RID)51: in assenza del consenso degli altri, il singolo cointestatario difetterebbe infatti del relativo potere dispositivo ela banca non potrebbe, pertanto, autorizzare l’operazione così autonomamente disposta da costui. Ciò, peraltro, anche qualora sia stata vittoriosamente esperita un’azione esecutiva a carico di uno dei contitolari sulla metà del saldo del conto (con esecuzione del relativo pignoramento) per deviti da costui autonomamente contratti: anche in tal caso resta operante tanto il regime di solidarietà di cui all’art. 1854 c.c., per il quale tutti i correntisti sono creditori e debitori in solido dell’intero saldo, quanto la regola della firma congiunta, senza che su tale disciplina l’eventuale esito di un procedura esecutiva promossa a carico di uno dei titolari possa avere rilevanza alcuna. Anche a fronte di una simile evenienza la banca non può, dunque, consentire atti dispositivi da parte del singolo intestatario che, in ipotesi, pretenda di prelevare la parte residua e non pignorata del saldo- salvo si convenga, allora concordemente da tutti i titolari, un mutamento del regime contrattuale, passando dal modello a firma congiunta a quello a firma disgiunta52.

Si è, del resto, rilevato come il contitolare che abbia in thesi effettuato un prelievo senza il consenso degli altri non possa poi far valere detta irregolarità nei confronti dell’intermediario e domandare (all’ABF) il ripristino delle disponibilità prelevate. Non solo una simile condotta risulterebbe, anche sul piano logico, intrinsecamente contraddittoria, ma in concreto il ricorrente risulterebbe comunque carente di legittimazione attiva- non comprendendosi d’altro canto a quale titolo egli potrebbe chiedere la “restituzione” dell’importo (da egli stesso) prelevato. Così, in base a tale rilievo, si è ad esempio negata la legittimazione ad agire del rappresentante legale (amministratore di sostegno) del singolo cointestatario autore del prelievo unilateralmente effettuato, il quale, nella specie, aveva aderito alla domanda di riaccredito delle somme –così autonomamente prelevate- avanzata all’ABF dall’altro titolare (coniuge del primo) 53.

Anche in caso di opzione per il regime a firma congiunta si è peraltro riconosciuto al singolo contitolare il diritto di recedere (allora individualmente) dal rapporto: ciò, sul presupposto che il regime di solidarietà non incida sul diritto di recesso spettante a ognuno, non essendo ravvisabile alcuna corrispondenza tra facoltà di operare congiuntamente sul conto ed esercizio del recesso (in vista della liberazione dal vicolo negoziale). Seguendo un indirizzo sostenuto anche in dottrina, si è invero rilevato come la solidarietà non implichi l’esistenza di un rapporto indivisibile tra più soggetti, rimanendo individuabili tante obbligazioni scindibili e indipendenti (pur se aventi a oggetto la stessa prestazione) quanti sono i soggetti del rapporto54. Riconosciuto il diritto di recesso al singolo cointestatario, il problema riguarderà, dunque, la (modalità di) esecuzione dell’obbligo restitutorio da parte della banca, a fronte dell’esercizio di tale diritto: al riguardo, la soluzione è stata individuata riconducendo detto obbligo restitutorio alla categoria delle obbligazioni “collettive”, caratterizzate dalla presenza di più creditori e di un unico debitore, e in cui solo il gruppo dei creditori uniti può esigere dal debitore l’adempimento della prestazione. Di qui, la necessità che la liquidazione della quota del recedente si compia in contraddittorio con tutti i titolari- così da salvaguardare le ragioni dei non recedenti-, senza che la banca possa dunque procedere a tale liquidazione in presenza di un’opposizione di taluno o comunque senza il loro consenso55

Quanto alle modalità di chiusura del conto cointestato a firma congiunta, si è escluso che possa considerarsi invalida- per asserita violazione dell’art. 120bis TUB e del principio del recesso libero ivi sancito- una clausola che richieda il consenso di tutti i titolari (anche) per procedere a tale estinzione. Una simile previsione, lungi dall’impedire l’esercizio del recesso della parte, costituirebbe in definitiva una forma di tutela rafforzata per i contitolari: se tutti sono congiuntamente e solidalmente concreditori del saldo, è ragionevole ritenere che ciascuno non possa, senza il consenso degli altri, estinguere autonomamente il rapporto56.

3.2 Firma disgiunta

Come anticipato, in caso di opzione per il regime a firma disgiunta ciascuno dei cointestatari può disporre individualmente delle somme annotate a credito e, in generale, compiere operazioni sul conto: ciò, fermo restando che l’adempimento della banca a favore del singolo intestatario avrà effetto liberatorio anche nei confronti degli altri, stante la richiamataregola di solidarietà ex art. 1854 c.c.57. In pratica, peraltro, la cointestazione disgiunta assolve spesso alle funzioni di una delega, che il titolare rilascia a un terzo per consentirgli il compimento di operazioni sul conto, così cointestato anche a quest’ultimo. In tal caso, il “reale” titolare del conto è, dunque, solo uno, che, invece di operare direttamente sul conto, impartisce istruzioni agli altri cointestatari-operanti, sostanzialmente, come suoi delegati58.

Nel caso di cointestazione con firma disgiunta, ciascun intestatario può dunque utilizzare il conto senza limitazioni: ciò peraltro anche ove uno di essi sia stato segnalato in CAI e la sua operatività sia pertanto soggetta a restrizioni. Come chiarito dall’ABF, la disciplina sanzionatoria in tema di assegni (operante a fronte di tale segnalazione), non prevede, infatti, alcun blocco cautelativo sul conto oggettivamente considerato, ma, in concreto, comporta solo un’interdizione alla traenza a carico del soggetto iscritto. Nessuna limitazione è prevista per gli altri intestatari, che, se il conto è a firma disgiunta, potranno dunque legittimamente emettere assegni a valere su di esso. Tanto rilevato, si è peròcorrettamente chiarito come l’iscrizione in CAI di uno degli intestatari costituisca comunque una circostanza rilevante inerente il conto, che richiede, come tale, di essere tempestivamente comunicata dalla banca agli altri contitolari- precisandone i motivi, i contenuti e gli effetti -, in ossequio ai generali canoni di correttezza, diligenza professionale e buona fede. Ove l’intermediario non adempia a tale obbligo di trasparenza, il suo comportamento sarà dunque passibile di censura, proprio in quanto violativo dei predetti principi di diligenza e buona fede, con la conseguenza che il correntista che dimostri di aver subito un danno a causa della mancata informazione- e/o delle restrizioni eventualmente poste dalla banca all’operatività del conto- avrà diritto al risarcimento59.

Sotto altro profilo, i Collegi sono stati chiamati a decidere in merito a fattispecie in cui sul conto erano stati addebitati insoluti facenti capo a un solo contitolare e fondati su finanziamenti da questi autonomamente contratti-rispetto ai quali l’altro intestatario lamentava la propria estraneità-. Al proposito, per un verso si è ribadito come,per effetto del regime di solidarietà di cui all’art. 1854 c.c., il saldo del conto entri nella libera disponibilità di tutti i cointestatari (divenendone ognuno creditore o debitore in solido). Per altro verso si è osservato, che, alla luce dell’art. 1298 co. II, c.c., la cointestazione fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto salva la prova contraria- da fornire attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti60-, anche ove il denaro presente nel conto sia stato immesso da un solo correntista (o da un terzo a favore di uno o dell’altro)61. Solo qualora si provi che i versamenti sono stati effettuati da uno dei cointestatari con somme ad esso solo appartenenti, la presunzione di comproprietà di cui all’art. 1298 co. II c.c. deve, dunque, per giurisprudenza pacifica, ritenersi superata.

In assenza di una simile prova, invece, la regola per cui- nei rapporti interni tra contitolari- il saldo si divide in parti uguali si ritieneinopponibile a terzi. Ciò, con conseguenze rilevanti, ad esempio, nelle ipotesi di pignoramento (del conto cointestato) effettuato dal creditore per debiti facenti capo ad uno soltanto dei cointestatari: al riguardo, alcune pronunce hanno in particolare ritenuto inapplicabile la norma di cui all’art. 599 cod. proc. civ. (relativa al pignoramento di beni indivisi in comproprietà), sul presupposto che, in forza dell’art. 1854 c.c., ciascuno dei cointestatari del conto risponde per l’intero saldo attivo62.

Invero, la questione se, a fronte del pignoramento eseguito su un conto cointestato, il corrispondente vincolo di indisponibilità debba ritenersi esteso all’intero saldo del conto ovvero resti limitato alla sola quota di pertinenza del cointestatario debitore (in ossequio alla regola per cui, nei rapporti interni, il debito e il credito si dividono in parti eguali, salvo prova contraria) costituisce un tema ancora oggi dibattuto. Alla tesi che esclude la pignorabilità dell’intero saldo e limita vincolo pignoratizio alla quota di (presunta) spettanza del contitolare esecutato – ponendo così in capo all’intermediario la responsabilità di individuare la consistenza di tale quota di spettanza -, si contrappone infatti quella (seguita da numerosi Collegi) secondo cui il pignoramento rende indisponibili tutte le somme depositate (sia pur) in regime di contitolarità. In tale prospettiva, si è infatti osservato per un verso che la banca (in qualità di terzo), una volta ricevuta la notificazione dell’atto di pignoramento, è obbligata ex lege a sottrarre alla disponibilità del debitore esecutato il credito indicato, senza potersi ritenere gravata dell’onere di verificare la provenienza delle somme immesse nel conto e di individuare entro quale limiti il saldo possa essere sottoposto a pignoramento. Per altro verso, si è precisato che eventuali problemi relativi ai limiti di pignorabilità delle somme presenti nel conto e ai connessi diritti dei singoli cointestatari dovranno essere sottoposti al (e risolti dal) Giudice dell’esecuzione in sede processuale (segnatamente nel corso dell’udienza ex artt. 547 e 548 c.p.c.)63.

Né l’evento morte di uno dei contitolari conduce allo scioglimento del rapporto o fa altrimenti venir meno il regime di firma disgiunta64, realizzandosi piuttosto un tipico caso di successione nel contratto (degli eredi al cointestatario defunto), che lascia intatta l’efficacia del patto di firma disgiunta e il correlato potere di compiere autonomamente, e anche oltre le rispettive quote, atti di disposizione sul conto. Come chiarito anche dalla giurisprudenza della Cassazione – a cui l’ABF ha uniformato le proprie pronunce-, ove sia pattuito il regime di firma disgiunta, la solidarietà sopravvive anche dopo il decesso di uno dei cointestatari, non producendo tale evento alcun effetto sul regime applicabile, salvo patto contrario. Tanto il contitolare superstite quanto gli eredi del cointestatario defunto conservano dunque il diritto di utilizzare separatamente il conto (diritto che, nel caso degli eredi, dovrà essere esercitato collettivamente) e di chiedere alla banca il pagamento dell’intero saldo- proprio come ogni cointestatario avrebbe potuto fare prima dell’evento morte65. La banca sarà tenuta a pretendere il concorso di tutti i correntisti –solo- ove sia stata notificata una formale opposizione da parte di uno di loro, senza poter porre altrimenti alcun blocco (cautelativo) sul saldo del conto –che impedirebbe a ciascun correntista di utilizzare il conto secondo i propri diritti66.

Sotto altro profilo, pur in caso di opzione per il regime a firma disgiunta è possibile convenire che ai fini del conferimento di deleghe a terzi sia necessario il consenso congiunto di tutti i cointestatari, derogando al generale modello disgiunto. In tal caso, è evidente che, ove, nonostante tale previsione, la delega sia rilasciata da uno solo dei correntisti e l’intermediario autorizzi prelievi eseguiti dal delegato così (individualmente) incaricato, tale condotta dovrà ritenersi illegittima e pertanto ciascuno dei cointestatari potrà legittimamente domandare l’accertamento del proprio diritto al riaccredito delle somme prelevate dal delegato unilateralmente designato. Per contro, eventuali domande tese a ottenere una pronuncia (costitutiva) di annullamento della delega – così irregolarmente conferita- non potranno essere accolte, poichè, per un verso, tale domanda esulerebbe dall’ambito di cognizione dell’ABF, e, per altro verso, il mancato consenso dei contitolari al rilascio della delega -in violazione delle previsioni contrattuali- potrebbe comunque incidere solo sull’opponibilità (a costoro) degli atti (prelevamenti) compiuti dal delegato, non sulla validità della delega individualmente conferita67.

Il regime di solidarietà tra cointestatari non esclude peraltro che nei rapporti interni questi possano accordarsi per dividere tra loro l’obbligazione in ipotesi esistente verso la banca (pari al saldo negativo del conto), prevedendo ad es. che uno sia tenuto a farsi carico dell’intero debito verso questa- eventualmente rivalendosi internamente sugli altri per la quota di competenza di ciascuno-. Simili accordi, pur se legittimi, rimangono però inopponibili all’intermediario, nei cui confronti restano res inter alios acta: conseguentemente, nel caso di inadempimento da parte del cointestatario obbligato, gli altri non potranno far valere la relativa convenzione nei confronti di terzi, e segnatamente nei confronti della banca-creditrice, che ben potrà esigere il pagamento dell’intero saldo da ciascuno68.

Peraltro, pur se il singolo cointestatario può operare individualmente sul conto a firma disgiunta, è escluso però che questi possa anche unilateralmente estinguere il conto o modificare la clausola normativa riguardante il regime (congiunta o disgiunta) senza il consenso degli altri69. Quanto al recesso in particolare, si è osservato che il suo esercizio si risolve in una modifica normativa del rapporto, la quale richiede pertanto il concorso di volontà di tutte le parti del rapporto- come, in generale, la modifica di ogni regola convenzionale-. In conformità con un indirizzo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, il rapporto tra banca e gruppo dei cointestatari si risolve infatti in un rapporto unitario, tale per cuiogni modifica del relativo contratto istitutivo sarà subordinata al consenso di tutti i contitolari70.

4. Ordini di pagamento e procedure di addebito preautorizzato (c.d. RID)

Come osservato, il conto corrente si caratterizza per l’esistenza di un’ampia componente gestoria (demandata alla banca), la quale consente al cliente di accedere a diversi servizi prestati dall’intermediario in suo favore. Alcuni di tali incarichi attengono in particolare alla prestazione di servizi di pagamento, quali riscossioni e pagamenti effettuati su ordine del cliente, che consentono l’utilizzo delle somme presenti sul conto senza il materiale smobilizzo di denaro contante. Ciò, ad esempio nel caso di pagamenti a mezzo di assegni o carte di debito, o mediante disposizioni impartite alla banca di volta in volta (bonifici, giroconti, ecc.) o una tantum (come nel caso di domiciliazione bancaria delle utenze domestiche, RID etc.). Proprio in ragione della stretta connessione fra il rapporto di conto corrente e i servizi che ad esso accedono, i Collegi ABF hanno ad esempio censurato la condotta della banca che aveva continuato a dar corso ad addebiti a carico del cliente, da questi in precedenza autorizzati mediante RID, pur dopo la chiusura del conto.

Diverse sono le questioni portate all’attenzione dell’ABF, tra cui quelle connesse alla non tempestiva o scorretta esecuzione degli ordini di pagamento da parte degli intermediari, o ancora concernenti condizioni ed effetti per la revoca, da parte del cliente, dell’ordine già impartito. Occorre preliminarmente rammentare come, in materia di servizi di pagamento, elemento centrale e imprescindibile per la corretta esecuzione della prestazione da parte della banca sia proprio il consenso del pagatore, definito dall’art. 5, co. 1, del D.Lgs. n. 11 del 2010 (attuativo alla Direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nei mercati interni) come l’“elemento necessario per la corretta esecuzione di un’operazione di pagamento”, tale per cui in sua assenza un’operazione di pagamento non può considerarsi autorizzata. La necessità del consenso del pagatore comporta, pertanto, che ove l’operazione di pagamento risulti non autorizzata (o sia eseguita in modo inesatto), come nei casi in cui l’intermediario disponga un addebito sul conto senza il consenso del titolare, quest’ultimo ha diritto al rimborso o alla rettifica dell’operazione, sia pur in un termine (13 mesi dall’addebito), entro cui deve denunciare la circostanza al prestatore dei servizi di pagamento (art. 9 del D.Lgs. citato)71.

In materia di servizi di pagamento, un profilo centrale concerne la ripartizione delle responsabilità tra gli intermediari coinvolti nell’esecuzione dell’operazione, e, in particolare, le condizioni e i limiti entro cui questi possono essere chiamati a rispondere qualora l’operazione non risulti eseguita correttamente. La regola generale è quella secondo cui ciascun prestatore di servizi di pagamento è responsabile solo nei confronti dell’utente che si avvale della sua attività ed esclusivamente in relazione ad anomalie riguardanti il “segmento” della transazione in cui esso opera (artt. 25, 26 e 27 del D.Lgs. n. 11/2010). Ciò, con la conseguenza che: (i) ove sia la banca del pagatore a non trasferire tempestivamente (i.e., entro la fine della giornata successiva) i fondi sul conto del prestatore del beneficiario, è questa a rispondere nei confronti dell’ordinante (co. I); (ii) ove, invece, sia il prestatore del beneficiario che, a fronte della corretta esecuzione dell’ordine da parte della banca dell’ordinante, non accrediti la somma sul conto del proprio cliente (beneficiario del pagamento), sarà questa a rispondere nei confronti di quest’ultimo.

Tali disposizioni sono state puntualmente applicate dall’ABF, che ha così escluso che, ove il prestatore di servizi di pagamento dell’ordinante abbia tardato nel mettere a disposizione della banca del beneficiario le somme pagate in favore di quest’ultimo, il beneficiario medesimo possa far valere una responsabilità diretta del prestatore dell’ordinante e domandare ad esso il risarcimento del danno72.

L’ABF ha inoltre riconosciuto l’esistenza, in capo ai prestatori di servizi di pagamento, di precisi obblighi informativi a favore dei clienti, in base ai quali essi sono tenuti a comunicare tempestivamente ad essi eventuali irregolarità, anomalie o incompletezze riscontrate nell’ordine di pagamento impartitogli, nonchè eventuali anomalie o irregolarità intervenute nella fase di esecuzione della transazione.

Diverse pronunce hanno in particolare affrontato casi in cui la scorretta o incompleta compilazione di moduli di pagamento (quali l’F24), da parte del cliente, risultava aver impedito la stessa esecuzione dell’ordine da parte dell’intermediario. In simili fattispecie per un versosi è sottolineato come non rientri nei doveri dell’intermediario quello di verificare, prima di accettare l’ordine di pagamento, la corretta compilazione dei moduli ricevuti dall’ordinante, né tantomeno quello di procedere a una loro rettifica o colmarne le lacune in caso di irregolarità. La redazione di tali moduli, specie se concernenti pagamenti fiscali, rientra infatti nella sfera di dominio e autoresponsabilità del cliente- di cui l’intermediario è mandatario: ciò, anche per ragioni pratiche, posto che imporre alle banche un eventuale obbligo di verifica preventiva finirebbe per gravarne eccessivamente l’attività, creando problemi di gestione e rallentamenti generalizzati73. Per altro verso, l’ABF ha tuttavia osservato il richiamato dovere informativo che incombe sul prestatore del servizio di pagamento nei confronti del cliente imponga al primo di comunicare prontamente al secondo l’eventuale mancata esecuzione dell’ordine, specie se derivante da irregolarità nelle istruzioni impartite.

Se, dunque, la banca non è responsabile per il fatto in sé di non aver potuto eseguire l’incarico ricevuto, ove ciò sia disceso da anomalie dell’ordine comportanti un’oggettiva impossibilità di eseguire la prestazione, essa è tenuta tuttavia a informare tempestivamente il cliente del mancato adempimento dell’incarico: ciò sia in virtù dei generali doveri di mandatario gravanti sull’intermediario, che degli obblighi di diligenza qualificata che sul medesimo incombono. Di qui, la responsabilità della banca che non abbia prontamente informato il cliente dell’impossibilità di eseguire l’ordine impartitogli, con conseguente obbligo di risarcimento del danno eventualmente causato a costui da tale condotta.

Tale linea argomentativa è stata seguita, ad esempio, in un caso in cui l’intermediario aveva omesso di comunicare prontamente al cliente la mancata esecuzione dell’ordine di pagamento impartito mediante F24, causata da errori di compilazione del modulo stesso. In tale ipotesi si è ritenuto che il danno fosse disceso dal concorso di due fattori, da un lato la scorretta compilazione del modulo (imputabile al cliente), dall’altro il mancato pronto avviso da parte della banca, che aveva reso irrimediabile l’errore, o meglio rimediabile al costo della sanzione in seguito inflitta dall’amministrazione finanziaria. Nella specie, il danno è stato liquidato in via equitativa, avendo riguardo all’importo della sanzione poi irrogata dall’amministrazione finanziaria74.

Un tema che ha formato oggetto di varie pronunce attiene inoltre ai limiti e alle condizioni per la revocabilità, da parte del cliente, dell’ordine di pagamento già impartito: il problema è, in tal caso, quello di individuare un giusto punto di equilibrio tra l’esigenza di tutela e il rispetto della volontà dell’ordinante, da un lato, e l’interesse, più generale, di assicurare l’ordinato funzionamento del sistema dei pagamenti e tutelare l’affidamento dei terzi dall’altro. In tal senso, la disciplina, pur consentendo al pagatore di revocare l’ordine di pagamento (nella forma e secondo la procedura concordate nel contratto), pone specifici limiti atale revoca, richiedendo che essa intervenga prima che l’ordine sia stato ricevuto dal prestatore del servizio (momento in cui diviene irrevocabile). Ove l’ordine sia revocato nei tempi previsti dalla legge e secondo le modalità concordate, l’intermediario ha dunque l’obbligo di astenersi dall’eseguire l’operazione, dovendo restituire al cliente le somme addebitate sul suo conto. Per contro, se l’ordine è ormai divenuto irrevocabile per decorso dei predetti limiti temporali, il pagatore non potrà ottenere il riaccredito delle somme (ormai trasferite al beneficiario), pur se esse risultino oggettivamente indebite, nè l’intermediario potrà ritenersi responsabile per non aver dato corso alla revoca (pur richiesta): in questo caso, per ritrasferire all’ordinante le somme addebitategli sarà infatti necessario il consenso del beneficiario75. Si tratta di principi evidentemente tesi a favorire la certezza delle operazioni e a salvaguardare la fiducia nel funzionamento dei sistemi di pagamento, che verrebbero pregiudicate ove si consentisse la libera e arbitraria revocabilità, senza limiti, di ordini già impartiti, eseguiti e formalmente regolari.

In questa prospettiva, si è dunque affermato che, ove il cliente abbia impartito alla banca un ordine di pagamento (ad es. mediante modello F24 per il pagamento di tributi) e successivamente- accorgendosi di errori -revochi lo stesso una volta però divenuto irrevocabile, l’intermediario non può ritenersi responsabile per aver dato corso al pagamento disattendendo la volontà del cliente, incombendo su quest’ultimo l’onere di attivarsi tempestivamente presso il professionista incaricato della compilazione del modulo (intermediario fiscale) per le opportune rettifiche. In tal senso, al fine di giustificare l’operato della banca, da un lato si è fatto appello ai principi in tema di delegazione di pagamento – secondo cui il delegante può revocare la delegazione fino a che il delegato non abbia assunto l’obbligazione verso il delegatario (ex art. 1270 c.c.)- e in tema di mandato – che non si estingue per revoca del mandante se conferito nell’interesse di terzi, ex art. 1723, co. II, c.c.-. Dall’altro, si è osservato che il meccanismo di pagamento tramite modello F24 presenti particolari profili di complessità, postulando il necessario intervento di un professionista incaricato di predisporre la relativa documentazione. Di qui, l’osservazione per cui, per poter acquistare efficacia, la revoca dell’autorizzazione all’addebito deve essere rivolta non direttamente alla banca, ma all’intermediario fiscale (commercialista), prima che questi provveda alla compilazione e all’invio del modello stesso, così da consentirgli diapportare le opportune rettifiche76.

5. Operazioni realizzate mediante terminali automatici (bancomat, cassa continua)

Numerose sono le controversie portate all’attenzione dell’ABF in relazione alla corretta esecuzione di operazioni disposte attraverso terminali automatici, quali prelievi tramite bancomat o versamenti mediante il servizio di cassa continua. Si tratta di questioni la cui complessità si lascia particolarmente apprezzare sotto il profilo probatorio, anche in ragione della natura prettamente documentale del procedimento dinanzi all’ABF. Per un verso, sul cliente incombe il –gravoso- onere di dimostrare l’erroneità della registrazione di una data operazione di prelievo o di versamento del contante da lui eseguita presso il terminale. Per altro verso, l’intermediario, chiamato a dimostrare l’esatto adempimento della prestazione dovuta quale fornitore del servizio, dispone di una specifica documentazione di supporto, potendo invocare in proprio favore le registrazioni e le risultanze contabili relative alle operazioni compiute presso i propri sportelli automatici.

In simili fattispecie, si è posta dunque da un lato la necessità di chiarire la corretta ripartizione dell’onere della prova tra le parti e, dall’altro, l’esigenza di verificare quale sia il valore probatorio delle registrazioni effettuate dagli sportelli automatici (bancomat o ATM), individuando i limiti e le condizioni per il loro utilizzo come prove in giudizio (in favore dell’intermediario). Le decisioni dei Collegi fanno leva, da un lato, sulla normativa in materia di servizi di pagamento (D.lgs. n. 11/2010), dall’altro, sui più generali principi in materia di prova e di rilevanza in giudizio delle scritture contabili dell’imprenditore (nella specie, la banca) sanciti dal codice civile.

Sotto il primo profilo, in diverse decisioni si è richiamata la disciplina di cui all’art. 10 del citato D.Lgs. 11/2010 in materia di servizi di pagamento, che individua un ben preciso criterio di ripartizione dell’onere probatorio, disponendo che, “qualora l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l’operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti”. Sull’intermediario incombe pertanto un onere probatorio particolarmente rigoroso, ciò che ben si comprende considerando la caratterizzazione professionale dell’attività da esso svolta e, sul piano pratico, la maggior vicinanza della prova rispetto a costui, trattandosi del soggetto nelle migliori condizioni (rispetto all’utente) di adottare accorgimenti idonei a (garantire e) dimostrare il corretto funzionamento dell’apparecchiatura. L’onere probatorio che incombe su costui si appunta, nella specie, su tre elementi. Egli può infatti andare esente da responsabilità se dimostra: i) la corretta ‘autenticazione’ dell’operazione, vale a dire che le credenziali di accesso a cui è subordinato l’utilizzo del servizio, da parte del cliente, sono state correttamente immesse e verificate; ii) la corretta ‘‘registrazione’’ dell’operazione, dunque che essa è stata regolarmente tracciata; iii) la sua regolare ‘‘contabilizzazione’’, dovendo l’operazione risultare dalla documentazione contabile dell’intermediario, e segnatamente dal c.d. ‘‘giornale di fondo’’ (che registra tutte le operazioni poste in essere dallo sportello) e dalla quadratura di cassa (che consente di verificare la corrispondenza tra le somme che risultano essere state erogate e l’importo mancante dallo sportello)77.

Di qui, l’orientamento seguito dall’ABF secondo cui “le operazioni Bancomat, documentate dalle risultanze informatiche delle registrazioni effettuate automaticamente dalle apparecchiature presso le quali dette operazioni sono state eseguite, sono opponibili al titolare della carta sempre che dal giornale di fondo e dalle altre risultanze informatiche non risulti alcuna anomalia e la prima quadratura di cassa eseguita sull’ATM non evidenzi alcuna eccedenza78.

In tale prospettiva, si è ritenuto che, in caso di operazioni di versamento di contante attraverso sportelli automatici, il cliente ha l’onere di allegare solo il malfunzionamento del terminale utilizzato, spettando invece all’intermediario provare il corretto funzionamento dello stesso e delle procedure approntate per la regolare esecuzione dell’operazione. Al contempo, si è comunque rilevato che l’utente che lamenti la disfunzione dell’apparecchiatura (ad es. la mancata erogazione di banconote corrispondenti a un prelievo da lui tentato ma non riuscito, e il conseguente scorretto addebito dell’importo sul conto) sia tenuto a darne tempestiva segnalazione all’intermediario, secondo le modalità contrattualmente convenute79.

In altri casi, i Collegi hanno risolto i complessi problemi della distribuzione dell’onere probatorio, facendo principalmente leva sulla disciplina codicistica in tema di rilevanza probatoria delle scritture contabili dell’imprenditore. Fermo il generale principio in tema di (prova nelle fattispecie di) inadempimento contrattuale, in base al quale spetta all’intermediario l’onere di dimostrare di aver esattamente adempiuto la prestazione dovuta quale fornitore del servizio, l’orientamento pressoché costante dei Collegi è di assimilare le risultanze informatiche delle registrazioni effettuate dalle apparecchiature (quali Bancomat o ATM) alle scritture contabili dell’imprenditore, che, come noto, ove correttamente tenute, costituiscono prova in suo favore solo nei rapporti con altri imprenditori e inerenti all’esercizio dell’impresa (artt. 2709 e 2710 c.c.); negli altri casi, dunque in controversie con soggetti non imprenditori, le medesime scritture possono far prova solo contro l’imprenditore da cui provengono. Peraltro, anche nelle ipotesi in cui dette scritture possono far prova a favore dell’imprenditore che le ha redatte, si ritiene che ad esse non possa comunque riconoscersi efficacia di prova legale piena ed esclusiva, trattandosi pur sempre di atti formati dalla parte che mira ad avvalersene: anche in tali casi, la scrittura rimane soggetta al libero apprezzamento del giudice, a cui spetta valutarne l’attendibilità e significatività, anche in concorso con altre circostanze80: la possibilità di utilizzare tali registrazioni come prova a favore dell’imprenditore (qui, l’intermediario) è pertanto condizionata alla circostanza che esse appaiano attendibili e idonee, alla luce di altri elementi, a dimostrare la fondatezza delle allegazioni della parte che le ha prodotte.

In base a tali argomenti, in fattispecie in cui le registrazioni dell’ATM risultavano non solo contestate dal cliente, ma contraddette da altri elementi – come dalle risultanze del giornale di fondo e dallo scontrino emesso dall’apparecchio – che evidenziavano un’intervenuta anomalia del servizio, senza che l’intermediario fosse stato in grado di fornire elementi a dimostrazione della corretta contabilizzazione dell’operazione, si è escluso che dette registrazioni potessero valere come piena prova a favore dell’intermediario medesimo e dunque dimostrare la correttezza della transazione81. In presenza (quantomeno) di indici, univoci e convergenti, che denotino il verificarsi di una qualche disfunzione nel servizio, si è così ritenuto provato- sia pur indirettamente- il fatto contestato dall’utente, vale a dire il mancato buon fine di un’operazione da lui effettuata presso l’ATM.

In alcuni casi, tuttavia, la sola circostanza che il giornale di fondo dell’ATM evidenzi un’anomala durata dell’operazione o altre anomalie riferibili a successive operazioni non è stata ritenuta decisiva e idonea a superare le risultanze del documento relativo alla quadratura di cassa che non attesti alcuna eccedenza di contante in relazione a quella operazione82. Per contro, ove dai riscontri del giornale di fondo della banca l’operazione appaia essere stata effettuata con l’uso della carta e con la corretta digitazione del codice PIN, dal giornale di fondo non emerga alcuna anomalia e dalla prima quadratura di cassa non risulti alcuna eccedenza, l’orientamento dei Collegi è di ritenere opponibili all’utente le risultanze informatiche delle registrazioni effettuate dalle apparecchiature83.

6. Recesso e chiusura del conto

Il tema del recesso dal rapporto di conto corrente, e segnatamente della ritardata o mancata chiusura del conto da parte dell’intermediario, nonostante la richiesta del cliente, costituisce un tema particolarmente controverso e oggetto di numerose pronunce dei Collegi ABF.

La materia trova espressa regolamentazione nell’art. 1855 c.c., che riconosce al correntista il diritto di recesso dal contratto di conto corrente bancario a tempo indeterminato (v. anche l’art. 1833 c.c. in tema di conto corrente ordinario) e nell’art. 120 bis TUB, che attribuisce al cliente il diritto di recedere in ogni momento, senza penalità e senza spese, dai contratti di durata (tra i quali, per espressa specificazione della Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 21 febbraio 2007 n. 5554, il contratto di conto corrente bancario).

Le pronunce dell’ABF hanno in primo luogo chiarito, secondo un orientamento ormai costante, come il perdurare di una esposizione debitoria non possa costituire un legittimo motivo di rifiuto della richiesta di estinzione del rapporto di conto corrente avanzata dal correntista. Il diritto riconosciuto ex lege al cliente di recedere dal rapporto costituisce un diritto potestativo, il cui esercizio è rimesso alla sua unilaterale determinazione (v. artt. 1855 c.c. e 120 bis d.lgs. TUB) ed è del tutto autonomo e indipendente dall’esistenza di un’eventuale esposizione, del medesimo correntista, nei confronti della banca. La cessazione del rapporto siproduce infatti per effetto della dichiarazione recettizia del cliente, indipendentemente dalla sussistenza (o meno) di un saldo negativo del conto. Di qui, si è censurata come illegittima la prassi, seguita da numerosi intermediari, di rifiutare la chiusura del conto, e mantenere dunque in vita il rapporto in ragione dell’esistenza di un saldo negativo a carico del cliente, condizionando l’estinzione del conto al ripianamento dell’esposizione debitoria e al contempo addebitando spese e commissioni. Una simile condotta finirebbe peraltro per snaturare la stessa natura del conto corrente, il quale, ormai privo di movimentazioni (a fronte della volontà del correntista di porvi fine) si risolverebbe solo in voci di costo a carico di quest’ultimo (incrementando o generando un saldo debitore a suo carico).

In tal senso, la posizione espressa dall’ABF sul punto appare ormai consolidata: non è consentito alla banca vanificare l’esercizio di tale diritto e dunque impedire o ritardare la chiusura del conto, motivando l’opposizione con la necessità che sia preliminarmente saldato il (preteso) debito del cliente nei suoi confronti: ciò, peraltro, ancor di più ove il debito in thesi vantato dalla banca si fondi su un titolo diverso e autonomo rispetto al rapporto di conto corrente della cui estinzione si tratta 84.

Una simile impostazione lascia, evidentemente, e in ogni caso, impregiudicato il diritto della banca di esigere il pagamento dell’eventuale credito residuo verso il cliente e degli interessi nel frattempo maturati sul saldo debitore: l’estinzione del conto comporta, infatti, il cristallizzarsi della situazione esistente a quel momento e dunque, in presenza di un’esposizione debitoria, del relativo credito, liquido ed esigibile, della banca, pari appunto all’importo della esposizione debitoria e degli interessi, con esclusione di altri effetti85.

La banca è tenuta, dunque, a dare pronta esecuzione alla richiesta di chiusura del conto avanzata dal cliente, dandovi seguito entro un termine ragionevole- e congruo rispetto all’espletamento delle formalità necessarie per la chiusura del rapporto. In assenza di una diversa convenzione che deroghi al disposto di cui all’art. 1855 c.c., detto termine dovrà essere individuato nei 15 giorni lavorativi indicati da tale norma86 (corrispondenti al termine di preavviso ivi previsto per l’esercizio delrecesso dalle operazioni regolate in conto corrente a tempo indeterminato87). Né, l’intermediario può evidentemente pretendere dal cliente la corresponsione delle spese di tenuta del conto in ipotesi maturate successivamente allo scadere di quel termine (che decorre dall’esercizio del recesso), dovendo tenere indenne costui dalla produzione di ogni eventuale costo legato al mantenimento in esercizio del conto88. Ciò, del resto, anche alla luce dei doveri di correttezza (art. 1175 c.c.) e diligenza professionale (art. 1176 co. II c.c.) a cui deve essere improntata la condotta della banca durante (tutte le fasi) del rapporto con il cliente.

In tale prospettiva, è stato ad esempio valutato come illegittimo e violativo dei doveri di correttezza, buona fede e diligenza gravanti sull’intermediario, un ritardo di ben 14 mesi con cui esso aveva provveduto a dar corso alla richiesta di chiusura del conto89. Allo stesso modo, sono state reputate illegittime clausole contrattuali volte a far decorrere l’efficacia del recesso dal 75° giorno successivo a quello di comunicazione del recesso da parte del cliente90.

In presenza di ritardi della banca nel procedere alla tempestiva chiusura del conto (integranti come tali un inadempimento della stessa), e dunque in pendenza del rapporto così tenuto in vita nonostante la richiesta di estinzione, il cliente è, peraltro, comunque legittimato a utilizzare detto conto fino a che la banca medesima non provveda a estinguerlo, senza che quest’ultima possa invocare, a giustificazione della ritardata chiusura, il fatto che il cliente abbia continuato a utilizzarlo pur dopo la richiesta di estinzione91. Parimenti, è del tutto ininfluente sull’obbligo della banca di dare tempestiva attuazione alla domanda di estinzione del rapporto l’esistenza di eventuali RID appoggiati sul conto, in precedenza autorizzati dal cliente, ancora attivi92: anche in tal caso, e anche qualora il correntista non abbia fornito alcuna indicazione in merito alla sorte di detti RID, la richiesta di chiusura del rapporto, comporta, implicitamente, ma in modo inequivocabile e a cascata, anche la cancellazione dei RID appoggiati su di esso93.

In definitiva, qualora la banca ritardi immotivatamente l’estinzione del conto, il cliente ha il diritto di essere tenuto indenne da ogni eventuale costo di tenuta del conto medesimo nel frattempo addebitatigli, oltre che di ottenere il risarcimento dei danni eventualmente subiti, liquidabili anche in via equitativa.

Quanto all’ipotesi inversa, in cui lo scioglimento del rapporto avvenga su iniziativa della banca, l’ABF, pur riconoscendo ad essa il diritto di recedere anche ad nutum dal contratto, senza dover illustrare al cliente i motivi della propria decisione, ha tuttavia sottolineato l’esigenza che detto recesso sia esercitato in modo non abusivo e nel rispetto dei fondamentali canoni di correttezza e buona fede, i.e. con modalità tali da non arrecare pregiudizio al cliente94. Sotto il primo profilo, il riconoscimento, in capo alla banca, del diritto di recedere dal rapporto a prescindere dall’esistenza di una giusta causa appare conforme tanto al generale principio che, in presenza di rapporti di durata a tempo indeterminato, vieta vincoli perpetui, quanto dell’altrettanto generale principio di autonomia contrattuale e di non sindacabilità, in sede giurisdizionale, delle scelte imprenditoriali delle parti (nella specie della banca), libere di decidere (anche) in merito all’opportunità e convenienza di mantenere in vita i rapporti negoziali da esse costituiti. Sotto tale profilo, la necessità che il recesso sia esercitato secondo correttezza e buona fede, nonché in conformità con i doveri di diligenza professionale incombenti sull’intermediario, imporrà alla banca di darne comunicazione al cliente con un congruo e ragionevole preavviso: in tal senso, l’attenzione si appunta, dunque, non sul diritto di recesso in sé, ma sulle modalità con cui esso è esercitato.

In tal senso, sono state censurate come illegittime ipotesi di recesso brutale della banca dal conto corrente, vale a dire di interruzione arbitraria, improvvisa e senza (adeguato) preavviso del rapporto, ritenendo ad esempio abusive, e pertanto nulle se inserite in contratti conclusi con consumatori (o comunque inefficaci se inserite in rapporti con soggetti diversi e non approvate specificamente per iscritto ex art. 1341, II co.c.c.), clausole che attribuivano alla banca il potere di recedere dal rapporto con preavviso di un solo giorno). Simili clausole, censurate come vessatorie in quanto particolarmente gravose per il correntista, per essere opponibili a costui devono, peraltro, non solo essere sottoscritte in modo autonomo e separato rispetto alle altre previsioni contrattuali, come dispone il citato art. 1341, II co.c.c., ma, secondo la giurisprudenza costante, richiedono anche l’impiego di tecniche redazionali idonee ad attirare l’attenzione del sottoscrittore sul loro significato e onerosità95.

La mancanza di un preavviso congruo non determina, tuttavia, secondo il prevalente orientamento dei Collegi -pur in presenza di indirizzi giurisprudenziali difformi- l’inefficacia del recesso (comunque) esercitato e non esclude, pertanto, l’avvenuta risoluzione del contratto da esso provocata, in ossequio al richiamato principio che, nei contratti a tempo indeterminato, vieta l’imposizione di vincoli perpetui. Il mancato rispetto di un ragionevole termine di preavviso (alla stregua delle previsioni contrattuali, della legge o dei generali doveri di correttezza e buona fede) comporta però il riconoscimento al correntista del diritto al risarcimento del danno eventualmente patito, che spetta comunque a costui provare.

Posta, dunque, la censurabilità della condotta della banca che comunichi il proprio recesso con termine di preavviso eccessivamente ridotto, a fortiori sono considerate illegittime e irragionevoli ipotesi in cui detto preavviso sia radicalmente omesso, come quando, in particolare, l’intermediario informi il cliente dell’intervenuta chiusura del conto in data successiva a quella in cui tale effetto si è verificato- vale a dire solo in seguito al già avvenuto esercizio del recesso. E’ allo stesso modo illegittimo l’operato dell’intermediario che invii la comunicazione di recesso contestualmente al suo esercizio, e dunque nella stessa data in cui si produce l’effetto estintivo, essendo evidente che, anche in tal caso, il momento della recezione, da parte del correntista, non può che essere successivo a quello della spedizione della comunicazione. In tali ipotesi, ci si trova dinanzi a una condotta chiaramente censurabile, risultando palesemente contrario ai doveri di correttezza e buona fede, oltre che irragionevole, avvertire il cliente che il rapporto di conto corrente sino a quel momento in essere è già cessato dal giorno precedente, o da alcuni giorni precedenti, e che pertanto egli non più utilizzarlo. Un simile comportamento integra un evidente inadempimento contrattuale, idoneo come tale a fondare il diritto al risarcimento del danno patito dal cliente.

Ai fini del risarcimento, la prova del danno, nonchè del nesso causale tra questo e la (brutale) chiusura del conto, può essere fornita anche attraverso presunzioni, specie nei casi in cui il correntista sia un imprenditore e il conto costituisca, dunque, uno strumento palesemente necessario e indispensabile per la gestione di un insieme articolato di rapporti-con clienti e fornitori- che ruotano tutti attorno all’attività di impresa. Di qui, la considerazione per cui, come è intuibile, un’improvvisa e arbitraria chiusura del conto e la connessa impossibilità di operarvi-in termini ad es. di emissione di assegni (o comunque di impossibilità di accedere agli altri servizi appoggiati al conto) sia idonea a determinare effetti pregiudizievoli sull’intera organizzazione imprenditoriale: effetti che si risolvono in un danno il cui preciso ammontare può, peraltro, difficilmente essere provato in modo specifico e puntuale- stante la complessità dell’attività d’impresa e la fitta trama di rapporti che attorno ad essa ruotano-, con conseguente possibilità di una sua liquidazione equitativa96.

Sempre in tema di risarcimento del danno, può segnalarsi una pronuncia dell’ABF, in cui la pretesa risarcitoria avanzata dal cliente è stata rigettata, e il ristoro escluso, sul presupposto che il pregiudizio da questi lamentato avrebbe potuto essere dal medesimo evitato usando l’ordinaria diligenza, ex art. 1227 II co. c.c.. Nel caso esaminato, l’invocato pregiudizio sarebbe derivato dall’avvenuta emissione, da parte del cliente, di una serie di assegni bancari successivamente alla comunicazione di recesso da parte della banca, e nonostante questa avesse espressamente chiarito che eventuali assegni emessi a partire dalla data del recesso non sarebbero stati onorati- salvo il mantenimento in vita del conto per il solo addebito delle operazioni in corso non ancora contabilizzate. Una simile condotta (del cliente) è stata ritenuta violativa degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuale, che gravano non solo sull’intermediario ma anche sul correntista. Questi, informato del recesso del primo, anche se con termine preavviso incongruo, si sarebbedovuto astenere, dunque, dall’emettere assegni, che sapeva non poter essere onorati97.

Sulla scorta di simili argomentazioni, i Collegi hanno dunque rivolto indicazioni agli intermediari allo scopo di incentivare un miglioramento delle relazioni con la clientela e assicurare, in particolare, che queste siano sempre improntate a chiarezza, trasparenza, oltre che al rispetto dei generali principi di buona fede, correttezza e diligenza, con riguardo, in particolare, alle modalità di esercizio del diritto di recesso. In questa ottica, le banche sono state ad esempio invitate a curare che il contenuto, la formulazione e la formalizzazione dei documenti contrattuali (in punto, per quanto qui interessa, di termini di preavviso del recesso dal contratto) siano conformi alle disposizioni normative e ai principi sopra richiamati .

7. Commissioni

La materia delle commissioni, e segnatamente, delle commissioni applicate per la remunerazione di affidamenti o per sconfinamenti in conto corrente (in assenza di affidamento o oltre i limiti del fido)98 è stata oggetto di molteplici interventi normativi negli ultimi anni99, anche in ragione dei dibattiti e del contenzioso originato dalla discussa prassi100, seguita da banche e intermediari, di applicare un onere particolarmente controverso quale la commissione di massimo scoperto (cms). Onere, questo, che è stato diversamente definito, alternativamente qualificandolo come corrispettivo per la messa a disposizione di una somma da parte della banca, a prescindere dal suo concreto utilizzo101, ovvero come remunerazione per il rischio in cui la banca incorre nel concedere al cliente affidato l’uso di una data somma102.

Oggi la materia è regolata dall’art. 117bis TUB, il quale, da un lato, prevede che nei contratti di apertura di credito sia possibile prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, “una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento”, e il cui ammontare è rimesso alla determinazione del CICR (e non può comunque superare lo 0,5%, per trimestre, della somma messa a disposizione), nonché “un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate”. Dall’altro, il secondo comma della medesima norma disciplina le commissioni applicabili in caso di “sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido”, prevedendo, in tali ipotesi, la possibilità di pattuire (nei contratti di conto corrente e di apertura di credito),“quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull’ammontare dello sconfinamento”. Eventuali clausole che prevedano, a favore della banca, commissioni o oneri non conformi a quelle normativamente indicate (e alle relative disposizioni di attuazione emanate dal CICR103), sono sanzionate con la nullità, indipendentemente dalla denominazione utilizzata (“commissione”, “penale”), e fermo il principio, coerente con le esigenze di conservazione del contratto e di tutela del cliente, per cui la nullità della singola clausola non comporta comunque la nullità dell’intero contratto.

Il citato art. 117 bis TUB introduce dunque un peculiare regime “commissionale”, che, condizionando la legittimità delle clausole aventi a oggetto oneri e commissioni bancarie al rispetto di specifici requisiti, finisce per limitare fortemente l’autonomia contrattuale delle parti (segnatamente delle banche). La norma distingue, come visto, tra forme di remunerazione (i) per la messa a disposizione di fondi-prevedendo, in sostituzione della (vecchia) cms, una commissione onnicomprensiva di affidamento, commisurata alla somma messa a disposizione del cliente-, e (ii) forme di remunerazione per sconfinamenti in assenza di fido o oltre i limiti del fido concesso, con l’ulteriore possibilità di prevedere, sull’uso di somme eccedenti quei limiti, un interesse maggiorato rispetto a quello pattuito per l’apertura di credito. Tralasciando in questa sede un più ampio esame della fattispecie delle commissioni per la “messa a disposizione dei fondi”, può invece analizzarsi il tema delle commissioni per sconfinamenti in assenza di affidamento, vale a dire di quegli oneri addebitati al correntista nei casi in cui sia verificato il “passaggio a debito del saldo di un conto non precedentemente affidato104, sub specie di annotazione in conto di una somma a debito del cliente medesimo (con corrispondente “aumento del credito della banca” nei confronti di costui)- in assenza di una previa apertura di credito-.

Facendo leva sulle disposizioni richiamate, i Collegi ritengono generalmente nulle le clausole non conformi alle indicazioni normative (e tuttavia inserite nei contratti inter partes)105, quali quelle volte a prevedere una commissione giornaliera per sconfinamenti106– protrattisi anche per una durata inferiore ai 30 giorni-, isolatamente o cumulativamente con altre forme di remunerazione dell’affidamento: ciò, con conseguente illegittimità dell’addebito in base ad esse effettuato e correlato obbligo della banca di restituirne l’equivalente al correntista.

Inoltre, e in conformità con la generale disciplina in materia di trasparenza bancaria, è ritenuta, evidentemente, illegittima l’applicazione di oneri e spese non convenute in sede contrattuale ovvero addebitate in misura diversa da quella indicata in contratto e/o nella documentazione di trasparenza pubblicata107. Del resto, in ossequio ai principi in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.), grava sull’intermediario l’onere di provare che le somme addebitate al cliente per interessi, commissioni e spese sono state pattuite per iscritto o, comunque, corrispondono a quelle contrattualmente indicate. In mancanza di prova, equindi ove la banca non sia in grado di produrre alcun documento, scritto e sottoscritto dal cliente, che riporti il contenuto del rapporto, gli interessi e gli altri oneri rimarranno regolati, in via suppletiva, dal co. VII dell’art. 117 TUB -a norma del quale il contratto è automaticamente integrato dalle condizioni pubblicizzate nella documentazione di trasparenza108.

Né l’intermediario può avvalersi del potere di modifica unilaterale del contratto, ad esso spettante ex art. 118 TUB, al fine di introdurre ex post, nel contratto, clausole e condizioni economiche, quali oneri, commissioni e spese, originariamente non previste. Detto ius variandi, proprio in quanto eccezionalmente riconosciuto alla banca in deroga alla regola generale -che richiede il mutuo consenso delle parti per ogni modifica del regolamento contrattuale, deve intendersi, infatti, limitato alla sola variazione di clausole e condizioni esistenti e previamente convenute (entro i limiti normativamente indicati), non potendo pertanto essere esercitato al fine di inserire (surrettiziamente) oneri, clausole e corrispettivi del tutto nuovi rispetto all’originario negozio, idonee ad incidere in maniera sostanziale sull’equilibrio contrattuale (e mai previamente acconsentite dal cliente109. Per contro, ove si tratti di adeguare le clausole e condizioni vigenti a sopravvenuti mutamenti normativi, la banca potrà legittimamente avvalersi della propria facoltà (di avanzare una proposta) di modifica unilaterale del contratto.

In tal senso, l’orientamento dei Collegi appare pressoché costante, essendosi censurata come illegittima la prassi seguita dalle banche di applicare oneri ocommissioni non previamente contemplate nel contratto originario, ma introdotte ex post in sede di esercizio dello ius variandi110. Analogamente, il divieto di introdurre nuove clausole ricorrendo al potere dimodifica unilaterale del negozio è stato affermato anche nelle ipotesi in cui la proposta di modifica riguardi oneri astrattamente e genericamente contemplati nel contratto, senza, però, alcuna specifica indicazione circa il loro ammontare, valore, periodicità o circa il relativo meccanismo di calcolo- e in concreto in precedenza mai applicati111. Simili clausole sono peraltro da ritenere nulle anche sotto il profilo della loro indeterminatezza/ indeterminabilità, con conseguente diritto del correntista di ottenere la ripetizione di quanto (così) indebitamente corrisposto, ex art. 2033 c.c.112.

Una questione strettamente connessa e, anzi, logicamente conseguente a quella della (valutazione della) legittimità ovvero illegittimità, sul piano sostanziale, di commissioni, interessi e altri oneri addebitati dalla banca al correntista, e che ha formato oggetto di accesi contrasti dottrinari e giurisprudenziali, attiene all’individuazione dei limiti e delle condizioni entro cui il correntista può invocare la restituzione di detti oneri, qualora essi gli siano stati indebitamente addebitati dall’intermediario (esperendo così un’azione di ripetizione dell’indebito). Al riguardo, e pur in presenza di opinioni discordanti113, le più recenti posizioni giurisprudenziali sono nel senso di riconoscere l’esperibilità di detta azione di ripetizione solo una volta estinto il rapporto114, e solo dopo che il correntista abbia provveduto a pagare il saldo finale del conto. Ciò, sul presupposto che solo dopo la chiusura del rapporto sarebbe configurabile un versamento qualificabile come pagamento, e come tale suscettibile di ripetizione; per contro, prima di allora, e fintanto che perdura il rapporto, potrebbe discorrersi solo di mere annotazioni contabili a debito del cliente (e di corrispondenti variazioni del saldo, creditore o debitore). In altri termini, secondo detta impostazione, solo una volta estinto il rapporto potrebbe ravvisarsi un vero e proprio spostamento patrimoniale dal cliente/correntista (solvens) in favore della banca (accipiens), al cui patrimonio i relativi importi resterebbero così acquisiti in via definitiva: coerentemente, solo in tale ipotesi il correntista sarebbe pertanto legittimato a reclamare la restituzione delle somme in questione, in thesi corrispondenti a oneri e commissioni illegittimamente addebitate, esercitando l’azione ex art. 2033 c.c.. Di converso, nel corso del rapporto-, non essendo configurabile alcun pagamento in senso stretto- il correntista potrebbe esperire esclusivamente un’azione di rettifica del saldo negativo (riconducibile al genus delle azioni di mero accertamento), tesa, in particolare, a eliminare le annotazioni (a debito) eventuamente effettuate in dipendenza di un titolo illegittimo e dunque invalido.

L’impostazione ora delineata è stata di recente esposta in una sentenza della Cassazione115, ove la Suprema Corte ha ripreso una linea argomentativa già utilizzata in tema di (individuazione del dies a quo della) prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito, trasponendola sul piano (sostanziale) dell’individuazione dell’oggetto della medesima azione. Al riguardo, la Corte ha peraltro introdotto una fondamentale distinzione, a seconda cioè che il versamento sia stato operato dal correntista in un conto corrente con saldo passivo ma entro il limite dell’affidamento, ovvero su un conto scoperto (i.e., privo di affidamento o con saldo negativo superiore al limite affidato). Se nella prima ipotesi il versamento avrebbe carattere meramente ripristinatorio, rimanendo pertanto fermo il ragionamento sin qui esposto, nella seconda ipotesi sarebbe configurabile invece un vero e proprio spostamento patrimoniale a carattere solutorio (qualificabile cioè come pagamento in senso stretto), rispetto al quale il correntista, dunque, ben potrebbe avanzare una pretesa restitutoria, senza dover attendere la chiusura del conto -ove l’importo risultasse addebitato sulla base di un titolo invalido.

 

1 Il testo costituisce rielaborazione della relazione presentata al convegno Gli orientamenti dell’Arbitro bancario e finanziario in materia di contratti bancari, Paradigma, Milano, 3-4 ottobre 2013.

2 Osserva come in concreto i “prodotti bancari” offerti sul mercato dalle imprese bancarie siano “costituiti da contratti”, A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Zanichelli, 2013, 7.

3 V. M. Rubino de Ritis, La cointestazione del conto corrente bancario nell’interesse di uno solo dei contitolari in Banca borsa tit. cred. 2011, 4, 469; F. Giorgianni – C.M. Tardivo, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, Giuffrè, 2009, 434; G. Cavalli, Conto corrente. II) Conto corrente bancario, Enc. giur. Treccani, III, Roma 1988; A. Rosa, Il conto corrente bancario, in I contratti per l’impresa. II, a cura di Gitti-Maugeri-Notari, Il Mulino 2012, 121ss.. V., recentemente v. Trib. Teramo, 20 giugno 2011 in www.ilcaso.it, che ha precisato come “il rapporto di conto corrente, pur articolandosi in una pluralità di atti esecutivi, si configura come un rapporto unico ed unitario, così sì che è solo con la sua chiusura che crediti e debiti delle parti assumono natura definitiva”.

4 G. Cavalli, cit., 3 ss; F. Giorgianni – C.M. Tardivo, cit., 434.

5 G. Cavalli, Conto corrente di corrispondenza, in Cavalli – Callegari, Lezione sui contratti bancari, Bologna 2011, 81. Parla di “presupposto…tecnico- economico” della maggioranza dei rapporti bancari P. Ferro Luzzi, Lezioni di diritto bancario, Torino 2004, I, 201 ss.; M. Rubino de Ritis, op. ult. cit.; M. Porzio, Il conto corrente bancario, in I contratti delle banche a cura di Angelici-Belli-Greco-Porzio-Rispoli Farina, Utet, 2002, 235.

6 La sua strumentalità rispetto all’efficiente svolgimento dell’attività bancaria, la sua utilità per la regolare esecuzione dei “pagamenti” nei rapporti banca – cliente (grazie al ricorso alla moneta scritturale), lo status di banca necessariamente posseduto da una delle parti hanno indotto a considerare il prodotto come “contratto bancario per eccellenza”: C. Silvetti, Il Conto corrente bancario, in La banca: l’impresa e i contratti- Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, VI, Cedam, 2001, 477; A. Rosa, cit., 122 ss. Considera il conto corrente bancario come contratto “di servizio” volto a regolare i rapporti di debito- credito tra banca e cliente tramite un sistema di registrazioni contabili, B. Libonati, Contratto bancario e attività bancaria, Milano 1966.

7 Come noto, proprio la circostanza che il correntista possa disporre in qualsiasi momento delle somme annotate a suo credito caratterizza e distingue il conto corrente bancario dal conto corrente ordinario.

8 V. Disposizioni della Banca d’Italia sulla Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti -29 luglio 2009 (le Disposizioni), da ultimo modificate con provv. della Banca d’Italia del 20.6.2012 di recepimento della direttiva sugli IMEL (2009/110/CE).

9 L’ABF (Coll. Milano 30 maggio 2011 n. 1119) ha precisato che l’informazione deve essere “adeguata, e quindi particolarmente approfondita e qualificata, tale da fornire un quadro chiaro ed esauriente del contenuto e delle conseguenze del contratto che il consumatore si appresta a stipulare, tenendo anche conto del grado di avvedutezza di cui questo può godere”.

10 Ai sensi delle Disposizioni (Sez. I § 1.2), la trasparenza in favore dei clienti si articola nei seguenti momenti: (i) pubblicità su tassi, prezzi e altre condizioni contrattuali praticate e sui principali strumenti di tutela previsti in favore dei clienti; (ii) puntuali requisiti di forma e contenuto minimo dei contratti; (iii) forme di tutela in caso di variazione delle condizioni contrattuali, nonchè comunicazioni periodiche volte a informare il cliente sull’andamento del rapporto; (iv) regole particolari nel caso di impiego di tecniche di comunicazione a distanza; (v) requisiti organizzativi volti a presidiare i rischi legali e reputazionali degli intermediari mediante il mantenimento di rapporti trasparenti e corretti con i clienti.

11 Inter alia, Coll. Milano 30 maggio 2011 n. 1119, per cui la trasparenza costituisce “uno dei cardini della normativa, perché solo il consumatore debitamente informato potrà effettuare scelte consapevoli”: ciò che assicura “un’effettiva concorrenza nel mercato, destinata ad avvantaggiare in primis proprio i consumatori”. In corso di rapporto, l’informazione consente inoltre al cliente di verificare la correttezza degli addebiti e in genere dell’operato della banca (Coll. Milano 28 febbraio 2012 n. 587).

12 Nella specie, risultano fortemente incisivi i poteri normativi della Banca d’Italia, che non solo disciplinano in dettaglio obblighi e adempimenti a cui le parti (e in particolare la banca) sono tenute, ma giungono fino a tipizzare il contenuto (minimo) del contratto, come nel caso del “conto corrente semplice” (contratto “disegnato sulle esigenze di base dei consumatori e [che] consente di usufruire, verso il pagamento di un canone annuo fisso, di un contratto di conto corrente che prevede un numero determinato di operazioni (..) e di servizi: v. le Disposizioni, Sez. II, § 4). Sul tema, A. Mirone, L’evoluzione della disciplina della trasparenza bancaria in tempo di crisi: istruzioni di vigilanza, credito al consumo, commissioni di massimo scoperto, in Banca Borsa Tit. credito 2010, I, 557ss .

13 Le Disposizioni individuano gli strumenti di pubblicità nei: (i) documenti illustrativi dei principali diritti del cliente; (ii) foglio informativo contenente informazioni sull’intermediario, sulle condizioni e sulle caratteristiche dell’operazione o servizio; (iii) foglio comparativo dei mutui offerti; (iv) copia del contratto, da consegnare al cliente che la richieda prima della conclusione; (v) documento di sintesi. L’ABF (Coll. Roma, 14 febbraio 2013 n. 895) ha peraltro evidenziato come la pubblicità delle condizioni contrattuali offerte “pur non costituendo un offerta al pubblico ai sensi dell’art.1336 c.c. (v. Disposizioni, Sez. II, par.1), determina tuttavia l’obbligo dell’intermediario di attenersi alle condizioni pubblicizzate nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza che devono connotare le relazioni con la clientela”.

14 Da liquidare equitativamente ex art. 1226 c.c.. V. Coll. Roma, 27 marzo 2013 n. 1668, che in un caso analogo ha equitativamente quantificato il danno patrimoniale da “perdita di tempo libero” nell’importo di € 500,00 in favore del cliente.

15 Coll. Roma, 3 settembre 2012 n. 2839. Quanto ai danni non patrimoniali, la loro risarcibilità, secondo un indirizzo consolidato, è ammessa solo ove il cliente fornisca una specifica evidenza probatoria della “lesione di diritti inviolabili della persona”, costituendo un “danno conseguenza che deve essere allegato e provato” (v. Cass. SS.UU, n. 26972/2008; Cass. n. 8827 e 8828/2003; 16004/2003)

16 V. Coll. Milano 9 marzo 2012 n. 711 che, in un caso in cui né il cliente né la banca avevano prodotto alcun documento recante il contenuto del rapporto e sottoscritto da entrambi, limitandosi, la banca, a produrre le sole comunicazioni periodiche asseritamente inviate al cliente e il documento sul trattamento dei dati personali, ha ritenuto non provata la circostanza che gli oneri addebitati (e dal cliente contestati) fossero stati pattuiti per iscritto ex art. 117 co. I e IV TUB (precisando che era onere dell’intermediario fornirne la prova). L’inidoneità delle comunicazioni periodiche a surrogare il requisito di forma scritta è stata recentemente sottolineata anche da Trib. Teramo 20 giugno 2011 cit., per cui “L’invalidità derivante dalla mancata pattuizione scritta del tasso di interesse ultra legale non può essere sanata dalle comunicazioni inviate al correntista e relative alle variazioni della misura del tasso applicato”.

17 A tale norma accede la disciplina secondaria della Banca d’Italia (Nuove Disposizioni di Trasparenza, Sez. IV, § 4), che dispone che «Gli intermediari indicano al cliente, al momento della richiesta, il presumibile importo delle relative spese». Ritiene che la norma evochi “una sorta di ordine di esibizione stragiudiziale”, precisando peraltro che il cliente nemmeno ha bisogno “di titolare” la propria richiesta”– salvo solo il limite dell’abuso-, Dolmetta, cit., 108.

18 Coll. Roma 1 giugno 2012 n. 1813. Coll. Roma 21 febbraio 2013 n. 927, che ha ribadito che “la trasparenza e il diritto del cliente a ottenere copia della documentazione inerente i rapporti contrattuali in essere costituiscano principi cardine nel rapporto con la clientela”.

19 Così Coll. Roma 2 agosto 2013 n. 4219; Coll. Roma 25 luglio 2013 n. 4043, che ha ritenuto non conforme a diligenza e buona fede la condotta della banca che, a fronte delle specifiche richieste dell’erede del correntista, si era limitata a enunciare “concisamente” l’esistenza di alcuni conti intestati a quest’ultimo, fornendo notizie aggiuntive sull’esistenza di altri rapporti solo dopo ulteriori sollecitazioni (mentre il principio di buona fede “avrebbe dovuto indurla a cooperare con la massima trasparenza con il successore del cliente”); anche Coll. Napoli 6 luglio 2012 n. 2316.

20 Coll. Napoli 7 dicembre 2012 n. 4174, che ha censurato la condotta della banca che aveva corrisposto alle richieste del cliente solo dopo la proposizione di un ricorso al Garante della Privacy (e dopo la relativa pronuncia), oltre i termini normativamente previsti.

21 Coll. Roma 4043/2013 cit., per cui viola lo spirito della norma l’intermediario che si limiti a manifestare una generica disponibilità a rendere i documenti richiesti “secondo regole da concordare”. L’ABF ha peraltro precisato che anche ove il contratto preveda che le comunicazioni siano rese solo via internet, con rinuncia del cliente all’invio di documenti cartacei, trovano comunque applicazione i principi in tema di atti recettizi (artt. 1334 e 1335 c.c.) e pertanto, in caso di contestazione circa l’invio dei dati richiesti, “spetterà alla banca dimostrare di aver assolto secondo le modalità concordate, l’obbligo di comunicazione ad essa imposto” (Coll. Roma 927/2013 cit.).

22 Coll. Milano 8 gennaio 2013 n. 84, per cui “L’obbligo di esibizione posto dalla legge in capo alla banca non è soddisfatto dalla prova presuntiva di conoscenza del rapporto in corso da parte del cliente”; Id. 18 e 21 gennaio 2013 nn. 388 e 428. Nè l’accesso può essere negato invocando il c.d. segreto bancario o altre esigenze di tutela della riservatezza di terzi, dovendo le banche contemperare tali esigenze, pur meritevoli di tutela, con i diritti informativi del richiedente. L’ABF ha così raccomandato alle banche di accogliere le richieste dei clienti se non vi si oppongano specifiche ragioni (di riservatezza) meritevoli di tutela ritenute prevalenti: ciò, peraltro, anche ove l’istanza riguardi un documento non propriamente definibile come oggetto di accesso ex art. 119 TUB (come nel caso della perizia immobiliare commissionata dalla banca per valutare una richiesta di mutuo: Coll. Milano 6 maggio 2013 n. 2480).

23 La necessità che il ricorrente provi sia il danno sia il nesso causale tra esso e la condotta della banca (che abbia tardato o mancato di rendere al cliente i documenti richiesti) risponde, del resto, ai generali principi in tema di risarcimento,“non essendo configurabile un pregiudizio in re ipsa derivante dall’accertato ritardo” (Coll. Napoli n. 4174/2012 cit.; n. 470/2011).

24 Cfr. Coll. Roma n. 4043/2013 cit., che, rilevando come il cliente avesse dovuto “impiegare per alcuni anni il suo tempo libero per effettuare ricerche documentali, contattare la banca, anche recandosi personalmente nell’agenzia (..), rivolgersi a un avvocato per tutelare i [propri] diritti, affrontando le relative spese”, ha equitativamente liquidato in € 1.500 i danni patrimoniali in suo favore, ordinando inoltre alla banca di fornire un resoconto completo dei rapporti intestati al de cuius alla data del decesso e di consegnarne la documentazione. Coll. Roma 2 agosto 2013 n. 4219, che, in un caso in cui erano trascorsi più di sette mesi dalla richiesta, ha condannato la banca a risarcire i danni -per perdita di tempo libero-. Né, per giustificare l’operato della banca, è stata ritenuta rilevante la liberatoria eventualmente sottoscritta dal cliente in sede di chiusura del conto, poichè tale documento rileva come mera quietanza a saldo, come tale privo di valenza negoziale e “non implicante alcuna volontà di abdicare o transigere su propri diritti”.

25 La richiesta del cliente può riguardare sia documenti specifici, sia la documentazione relativa a date operazioni, sia infine la consegna di una nuova copia del contratto (Dolmetta, cit. 108).

26 Coll. Roma 2 agosto 2013 n. 4219. Anche Cass. 12 maggio 2006, n. 11004.

27 Coll. Napoli 12 maggio 2011 n. 998. Si è poi affermato che ove sia “divenuto definitivamente impossibile l’adempimento dell’obbligo di consegna per smarrimento del documento [richiesto], a favore del cliente residua … il diritto ad agire per il risarcimento danni, nonché a far valere la nullità dei contratti in questione” (Coll. Milano 388/2013 cit.).

28 Art. 9, co. III, d. lgs. n. 196 del 2003.

29 Coll. Milano 14 gennaio 2011 n. 62.

30 Pertanto, ove il cliente intenda – almeno prioritariamente- acquisire informazioni circa il rapporto o specifiche operazioni, e non anche ottenere copia della relativa documentazione (ad es. riservandosi di farne richiesta all’esito di tale accesso preventivo), l’istanza dovrà inquadrarsi nell’alveo della disciplina del Codice della Privacy (artt. 7 e 9) e il corrispondente diritto sarà perciò esercitabile gratuitamente (Coll. Roma 2 agosto 2013 n. 4219). Ulteriormente, trattandosi di discipline distinte, il limite decennale opera solo per la richiesta di documentazione bancaria ex art. 119, co. 4 TUB, e non anche per il diritto di accesso (ai dati personali bancari) di cui al Codice della Privacy, che non soggiace ai limiti posti dal TUB: cfr. Garante privacy, provv. 7.12.2006, n. 1370751.

31 Quanto all’oggetto del diritto de quo, le citate Linee Guida precisano che la banca è tenuta a comunicare ai soggetti indicati dalla legge dati inerenti la consistenza patrimoniale, le movimentazioni bancarie, i saldi riferiti ai depositi al portatore, pur se estinti da terzi successivamente al decesso, nonché la data in cui è stata disposta l’estinzione del conto (del de cuius) o il trasferimento del saldo

32 Coll. Napoli 12 maggio 2011 n. 998.

33 Coll. Napoli 4 aprile 2012 n. 1010.

34 Coll. Napoli 4 aprile 2012 n. 1010

35 Coll. Napoli 4 aprile 2012 n. 1010.

36 In questo tipo di società, la soggettività giuridica e l’unificazione del gruppo dei soci in un’organizzazione comune riveste infatti una funzione eminentemente strumentale -che consente ai soci unità d’azione, ma- che però, sul piano sostanziale, non vale a configurare, nei rapporti interni, una volontà o un interesse della società distinto rispetto a quello dei soci: v. Cass. 5 aprile 2006 n. 7886; Cass. 27 maggio 2003 n. 8399.

37 Coll. Roma 12 novembre 2012 n. 3793.

38 Coll. Milano 25 luglio 2012 n. 2552.

39 Coll. Napoli 7 dicembre 2012 n. 4174.

40 Coll. Roma 1 marzo 2012 n. 635.

41 Coll. Roma 1 marzo 2012 n. 635; Coll. Milano 12 giugno 2013 n. 3154. Coll. Roma 9 luglio 2010 n. 706.

42 In tema, cfr. M. Rubino de Ritis, La cointestazione del conto corrente bancario, Torino, 2008 e in La cointestazione del conto corrente bancario nell’interesse di uno solo dei contitolari in Banca borsa tit. cred. 2011, 4, 469. E. Sparano, Il conto bancario cointestato, in Banca Borsa e Titoli di credito 1996, I, 87.

43 Ai sensi della disposizione citata, “Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto”.

44 V. anche F. Giorgianni- C.M. Tardivo, cit., 441.

45 E. Sparano, cit.- che richiama, inter alia, la Relazione Ministeriale n. 743 che appunto evidenzia come presupposto della disciplina sia “l’unità del conto”-; Coll. Napoli, 30 dicembre 2010 n. 1598.

46 Dalla generale presunzione di solidarietà tra condebitori, deriva, dunque, che anche quando il potere di operare è congiunto, la banca può chiedere il pagamento del saldo del conto a ciascun contitolare.

47 E. Sparano, cit., rileva come la regola della solidarietà si spieghi “logicamente (..) in base all’unità del conto” e come essa risulti “praticamente vantaggiosa”, semplificando le liquidazioni, sia nell’interesse dei correntisti- in caso di saldo attivo-, sia nell’interesse della banca- in caso di saldo passivo. M. Rubino de Ritis, op. ult. cit. Per la banca, d’altronde, proprio in ragione della solidarietà passiva, la cointestazione rappresenta un vantaggio, specie se il contratto prevede che le comunicazioni possano essere effettuate ad uno solo dei contitolari- ad es. in sede di ius variandi ex art. 118 TUB.

48 Secondo la giurisprudenza costante, la cointestazione fa “presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto, salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione medesima” (Cass., 8 settembre 2006, n. 19305).

49 Coll. Roma 7 febbraio 2012 n. 498.

50 Coll. Milano 15 aprile 2013 n. 1993, che, richiamando Cass. n. 4496/2010,, ribadisce come “la cointestazione vale a rendere solidale il credito o il debito anche se il denaro sia immesso sul conto da uno solo dei cointestatari o da un terzo a favore dell’uno, dell’altro o di entrambi”, con la conseguenza che per effetto di tale solidarietà attiva, “il saldo rientra nella disponibilità di tutti i contestatari”.

51 Coll. Milano 4 novembre 2011, secondo cui ove i clienti abbiano optato per il regime a firma congiunta “è sicuramente illegittima la condotta dell’intermediario che abbia dato corso ad una serie di addebiti RID in conto corrente sulla base di un’autorizzazione sottoscritta da uno solo dei cointestatari.. dal momento che costui, in quanto tale, non avrebbe potuto efficacemente autorizzare alcunché se non con il concorso della volontà dell’altro cointestatario”.

52 Coll. Milano 19 aprile 2012 n. 1239.

53 Coll. Milano 18 aprile 2012 n. 1209.

54 In senso contrario, si è invero sostenuto che (stante l’unicità del rapporto) anche il recesso richiederebbe il consenso unanime dei cointestatari: a tale tesi si è però obiettato che il diritto di recesso del singolo intestatario “è principio cardine del conto corrente… che non può subire limitazioni neppure nel conto a più firme congiunte” (già Valente, Intorno alla estinzione del conto corrente bancario a più firme disgiunte, in Giust. civ., 1986, II, 73). Per il rilievo secondo cui il recesso del singolo “non può [comunque] ledere la posizione degli altri cointestatari del conto”, E. Sparano, cit..

55 Coll. Roma 17 febbraio 2012 n. 498.

56 Coll. Roma 17 febbraio 2012 n. 498 .

57 V. M. Rubino de Ritis, La cointestazione cit., 469.

58 M. Rubino de Ritis, op. loc. cit., per cui la cointestazione è spesso utilizzata in luogo della rappresentanza, per consentire il compimento di operazioni da parte di uno degli intestatari “sempre e solo nell’interesse dell’altro, al quale attribuire l’intero saldo di conto”.

59 Coll. Roma 23 aprile 2012 n. 1271; Coll. Roma, 22 luglio 2010 n.777, secondo cui, anche in mancanza di una prova specifica del danno concretamente sofferto, esso potrà liquidarsi in via equitativa, in base a indici oggettivi- nella specie avendo riguardo ad es. alle spese presumibilmente sostenute e al tempo impiegato dal il danneggiato per ovviare all’assenza di informazione.

60 Cass. 5 dicembre 2008, n. 28839; Cass. 10 ottobre 2007, n. 21231; Cass., 8 settembre 2006, n. 19305.

61 Cfr. Coll. Napoli 13 dicembre 2012 n. 4232, secondo cui “una volta rifluite le rimesse sul conto corrente cointestato, si produce la piena confusione del patrimonio di entrambi i contestatari senza possibilità di distinguere, da parte del terzo debitor debitoris, il patrimonio personale di ciascuno dei cointestatari, neppure per quote ideali”.

62 Coll. Milano 16 marzo 2012 n. 799.

63 Coll. Napoli 13 dicembre 2012 n. 4232, per cui “Non appare ragionevole imputare all’iniziativa dell’intermediario la soluzione dei problemi connessi la soluzione dei problemi connessi ai diritti dei cointestatari, che invece vanno affrontati nel corso dell’udienza di cui agli artt. 547 e 548 c.p.c.”, precisando che il cointestatario leso nel suo diritto “potrà tutelare le sue ragioni proponendo opposizione di terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c. o agendo contro l’assegnatario, quando non avvisato ai sensi dell’art. 180 disp. att. c.p.c., per la ripetizione delle somme riscosse in eccesso”. Anche Cass. 9 ottobre 1998, n. 10028.

64 Coll. Roma 8 aprile 2013 n. 1872, secondo cui, in caso di morte di un contitolare, il rapporto continua con l’erede, salvo il diritto di recesso (connaturato ai contratti di conto corrente, di regola a tempo indeterminato).

65 Coll. Milano 7 gennaio 2011n. 9; Coll. Roma 27 marzo 2013n. 1673 e n. 184 del 11 gennaio 2013.

66 Coll. Napoli 28 maggio 2012 n. 1731; Coll. Napoli 12 novembre 2012 n. 3759; Coll. Milano 12 novembre 2012 n. 3741 che ha censurato la condotta della banca che aveva determinato una “situazione di indisponibilità del conto corrente” a seguito del decesso di uno dei cointestatari, osservando che non vi è differenza “tra un mero blocco, da ritenersi illegittimo, ed il c.d. “blocco cautelativo” ossia “di monitoraggio”, così come definito dall’intermediario e di cui lo stesso riferi[va] aver realizzato al fine di non depauperare l’importo di pertinenza dell’eredità e di poter adempiere alle normative fiscali di riferimento” .

67 Coll. Napoli 28 novembre 2012 n. 4004.

68 Coll. Milano 21 dicembre 2011 n. 2805.

69 Co sì v. anche E. Sparano, cit., richiamando l’unicità del contratto di conto corrente, che permane unitario anche se cointestato. La modificabilità della facoltà di firma (congiunta o disgiunta) solo in presenza di conformi istruzioni impartite da tutti i cointestatari era peraltro espressamente prevista dall’art. 13 delle n.u.b.

70 Coll. Napoli 4 marzo 2011 n. 515.

71 Anche se l’operazione è stata autorizzata e si tratta di operazione disposta su iniziativa del beneficiario, il pagatore può ottenere il rimborso dell’importo trasferito se la sua autorizzazione era incompleta – in quanto non specificava l’importo da trasferire- o l’operazione non risulta conforme a tale autorizzazione, essendo l’importo addebitato incongruo e superiore rispetto a quello che il pagatore avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi, considerato il suo modello di spesa e altre circostanze (artt. 11 e 13).

72 Coll. Milano 6 luglio 2012 n. 2336.

73 Coll. Milano 26 gennaio 2011 n. 186; Coll. Milano 15 giugno 2012 n. 2040.

74 Anche Coll. Roma 29 luglio 2011 n. 1679 che, in un caso di ritardata esecuzione dell’ordine di pagamento impartito dal cliente con modulo F24, ha osservato “come i confini della responsabilità della banca resistente siano da individuarsi nei costi subiti dal Cliente per il ritardo – e dunque gli interessi e le eventuali sanzioni – e non certo nell’importo dell’imposta, importo che – e in ogni caso – avrebbe inciso sul patrimonio del Cliente ricorrente”.

75 Coll. Milano 16 novembre 2012 n. 3820.

76 Coll. Milano 21 marzo 2012 n. 826.

77 V. V. Sangiovanni, Bancomat, carte di credito e responsabilita` civile nella giurisprudenza dell’ABF, in Responsabilita` Civile 10/2012, 702.

78 Coll. Napoli 15 novembre 2010 n. 1314 .

79 Coll. Milano 25 luglio 2012 n. 2563.

80 Coll. Roma 26 aprile 2011 n. 862; Coll. Roma 2 dicembre 2011 n. 2648 e n. 877 del 9 settembre 2010. In giurisprudenza Cass. 2 agosto 2004, n. 16513 parla di “presunzione semplice” a favore dell’imprenditore; Cass. 7 febbraio 2001, n. 1715. Si è altresì invocato l’art. 2712 c.c. in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche, il cui disconoscimento ne pregiudica o comunque riduce il valore di piena prova dei fatti rappresentati: così si è riconosciuto che i dati forniti da un sistema computerizzato di rilevazione e documentazione possono costituire prova del fatto contestato ex art. 2712 c.c., solo se ne sia accertata la funzionalità e le risultanze non siano contestate (Cass. 6 settembre 2001, n. 11445).

81 Coll. Roma, 9 settembre 2010 n. 877; Coll. Roma 10 settembre 2010 n. 923.

82 Coll. Roma 2 dicembre 2011, n. 2648.

83 Coll. Milano 25 marzo 2010 n. 155.

84 Coll. Napoli n. 735/2010; Coll. Milano nn. 1267/2011 e 555/2011.

85 Coll. Roma 24 aprile 2012 n. 1310.

86 Ai sensi dell’art. 1855 c.c., «se l’operazione regolata in conto corrente è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dandone preavviso nel termine stabilito dagli usi o, in mancanza, entro quindici giorni».

87 Coll. Milano, 24 ottobre 2012, n. 374; 2 marzo 2012 n. 646.

88 Coll. Roma 22 aprile 2011 n. 825.

89 Coll. Milano n. 3472 del 24 ottobre 2012.

90 Coll. Roma 22 aprile 2011n. 841.

91 Coll. Milano 24 ottobre 2012 n. 3472 .

92 Coll. Milano 1 aprile 2011 n. 659.

93 Coll. Milano 16 giugno 2011 n. 1267.

94 Cass. 20 agosto 2009, n. 18548 e Cass. 22 marzo 2010, n. 6898; Cass. 19 settembre 2009, n. 20106.

95 Cass. 10 febbraio 2005, 2719; Cass. 29 febbraio 2008, n.5733; Cass. 14 ottobre 2009, n. 21816.

96 Coll. Milano 6 luglio 2012 n. 2357, che in un caso simile, e tenuto conto del peculiare pregiudizio arrecato al correntista- imprenditore e alla continuità della sua attività imprenditoriale ha quantificato equitativamente -in € 10.000,00- il risarcimento dovuto dalla banca per il recesso brutale dal conto.

97 Coll. Milano 30 novembre 2011 n. 2603.

98 Come correttamente osservato (v. V. Sangiovanni, Contratto di apertura di credito, calcolo del tasso effettivo globale medio e usura civilistica in Il corriere del merito 2/2013, 152), il corrispettivo dell’attività bancaria non si esaurisce nei soli interessi, consistendo anche di “commissioni, da intendersi come oneri che la banca applica per la concessione di un servizio – ulteriore rispetto al finanziamento – al proprio cliente”.

99 Il legislatore è infatti intervenuto più volte in materia, prima con l’art. 2-bis, d.l. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2), successivamente con il c.d. decreto “Salva Italia” (d.l. 6 dicembre 2011, n. 201), che ha introdotto l’art. 117-bis nel TUB.

100 Oltre che oggetto di critiche anche da parte delle Autorità di Controllo (v. AGCM, 23 dicembre 2008, n. 13952, Banca MPS – Commissioni di massimo scoperto, in Boll. 49/2008). In dottrina v. A. Dolmetta, Alcuni temi recenti sulla ‘‘commissione di massimo scoperto’’, in Banca borsa tit. cred., 2010, I, 166 ss.; A. Antonucci, La commissione di massimo scoperto fra usura, trasparenza e parziale divieto, in Nuova giur.civ. comm., 2009, II, 319 ss.; V. Farina, Gli interessi “uso piazza”, l’anatocismo e la commissione di massimo scoperto, in AA.VV., Squilibrio e usura neicontratti, a cura di G. Vettori, Padova, 2002, 428; recentemente V. Sangiovanni, cit.

101 Cass. 6 agosto 2002 n. 11772. Anche, T. Verona, 21 settembre 2007, in Corr. Mer. 2008, 351 ss., che osserva come si tratti di commissione volta e remunerare un servizio reso dalla banca in favore del cliente, consistente nella messa a disposizione di un importo astrattamente corrispondente al massimo dell’affidamento pattuito (indipendentemente dal fatto che il cliente in concreto utilizzi detto importo).

102 In termini analoghi, B. Inzitari – P. Dagna, Commissioni e spese nei contratti bancari, Padova, 2010, 7. Considera la cms come un accessorio dell’interesse a fronte dell’effettivo utilizzo della somma messa a disposizione dalla banca, B. Inzitari, Diversa funzione della chiusura nel conto ordinario e in quello bancario. Anatocismo e commissione di massimo scoperto, in B. Borsa, tit. cred., 2003, II, 47; anche A.A. Dolmetta- G. Mucciarone, Sulla “commissione di massimo scoperto, in I contratti, 2001, 377; V. Sangiovanni, cit., 152. Le Istruzioni della Banca d’Italia del 2006 definivano peraltro la cms come “il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dall’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione dell’utilizzo dello scoperto del conto”, precisando come detto compenso dovesse calcolarsi “in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento” (remunerando in definitiva l’effettivo utilizzo dell’accordato).

103 Cfr. Del. CICR n. 644 del 30 giugno 2012, recante la Disciplina della remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti in attuazione dell’art. 117-bis TUB, pubblicato il 5.7.2012 sul sito www.bancaditalia.it.

104 V. Paolo Ferro-Luzzi e Gustavo Olivieri, in Le (nuove?) commissioni bancarie (prime riflessioni in margine alla delibera CICR n. 644/2012) Postilla in Banca borsa tit. cred. 2013, 01, 34.

105 V. Coll, Roma 14.1.2011 n. 108, che ha dichiarato nulla (ex art. 2 bis, co. I L. 185/2008) una clausola denominata “Mancafondi”, diversa dalla cms normativamente prevista. Anche Coll. Roma, nn. 108, 264 e 786 del 2011, per cui sono appunto inammissibili commissioni o oneri, diversi dalla cms, e pur addebitati al clientea fronte di sconfinamenti o in assenza di fido.

106 V. Coll. Roma 7 gennaio 2011 n.264, che ha dichiarato illegittima la “Spesa giornaliera per utilizzo oltre fido o in assenza di fido”, dunque calcolata in relazione ai singoli giorni di sconfino- riconoscendo invece la legittimità dell’applicazione degli interessi sulle somme utilizzate. Anche Coll. Milano, n. 393/2010 e 1012/2010.

107 Coll. Milano 1212/2012.

108 Coll. Milano 9 marzo 2012 n. 711.

109 Coll. Napoli 18 aprile 2012 n. 1212; e 17 febbraio 2012 n. 474 anche Coll. Roma 14 ottobre 2011.

110 Coll. Roma 2 agosto 2013 n. 4239, secondo cui lo “ius variandi può essere esercitato dalla banca per adeguare le commissioni di massimo scoperto già contrattualmente pattuite alla disciplina giuridica [novellata].., ma non per introdurre nel contratto clausole nuove di remunerazione dell’affidamento, senza che nel contratto stipulato tra le parti contraenti fosse originariamente prevista alcuna commissione di massimo scoperto (ex multis, decisioni ABF, Collegio di Roma, n. 1446 del 2013 e n. 2165 del 2011)”.

111 Coll. Roma 21 febbraio 2012 n. 559.

112 Trib. Gallarate, 9 dicembre 2009 Foro It., 2010, 2, 1, 672.

113 V. Ferro- Luzzi, Lezioni di diritto bancario, Giappichelli, 2004, 240 ss, che qualifica come pagamento ripetibile l’annotazione a debito su un conto corrente bancario. Contra, nel senso che un pagamento, da parte del correntista, sarebbe configurabile solo dopo la chiusura del conto, e una volta che questi abbia estinto il saldo passivo verso la banca, Colombo, «Anatocismo», in Enc. giur. Treccani, II, Ed. Enc. it., Agg., 2005, 4. Ritiene esperibile l’azione di ripetizione dell’indebito dal momento dell’estratto conto successivo al pagamento indebito, Dolmetta, Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 78/2012, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, 436. Per la tesi secondo cui il rimedio a favore del correntista risiederebbe non nell’azione ex art. 2033 c.c., ma in quella di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., con dies a quo della prescrizione dalla data di ciascuna annotazione, Pisani, Anatocismo bancario ed ingiustificato arricchimento, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di Vettori, Cedam, 2002, 537 ss…

114 Cass., SS.UU., 2 dicembre 2010, n. 24418, in D&G, 2010, richiamando la distinzione tra «atti ripristinatori della provvista» ed «atti di pagamento» elaborata in tema di azione revocatoria fallimentare.

115 Cass. civ., III sez., 15 gennaio 2013, n. 798.

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