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Giurisprudenza

I finanziamenti soci si presumono fruttiferi salvo prova contraria

4 Giugno 2018

Matteo Porqueddu, Studio Tremonti Romagnoli Piccardi e Associati

Cassazione Civile, Sez. V, 16 febbraio 2018, n. 3819 – Pres. Virgilio, Rel. Perrino

Di cosa si parla in questo articolo

Con riferimento alle imposte sui redditi, la prova della mancata percezione di interessi attivi derivanti da finanziamenti concessi ricade sul contribuente, con la conseguenza che, in assenza di tale prova, la società che abbia ricevuto somme a titolo di finanziamento dai propri soci avrebbe l’obbligo di operare la ritenuta sugli interessi corrispettivi dovuti a questi ultimi in base alle disposizioni dettate dall’articolo 26 del D.p.R. 600/1973.

I giudici di legittimità con la Sentenza n. 3819 del 16 febbraio 2018 hanno chiarito che l’obbligo di operare e versare le ritenute sui predetti interessi attivi sussisterebbe non solo nel caso in cui il pagamento degli stessi sia effettivamente avvenuta, ma anche quando essa sia soltanto presunta.

Nel concreto, si trattava di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, in relazione all’anno d’imposta 2003, contestava nei confronti di una società di capitali che svolgeva l’attività di locazione immobiliare, l’omessa applicazione della ritenuta d’acconto sugli interessi passivi corrisposti ai propri soci in relazione ad un finanziamento da questi ricevuto.  

Mentre nel giudizio di primo grado le motivazioni della società non avevano trovato accoglimento, di contro, la Commissione Tributaria Regionale, riformando la sentenza presa dalla CTP, riteneva che, sulla specifica questione non vi fosse alcuna prova che i finanziamenti effettuati dai soci nei confronti della società fossero fruttiferi e di conseguenza che la contestazione sull’omessa applicazione della ritenuta sugli interessi fosse dunque illegittima.

L’Agenzia delle Entrate decideva di ricorrere in Corte di Cassazione contro detta pronuncia, contestando la duplice violazione sia relativa all’articolo 26, comma 5, del D.p.R. 600/1973, che prevede l’obbligo di operare una ritenuta a titolo di acconto, sugli interessi e altri proventi corrisposti sia relativa all’articolo 45 del D.p.R. 917/1986 (“Tuir”), che prevede una presunzione di fruttuosità con riferimento alle somme versate dai soci persone fisiche a titolo di finanziamento, dalle quali discenderebbe la piena legittimità del recupero delle ritenute sugli interessi, senza che gli uffici dell’Agenzia delle Entrate siano obbligati ad accertarne l’effettiva corresponsione.

Con l’ordinanza in commento, la suprema Corte, richiamando un proprio orientamento, ha statuito come le motivazioni del ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria fossero fondate. In particolare, i giudici di legittimità hanno osservato che “la dimostrazione della mancata percezione degli interessi attivi sulle somme date a mutuo incombe sul contribuente, già per il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, quale previsto dall’art. 1815 c.c., nonché in virtù della presunzione fissata dall’art. 45 comma 2 del Tuir.

Ne deriverebbe che “la società di capitali che abbia ricevuto somme di danaro a titolo di mutuo dai propri soci ha l’obbligo di effettuare la ritenuta d’acconto sugli interessi corrispettivi dovuti ai soci mutuanti (…) ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. 600/73”, non solo nel caso in cui la corresponsione di detti interessi sia effettivamente avvenuta, ma altresì “quando essa sia soltanto presunta in base alla legge”.

Per meglio comprendere il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza in commento, occorre inoltre considerare che, ai sensi dell’articolo 1815 del codice civile, “salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante…”. Quindi se da un lato la norma del codice civile prevede una presunzione legale di onerosità del contratto di mutuo, dall’altro lato in ambito tributario, l’articolo 46 del Tuir stabilisce che le somme versate alle società commerciali dai loro soci o partecipanti si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo, mentre l’articolo 45, comma 2, dello stesso Tuir precisa che per i capitali dati a mutuo gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto. In mancanza di tali pattuizioni “gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta” e al tasso legale.

Da tale ricostruzione consegue cheil finanziamento erogato da un socio si ritiene conferito a titolo di mutuo, in assenza della prova di un diverso titolo che risulti dai bilanci o rendiconti della società e che le somme erogate a titolo di mutuo si presumono fruttifere, salva la prova della gratuità del versamento (cfr. sul punto Corte di Cassazione n. 2735/2011).

Da ultimo va rilevato come secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, “In tema di imposte sui redditi, i versamenti fatti dai soci, se non formalmente deliberati in conto capitale ed infruttiferi, si presumono fruttiferi, salva la prova contraria gravante sul contribuente”, con conseguente obbligo per la società di effettuare la ritenuta d’acconto sugli interessi “indipendentemente dalla materiale erogazione degli stessi agli aventi diritto” (cfr. Corte di Cassazione, sentenze n. 15869/2009, 20035/2015).

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