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Attualità

Fintech e credito. Disintermediazione o nuova intermediazione?

19 Febbraio 2019

Fabio Cristini, Legale Ufficio Vigilanza, OAM

Come noto, con il termine Fintech si fa riferimento all’innovazione dei modelli di business, dei servizi e dei prodotti bancario-finanziari resa possibile dallo sviluppo tecnologico.

Le innovazioni investono tutti i settori dell’intermediazione lato senso finanziaria, dal credito (lending based crowdfunding o peer-to-peer lending) ai servizi di pagamento (instant payment), dalle valute virtuali fino ad arrivare ai servizi di consulenza (robo-advisor) e alle tecnologie di validazione decentrata delle transazioni (blockchain o altri sistemi di validazione a doppia chiave crittografata), per concludere con l’identificazione biometrica utilizzabile anche ai fini dell’adeguata verifica a distanza (impronta digitale, retina o riconoscimento facciale) e il supporto informatico all’utente (cloud computing e big data).

Fintech, dunque, modifica la struttura del mercato attraverso l’ingresso di start-up tecnologiche e di giganti della tecnologia quali Google, Apple, Facebook, Amazon, Alibaba che assumono sempre più il ruolo di nuovi intermediari, comportando una risposta strategica delle imprese già presenti[1].

In tale contesto evolutivo dei mercati finanziari, particolare rilevanza sta assumendo il lending based crowfunding (LBC), ossia un canale di finanziamento alternativo rispetto a quello rappresentato da banche e intermediari finanziari, grazie al quale famiglie e piccole imprese ricevono prestiti direttamente da una moltitudine di investitori – privati o istituzionali – tramite l’incontro tra domanda e offerta di credito su piattaforme on-line.

L’incontro tra domanda e offerta di finanziamenti avviene dunque tramite piattaforme informatiche che valutano il merito creditizio dei debitori e gestiscono i flussi di pagamento tra le parti prenditrici e prestatrici.

Il lending-based crowdfunding si distingue dalle altre forme di “raccolta fondi” (quali donation-based, reward based ed equity-based), poiché in questo caso finanziatori e prenditori sottoscrivono direttamente – o indirettamente tramite soggetti bancari correlati alla piattaforma – un contratto in virtù del quale i primi prestano una somma in denaro e i secondi si impegnano a restituire il capitale entro un dato lasso temporale, quasi sempre maggiorato di un tasso d’interesse.

I soggetti finanziati possono essere persone fisiche, associazioni senza scopo di lucro e piccole e medie imprese (PMI), mentre gli investitori sono privati, società che offrono servizi di gestione patrimoniale, investitori istituzionali o banche.

Le piattaforme che facilitano l’incontro tra domanda e offerta di finanziamenti possono adottare modelli di funzionamento anche molto diversi fra loro, ma la quasi totalità di esse ha in comune le seguenti caratteristiche:

  1. raccolta di domande di finanziamento provenienti da parte dei potenziali debitori che forniscono informazioni sulla loro identità e sul progetto da finanziare;
  2. selezione dei potenziali debitori sulla base del merito di credito e assegnazione di un punteggio (rating), il quale indica sinteticamente la probabilità che il prestito venga restituito;
  3. possibilità per gli investitori di finanziare anche solo una piccola quota del prestito richiesto da ciascun debitore;
  4. gestione dei flussi di pagamento tra debitori e investitori (direttamente o avvalendosi dei servizi di una società terza);
  5. utilizzo di processi ampiamente standardizzati e automatizzati e servizi per mezzo di canali digitali;
  6. commissioni per gli investitori proporzionate all’importo del debito e dell’ammontare investito.

Il prestito su piattaforma consente dunque a famiglie e imprese di ampliare le proprie fonti di finanziamento, permettendo ai prestatori di diversificare i propri investimenti.

La prima piattaforma di LBC, denominata Zopa, è stata fondata circa quindici anni fa nel Regno Unito, ispirandosi sostanzialmente al funzionamento dei mercati obbligazionari.

Da allora questo tipo di finanziamento si è diffuso in tutto il mondo. A partire dall’inizio di questo decennio, il lending crowdfunding è cresciuto soprattutto in Cina, negli USA e nel Regno Unito.

Tale tecnologia apre ad ampi spazi di collaborazione tra le banche e le piattaforme LBC: negli Stati Uniti e nel Regno Unito, in numerosi casi, gli intermediari tradizionali hanno infatti affidato, in parte o completamente, il processo di erogazione di alcuni tipi di prestiti alle piattaforme, sfruttandone la maggiore efficienza sia dal punto di vista della rapidità sia dal punto di vista della riduzione di costi.

L’operatività delle piattaforme va esaminata e distinta da quella delle banche tradizionali, anzitutto, per quanto riguarda i rapporti con i potenziali debitori.

I finanziamenti a cui questi ultimi possono accedere sono solitamente soltanto mutui a tasso fisso, di importo compreso tra mille e un due milioni di euro, che prevedono il pagamento di rate composte da una quota capitale e da una quota interessi.

La durata dei contratti varia da pochi mesi a diversi anni e nella maggior parte dei casi i prestiti non sono assistiti da garanzie, sebbene recentemente si stia diffondendo anche la possibilità di ottenere prestiti garantiti, specialmente per quanto riguarda i prestiti per l’acquisto di immobili residenziali.

Le informazioni fornite dai potenziali debitori – identità, reddito (nel caso di famiglie) o bilancio (nel caso di PMI) – sono verificate dalle piattaforme per l’assegnazione del rating.

Tali piattaforme si distinguono anche per la quantità e la qualità delle informazioni che utilizzano per la valutazione del merito di credito. La quasi totalità di esse ricorre ai dati forniti dai credit bureau che sono interrogati normalmente dalle banche per ottenere informazioni sulla situazione creditizia dei potenziali debitori.

Molte piattaforme, tuttavia, utilizzano anche dati reperibili su internet, in particolare le informazioni provenienti dai social media o quelle fornite da società di commercio on-line (ad esempio, le recensioni riguardo un ristorante o un albergo). La maggior parte delle piattaforme ammette solamente soggetti caratterizzati da un elevato merito creditizio, ma alcune stanno espandendo la propria offerta anche a soggetti marginali, cosiddetti “non bancabili”.

Le piattaforme possono avere differenti modalità di funzionamento:

  1. asta competitiva: la piattaforma o il debitore stabiliscono un tasso d’interesse di riferimento e gli investitori indicano la quota di debito che sono disposti a finanziare e il relativo tasso d’interesse in un’asta competitiva;
  2. diversificazione del rischio: la piattaforma fissa il tasso d’interesse sulla base del rating e gli investitori decidono chi finanziare e per quale importo, pur potendo gli investitori optare per una ripartizione automatica del proprio investimento. In questo caso, gli investitori indicano il profilo rischio- rendimento, la durata e l’ammontare complessivo dell’investimento, che viene suddiviso dalla piattaforma su più debitori. Questa modalità operativa è la più diffusa negli USA e nel Regno Unito, prevalente per i prestiti alle PMI;
  3. fondo di salvaguardia: gli investitori non hanno la possibilità di scegliere i soggetti da finanziare, che vengono selezionati automaticamente dalla piattaforma rispettando le indicazioni in termini di durata e profilo rischio-rendimento. Spesso, per compensare questa limitazione nella scelta dei debitori, i prestiti sono garantiti da un fondo di salvaguardia destinato a coprire eventuali perdite fino a capienza, alimentato da commissioni aggiuntive pagate dai debitori e/o dai finanziatori e gestito da una società terza. Questo modello è il più diffuso tra le piattaforme per prestiti a famiglie nel Regno Unito;
  4. modello OICR: i finanziatori acquistano quote di un fondo di investimento che a sua volta finanzia prestiti per mezzo della piattaforma. Questo è il modello più recente, adottato in Francia per i prestiti alle famiglie e nel Regno Unito, negli USA e in alcuni paesi dell’Europa continentale.

In genere nel LBC, tutti i principali rischi tipici di un contratto di debito – ossia il rischio di credito, il rischio relativo all’andamento del tasso d’interesse e il rischio di liquidità – rimangono interamente in capo ai finanziatori, non gravando, quantomeno direttamente, sulle piattaforme.

Il rischio di liquidità viene in alcuni casi mitigato offrendo agli investitori la possibilità di cedere i contratti di debito, istituendo così un mercato secondario (cessione del credito e successiva cartolarizzazione).

A tal proposito, due sono le principali modalità alternative con cui il credito è erogato:

  1. la piattaforma mette a disposizione dei soggetti coinvolti la struttura legale e operativa necessaria a sottoscrivere dei singoli contratti di debito, poi – firmati i contratti – i fondi offerti dai finanziatori, custoditi in depositi presso una banca terza, vengono messi a disposizione del debitore. Questo modello è il più diffuso in Europa e implica che i rischi sopportati dai finanziatori siano solamente quelli legati al contratto di debito;
  2. una volta raggiunto un ammontare di offerte pari a quello richiesto dal debitore, la piattaforma dà disposizione a una banca partner di erogare un prestito al richiedente di fondi. La piattaforma procede, dopo pochi giorni, all’acquisto di tale prestito, mantenendolo nel proprio bilancio. Il credito viene finanziato per mezzo dell’emissione di titoli di debito (una passività della piattaforma) il cui rendimento dipende dal pagamento delle rate da parte dei debitori. Ne consegue che i finanziatori sopportano non solo il rischio di credito dei debitori, ma anche quello di liquidità della piattaforma.

Attualmente la regolamentazione di questa nuova modalità di prestito è scarsa e disorganica, probabilmente anche in ragione della mancanza di una diffusione, quantomeno in Italia, del fenomeno su larga scala. Ad oggi, infatti, solamente pochi paesi dispongono di una regolamentazione specifica, tra questi vi sono la Francia, il Portogallo, il Regno Unito e la Spagna.

In Italia non vi è invece una normativa ad hoc.

I soggetti coinvolti nell’attività di LBC (piattaforme, finanziatori e debitori) devono tuttavia rispettare le norme che disciplinano le diverse riserve di attività (fra cui la raccolta del risparmio tra il pubblico, l’attività bancaria, l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico, la mediazione creditizia e la prestazione di servizi di pagamento)[2].

Pertanto, nel nostro Paese tutte le società che gestiscono le piattaforme di LBC sono sottoposte a un qualche genere di controllo.

Nella maggior parte dei casi esse sono però autorizzate a operare semplicemente come istituti di pagamento, al fine di garantire la netta separazione tra il patrimonio dell’azienda e quello degli investitori.

Le Autorità coinvolte dovrebbero invece essere chiamate a verificare in maniera attenta e puntuale che la crescita del LBC non avvenga concedendo la possibilità di erogare credito a debitori eccessivamente rischiosi e che gli investitori siano in grado di sostenere eventuali perdite senza rischi di contagio per il sistema finanziario.

Inoltre, le rispettive Autorità preposte a vigilare sulla correttezza e trasparenza dei rapporti con la clientela dovranno essere in grado di verificare che sia assicurata una corretta informazione.

Se presidiata, infatti, tale nuova forma di credito potrà apportare numerosi benefici.

In primo luogo, può contribuire alla riduzione del costo dell’intermediazione finanziaria; in secondo luogo, può consentire una maggiore diversificazione del portafoglio di famiglie e investitori istituzionali; infine può migliorare le condizioni finanziarie delle famiglie e delle PMI aumentando l’offerta di credito a loro diretta e permettendo di ridurne la dipendenza dal debito bancario.

Fermi i benefici indicati, occorre soffermarsi su rischi e prospettive evolutive delle piattaforme descritte.

Tra i primi vi è il rischio che la diffusione del LBC si realizzi, in larga parte, finanziando soggetti non meritevoli di ricevere un prestito, derivandone un’inefficiente allocazione del risparmio. Le piattaforme, non assumendo rischio di credito, potrebbero non avere i giusti incentivi a selezionare in modo accurato i debitori. Questo fenomeno potrebbe essere aggravato dalla necessità di aumentare rapidamente i volumi finanziati. Le piattaforme, infatti, traggono la maggior parte dei loro ricavi dalle commissioni ottenute al momento della concessione dei finanziamenti e basano la loro operatività su una tecnologia caratterizzata da elevate economie di scala.

Inoltre, i modelli di rating utilizzati dalle piattaforme oggi non sono sottoposti ad alcuna forma di validazione da parte delle Autorità di vigilanza e non sono stati collaudati per un periodo sufficientemente lungo, quindi potrebbero sottostimare il rischio di credito dei debitori.

Una scarsa qualità del credito erogato per mezzo delle piattaforme potrebbe anche assumere rilevanza per la stabilità finanziaria.

Vi sono poi rischi potenzialmente rilevanti per debitori e investitori, derivanti da una mancanza di trasparenza delle condizioni applicate, oltre alla possibile data breach concernente la riservatezza dei dati custoditi.

I rischi prospettati non saranno però sufficienti a impedire l’evolversi di LBC e delle conseguenze ad esso correlate.

Seppure risulti difficile, ad oggi, sbilanciarsi su quanto la disintermediazione del credito avrà diffusione e in quali modalità essa avverrà, resta certo che il credito on-line costituisce una reale innovazione nella misura in cui permette a famiglie e piccole aziende di ottenere prestiti senza bisogno di ricorrere agli intermediari tradizionali, con risparmio di tempi e costi e forte incentivo alla concorrenza per gli intermediari tradizionali, i quali – se vogliono sopravvivere – dovranno evolvere i propri modelli di business adattandoli alle nuove forme di erogazione del credito.

In quest’ottica, sia i finanziatori sia gli intermediari del credito, agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi, sono e saranno probabili attori, coinvolti in nuove modalità distributive e relazionali, ma pur sempre soggetti agli obblighi ed alla normativa che ne disciplina l’attività.



[1] Si veda l’indagine conoscitiva di Banca d’Italia sulla Fintech del novembre 2017.

[2] Cfr. Occasional Papers su LBC, Banca d’Italia, marzo 2017.


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