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Finanziamenti con garanzie pubbliche: dalla concessione abusiva al danno erariale

5 Settembre 2025

Sido Bonfatti, Professore Ordinario di Diritto della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo si propone di analizzare la disciplina applicabile ai finanziamenti bancari erogati in mancanza di una adeguata analisi del merito creditizio del cliente, con particolare riguardo ai finanziamenti assistiti da garanzie pubbliche “anti  covid-19”.


1. Premessa. Gli effetti della “concessione abusiva di credito” conseguente all’accertamento di una inadeguata valutazione del “merito creditiziodel soggetto finanziato. A) I profili civilistici.

Come è noto, l’attività di (raccolta di risparmio tra il pubblico e) concessione di finanziamenti ha natura di attività di impresa, come le attività economiche “di diritto comune“, ma è altresì oggetto di una disciplina speciale, che prende le mosse già in sede di avvio dell’esercizio dell’attività: esercizio che è subordinato al rilascio di una specifica autorizzazione amministrativa (della Banca d’Italia); è accompagnato da una “vigilanza” di varia natura (“informativa”; “regolamentare”; “ispettiva”), regolata da una disciplina settoriale (il Testo Unico delle Leggi in materia Bancaria e Creditizia – T.U.B. -: d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385); e può essere interrotto anche per ragioni estranee ai risultati economici conseguiti (per “crisi di legalità”, che sono rilevanti ai fini anche della revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria a prescindere dai risultati economici dell’Istituto di credito)[1].

Il carattere “speciale” dell’attività esercitata (per la gravità delle conseguenze che un esercizio scorretto può produrre), e la severità della disciplina mirante a garantirne la correttezza – marcatamente più incisiva della corrispondente disciplina dell’esercizio dell’attività d’impresa “di diritto comune”[2] -, rappresentano un limite alla iniziativa imprenditoriale che può essere sviluppata nel contesto di un Istituto di credito: un limite che è conosciuto con l’espressione “sana e prudente gestione”, e che nei rapporti con le imprese viene declinato con l’obbligo di una adeguata valutazione del “merito creditizio”.[3]

Gli effetti della violazione del principio secondo il quale l’erogazione del credito deve essere circoscritta ai soggetti ed alle fattispecie per i quali sussistano i presupposti del “merito creditizio” (sostanzialmente: l’idoneità a rimborsare regolarmente ed integralmente il finanziamento ottenuto) sono stati spesso individuati nella nullità del contratto bancario per contrarietà a norme imperative (principalmente il ricordato art. 5 T.U.B.) – quindi soggetto alla sanzione dell’art. 1418 cod. civ. -; ovvero per violazione di disposizioni attinenti all’ordine pubblico e al “buon costume” (economico).

La valutazione dell’applicabilità del primo principio (in via esclusiva), oppure del secondo (anche in combinazione con il primo) comporta importanti conseguenze: giacché nel primo caso permarrebbe comunque il diritto della banca ad ottenere il rimborso delle somme erogate, quantomeno a titolo di ripetizione di indebito (ed oltre a ciò si potrebbe affermare la permanenza delle garanzie originariamente conseguite nell’interesse del soggetto finanziato, particolarmente nelle fattispecie nelle quali la garanzia avesse assunto un contenuto omnibus); mentre nel secondo caso neppure la ripetizione di indebito sarebbe consentita, in forza di quanto disposto dall’art. 2035 cod. civ., secondo il quale “chi ha eseguito la prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buoncostume non può ripetere quanto ha pagato” – e la stessa permanenza delle garanzie eventualmente acquisite, per quanto di natura omnibus, potrebbe seriamente essere messa in discussione –[4].

Se consideriamo le fattispecie rappresentate dall’asserita violazione della norma (giudicata) imperativa concernente la necessaria osservanza della sussistenza del “merito creditizio” con riguardo alle operazioni di finanziamento assistite da garanzia pubblica (“anti-Covid19”) – che rappresenta l’argomento al quale è dedicato il presente contributo – i precedenti inclini a propendere per la tesi più severa sono stati abbastanza numerosi.[5]

Perché si produca l’effetto disposto dall’art. 2035 cod. civ. occorre anche l’accertamento della contrarietà della stipulazione del contratto al “buon costume” (economico): tenendo peraltro presente, a tale proposito, che la nozione di contratto contrario al “buon costume“ si ritiene non essere circoscritta alle fattispecie di negozi che infrangono la regola del pudore sessuale e della decenza, ma si estende anche ai contratti che urtano contro i principi e le esigenze etiche della coscienza collettiva, elevata a livello di morale sociale, in un determinato momento ed ambiente[6].

Nel contesto, che stiamo considerando, della crisi d’impresa, sono state valutate contrarie al “buon costume” (economico) anche le condotte consistenti nell’erogazione di somme di denaro in favore di imprese già in stato di decozione, con il risultato di consentire all’imprenditore di ritardare la dichiarazione di “fallimento“, incrementando le passività verso il ceto creditorio: trattasi di condotte che sono state ritenute contrarie alle regole di correttezza che dovrebbero governare le relazioni di mercato, e giudicate caratterizzate dall’approfittamento della situazione di crisi di soggetti economici in dissesto.[7]

Non sono mancate peraltro le decisioni che, anche propendendo per l’applicazione della sanzione di nullità del contratto di finanziamento stipulato senza essere preceduto da una adeguata valutazione del merito creditizio dell’impresa finanziata, hanno escluso che ciò impedisse di fare valere una pretesa restitutoria delle somme erogate[8] – e non mancano le opinioni che con specifico riguardo all’argomento che qui interessa escludono che la pur ritenuta nullità del contratto di finanziamento impedisca comunque l’accesso alla garanzia pubblica (per esempio, “anti-Covid19”) –[9]: come pure non sono mancate le decisioni che hanno distinto il profilo della validità/invalidità del contratto (ritenuto comunque valido ed efficace, con tutto ciò che ne consegue per la legittimità della pretesa restitutoria delle somme erogate e dell’azionabilità delle garanzie, private o pubbliche, che ne avessero accompagnata la concessione), dal profilo, teoricamente rappresentabile, dell’insorgenza di una obbligazione risarcitoria per gli effetti pregiudizievoli che il comportamento superficiale e non adeguatamente professionale della banca avesse provocato[10].

Anche la Corte di Cassazione è stata investita sovente della questione: e recentemente è intervenuta a precisare la ratio della portata di propri precedenti, che erano stati addotti a sostegno della tesi più severa, e che invece sono stati dichiarati estranei – anche perché non inerenti l’attività di erogazione del credito – alle valutazioni pertinenti alla espressione di un giudizio sulle conseguenze attribuibili alla “concessione abusiva di credito”, intesa come sostegno finanziario non giustificato da una adeguata valutazione del merito creditizio del soggetto favorito.

Nell’occasione la Suprema Corte[11] ha precisato che per l’affermazione della nullità del contratto di finanziamento (per contrarietà a principi di ordine pubblico “economico“, con conseguente produzione dell’effetto della c.d. soluti retentio in danno della banca finanziatrice) non è sufficiente la considerazione dell’orientamento (peraltro confermato) in base al quale l’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva” – in quanto effettuata, con dolo o colpa grave, ad una impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico–finanziaria ed in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi –, integra un illecito del soggetto finanziatore. Tale orientamento non viene smentito, nel senso di confermare l’obbligo della banca di adempiere ai doveri primari di una prudente gestione, pena la conseguenza dell’obbligo del risarcimento del danno, ove ne discenda un aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa da parte del soggetto finanziato[12]. Tuttavia la violazione dell’obbligo in questione non è considerata produttiva di una nullità genericamente intesa, – si potrebbe dire: tantomeno – di una nullità produttiva dell’effetto del divieto della ripetizione di indebito.[13]

Per giustificare la precisazione del proprio pensiero con riguardo alle conseguenze dell’attribuzione di un carattere “abusivo” al comportamento della banca finanziatrice la Corte di Cassazione ha sottolineato che le decisioni addotte come precedenti[14] di una ritenuta nullità dei contratti di finanziamento bancari caratterizzati da una ritenuta “abusività” – nel senso di una mancata adeguata osservanza del presupposto del “merito creditizio“ del soggetto finanziato – riguardavano fattispecie (diverse dall’attività finanziaria) caratterizzate “dall’accertamento di peculiari condotte delittuose”, in mancanza delle quali il risultato della nullità del contratto (e della inammissibilità della ripetizione delle somme erogate) non viene ritenuto condivisibile[15] [16].

L’affermazione ovvero l’esclusione della nullità del contratto bancario di finanziamento “viziato” da una inadeguata valutazione del “merito creditizio” del soggetto finanziato (e per tale ragione qualificato “ abusivo”) – salva restando la possibile responsabilità risarcitoria degli effetti pregiudizievoli eventualmente provocati dalla superficialità della banca – condiziona anche la risposta alla domanda concernente l’attribuzione dell’ onere della prova. Le decisioni che hanno propenso per la nullità del contratto hanno altresì affermato che l’onere della prova (di avere sottoposta la richiesta di finanziamento ad una adeguata valutazione della capacità di rimborso del cliente) spetta alla banca finanziatrice[17]: laddove l’affermazione della permanente validità giuridica del contratto, salvo l’accertamento dei presupposti per l’affermazione di una responsabilità risarcitoria in ipotesi di inadeguata valutazione del “merito creditizio” – che anche secondo il riferito orientamento della Suprema Corte appare la soluzione preferibile – conduce all’attribuzione al soggetto preteso danneggiato dell’onere della prova della negligenza dell’istruttoria bancaria.[18]

2. B) Segue. I profili penalistici. I presupposti del concorso della banca nel reato di bancarotta.

L’asserito carattere “abusivo” dell’erogazione del credito da parte della banca, in conseguenza di una inadeguata valutazione del merito creditizio del cliente, è stato talora considerato anche come presupposto di concorso nel reato commesso dal soggetto finanziato (bancarotta: di norma nella versione della “bancarotta semplice” per ritardata apertura del concorso “fallimentare“) a carico (della banca finanziatrice, ma più precisamente) dei dipendenti dell’istituto bancario  interessati dall’operazione di finanziamento.

Proprio la decisione di merito, la cui impugnazione ha condotto alla pronuncia della Suprema Corte sopra commentata, aveva dedotto dall’asserita mancanza di sufficiente diligenza nell’erogazione di un finanziamento concesso ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera m) del “ Decreto Liquidità” – d.-l. n. 23/2020 – la sussistenza dei presupposti per un concorso della banca nel reato di bancarotta semplice ascrivibile all’imprenditore per ritardata dichiarazione di fallimento ex art. 217, comma 1, n. 4) l. fall.[19] La Suprema Corte ha tuttavia osservato che la decisione di merito aveva indebitamente tracciato una correlazione tra inadeguata valutazione del merito creditizio e sussistenza dei presupposti del concorso nel reato di bancarotta, e non aveva ”in alcun modo tratteggiato l’elemento oggettivo né quello soggettivo del reato ipotizzato, né tantomeno le modalità del concorso della banca, quale soggetto extraneus”. In effetti il ritardato ricorso da parte dell’imprenditore ad una “procedura di crisi” – magari proprio quella “fallimentare” – che sarebbe appropriata per disciplinarne la situazione non ha alcuna relazione caratterizzata da profili di consequenzialità con la stipulazione di un contratto di finanziamento, derivando semplicemente (e solamente) dalla colpevole inerzia dell’imprenditore nell’assumere le iniziative che la legge pretenderebbe in tali circostanze: né la concessione di “nuova finanza“ può costituire in sé e per sé la causa dell’aggravamento del dissesto, dipendendo tale fenomeno, piuttosto, dall’utilizzo che della nuova finanza viene fatta dall’imprenditore[20]. Come dire, che “al fine di profilare un concorso in bancarotta determinante la nullità del contratto di finanziamento è necessario dimostrare un quid pluris rispetto all’inadempimento dell’obbligo di sana e prudente gestione nell’erogazione del credito”.[21]

3. I possibili effetti del “mutuo solutorio.

Per “mutuo solutorio“ si intende il finanziamento erogato dalla banca con la funzione di estinguere una passività derivante da una precedente concessione di credito: talora presentata dall’imprenditore verso un’ altra banca, talora (più spesso) presentata nei confronti della stessa banca finanziatrice.

La legittimità di tale operazione è stata posta in discussione, allorquando il finanziamento sia stato destinato ad estinguere una passività presentata nei confronti della stessa banca finanziatrice: e tanto più nelle ipotesi nelle quali il finanziamento erogato successivamente fosse caratterizzato da garanzie invece assenti nel primo.

Paradigmatico è risultato il caso del mutuo fondiario: cioè del finanziamento caratterizzato da una garanzia “solida” (per legge non può superare l’80% del valore dell’immobile acquisito in garanzia ipotecaria: art. 38 T.U.B.; delibera CICR del 22 aprile 1995) e “sicura” (perché non assoggettabile a revocatoria concorsuale, così come non sono revocabili i pagamenti ricevuti dalla banca mutuante a titolo di rimborso dei finanziamento erogato: art 39, co. 4, T.U.B.; art 166, co. 4, CCII).

La utilizzabilità di un finanziamento fondiario allo scopo di estinguere una passività precedente nei confronti della banca finanziatrice è stata spesso messa in discussione, per l’asserito carattere “fittizio“ dell’operazione (tra le due parti rimaneva un contratto di finanziamento, ma il secondo aveva acquisito una garanzia – “solida” e “sicura” – che il primo non possedeva): ma la contestazione doveva (e deve) considerarsi infondata, sotto un primo profilo perché il mutuo fondiario non costituisce un “finanziamento di scopo” – quindi può essere utilizzato anche per l’acquisto di una automobile di lusso: meglio allora estinguere una passività bancaria! -; e sotto il secondo profilo, perché l’utilizzo di un finanziamento per l’estinzione di un debito precedente, sia pure presentato verso la stessa banca finanziatrice, è stato definitivamente giudicato legittimo dalle Sezioni Unite della Suprema Corte[22].

Ciò nondimeno, l’effetto economico dell’operazione può essere considerato criticabile, ed in certa misura perseguibile, tutte le volte nelle quali abbia prodotto un pregiudizio ai diritti vantati da taluno: non il soggetto finanziato, per quanto abbia in ipotesi costituito garanzie dapprima non rilasciate, trattandosi di operazione che lo ha visto protagonista (se si escludono i casi-limite della presenza di illegittime iniziative coercitive da parte della banca), ma forse i creditori, nelle fattispecie nelle quali il perfezionamento dell’operazione abbia reso incapiente (o meno capiente) il patrimonio del debitore comune. Da qui la prospettiva del possibile esercizio, nell’ipotesi di apertura di una procedura di liquidazione giudiziale, dell’azione revocatoria concorsuale da parte del curatore[23] .

L’argomento riveste particolare interesse nel contesto del presente contributo, in quanto tra i temi di maggiore impatto e portata della disciplina emergenziale conseguente alla “crisi pandemica” deve essere annoverata proprio la previsione (anzi: l’incoraggiamento) dell’erogazione di finanziamenti funzionali (pressoché integralmente: per il 90% dapprima, per il 75% successivamente) all’estinzione di passività bancarie pregresse, in funzione di:

(i) riduzione dei tassi di interesse – che sono stati normativamente “calmierati“ -;

(ii) rateizzazione del rimborso alla banca finanziatrice – così dissuasa dall’immediato avvio di azioni giudiziali recuperatorie -.

4. Il sostegno bancario alle imprese in “crisi pandemica”. Le condizioni per l’accesso al credito.

A far tempo dalla fine dell’anno 2019, e poi in modo crescente per tutto l’anno 2020, anche il nostro Paese è stato colpito dalla crisi sanitaria conosciuta con il nome COVID-19[24]. Alla crisi sanitaria è seguita una crisi economica, se non altro per l’iniziale condizione di isolamento alla quale la cittadinanza fu costretta.

Vennero presto in rilievo le conseguenze pregiudizievoli che ciò avrebbe provocato sull’attività delle imprese: ed emerse la necessità di aiuti pubblici per il loro sostegno economico e finanziario.

Ove fosse stata possibile, si sarebbe potuto ricorrere all’erogazione di sostegni finanziari pubblici “a fondo perduto”, o quantomeno rimborsabili nel lungo termine: ma per i Paesi (come l’Italia) presentanti già un forte disavanzo nel settore del “debito pubblico”, la soluzione non sarebbe stata perseguibile.[25] [26]

Fu così individuato il rimedio di favorire l’accesso al credito bancario, in funzione del mantenimento in vita delle imprese (o del maggior numero possibile di esse) per il periodo necessario a conseguire il superamento della “crisi pandemica”: e stante le ovvie incertezze su quando e come ciò sarebbe stato possibile, l’accesso al credito bancario venne agevolato attraverso la prestazione di garanzie pubbliche nell’interesse delle imprese finanziate[27]. In tale contesto, le garanzie complessivamente rilasciate attraverso la SACE sarebbero state considerate “non standardizzate”, e pertanto da contabilizzare, sia nell’indebitamento netto sia nel debito pubblico, solo in caso di effettiva escussione”[28]: al punto da far affermare che “nelle valutazioni ufficiali l’impatto sull’indebitamento netto delle misure contenute nel decreto in esame è nullo nell’immediato”.[29][30]

La prestazione di garanzie pubbliche non fu il solo strumento attraverso il quale venne favorito l’accesso delle imprese (in “crisi pandemica”) al credito bancario: si ricorse anche a strumenti rivolti a semplificare ed accelerare i processi funzionali a consentire l’erogazione dei finanziamenti così garantiti, perché lo sforzo posto in essere per il superamento della crisi non si esaurisse nelle “buone intenzioni”. A tale scopo – solo per fornire alcuni esempi – venne stabilito che:

(i) le banche non fossero tenute a segnalare alla Centrale dei Rischi (come ordinariamente avrebbero dovuto fare) le garanzie pubbliche concesse in base alla legge, decreti e provvedimenti normativi, ovvero rilasciate automaticamente, al ricorrere di determinati presupposti[31];

(ii) in caso di perfezionamento di “accordi transattivi“ per il pagamento di finanziamenti già segnalati a “sofferenza” attraverso un piano di rimborso rateale, l’importo interessato si configurasse “come un nuovo finanziamento rateale” – cioè come se fosse un finanziamento “normale”, e non il rimborso rateale di un debito inadempiuto -;[32]

(iii) l’art. 1-bis, comma 1, del già menzionato “decreto liquidità” (d.-l. n. 23/2020, come convertito dalla legge di conversione 5 giugno 2020, n. 40), affermava che “le richieste di nuovi finanziamenti… devono essere integrate da una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà…. con la quale il titolare o il legale rappresentante dell’impresa richiedente, sotto la propria responsabilità, dichiara: a) che l’attività di impresa è stata limitata o interrotta dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 o dagli effetti derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse alla medesima emergenza e che prima di tale emergenza sussisteva una situazione di continuità aziendale; b) che i dati aziendali forniti su richiesta dell’intermediario finanziario sono veritieri e completi;……”; e il comma 5 aggiungeva “fermi restando gli obblighi di segnalazione previsti dalla normativa antiriciclaggio, per la verifica degli elementi attestati dalla dichiarazione sostitutiva prevista dal presente articolo il soggetto che eroga il finanziamento non è tenuto a svolgere accertamenti ulteriori rispetto alla verifica formale di quanto dichiarato. Le disposizioni del presente comma si applicano anche alle dichiarazioni sostitutive allegate alle richieste di finanziamento e di garanzie effettuate ai sensi dell’articolo 13”;

(iv) il richiamato articolo 13, alla lettera e) del comma 1, recitava: “sono ammissibili alla garanzia del fondo, per la garanzia diretta nella misura dell’80% e per la riassicurazione del 90% dell’importo garantito dal Confidi o da altro fondo di garanzia ……… i finanziamenti a fronte di operazioni di rinegoziazione del debito del soggetto beneficiario, purché il nuovo finanziamento preveda l’erogazione al medesimo soggetto beneficiario di credito aggiuntivo in misura pari ad almeno il 10% dell’importo del debito accordato in essere del finanziamento oggetto di rinegoziazione ovvero, per i finanziamenti deliberati dal soggetto finanziatore in data successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in misura pari ad almeno il 25% dell’importo del debito accordato in essere del finanziamento oggetto di rinegoziazione ….”[33];

(v) il comma 1 del medesimo articolo, alla lettera g-bis), recitava: “la garanzia è concessa anche in favore dei beneficiari finali che presentano, alla data della richiesta della garanzia, esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come inadempienze probabili o come esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate ai sensi del paragrafo 2 della parte B) delle avvertenze generali della circolare della Banca d’Italia n. 272 del 30 luglio 2008, purché la predetta classificazione non sia stata effettuata prima del 31 gennaio 2020”;

(vi) il comma 1 del medesimo articolo, alla lettera g-ter), recitava: “la garanzia è altresì concessa … in favore di beneficiari finali che presentano esposizioni che, prima del 31 gennaio 2020, sono state classificate come inadempienze probabili o come esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate ai sensi del paragrafo 2 della parte B) delle avvertenze generali della circolare della Banca d’Italia n. 272 del 30 luglio 2008 e che sono stati oggetto di misure di concessione. ….”;

(vii) il comma 1 del medesimo articolo, alla lettera m), recitava “sono ammissibili alla garanzia del fondo, con copertura al 100% sia in garanzia diretta che in riassicurazione, i nuovi finanziamenti concessi da banche…. in favore di piccole e medie imprese…. purché tali finanziamenti… abbianoun importo …comunque non superiore a 30.000 €. In favore di tali soggetti beneficiari l’intervento del Fondo Centrale di Garanzia per le piccole e medie imprese è concesso automaticamente, gratuitamente e senza valutazione e il soggetto finanziatore eroga il finanziamento coperto dalla garanzia del Fondo subordinatamente alla verifica formale del possesso dei requisiti, senza attendere l’esito definitivo dell’istruttoria da parte del gestore del Fondo medesimo. La garanzia è altresì concessa in favore di beneficiari finali che presentano esposizioni che, anche prima del 31 gennaio 2020, sono state classificate come inadempienze probabili o esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate…… Nel caso in cui le predette esposizioni siano state oggetto di misure di concessione, la garanzia è altresì concessa in favore dei beneficiari finali a condizione che le stesse esposizioni non siano classificabili come esposizioni deteriorate ……”;[34]

(viii) “al fine di ridurre tempi necessari per la concessione dei finanziamenti sono state sospese le procedure di valutazione del merito di credito dei debitori da parte del Medio Credito Centrale che gestisce il Fondo di Garanzia per le PMI e non ne sono state previste per la maggior parte delle garanzie concesse dalla SACE…: in alcuni casi il credito potrebbe affluire ad imprese comunque destinate a non superare la crisi[35].

5. Prima conclusione: il sostegno bancario alle imprese in “crisi pandemica” poteva essere negato solamente alle imprese in crisi dichiaratamente irreversibile.

Chi ha operato, nel periodo interessato dalla crisi pandemica, all’interno delle imprese bancarie, o chi ha collaborato con coloro che rivestivano ruoli nell’ambito dei “servizi-credito”, ricorderà molto bene le pressioni derivanti da innumerevoli fronti, tese a velocizzare ed assicurare il sostegno bancario alle imprese in crisi. Ma non è questo il versante sul quale si vuole sviluppare la discussione. La discussione deve rimanere collocata nella sede che le è opportuna, e cioè quella della valutazione della correttezza dell’operato delle banche in quel momento ed in quelle situazioni.

Un esame oggettivo del contesto normativo e regolamentare che ha caratterizzato la concessione del credito bancario nel momento dello sviluppo della “crisi pandemica” conduce al conseguimento dei seguenti risultati interpretativi:

(i) era lecita la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato, anche allo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice: e ciò alla sola condizione che all’impresa finanziata “rimanesse” un 10% (poi portato al 25%) del finanziamento erogato;

(ii) fermo restando quanto sopra precisato, era lecita la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato (ed anche allo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice), anche alle imprese già versanti in una situazione critica di dubbia superabilità (“inadempienze probabili; esposizioni scadute e e/o sconfinanti; esposizioni deteriorate”), le cui difficoltà fossero dovute probabilmente (ma senza che ciò dovesse essere provato) alla “crisi pandemica” (doveva trattarsi di una classificazione negativa attribuita all’impresa soltanto successivamente al 31 gennaio 2020);

(iii) fermo restando quanto sopra precisato, era lecita la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato (ed anche lo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice), anche alle imprese già versanti in una situazione critica di dubbia superabilità (“inadempienze probabili; esposizioni scadute e e/o sconfinanti; esposizioni deteriorate”), le cui difficoltà non fossero dovute certamente alla “crisi pandemica”, ma ad una crisi di marca esclusivamente aziendale (“inadempienze probabili; esposizioni scadute e e/o sconfinanti; esposizioni deteriorate”, classificate tali dalla banca “prima del 31 gennaio 2020 – quando la pandemia neppure si sapeva cosa fosse -);

(iv) fermo restando quanto sopra precisato, era lecita la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato (ed anche allo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice; ed anche laddove si trattasse di imprese già classificate come “inadempienze probabili, esposizioni scadute e/o sconfinanti, esposizioni deteriorate”; ed anche qualora la crisi economica non fosse certamente dovuta alla “crisi pandemica” – perché emersa prima della manifestazione della pandemia -), senza l’intervento di una verifica valutativa da parte del garante pubblico, che venne sospesa[36];

(v) fermo restando quanto sopra precisato, era lecita la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato (ed anche allo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice; ed anche laddove si trattasse di imprese già classificate come “inadempienze probabili, esposizioni scadute e/o sconfinanti, esposizioni deteriorate”; ed anche qualora la crisi economica non fosse certamente dovuta alla “crisi pandemica” – perché emersa prima della manifestazione della pandemia -), automaticamente, nel caso di finanziamenti non superiori a 30.000,00 euro – art. 13, co. 1, lett. m) -;

(vi) fermo restando quanto sopra precisato, era lecita la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato (ed anche allo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice; ed anche laddove si trattasse di imprese già classificate come “inadempienze probabili, esposizioni scadute e/o sconfinanti, esposizioni deteriorate”; ed anche qualora la crisi economica non fosse certamente dovuta alla “crisi pandemica” – perché emersa prima della manifestazione della pandemia -), omettendo di segnalare la presenza delle garanzie pubbliche (quindi la circostanza che l’impresa finanziata versava per definizione in uno stato di crisi) nella Centrale dei Rischi[37];

(vii) fermo restando quanto sopra precisato, era lecita la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato (ed anche allo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice; ed anche laddove si trattasse di imprese già classificate come “inadempienze probabili, esposizioni scadute e/o sconfinanti, esposizioni deteriorate”; ed anche qualora la crisi economica non fosse certamente dovuta alla “crisi pandemica” – perché emersa prima della manifestazione della pandemia -), alla sola condizione che la banca svolgesse una “verifica formale di quanto dichiarato… dal titolare o legale rappresentante dell’impresa richiedente ..” con una “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà…” con la quale dichiarare “che i dati aziendali forniti su richiesta dell’intermediario finanziario sono veritieri e completi” (art. 1-bis, comma 1, d.-l. n. 223/2020, applicabile “anche alle dichiarazioni sostitutive allegate alle richieste di finanziamento e di garanzia effettuata ai sensi dell’articolo 13” – finanziamenti in funzione del “rientro” da passività pregresse -): attenzione: la norma proseguiva dichiarando: “per la verifica degli elementi attestati dalla dichiarazione sostitutiva ……. il soggetto che eroga il finanziamento non è tenuto a svolgere accertamenti ulteriori rispetto alla verifica formale di quanto dichiarato” dall’impresa finanziata (art. 1-bis, comma 5, d.-l. n. 223/2020, applicabile “anche alle dichiarazioni sostitutive allegate alle richieste di finanziamento e di garanzia effettuata ai sensi dell’articolo 13” – finanziamenti in funzione del “rientro” da passività pregresse -)[38].

L’argomento trattato da ultimo merita particolare interesse non soltanto per il suo contenuto oggettivo, quanto anche – quasi soprattutto – per l’origine della disciplina da cui risulta interessato:

(i) 8 aprile 2020

viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il ”Decreto Liquidità” (n. 23/2020). In tale sede, l’articolo 1 dettava la disciplina delle “Misure temporanee per il sostegno alla liquidità delle imprese “; seguiva l’articolo 2 dedicato alle “Misure per il sostegno all’esportazione, all’internazionalizzazione e agli investimenti delle imprese”;

(ii) 27 aprile 2020

viene audito dalle Commissioni riunite Finanze e Attività Produttive della Camera dei Deputati il Capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia. Questi osservava che “Un altro tema importante riguarda(va) la rapidità di attuazione delle norme ..”, ed osservava che il decreto-legge “non esclude(va) la possibilità di una valutazione di merito da parte dei finanziatori”, che ovviamente era causa di ritardi pregiudizievoli. Riferiva che ”a questo proposito le banche hanno adottato prassi eterogenee: alcune erogano il finanziamento dopo aver effettuato un riscontro formale della completezza della documentazione prevista; altre hanno definito anche un processo, più o meno semplificato, per la valutazione del merito di credito della clientela. La necessità di effettuare e documentare una valutazione di questo tipo viene motivata dalle banche con il rischio legale di incorrere in reati connessi con una anomala erogazione del credito (rischio che è in relazione inversa con il merito di credito nel debitore)”. Aggiungeva che a suo avviso “la questione richiede(va) di individuare un equilibrio tra due opposte esigenze, quella di fare affluire le risorse con rapidità alle imprese che ne hanno bisogno, e quella di tutelare lo Stato, evitando che le garanzie vadano a coprire prestiti ad elevatissimo rischio di non essere onorati”. Proponeva allora una soluzione: “Per attenuare il problema si potrebbe fare leva su una maggiore responsabilizzazione del potenziale prenditore, utilizzando l’autocertificazione per attestare la sussistenza dei requisiti per l’accesso al finanziamento. Rendendo più chiari i presupposti e riducendo quindi gli ambiti di discrezionalità dei soggetti finanziatori si velocizzerebbe il processo di erogazione, arginando il rischio legale per la banca”.

Detto fatto!

(iii) aprile-maggio 2020

viene convertito in legge il decreto n. 23/2020.

L’articolo 1 non è più seguito dall’articolo 2.

Viene inserito fra le due norme l’articolo 1-bis, che al primo comma recita: “Le richieste di nuovi finanziamenti.. devono essere integrate da una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà…. con la quale il titolare o legale rappresentante dell’impresa richiedente, sotto la propria responsabilità, dichiara …. che i dati aziendali forniti su richiesta dell’intermediario finanziario sono veritieri e completi”; ed al quinto comma precisa: “… Per la verifica degli elementi attestati dalla dichiarazione sostitutiva prevista dal presente articolo il soggetto che eroga il finanziamento non è tenuto a svolgere accertamenti ulteriori rispetto alla verifica formale di quanto dichiarato”.

La conclusione alla quale conduce l’esame oggettivo del testo normativo è evidente:

(i) ci si trova di fronte a una situazione assolutamente emergenziale;

(ii) si dovevano convincere le banche a finanziare imprese in oggettivo stato di crisi (anche per cause diverse dall’infezione pandemica!);

(iii) si riteneva (giustamente) insufficiente la prestazione di una garanzia pubblica fino al 90% del finanziamento, se non fino al 100%: rimaneva ferma la preoccupazione del “rischio legale di incorrere in reati connessi con una anomala erogazione del credito”;

(iv) si mirava a conseguire l’obiettivo di “evitare che le garanzie vadano a coprire prestiti a elevatissimo rischio di non essere onorati”: considerando quindi accettabile la prospettiva di un rischio di inadempimento soltanto “elevato”.

In questo modo, all’inizio del mese di giugno dell’anno 2020, una indagine condotta “presso un campione di banche” (quindi: non tutte le banche, ma soltanto “un campione”) evidenziava che “alla data del 5 giugno[39] queste ultime (il campione di banche intervistate) avevano ricevuto circa 850.000 domande di finanziamento con garanzia del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI…. per un controvalore di circa 55 miliardi di euro. Circa il 62% delle richieste ha dato origine all’erogazione di finanziamenti a quella stessa data. La lavorazione delle domande richiede, come minimo, oltre la verifica formale dei requisiti di ammissibilità, la presentazione della domanda di filo da parte del richiedente”. Protagonista dell’indagine era stata la Banca d’Italia[40]: che non si era minimamente scandalizzata per la circostanza che i finanziamenti venissero erogati sulla base di una “verifica formale dei requisiti di ammissibilità” – perché ai minorenni non si possono concedere finanziamenti! -, integrata dalla “domanda di fido da parte del richiedente” – perché non si danno soldi a chi non li ha domandati! -.

Tutto ciò dimostra che la verifica del “merito creditizio“ dell’impresa colpita da una crisi economica derivante dall’incipiente “crisi pandemica” (o, addirittura, da una crisi economica manifestatasi precedentemente“beneficiari finali che presentano esposizioni che, prima del 31 gennaio 2020, sono state classificate come inadempienze probabili o come esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate …. e che sono state oggetto di misure di concessione “: art. 13, co. 1, lett. g-ter) d.-l. n. 23/2020 – ) non avrebbe potuto esprimersi, come avviene in momenti storici diversi da quelli “emergenziali“, attraverso la valutazione della capacità di rimborso del finanziamento concesso: giacché tale valutazione postula la ragionevole previsione di eventi – la presumibile durata della crisi; il presumibile andamento del mercato di riferimento; – che in tempo di “ crisi emergenziali” sono semplicemente imprevedibili. Nella primavera del 2020, chi avrebbe potuto ragionevolmente prevedere quando sarebbero cessati gli effetti della pandemia incipiente? E in quale condizione sarebbe stato ridotto il mercato di operatività delle singole imprese finanziate?

Il criterio di riferimento per la valutazione della censurabilità del sostegno finanziario alle imprese colpite da “crisi pandemica” – o la cui situazione di crisi si trovasse ad essere aggravata dalla sopravvenuta “crisi pandemica” – poteva essere costituito esclusivamente dal giudizio di irreversibilità assoluta della crisi: solo in quell’ipotesi il finanziamento erogato nell’oggettiva consapevolezza della sua inutilità aziendale, e produttivo dell’unico risultato dell’ abbattimento della precedente esposizione della banca finanziatrice avrebbe meritato (e meriterebbe tuttora) la censura della condotta “abusiva“ e l’affermazione della conseguente responsabilità risarcitoria.

6. Seconda conclusione: non ci può essere “concessione abusiva(da parte della banca) senza che vi sia stato “ricorso abusivo“ (da parte del cliente).

La traduzione in una norma di legge (il già ricordato articolo 1, comma 1-bis, lettere a) e b), e comma 5, del d.-l. n. 23/2020) del suggerimento di “fare leva su una maggiore responsabilizzazione del potenziale prenditore, utilizzando l’autocertificazione per attestare la sussistenza dei requisiti per l’accesso al finanziamento” dimostra senza ombra di dubbio che non vi può essere violazione della disciplina del sostegno finanziario all’impresa in “crisi pandemica” da parte della banca finanziatrice, senza che vi sia stata una corrispondente (e precedente) violazione da parte dell’imprenditore finanziato: già solo per il fatto che l’erogazione del finanziamento doveva essere preceduta da una autocertificazione rilevante anche ai fini penali[41]. Non può ipotizzarsi l’erogazione di un finanziamento “contro voglia“, neppure considerando l’assurdità di un banchiere che voglia simulare uno sviluppo non veritiero del proprio Istituto: perché se l’imprenditore finanziato non spende, anche il finanziamento “regalato “ non produce alcun effetto – mentre se l’imprenditore finanziato (chiede e) spende, pur senza averne i requisiti di “merito creditizio“, il primo ad abusare della fittizietà della situazione creata è proprio lui! -.

Da qui alcune considerazioni che dovrebbero rappresentare una verifica preliminare della “serietà” della contestazione alla banca di “abusività” del comportamento tenuto in occasione della concessione di credito ad una impresa in crisi:

(i) la preventiva revoca degli amministratori che a loro volta hanno necessariamente abusato nel ricorrere al credito in una situazione non più recuperabile (perché certamente più consapevoli della gravità della crisi di quanto non lo fosse qualsiasi terzo, compresa la banca);

(ii) la preventiva promozione di una azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (per aver aggravato il dissesto utilizzando risorse finanziarie che, per quanto erogate, nessun pregiudizio avrebbero prodotto, se non investite). “In linea generale, in una procedura di concordato preventivo, se si afferma la nullità del mutuo concesso per concessione abusiva di credito …. , perché la banca ha prestato denaro ad un soggetto insolvente senza prospettive di risanamento o senza avere svolto una adeguata istruttoria, come previsto dalle norme sulla vigilanza prudenziale in ossequio ai principi di sana e prudente gestione del credito, la circostanza deve risultare dal ricorso e, in ogni caso di omissione, deve essere fatta risaltare dal Commissario giudiziale ex art 106 CCII, ridondando innanzitutto sotto il profilo della stessa ammissibilità del concordato. La società ricorrente pertanto dovrebbe: 1) evidenziare nel ricorso che è stato commesso il reato [di ricorso abusivo al credito]…; 2) avere mutato l’organo amministrativo responsabile del reato; 3) prospettare di volere svolgere l’azione di responsabilità per aggravamento del passivo nei confronti del predetto organo amministrativo; 4) prospettare di volere svolgere l’azione civile nei confronti degli istituti di credito… per la declaratoria di nullità del mutuo e per il rivestimento dei danni…; 5) chiedere ottenere analoga cautela nel giudizio civile, 1ª della data fissata per il voto, che avrà effetto per il post-omologazione del concordato, …..; 6) comunque avere disposto un accantonamento congruo… per il caso di sconfitta nella causa civile e mancata declaratoria della nullità del mutuo, cui seguirebbe l’escussione della garanzia con la legittima rivalsa del Garante pubblico; 7) prospettare ai creditori chirografari un worst case, in cui l’accantonamento non verrà ripartito, e un best case, in cui anche l’accantonamento verrà ripartito a causa vinta, migliorando le prospettive di voto proprio a seguito dell’avvenuta concessione della misura cautelare sia da parte del giudice del concorso sia da parte del giudice civile, che hanno esaminato favorevolmente il fumus boni iuris inerente all’invalidità del mutuo. Solo in presenza di tutte queste condizioni può essere concessa in via cautelare strumentale la inibitoria agli istituti di credito ad attivare o coltivare la garanzia statale”[42].

7. Prime considerazioni critiche sugli orientamenti giurisprudenziali e sulle prassi professionali formatisi in materia di “concessione abusivadi credito alle imprese in crisi (pandemica).

Alla luce delle considerazioni sopra sviluppate sembrano in primo luogo meritevoli di essere considerate criticamente le decisioni che, valorizzando l’interesse pubblico sotteso alla prevenzione di eventi pregiudizievoli nei confronti dello Stato, valutano il comportamento delle banche finanziatrici nei confronti di imprese versanti in situazioni di crisi pandemica secondo criteri più severi di quelli comunemente utilizzabili nella valutazione dell’operato dell’imprenditore finanziato. Si è giunti ad affermare, infatti, che la presenza di una garanzia pubblica, come tale dotata di portata generale, avrebbe dovuto indurre le banche, richieste di avvalersene allo scopo di ottenere finanziamenti anche in situazioni di crisi, ancora più prudenti di quello che non avrebbero dovuto essere in mancanza dell’ammissibilità alla garanzia dello Stato[43].

La conclusione non può essere condivisa per una ragione estremamente semplice (ai limiti della banalità): non avrebbe senso prevedere l’ammissione alla garanzia statale di un finanziamento concesso ad una impresa versante in una condizione di “normalità”. La sussistenza dei presupposti per il ricorso alla garanzia statale  postula una condizione di crisi che non avrebbe consentito l’ammissione al credito in mancanza della garanzia pubblica[44].

Se mai, si può essere preoccupati che prima o poi il garante pubblico non eccepisca, di fronte ad una escussione non prevista, che la garanzia non è valida perché nel momento del suo rilascio l’impresa interessata non versava in una condizione sufficientemente critica da giustificare il ricorso alla garanzia statale!, donde l’indebito approfittamento della banca di una garanzia illegittima perché inerente ad una fattispecie che avrebbe dovuto essere ricompresa nel normale “rischio d’impresa”!

Se la non-condivisibilità della tesi, secondo la quale i finanziamenti alle imprese in “crisi pandemica” avrebbero dovuto essere valutati con rigore anche maggiore dell’ordinario, appare di facile dimostrazione, non meno evidente è la corrispondente infondatezza della tesi secondo la quale le banche avrebbero comunque dovuto conformare il loro comportamento alle ordinarie regole di valutazione del “merito creditizio“ dell’impresa finanziata. Trattasi di un orientamento fortemente consolidato anche nella giurisprudenza meno severa[45], e condiviso dalla stessa Corte di Cassazione, anche nelle occasioni nelle quali mette in guardia nei confronti di un atteggiamento troppo aggressivo[46]: come già detto, tuttavia, si tratta di una conclusione che non può essere condivisa.

Per una impresa che sia già stata classificata dalla Banca a come “inadempienza probabile “; o come “esposizione scaduta e/o sconfinante”; o ancora “deteriorata”, e per cause neppure direttamente riferibili alla “crisi pandemica“ (per essere stata attribuita la classificazione negativa in data anteriore al 31 gennaio 2020) la valutazione di “merito creditizio “ è in re ipsa: ed è irrimediabilmente negativa. Tanto più se a quell’impresa la banca si accinge a concedere credito per un importo appena appena superiore (10% all’inizio ; successivamente 25% ) a quello che le è necessario per “rientrare” da un finanziamento precedente non rimborsato: circostanza che può legittimamente rappresentare anche la principale (ma non esclusiva: infra) ragione del perfezionamento dell’operazione – importando al legislatore che in ogni caso l’impresa fosse “mantenuta in piedi“, nella speranza del superamento della “crisi pandemica”, dovendosi senz’altro preferire una economia sorretta con le stampelle (finanziarie) piuttosto che una economia definitivamente abbattuta -.

Nella situazione descritta il discrimen tra concessione “abusiva” – e come tale illecita -, e concessione “protetta” – e però pienamente lecita – doveva e deve essere individuato nel giudizio di irreversibilità della condizione di crisi. Solamente in presenza di una impresa “defunta” l’erogazione di credito non sarebbe stata meritevole dell’assistenza della garanzia pubblica: ovviamente, tanto più nelle situazioni nelle quali l’operazione fosse stata funzionale a consentire alla banca di conseguire un “rientro“ da precedenti finanziamenti divenuti ormai irrecuperabili.

8. La disciplina della garanzia pubblica escussa dalla banca finanziatrice.

Si è detto che il carattere massiccio del ricorso al sistema bancario per il sostegno finanziario alle imprese cadute in “crisi pandemica” (o anche già cadute in crisi, e successivamente investite anche dalla pandemia) può essere spiegato con l’impossibilità di concedere sostegni pubblici diretti “a fondo perduto”, o sostegno finanziario pubblico a lungo termine, per il livello già estremamente elevato dell’indebitamento nazionale. Con la disciplina che siamo andati considerando, come si è detto, “nelle valutazioni ufficiali l’impatto sull’indebitamento netto delle misure contenute nel decreto” 8 aprile 2020, n. 23 è stato ”nullo nell’immediato”[47].

Nell’immediato”: ma dopo?

Per il “dopo“ sarebbe stato necessario accertare quanto intensa sarebbe stata l’escussione delle garanzie pubbliche (e lo sarebbe stato molto); e quanto rimedio avrebbe potuto essere ricavato dall’esercizio del regresso del garante pubblico nei confronti del debitore principale, nell’interesse del quale la garanzia pubblica era stata prestata.

Allo scopo di ricavare quanto possibile dal rimedio dell’esercizio del regresso nei confronti dell’impresa finanziata inadempiente sarebbe stato opportuno introdurre una disciplina specifica, che desse corpo all’intento – difficilmente negabile, e forse anche difficilmente contestabile – di procurare al credito pubblico adeguate garanzie di utile collocazione sul patrimonio dell’imprenditore favorito: ma ciò non è avvenuto, e l’incertezza generata da tale distrazione è certamente censurabile.

In termini generali il privilegio dei “garanti pubblici” è tuttora regolato dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123, che all’ art. 9, comma 5, prevede: “Per le restituzioni di cui al comma 4, i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, a eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’articolo 2751 bis del codice civile e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi”. Per ciò che concerne i crediti di Mediocredito centrale l’art. 8 bis, comma 3, del d-l. 24 gennaio 2015, n. 3, ribadisce che: “il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della Legge 23 dicembre 1996, n. 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante, a eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’articolo 2751 bis del codice civile, fatti salvi i precedenti diritti di prelazione spettanti a terzi. La costituzione e l’efficacia del privilegio non sono subordinate al consenso delle parti”.

L’estensione dell’applicabilità del privilegio ex art. 9 d. lgs. n. 123/1998 anche in favore delle pretese vantate da MCC e SACE a seguito non già della erogazione di finanziamenti diretti, bensì in conseguenza della prestazione di crediti di firma (fideiussioni ) a garanzia del rimborso di finanziamenti erogati in via diretta da banche ordinarie in favore di imprenditori poi rivelatisi inadempienti, è frutto di un orientamento giurisprudenziale sufficientemente consolidatosi in sede di legittimità (Corte di Cassazione)[48], e meno diffuso in sede di merito (Tribunali e Corti di appello)[49]. Appare condivisibile la conclusione secondo la quale tale risultato interpretativo sarà presumibilmente esteso anche alle garanzie pubbliche prestate nell’ambito del tentativo di superamento della “crisi pandemica” da Covid-19 (e, si aggiunge, della “crisi energetica“ provocata dall’interruzione delle catene di approvvigionamento ovvero del rincaro dei prezzi di materie prime provocati dalla guerra Russo-Ucraina – che ha dato luogo all’approvazione del decreto legge 17 maggio 2022, n. 50 : “Decreto Aiuti“ – , che ha disciplinato ulteriori interventi pubblici a sostegno dell’economia)[50]. Si configura in tal modo un “super privilegio” statale, generale mobiliare, che prevale su gran parte dei restanti diritti di prelazione, ad eccezione dei crediti per spese di giustizia e dei crediti ex art. 2751-bis c.c..

L’operatività di tale garanzia è massima, in quanto qualificata titolo di prelazione legale, quindi indipendente dalle vicende che possano interessare il credito bancario garantito, ivi compresa la sua eventuale dichiarazione di nullità: il credito restitutorio del garante pubblico escusso è da considerare (super)privilegiato ex lege sin dal momento nel quale la garanzia è stata prestata[51].

L’esercizio del diritto di recupero della somma riconosciuta alla banca finanziatrice a seguito dell’escussione (che avviene mediante l’intervento dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione) non rappresenta il subingresso nella pretesa del finanziatore, né trova titolo in un nuovo diritto derivante dall’ottemperanza alla garanzia prestata, ma trova fondamento nell’originario atto di prestazione della garanzia e nella revoca del beneficio, che comporta il venir meno della causa giustificatrice dell’erogazione[52].

La conclusione non cambia, secondo la più recente giurisprudenza, neppure in ipotesi di dichiarata nullità del rapporto di finanziamento principale per violazione di norme imperative (in materia di erogazione di finanziamenti garantiti dallo Stato). In una fattispecie nella quale veniva invocata la “nullità del rapporto di finanziamento principale e conseguente nullità del rapporto di garanzia”, nonché “ la nullità propria del rapporto di garanzia “, in quanto “nè la società erogatrice… nè MCC hanno operato secondo la (dovuta) particolare diligenza richiesta nella concessione e altresì nella escussione (pagamento) di erogazioni pubbliche, e segnatamente secondo le disposizioni che regolano l’operato del fondo di garanzia“, affermandosi che “nessuna delle due [banca e MCC] ha svolto adeguata istruttoria sul merito creditizio”, la cui valutazione avrebbe dimostrato che l’impresa finanziata “era incapace di generare ritorno sugli investimenti e sull’attività tipica, mentre produceva un sempre maggior aggravio del proprio stato di indebitamento “; e nella quale il giudice delegato al fallimento dell’impresa finanziata aveva escluso il credito derivante dall’intervenuta escussione di MCC in quanto “non operano i meccanismi del regresso e della surrogazione di cui agli articoli 1950 e 1949 cod. civ., non potendo il fideiussore neppure ripetere ex art. 2035 c.c., quantomeno nei confronti del debitore principale, un pagamento da considerarsi contrario al buon costume per violazione delle norme poste a tutela della corretta concessione del credito”, il Tribunale[53] ha riformato la decisione del Giudice Delegato affermando che “in tema di interventi di sostegno pubblico erogati in forma di concessione di garanzia pubblica, in capo al gestore del Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese, ex l. n. 662 del 1996, che ha soddisfatto il finanziatore, surrogandosi ad esso, sorge un diritto restitutorio di natura pubblicistica privilegiata, non più volto al recupero del credito di diritto comune originato dal primigenio finanziamento, bensì mirante a riacquisire risorse pubbliche alla disponibilità del Fondo. Secondo il Tribunale, “a seguito di tale surrogazione, si determina un mutamento della “causa” del credito, ora volto a riacquisire risorse – di natura pubblica – alla disponibilità del Fondo pubblico ex L. 662/1996. Conseguentemente, l’autonomia causale del credito che sorge in capo a MCC fa sì che il credito pubblico sorto risulta insensibile alle vicende invalidanti del rapporto privatistico sorto tra ente finanziatore e impresa beneficiaria… sicchè si viene a spezzare quel nesso di accessorietà tra rapporto principale e rapporto di garanzia, sulla cui base la curatela muove le proprie censure”. Il Tribunale nell’occasione ha precisato altresì che “in aggiunta, irrilevanti, al fine di stabilire l’esistenza o meno del credito insinuato, risultano gli eventuali addebiti di diligenza mossi a carico del Fondo per la fase di concessione della relativa garanzia: si tratta, infatti, di censure all’operato dell’Ente che non hanno effetto diretto sulla fonte del credito pubblico, che sorge ex lege per effetto del solo intervenuto pagamento del creditore-finanziatore originario. La circostanza che la domanda di insinuazione sia volta a recuperare le risorse pubbliche in favore del fondo di garanzia impedisce che la stessa sia da considerare irripetibile ex art. 2035 c.c.”.

9. Terza conclusione. Il sostegno finanziario alle imprese in crisi (pandemica) produce inevitabilmente una alterazione della par condicio creditorum.

L’accertata “automaticità” del riconoscimento del credito del “garante pubblico” escusso dalla banca finanziatrice ammessa al beneficio della legislazione emergenziale “anti-Covid 19” (come di qualsiasi altra banca che abbia erogato un finanziamento assistito da garanzia Statale); e la rilevanza del privilegio attribuitogli ex lege (“davanti a tutti”, con la sola esclusione delle spese di giustizia e dei crediti di lavoro, delle cooperative e degli artigiani); producono automaticamente una (sia pure potenziale) alterazione della par condicio creditorum con riguardo alle passività sussistenti al momento dell’erogazione del finanziamento: perché nell’ipotesi (necessariamente non particolarmente remota) di mancato risanamento integrale dell’impresa finanziata, il suo patrimonio risulterà appesantito da passività non soltanto aumentate nella quantità, ma soprattutto destinate a ridurre il patrimonio disponibile per il soddisfacimento dei restanti creditori, in quanto inesorabilmente anteposte ad essi con conseguente effetto depauperatorio.[54] [55]

Da qui:

(i) la non condivisibilità dell’orientamento, che andava affermandosi in giurisprudenza, favorevole a disporre “misure cautelari nei confronti delle banche assistite da garanzie pubbliche e dei relativi garanti pubblici, volte ad impedire l’escussione delle garanzie, allo scopo di esonerare l’imprenditore dall’obbligo di considerare nel “piano di risanamento“ e nell’accordo di ristrutturazione con i propri creditori il “super privilegio” del garante pubblico escusso – costituendo perlomeno un apposito “super-fondo rischi” per fronteggiarlo, una volta sorto a seguito dell’escussione -, e sottrarre in tal modo l’impresa interessata all’obbligo di “destinare altrimenti” (cioè al pagamento del debito verso il garante pubblico esposto, ovvero la costituzione di un corrispondente super-fondo rischi) “la finanza necessaria all’accordo proposto alle banche chirografarie”[56] con la conseguenza di mettere a rischio il soddisfacimento finale del debito pubblico! -;

(ii) la solo parziale condivisibilità dell’innovazione normativa (evidentemente provocata dall’orientamento giurisprudenziale, sopra ricordato, che si andava affermando) apportata dal c.d. “terzo correttivo” (d. lgs. 13 settembre 2024, n. 136), allorché ha integrato l’articolo 87, comma 1, CCII, con la lettera p-bis), secondo la quale nel “Piano” sotteso alla proposta di Concordato preventivo deve essere compresa “l’indicazione, dove necessario, di fondi rischi, con specifico riferimento, per il caso di finanziamenti garantiti da misure di sostegno pubblico, a quanto necessario al pagamento dei relativi crediti nell’ipotesi di escussione della garanzia e nei limiti delle previsioni di soddisfacimento del credito“: condivisibilità – si è detto – soltanto parziale, perché appare incomprensibile la ragione per la quale la applicabilità della precisazione così introdotta (e di per sé totalmente condivisibile) sia stata circoscritta al “Piano“ sotteso ad una proposta di Concordato preventivo, piuttosto che (come sarebbe stato preferibile; e come in ogni caso si ritiene necessario, a prescindere dal dettato normativo) all’interno di qualsiasi “piano“ posto alla base di qualsiasi proposta di ristrutturazione del debito, quale che sia la sede nella quale essa viene rappresentata[57][58][59].

Nello stesso modo, non si colgono le ragioni per le quali potrebbe essere condivisa l’opinione favorevole alla disposizione di “misure cautelari“ nei confronti dei “garanti pubblici“, tese ad impedire il pagamento delle fideiussioni escusse dalle banche garantite.[60]

L’analisi già condotta sui presupposti di legittimità del ricorso, e dell’ammissione, al sostegno finanziario bancario assistito da garanzia pubblica, si arricchisce pertanto di un altro elemento di valutazione: l’accettazione della inevitabile conseguenza dell’alterazione (in pejus) della par condicio creditorum (sia pure in via potenziale) per il solo fatto dell’utilizzo dello strumento offerto dal legislatore in funzione del tentativo di ristrutturazione dell’impresa. L’intervento del sostegno finanziario bancario (assistito dalle garanzie pubbliche, in mancanza delle quali esso non sarebbe concesso), se da una parte comporta la creazione delle condizioni per un possibile risanamento dell’impresa (con conseguenti benefici per tutti), dall’altra genera i presupposti di un possibile peggioramento della condizione dei creditori ben più severo del semplice deterioramento della situazione patrimoniale dell’impresa (giacché non si tratta solamente del timore di vedere aumentate le passività finanziarie senza un corrispondente aumento degli attivi patrimoniali, bensì della inevitabile sorte di uno “scavalcamento“ da parte di creditori beneficiari di un inevitabile ed irrimediabile trattamento preferenziale).

10. La reclamabilità del “danno erariale” da parte dello Stato.

Al superamento della “crisi pandemica”  non si è sempre accompagnato anche il superamento della “crisi economica”: molte imprese non hanno riacquisito l’equilibrio economico-finanziario nonostante i sostegni ricevuti e nonostante il ritorno ad una condizione di normalità sanitaria.

L’esperienza delle “procedure di crisi” che si sono aperte nei confronti delle imprese che “non ce l’hanno fatta“ ha dimostrato che il privilegio attribuito ai crediti dei garanti pubblici escussi dalle banche sarà pur stato qualificato “super”, ma in realtà non ha sempre comportato il recupero integrale delle risorse impegnate dallo Stato.

Di qui – forse – lo stimolo a ricercare fonti di responsabilità alle quali rivolgersi per tentare di ovviare al danno subito. I potenziali interlocutori sono sempre quelli: o la banca, o l’impresa: e trattandosi di situazioni che postulano che l’impresa sia “fuori gioco” – perché è soltanto nell’ipotesi di incapienza del patrimonio rispetto al super-privilegio erariale che diventa necessario verificare la sussistenza di altre possibili fonti di indennizzo -, si valuta la possibilità di rivolgersi contro i suoi esponenti aziendali.

La presenza di “impegni” di natura pubblicistica attraverso la prestazione di garanzie pubbliche in favore dei finanziamenti bancari concessi alle imprese in crisi (nel nostro caso, “pandemica”) ha peraltro autorizzato ad evocare anche il “danno all’interesse pubblico” conosciuto come “danno erariale”, la cui giurisdizione è attribuita alla Corte dei Conti[61]. I precedenti noti sono, al momento, relativamente pochi: ma non è difficile immaginare che possano moltiplicarsi in un arco di tempo molto contenuto.

In via preliminare è necessario osservare che i finanziamenti assistiti dalle “garanzie pubbliche“ di cui si parla in questa sede (MCC; SACE; Fondo di Garanzia PMI; eccetera) vengono ritenuti riferibili allo Stato nonostante l’erogazione avvenga attraverso un soggetto privato (la banca finanziatrice); e che il beneficiario del sostegno in questione (l’impresa finanziata) viene considerato partecipe della realizzazione del programma di interesse pubblico perseguito dalla disciplina di volta in volta applicabile ai finanziamenti de quibus – nel caso di specie, il programma di ripresa economica a valle della “crisi pandemica” -.

Dalla sostanziale riferibilità allo Stato dei finanziamenti erogati attraverso l’istituto di credito privato nonché dalla necessaria partecipazione del beneficiario alla realizzazione del programma di interesse pubblico perseguito (…) discende, in ragione dell’obbligo per il medesimo beneficiario di agire in conformità ai fini pubblici per cui l’erogazione è concessa, la sussistenza di un rapporto di servizio in senso lato e dunque della giurisdizione di questa Corte dei Conti”[62]. Da ciò viene ricavata la conclusione della sussistenza di “un obbligo per il medesimo beneficiario (e per chi interloquisce con lo stesso) di “agire in conformità ai fini pubblici per cui l’erogazione è concessa”.

Ciò comporta l’applicabilità della disciplina del giudizio amministrativo deputato ad esaminare l’eventuale sussistenza di danni prodotti all’Erario (d. lgs. 26 agosto 2016, n. 174: “Codice di Giustizia Contabile”). Tale procedimento può prendere le mosse da segnalazioni della Procura della Repubblica a margine delle indagini condotte nell’ambito di procedimenti penali.

Prima di emettere l’atto introduttivo del giudizio (“atto di citazione”) il Pubblico Ministero notifica al presunto responsabile un atto di “Invito a dedurre”, nel quale sono esplicitati gli elementi essenziali del fatto, delle condotte contestate e del ritenuto contributo causale alla realizzazione del danno reclamato, ed è fissato un termine non inferiore a 45 giorni entro il quale il presunto responsabile può esaminare le fonti di prova poste alla base della contestazione formulata e depositare le proprie deduzioni ed eventuali documenti. Nell’invito a dedurre, il Pubblico Ministero può costituire in mora il presunto responsabile, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1219 e 2943 cod. civ. Successivamente all’invito a dedurre, il Pubblico Ministero non può svolgere attività istruttorie, salva la necessità di compiere accertamenti sugli ulteriori elementi di fatto emersi a seguito delle controdeduzioni.

Nello stesso termine di cui sopra (non oltre 45 giorni) il presunto responsabile può chiedere di essere sentito personalmente (con facoltà di farsi assistere da un difensore): in tal caso l’omessa audizione personale determina l’inammissibilità della citazione. Il Pubblico Ministero fissa il luogo e il giorno dell’audizione (che, ad istanza del presunto responsabile, per motivate e comprovate ragioni, può essere differito, comunque entro il termine di cui sopra).

Il successivo (eventuale) atto di citazione in giudizio deve essere depositato dal Procuratore Regionale presso la Corte dei Conti entro 120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni da parte del presunto responsabile del danno.

In un recente caso che ha interessato proprio l’attività di una banca finanziatrice intervenuta a sostenere una impresa colpita da “crisi pandemica”, l’accertato carattere truffaldino della rappresentazione della condizione nella quale l’impresa versava (gli esponenti aziendali sono stati tutti rinviati a giudizio per bancarotta, essendo stati accusati di avere presentato “bilanci relativi agli anni 2017, 2018 e 2019 del tutto fasulli, in quanto rappresentanti il giro d’affari multimilionario del tutto inventato, ma che serviva per indurre i fornitori a ritenere di avere a che fare con soggetti affidabili e quindi degni di credito e per ottenere dalla banca il prestito garantito”), e il ruolo di intermediazione creditizia svolto da un mediatore locale regolarmente iscritto, ai sensi dell’art. 128-sexies TUB e del d. lgs. n. 141/2010, nell’elenco tenuto dall’Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (OAM) – ed unanimemente giudicato “al di sopra di ogni sospetto” (tanto che il relativo responsabile ricopre la carica di Sindaco in una città limitrofa) -, non sono stati giudicati sufficienti da parte della Procura Regionale competente ad escludere la Banca dall’accusa di concorso nel “danno erariale” prodotto allo Stato in conseguenza della escussione della garanzia pubblica prestata da MCC nell’interesse dell’impresa-fantasma. Nel caso in esame[63] vengono contestate omissioni che sono riconosciute “consentite dalle norme“, ma vengono giudicate “inopportune nel caso di specie” – però, verrebbe da dire, “a cose fatte” -; e viene contestata la mancata predisposizione di documentazione che è riconosciuta “non obbligatoria”, ma ”doverosa nel caso concreto” – che può però essere valutato soltanto a posteriori, in conseguenza della scoperta della truffa -.

In un diverso caso, nel quale l’impresa aveva ottenuto un finanziamento garantito da SACE per 2, 6 milioni circa[64], la “scure pubblica“ si è abbattuta sul direttore (anzi: la direttrice) finanziario dell’impresa interessata in via personale. In un contesto nel quale la società italiana era stata vittima di un “dissesto di gruppo”, originato dal default della capogruppo francese-cinese, provocato da fattori principalmente esogeni (“aumento della concorrenza da parte di altri gruppi e dell’e-commerce, contrazione del mercato dell’abbigliamento per bambini dovuto al calo delle nascite e al contemporaneo sviluppo del mercato dell’usato, perdite di alcune licenze su alcuni marchi importanti (Levi’s e Esprit), mobilitazioni sociali verificatesi in Francia nel 2019….”), al momento della conclusione (non positiva ) del procedimento di redressement judiciaire che era stato aperto in Francia su tutto il Gruppo, la direzione finanziaria aveva dato disposizione di effettuare alcuni pagamenti:

(i) ai consulenti che l’avevano assistita nelle controversie legali relative a questioni sindacali sorte a causa dei licenziamenti collettivi originariamente programmati per la ripresa della società (per oltre il 15%);

(ii) relativi a debiti tributari e previdenziali verso l’erario, l’Inps, le Regioni e gli Enti locali (per oltre il 60%),

ed aveva conservato il residuo (oltre 600.000,00 euro).

La Procura Regionale contesta l’utilizzo del finanziamento pubblico in quanto incoerente con lo “scopo legale” ad esso dichiaratamente sotteso, del perseguimento dell’obiettivo della “ripresa economica perseguito dallo Stato con il Decreto Liquidità”. Essa osserva che i finanziamenti garantiti ai sensi del d.-l. n. 23/2020 “sono stati assoggettati a un vincolo di destinazione stabilito dal legislatore in maniera puntuale, da individuarsi nel pagamento dei costi di personale, dei canoni di locazione o di affitto di ramo d’azienda, per investimenti o per il sostegno al capitale circolante, impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali localizzate in Italia, con lo scopo ultimo di stimolare la ripresa dell’economia nazionale”. I pagamenti effettuati dall’impresa, per quanto rivolti al soddisfacimento di crediti meritevoli di considerazione (per lo più crediti altrettanto pubblici, come l’Erario, l’Inps, gli Enti locali, eccetera), per il momento in cui erano stati posti in essere (il mancato conseguimento della ristrutturazione “di gruppo”) “non possono essere considerati come finalizzati al sostegno del regolare svolgimento dell’attività economica”: di qui la individuazione di un “danno erariale“ direttamente e personalmente in capo al manager responsabile della gestione finanziaria.

Quanto alla quantificazione del danno cagionato all’erario, la Procura Regionale non ritiene che essa debba essere identificata nella “diminuzione del patrimonio dello Stato legata all’erogazione pecuniaria a valere sul fondo del MEF, poiché questa si verifica solo in via eventuale, in caso di escussione della garanzia” – nonché, bisogna aggiungere, in caso di mancato successo del regresso assistito da “super-privilegio“ -, “quanto piuttosto dal vulnus inferto al programma statale di ripresa economica che, in questo caso, costituisce il vero e proprio bene giuridico ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento[65]. Tale danno, secondo la Procura Regionale, “ è suscettibile di valutazione economica nella misura della quota parte del mancato apporto alla ripresa che ci si poteva ragionevolmente attendere dal corretto utilizzo del finanziamento” da parte della impresa interessata: in conseguenza “si ritiene applicabile una quantificazione in via equitativa del danno, dato che l’inutile esborso di fondi a garanzia pubblica è dannoso per il pubblico erario, con negativi riverberi su tutto il programma da realizzare e, quindi, con riflessi valoriali negativi che vanno ben oltre i margini meramente finanziari del contributo ricevuto[66]. Ciò precisato; ed ammesso che “risulta complesso tradurre tale mancato apporto al programma [di risanamento economico nazionale] in una quantificazione di danno esatta”; la Procura Regionale opta per la richiesta di risarcimento di un “danno erariale” pari “all’intero importo del finanziamento ottenuto dall’impresa, coperto dalla garanzia statale: vale a dire, nel caso di specie, 2, 6 milioni di euro, benché oltre 600.000,00 euro non fossero stati spesi (!); e benché l’attivazione del “super- privilegio“ mobiliare potesse comportare il recupero dell’intera differenza di 2,0 milioni (!!).

La prima reazione sarebbe quella di obiettare che male ha fatto il direttore (anzi, la direttrice) finanziario dell’impresa a restituire i 600.000,00 euro non utilizzati allo Stato, perché forse tanto valeva intascarli…!: la sanzione sarebbe stata identica!

 

[1] S. BONFATTI, L’insolvenza bancaria. Gli intermediari finanziari, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso e L.Panzani, Torino, 2025.

[2] Ne è una riprova la disciplina delle cc.dd. “situazioni di crisi”: sia perché non interessa soltanto le crisi di carattere economico, ma anche le crisi di carattere gestionale e di conformità alla legge; sia perché si avvale di strumenti sconosciuti al “diritto imprenditoriale comune”. Ne è un esempio recente la nomina (6 agosto 2024) di ”Commissari Temporanei in affiancamento” al Consiglio di amministrazione dell’azienda di credito Banca Privata Leasing S.p.A. I commissari temporanei in affiancamento (art. 75-bis, co. 1, T.U.B.) coadiuvano gli organi sociali nella realizzazione delle iniziative funzionali al pieno ripristino di un’operatività improntata ai principi di sana e prudente gestione, in un contesto nel quale la banca prosegue regolarmente la propria attività, e la gestione rimane affidata agli organi aziendali in carica. Nel caso di specie l’autorità di vigilanza (Banca d’Italia) avrebbe individuato carenze nei controlli antiriciclaggio. Inoltre Banca Privata Leasing avrebbe superato i limiti regolamentari che vietano di prestare a un solo soggetto più del 25% del patrimonio per evitare un’eccessiva concentrazione. Da notare che Banca Privata Leasing aveva chiuso il 2023 in crescita, con un margine di intermediazione di 15,52 milioni (11,6%) e un utile di 2,82 milioni (+28,7%). Si era bensì registrato un aumento dei “crediti deteriorati” (da 22, 2 milioni lordi a 39, 4 milioni lordi ), ma senza che ciò dovesse impensierire in modo eccessivo, perché per la maggior parte si trattava di operazioni assistite da garanzie reali (dal bilancio emergeva che i crediti deteriorati netti a fine 2023 erano pari a 31 milioni, costituiti per il 64,6% da leasing immobiliari).

[3] Si adduce a tale proposito, di norma, quanto dettato dall’articolo 5 del Testo Unico Bancario, secondo il quale “le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza ad esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia”.

[4] In argomento Trib. Piacenza, 8 gennaio 2025, in www.ilcaso.it, 20 marzo 2025, secondo il quale: ”ai fini dell’applicazione della “soluti retentio” prevista dall’arte 2035 c.c. le prestazioni contrarie al buon costume non sono soltanto quelle che contrastano con le regole della morale sessuale e della decenza, ma sono anche quelle che non rispondono ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico, dovendosi pertanto ritenere contraria al buon costume, e come tale irripetibile, l’erogazione di somme di denaro in favore di una impresa già in stato di decozione, integrante un vero e proprio finanziamento, che consente all’imprenditore di ritardare la dichiarazione di fallimento, incrementando l’esposizione debitoria dell’impresa, trattandosi di condotta preordinata alla violazione delle regole di correttezza che governa le azioni di mercato “. In applicazione di tale principio il Tribunale ha rigettato l’opposizione della banca nei confronti del provvedimento del Giudice Delegato che ne aveva escluso il finanziamento, assistito da garanzia del Fondo di Garanzia per le PMI per “concessione abusiva”, tale giudicata in quanto “non basta qualificare come diligente la sola consultazione di report contenenti giudizi di sintesi sul merito creditizio e attestanti la mancanza di specifici eventi integranti indici di difficoltà economica (come protesti o procedure esecutive), in quanto ad un soggetto altamente professionale è richiesta la verifica concreta e puntuale delle effettive condizioni finanziarie ed economiche del soggetto finanziato, non potendo confidare solo su giudizi o dati aggregati di sintesi forniti da terzi (per quanto professionalmente riconosciuti nel settore del rating).

[5] Trib. Asti, 8 gennaio 2024, in ristrutturaziiniaziendali.Ilcaso.it, 11 gennaio 2024; Trib. Ferrara, 3 maggio 2024, in www.dirittodellacrisi.it; Trib. Pescara, 2 luglio 2024, in www.ilcaso.it, 24 luglio 2024; Trib. Torino, 1° agosto 2024, in www.dirittodel risparmio.it, 2025; Trib. Napoli, 27 novembre 2024, in www.ilcaso.it., 18 marzo 2025; Trib. Piacenza, 8 gennaio 2025, in www.dirittodellacrisi.it.

In argomento v. S. Ambrosini, I rapporti fra le imprese in composizione negoziata e i creditori bancari dopo il decreto correttivo del 2024 (con una digressione sui finanziamenti abusivi), in ristrutturazioniaziendali.Il caso. it., 10 marzo 2024.

[6] S. Ambrosini, op. cit., 18.

[7] In questi termini le decisioni della Suprema Corte n. 16706 del 5 agosto 2020; n. 2014 del 26 gennaio 2018; n. 9441 del 21 aprile 2010; n. 5371 del 18 giugno 1987.

[8] App. Salerno, 28 novembre 2024, in www.ilcaso.it.

[9] In argomento S. BERTOLOTTI e L. SCACCAGLIA, Mutui garantiti da MCC: sulla nullità per violazione del precetto penale, in www.iusletter.com, 27 novembre 2024, 15, secondo i quali “seguendo la infondata tesi della nullità dei mutui garantiti, a nostro avviso non sarebbe possibile ravvisare benefici per lo Stato, che sarebbe comunque tenuto a liquidare la garanzia che non risulta compromessa dalla nullità del contratto, trattandosi di credito che sorge ex lege, tenuto altresì conto che le disposizioni operative del Fondo di Garanzia per le PMI prevedono che la banca garantita è tenuta unicamente a proporre insinuazione al passivo senza che rilevi l’eventuale esclusione, la quale, quand’anche motivata dalla nullità del finanziamento e confermata all’esito dell’opposizione, non può assumere rilevanza al fine di consentire a MCC, quale gestore del Fondo, di non liquidare la garanzia, e ciò in ragione di quanto previsto dall’arte. 96, u.c., l. f., disposizione ripresa nel Codice della Crisi dall’art. 204, u.c. (ed al proposito gli autori rinviano anche a L. CIPOLLA, L. DELL’ORO, G. GAUDENZI, Procedure concorsuali e crediti garantiti da MCC e SACE, 12 luglio 2024, in www.dirittobancario.it).

[10] Trib. Monza, 4 luglio 2024, n. 737, in https://iusletter.com, 17 luglio 2024; Trib. Padova, 30 luglio 2024, in www.expartecreditoris.it, 10 aprile 2025; Trib. Roma, 29 ottobre 2024, in www.ilcaso.it, 20 febbraio 2025.

[11] Cass., Sez. I, 8 ottobre 2024, n. 26248, in dirittodellacrisi.it, 8 ottobre 2024.

[12] Il chè non significa che chiunque preteso danneggiato sia considerato legittimato a fare valere il pregiudizio collegato alla condotta asseritamente “abusiva” della banca: in particolare, sono considerati privi della legittimazione ad agire in tal senso tanto l’impresa asseritamente danneggiata (dovendo considerarsi la prima responsabile del danno prodottosi, per avere tanto richiesto, quanto poi utilizzato il finanziamento “abusivo”), quanto il curatore “fallimentare” nel contesto dell’eventuale liquidazione giudiziale dichiarata in danno dell’impresa (Cass., SS.UU., n. 7029/2006; n. 7030/2006; n. 7031/2006. Più recentemente App. Milano, 20 marzo 2015, n. 1229, in ius.giuffrefl.it., 5 agosto 2015).

[13] In questo senso, della giurisprudenza di merito, App. Salerno, 28 novembre 2024, cit.

[14] Cass., 5 agosto 2020, n. 16706; e Cass., 19 febbraio 2024, n. 4376, in ius.giuffrefl.it., 17 maggio 2024, con nota di M. LONATI, Finanziamenti erogati all’impresa in stato di decozione: contrarietà alla morale sociale economica e soluti retentio.

[15] La Suprema Corte, ricordando i propri precedenti citati, sottolinea come nel primo caso “il credito insinuata al passivo fallimentare derivava da forniture a credito effettuate ad un imprenditore in crisi, che veniva così a indebitarsi ulteriormente, aggravando il proprio dissesto – con integrazione della fattispecie penalistica di cui all’articolo 217, comma 1, n. 4, l-fall. -, nel contesto di un disegno del fornitore finalizzato a rilevarne gli assett, tramite una forma di finanziamento dissimulato, erogato in tranches a fronte di forniture non eseguite, tanto che la condotta è stata descritta come ^una disinvolta attitudine predatoria nei confronti di soggetti economici in dissesto^”. Nel secondo caso invece il credito insinuato al passivo fallimentare riguardava ” un finanziamento per oltre 2 milioni e mezzo di euro erogato da un socio amministratore a società in totale dissesto, finalizzati a procrastinare il fallimento, nel contesto di una attività truffaldina e fraudolenta che aveva avuto ampio risalto mediatico”.

[16] Immediatamente dopo la pronuncia commentata la Suprema Corte ha ribadito che la “concessione abusiva di credito” da parte di un istituto bancario, consistente nell’erogazione incauta di finanziamenti ad impresa in stato di insolvenza o crisi conclamata, integra un illecito che obbliga il finanziatore al risarcimento del danno qualora ne derivi l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa. Non costituisce tuttavia concessione abusiva di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi, abbia assunto un rischio non irragionevole erogando credito ad un’impresa potenzialmente in grado, secondo una valutazione ex ante, di superare la crisi o di permanere proficuamente sul mercato, sulla base di documenti e dati da cui sia stata desunta in buona fede tale possibilità. Ai fini della configurabilità della responsabilità della banca, il curatore fallimentare – in caso di assoggettamento dell’impresa finanziata a liquidazione giudiziale – deve provare: a) la condotta violativa delle regole dell’attività bancaria caratterizzata da dolo o colpa; b) il danno-evento costituito dalla prosecuzione dell’attività in perdita; c) il danno-conseguenza rappresentato dall’aumento del dissesto; d) il nesso causale tra la condotta e i danni. La mera esistenza di elementi indiziari circa la precaria situazione finanziaria dell’impresa finanziata (quali squilibri di bilancio, sottocapitalizzazione o segnalazioni alla Centrale Rischi) non è di per sé sufficiente a dimostrare l’abusività dell’erogazione del credito, essendo necessario provare specificamente la violazione delle regole prudenziali da parte della banca e il conseguente aggravamento del dissesto causalmente riconducibile alla prosecuzione dell’attività consentita dal finanziamento (Cass., 4 novembre 2024, n. 28320 – e in argomento v. M. LONATI, Abusiva concessione di credito per la banca che continua a finanziare l’imprenditore in crisi, in ius.giuffrefl.it, 14 febbraio 2025 -; Cass., 27 ottobre 2023, n. 29840 – in argomento M. SELVINI, Abusiva concessioni di credito: l’analisi del giudice sulla valutazione del merito creditizio, in ius.giuffrefl.it, 27 marzo 2024-).

[17] Trib. Pescara, 2 luglio 2024, in www.ilcaso.it. Tale decisione ha rigettato l’opposizione allo stato passivo proposta da una banca che aveva erogato un finanziamento garantito da MCC, ritenendo nullo per difetto di causa il contratto di finanziamento, il cui scopo era stato indicato con la dicitura “reintegro circolante”, in quanto la banca non avrebbe fornito la prova di avere svolto l’analisi del merito creditizio e della capacità di rimborso del cliente finanziato. In termini analoghi Trib. Asti, 8 gennaio 2024, in www.ilcaso.it.

[18]Trib. Modena, 4 giugno 2024, n. 1018 (in www.iusletter.com), che ha ritenuto non essere ”seriamente sostenibile, come allegato in citazione, che all’asserita condotta illecita della banca finanziatrice di c.d. “concessione abusiva di credito ” consegua, per ciò solo, la nullità del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni”. Il tribunale, nell’occasione, ha aggiunto che la “concessione abusiva del credito” non può assurgere a causa di nullità – sotto il versante genetico (causale) – del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni, ma, al più, può assumere rilievo, in sede civile, sotto il versante risarcitorio, ma solo nell’ipotesi nella quale risultino provati gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano ascritto alla banca. Nello stesso senso Trib. Padova, 23 luglio 2024, in ristrutturazioniaziendali.Il caso.it, il quale ha affermato che le disposizioni sulla valutazione del merito creditizio rientrano nel novero di “norme di condotta“. In particolare, ha sottolineato il Tribunale, “nel caso del contratto di mutuo, gli elementi strutturali sono costituiti dalla corresponsione di una somma di denaro da parte del mutuante e dalla sussistenza dell’obbligo restitutorioo del mutuatario di capitale e interessi in un dato periodo di tempo, secondo il piano di ammortamento prescelto. Tali elementi risultano indifferenti alla precedente valutazione delle capacità restitutorie del mutuatario malamente eseguita o non eseguita del tutto da parte del mutuante: ove infatti il mutuante, ciononostante, eroghi la somma mutuata ed il mutuatario assuma su di sé l’obbligo restitutorio, il contratto sarà stato comunque validamente perfezionato, potendo assolvere la funzione sua propria di finanziamento del mutuatario…. la violazione delle regole sulla valutazione del merito creditizio non comporta nullità del contratto di mutuo, costituendo, al più, presupposto per la condanna al risarcimento dei danni e per la risoluzione del contratto nei casi che lo consentano “. Nello stesso senso Trib. Padova, 19 novembre 2024, in ristrutturazioniaziendali.Il caso.it.; App. Salerno, 28 novembre 2024 (in il caso.It., 21 febbraio 2025). In argomento S. BERTOLOTTI e L. SCACCAGLIA, Mutui garantiti da MCC: sulla nullità per violazione del precetto penale, in www.iusletter.com, 27 novembre 2024, 11.

[19] Trib. Torino, 1° agosto 2024 (commentata da S. BERTOLOTTI e L. SCACCAGLIA, cit.) aveva ritenuto che “la fattispecie di bancarotta semplice ipotizzata nel caso in esame, nel quale la banca ha concesso, senza effettuare la dovuta valutazione del merito creditizio, ad impresa avente indici riconoscibili di insolvenza, un mutuo garantito al 100% in via automatica da un fondo di garanzia statale, così contribuendo ad aggravarne il dissesto e ritardandone il fallimento, sia posta a tutela anche di un interesse collettivo, da individuare nell’ordinato esercizio del commercio, interesse generale e costituzionalmente garantito dall’art. 41 Cost. alla regolarità ed alla correttezza delle operazioni commerciali e dell’esercizio dell’impresa, non solo degli interessi dei creditori, configurandosi come reato plurioffensivo”. In terminis, per quanto viene riferito nel contributo ad essa dedicato, la decisione di Trib. Piacenza, 8 gennaio 2025 (commentata da E. CORUCCI, La concessione abusiva del credito all’impresa in crisi e la sua rilevanza penale, in IUS Crisi d’impresa, 27 giugno 2025).

[20] In argomento v. E. STAUNOVO-POLACCO, La nullità dei contratti per concessione abusiva di credito e aggravamento del dissesto alla prova degli insegnamenti della suprema corte sulle nullità “virtuali”, in ristrutturazioni aziendali.Ilcaso.it, 29 luglio 2024, § 4.

[21] Trib. Salerno, 13 marzo 2025, N. R.G. 1519/2024.

[22] Cass., SS. UU., 5 marzo 2025, n. 5841, in dirittodellacrisi.it, 5 marzo 2025. In precedenza Cass., 27 aprile 2024, n. 5151; Trib. Monza, 4 luglio 2024, n. 737, in https://iusletter.com, 17 luglio 2024.

[23] L’azione revocatoria concorsuale è proponibile in tutta la sua portata nei confronti di operazioni di “mutuo solutorio” diverse dall’erogazione di credito fondiario. Può esserlo anche nell’ipotesi di finanziamento fondiario, allorché si ritengano individuabili i presupposti dell’azione revocatoria ordinaria (non esclusa dalla esenzione dell’articolo 166 CCII, il cui ambito di applicazione è circoscritto alle azioni “di questo articolo”), e si intende assoggettare a revocatoria la “prestazione di garanzia“, come consentito dall’art. 2901 cod. civ.

[24] Intorno all’autunno del 2019 le autorità sanitarie di una città della Cina riscontrarono i primi casi di pazienti che mostravano i sintomi di una “polmonite di causa sconosciuta”. Il ceppo responsabile della pandemia fu identificato nei primi giorni di gennaio 2020 e denominato ufficialmente Coronavirus 2 della Sindrome Respiratoria Acuta Severa, abbreviato SARS-CoV-2. Successivamente la malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus fu definita COVID-19. A marzo 2020 il tasso di mortalità e di morbilità dovuti alla malattia non erano ancora ben chiari: ma subito dopo il fenomeno si aggravò in modo consistente.

[25] In sede comunitaria venne adottato dalla Commissione europea un Quadro temporaneo per gli aiuti di Stato in data 19 marzo 2020: già in data 3 aprile sarebbe stato modificato. Più precisamente, in data 20 marzo 2020 fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la comunicazione della Commissione Europea denominata “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza da Covid-19 (2020/C 91 I/01)”, con la quale la Commissione derogava alla disciplina ordinaria sugli aiuti di Stato, riconoscendo alle imprese che non si trovavano “in difficoltà” alla data del 31 dicembre 2019 la possibilità di beneficiare di agevolazioni pubbliche fino al termine – come da ultimo prorogato – del 30 giugno 2022, incluse garanzie sui prestiti, alle condizioni meglio delineate alle sezioni 3.2 e 3.4. In argomento P. MANGANELLI, Il trattamento concorsuale dei crediti garantiti da SACE e MCC, in www.dirittodellacrisi.it, 19 febbraio 2024.

[26] Il tema degli “Aiuti di Stato” alle imprese difficoltà è di continua attualità: in data 25 agosto 2025 è stata resa nota una iniziativa della Commissione UE, la quale ha avviato una consultazione pubblica per raccogliere contributi al fine di aggiornare i propri Orientamenti sugli “Aiuti di Stato” per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà (Aiuti di Stato a imprese difficoltà: orientamenti aggiornati dalla Commissione UE, in www. diritto bancario.it, 25 agosto 2025).

Ai sensi della regolamentazione vigente gli Aiuti di Stato possono essere considerati compatibili con il mercato interno se facilitano lo sviluppo di determinate attività economiche o di determinate regioni economiche, purché non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse.

Gli orientamenti prevedono tre tipi di aiuti:

  • aiuti per il salvataggio
  • aiuti per la ristrutturazione
  • aiuti temporanei alla ristrutturazione.

La revisione sulla quale la Commissione UE chiede ai Paesi membri di esprimersi prevede, in particolare:

  • l’estensione del campo di applicazione degli orientamentiin materia di salvataggio e ristrutturazione al settore siderurgico, attualmente escluso
  • la modifica della definizione di “impresa in difficoltà, per quanto concerne alcuni tipi di start-up innovative
  • l’apporto di modifiche tecniche a seguito di diverse decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Il termine per rispondere all’invito a presentare prove e al Questionario della consultazione pubblica è il 14 novembre 2025.

[27] Nel corso della audizione davanti alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei Deputati in data 27 aprile 2020, in occasione della conversione in legge del d.-l. 8 aprile 2020, n. 23 (“Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”: c.d. “decreto liquidità”), il Capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia ricordava come le principali misure introdotte riguardassero: i) l’attivazione di garanzie statali, concesse attraverso SACE S.p.A., per un importo complessivo di 200 miliardi da utilizzare entro la fine dell’anno….; ii) l’ampliamento, fino al 90%, della quota di riassicurazione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze dei crediti all’esportazione assicurati dalla stessa SACE – misura che avrebbe consentito di liberare risorse nel bilancio della SACE per altri 200 miliardi, utilizzabili per concedere garanzie a condizioni di mercato anche dopo il 2020 -; iii) una diversa articolazione, per l’anno 2020, dell’operatività del Fondo Centrale di Garanzia per le piccole e medie imprese (FCG), anche attraverso l’aumento delle quote di copertura dei prestiti e l’ampliamento della platea dei potenziali beneficiari.

Analogamente si è espresso G. ROCCA, I crediti garantiti da sace ed mcc, tra norme di riferimento e primi arresti giurisprudenziali, in ristrutturazioni aziendali.Il caso.it, 17 novembre 2024, secondo il quale “il decreto ” Liquidità ” ha istituito un piano da 750 miliardi di euro per garantire liquidità alle imprese. Infine, il decreto “Rilancio ” (D.L. n. 34/2020), con un budget di 16 miliardi di euro, ha esteso la durata delle misure di sostegno, tra cui la cassa integrazione, gli interventi di liquidità e le misure fiscali tramite contributi a fondo perduto. Le misure sono state inoltre affiancate da moratorie private concordate con i singoli intermediari e da quella promossa dall’ABI, che ha consentito alle banche ed intermediari finanziari aderenti di sospendere fino a 1 anno il pagamento delle rate dei finanziamenti e di estenderne la scadenza”.

[28] Le garanzie rilasciate dal Fondo Centrale di Garanzia erano invece considerate “standardizzate”, ossia concesse in numero elevato, generalmente per importi piccoli e su operazioni con caratteristiche simili. Secondo i regolamenti statistici europei tali garanzie vengono contabilizzate nell’indebitamento netto in base alla probabilità di escussione stimata dal soggetto che le rilascia.

[29] Audizione del Capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia davanti alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei Deputati in data 27 aprile 2020.

[30] Contemporaneamente, peraltro, si avvertiva che “l’ammontare delle garanzie pubbliche alle imprese complessivamente attivabili sulla base dei decreti 18 e 23 del 2020 si colloca intorno ai 450 miliardi, circa 5 volte il valore di quelle in essere alla fine del 2019. Data la gravità della crisi e l’incertezza sui tempi e sulla rapidità della ripresa dell’attività economica, la probabilità di una futura escussione di tali garanzie sarà verosimilmente molto più elevata che in condizioni normali. Gli oneri per le finanze pubbliche, seppure distribuiti su più esercizi… potranno essere significativi. I tassi di insolvenza potrebbero anche superare quelli del biennio 2012-2013, quando si avvicinarono al 10%, risentendo dell’ampliamento della platea dei beneficiari (sono incluse, tra l’altro, le imprese con prestito deteriorati) [infra], delle più elevate percentuali di copertura e dell’assenza di previsioni che limitino l’utilizzo delle garanzie ai soli nuovi finanziamenti o al rinnovo di quelli in scadenza contrattuale “( Audizione del Capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia davanti alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei Deputati, cit.).

[31] Comunicazione della Banca d’Italia del 19 giugno 2020 – Precisazioni sulle Segnalazioni alla Centrale dei Rischi – Garanzie Covid-19 – Accordi ” a saldo e stralcio”.

[32] Comunicazione della Banca d’Italia del 19 giugno 2020, cit. Nel caso di specie si precisava che “in questo caso, nel mese in cui le parti hanno raggiunto l’accordo, l’intermediario segnala il cliente nella categoria “sofferenze-crediti passati a perdita” per l’importo [eventuale] stralciato e non effettua alcuna segnalazione tra le “sofferenze”.

[33] Il significato della disposizione è stato valorizzato, inter alia, da Trib. Monza., 4 luglio 2024, cit., secondo il quale “… la norma chiarisce anzitutto che l’importo erogato può essere utilizzato, ancorché parzialmente, per operazioni di rinegoziazione di debiti pregressi (ovvero, per operazioni di ripianamento: ciò costituisce un ulteriore elemento a comprova della validità del mutuo solutorio, come già illustrato nel punto di cui sopra). Successivamente la norma precisa che, in aggiunta al margine destinato all’effetto di rinegoziazione/ripianamento, il nuovo finanziamento debba apportare ulteriore liquidità pari ad almeno 25% dell’importo debitorio oggetto di rinegoziazione”.

[34] Anche la Banca d’Italia fu propensa, all’epoca, a valutare sufficientemente adeguata una indagine di carattere puramente documentale. Nel documento “Finanziamenti garantiti dal Fondo Centrale di Garanzia per le PMI”, del 17 giugno 2020, l’Autorità di Vigilanza prendeva in considerazione i ” finanziamenti fino a 25.000 euro (limite poi innalzato 30.000 euro in sede di conversione, legge 5 giugno 2020, n. 40), per i quali la legge prevede che le banche possono procedere all’erogazione senza attendere l’accoglimento della domanda da parte del Fondo”. La Banca d’Italia osservava che per tale categoria “l’istruttoria segue generalmente un iter semplificato corredato da un insieme di documenti, di norma consistente nella richiesta di finanziamento, nel bilancio di esercizio o nell’ultima dichiarazione fiscale presentata”.

[35] Audizione del Capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia davanti alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei Deputati in data 27 aprile 2020.

[36] Audizione del Capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia davanti alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei Deputati in data 27 aprile 2020.

[37] Comunicazione della Banca d’Italia del 19 giugno 2020, cit. ” … non devono essere segnalate in CR, nella categoria ” garanzie ricevute”, le garanzie:

– pubbliche concesse in base a leggi, decreti e provvedimenti normativi;

– rilasciata automaticamente, al ricorrere di determinati presupposti”.

[38] Nella circolare alle banche associate del 9 aprile 2020 l’Associazione Bancaria Italiana si esprimeva in questi termini, con riguardo ai finanziamenti disciplinati dall’articolo 13 del “Decreto Liquidità” – cioè i finanziamenti garantiti dal Fondo Centrale di Garanzia PMI – (pag. 8): “Ai fini dell’accesso al Fondo, andranno presentati solo i dati per l’alimentazione del modulo economico-finanziario; .. la garanzia è concessa anche in favore di beneficiari finali che presentano, alla data di richiesta di garanzia, esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come “inadempienze probabili” o ” scadute e/o sconfinanti deteriorate “…”; con riguardo ai finanziamenti di importo non superiore a 25.000,00 euro (poi 30.000,00 euro) “il rilascio della garanzia è automatico e gratuito, senza alcuna valutazione da parte del Fondo. La banca potrà pertanto erogare il finanziamento con la sola verifica formale del possesso dei requisiti, senza attendere l’esito dell’istruttoria del gestore del Fondo medesimo”.

[39] Quindi nell’arco di meno di 2 mesi dall’entrata in vigore del “decreto liquidità”.

[40] Banca d’Italia, Finanziamenti garantiti dal Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, 17 giugno 2020.

[41] La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che al soggetto autore di una falsa dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà siano effettivamente applicabili le sanzioni previste dall’art. 483 cod. pen.: Cass., Sez. V, n. 20570 del 10 maggio 2006, Esposito; Cass., Sez. V, n. 21209 del 25 maggio 2006, Bartolazzi; Cass., Sez. V, n. 48681 del 6 giugno 2014, Sola.

[42] Trib. Vicenza, 22 ottobre 2024, in www.dirittodellacrisi.it.

[43] In argomento Trib. Verona, 16 dicembre 2024. Il Tribunale premette che “gli istituti di credito durante l’istruttoria preliminare alla concessione del finanziamento sono tenuti alla corretta valutazione del merito creditizio, secondo le norme e disposizioni di vigilanza sia nazionali che sovranazionali vigenti al momento della richiesta… “. Aggiunge poi che “tali obblighi di corretta valutazione dovevano essere rispettati anche in relazione ai finanziamenti con garanzia statale erogati in conseguenza della pandemia Covid 19 ai sensi dell’art.. 13 del D.L. 23/20. L’operatore bancario è quindi tenuto ad accertare la condizione economico-finanziaria del soggetto finanziato all’attualità, posto che solo avendo a disposizione dati aggiornati è possibile valutare in modo attendibile la capacità di restituzione del prestito “. Ciò premesso, il Tribunale precisa che “in presenza di dati ed informazioni autonomamente reperibili datati e non aggiornati, la Banca – per assolvere correttamente al proprio compito di valutazione del merito creditizio – è tenuta a richiedere all’interessato ulteriori dati ed informazioni in suo possesso, che siano in grado di fornire una rappresentazione all’attualità della sua condizione economica e finanziaria”. Nel caso di specie, osservando che “la stessa banca non nega certo di avere proceduto alla valutazione del merito creditizio in modo corretto prima di concedere il mutuo”, non vi era ragione di dubitare che nella fattispecie “fosse stata effettivamente richiesta alla impresa finanziata una situazione patrimoniale finanziaria aggiornata”, sicché la banca “era evidentemente venuta a conoscenza dell’informazione dei dati dai quali emergeva in modo manifesto la condizione di insolvenza della società” finanziata: da qui, l’esclusione del credito bancario dal passivo fallimentare per revocabilità del finanziamento erogato. Nella fattispecie decisa da Trib. Napoli, 27 novembre 2024 (in www.il caso.It, 18 marzo 2025; e in www.diritto bancario.it, 5 marzo 2025) l’esclusione dello stato passivo fallimentare del credito vantato dalla banca in conseguenza dell’erogazione di un finanziamento concesso nel contesto della “crisi pandemica”, giudicato incauto, è fondata sulla compensazione con il credito risarcitorio fatto valere dal curatore fallimentare per l’asserito aggravamento del dissesto favorito dal sostegno finanziario bancario.

[44] Tanto, che fra la documentazione richiesta per l’ammissione alle garanzie pubbliche era richiesta anche la presa d’atto che il finanziamento sarebbe stato erogato solamente alla condizione che la garanzia pubblica fosse stata concessa.

[45] Trib. Asti, 8 gennaio 2024 (in ristrutturazioniaziendali.Il caso.it, 11 gennaio 2024 (secondo il quale “la consapevole concessione di una somma a mutuo ad un soggetto insolvente e non in grado di restituirla per estinguere un pregresso debito contando sulla garanzia assicurata dallo Stato, costituisce un complesso di negozi giuridici funzionalmente collegati, la cui causa non è quella del contratto di tipo di mutuo e neppure quella del patto di dilazionamento della scadenza del debito. La funzione concreta del negozio, infatti, non è la erogazione immediata di una somma con assunzione del rischio cita la sua integrale restituzione a fronte dell’impegno del mutuatario al rimborso rateale e neppure la concessione di una dilazione negli obblighi istitutori di un finanziamento già erogato mediante stipulazione di nuove più sopportabili condizioni, perché, per entrambi i negozi, è assente la stessa astratta possibilità che la restituzione avvenga. La vera causa concreta dell’operazione negoziale è l’assicurazione alla parte mutuante della garanzia statale per una parte nettamente preponderante del già sussistente credito, nella consapevolezza che il debitore principale non potrà mai adempiervi ed a fronte di una non immediata esazione del precedente credito.

Una simile causa del negozio è in contrasto con le disposizioni normative di natura primaria e secondaria che regolano le modalità con le quali va condotta l’attività bancaria (anzitutto art. 5 TUB e contenuto integrativo di cui alla circolare n. 285 del 17 dicembre 2013) e l’accesso alle garanzie prestate dal Fondo (cfr. L. 23/12/1996, n. 662, art. 2, comma 100; D. M.. 31/05/1999, n. 248 del Ministero dell’industria, del commercio dell’artigianato e, in particolare in ordine alle condizioni in cui devono versare le PMI ivi inclusa la ragionevole possibilità che siano in grado di restituire il finanziamento erogato, il D. M. Ministero delle attività produttive 20/06/2005 e allegati al D.M. Ministero delle attività produttive 23/09/2005).

Tali ultimi disposizioni stabiliscono le condizioni per l’accesso alle garanzie statali, sono inderogabili dai privati e si deve ritenere abbiano carattere imperativo alla luce degli interessi generali alla cui protezione sono destinate. Si tratta, infatti, di norme regolatrici l’erogazione di ingentissime somme di competenza dello Stato in relazione alle quali la collettività vanta un interesse assolutamente preminente al loro corretto impiego “; Trib. Pescara, 2 luglio 2024, in www.ilcaso.it., 24 luglio 2024 (secondo il quale “la legittimità della condotta della banca nella concessione di credito ad una impresa, in speciale modo quando il credito sia assistito da una garanzia pubblica, presuppone il compimento, da parte della medesima, di una valutazione preventiva da cui sia possibile desumere ragionevoli prospettive di rimborso, insussistente nel caso di specie.

Tale valutazione doveva essere effettuata ex ante sulla base di documenti, dati e notizie acquisite da cui, in caso di imprese in difficoltà, possa in buona fede desumersi la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito allo scopo del risanamento aziendale, secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile, elementi non considerati affatto dalla banca neanche in sede difensiva, non avendo dato prova di aver effettuato alcune indagini sul merito creditizio dell’azienda e sulla capacità di rimborsare l’importo finanziato al momento della stipula del contratto”.

[46] Cass., n. 26248/2024, la quale, come detto (supra, nota 10), ha cassato la decisione di merito che aveva fatto discendere la irripetibilità del finanziamento erogato dalla banca dalla semplice affermazione della violazione della norma di legge richiedente una adeguata valutazione del merito creditizio, precisa tuttavia che anche con riguardo ai finanziamenti “anti Covid-19” erogabili automaticamente, perché inferiori all’importo di euro 30.000,00, “non v’è ragione per cui i generali principi di sana e prudente gestione nell’erogazione del credito, sottesi all’arte. 5 TUB e ricollegabili alla diligenza qualificata richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c., non debbano essere osservati anche nei finanziamenti di “fascia bassa” (fino a 30.000,00 euro) erogati, come quello per cui è causa, nel contesto dell’emergenza sanitaria Covid-19, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. m) del d.l. n. 23 del 2020…”.

[47] Audizione del Capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia davanti alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive) della Camera dei Deputati in data 27 aprile 2020.

[48] Cass., n. 13180/2023; Cass., n. 19461/2022. Più in generale. P. MANGANELLI, Il trattamento concorsuale dei crediti garantiti da SACE e MCC, in www.dirittodellacrisi.it, 19 febbraio 2024, testo e nota 6); P. MANGANELLI e T. PALTRINIERI, Il finanziamento delle imprese nel codice della crisi dell’insolvenza, Quaderno ODCEC Milano, n. 91.

[49] Trib. Milano, 3 luglio 2014; Trib. Pistoia, 14 maggio 2015; Trib. Udine, 2 febbraio 2017; Trib. Roma, 2 marzo 2017; Trib. Milano, 1° marzo 2018; Trib. Udine, 14 aprile 2019. In argomento P. MANGANELLI, Il trattamento concorsuale dei crediti garantiti da SACE e MCC, cit.

[50] T. PALTRINIERI, op. cit., 4). In dottrina è stata però anche negata l’ammissibilità di una interpretazione analogica del privilegio ex art. 9 D. Lgs. n. 123/1998 in favore delle garanzie pubbliche prestate ai finanziamenti “anti Covid-19 “, non essendovi alcun richiamo a tale disciplina nelle relative disposizioni “emergenziali”, e dovendosi fare applicazione del principio di tassatività dei privilegi (in argomento S. DELLE MONACHE, Garanzie rilasciate da SACE S.p.A. e privilegio ex art. 9 D. Lgs. n. 123/1998, in giustizia civile.com).

[51] Secondo Cass., 15 maggio 2023, n. 13152: “In tema di finanziamenti pubblici alle imprese, la revoca del beneficio è ricognitiva del venire meno di un presupposto di fruizione del beneficio previsto puntualmente dalla legge, non ha, quindi, valenza costitutiva del credito recuperatorio della somma finanziata, che nasce privilegiato, in capo all’Amministrazione, ex lege e fin dal momento dell’erogazione. È conseguentemente irrilevante che l’insorgenza dei presupposti per la revoca del finanziamento sia accertata anteriormente o posteriormente rispetto al fallimento che la determina.

[52] Secondo Cass., 18 gennaio 2022, n. 1453: “In tema di finanziamenti pubblici alle imprese coperti da garanzia SACE, la revoca del beneficio, per il venir meno dei requisiti cui ne è subordinato il riconoscimento, comporta l’insorgenza di un’autonoma obbligazione “ex lege” della beneficiaria verso il garante, obbligazione che, trovando la propria autonoma fonte nel sopravvenuto difetto della causa giustificatrice del beneficio, postula l’inapplicabilità delle norme sulla fideiussione ordinaria, degli istituti della surroga e del regresso nonché, infine, della disciplina di cui agli artt. 61 e 62 l.fall., sicché, in caso di fallimento della beneficiaria, SACE è legittimata ad insinuare il proprio credito al passivo, quand’anche consti un pagamento non interamente satisfattorio a vantaggio dell’istituto di credito in origine garantito, il quale abbia, a sua volta, chiesto ed ottenuto l’ammissione al passivo.”. Nello stesso senso anche Cass., 26 giugno 2023, n. 18148, che ha specificato come, anche in caso di non avvenuto pagamento della garanzia, il credito di SACE può essere ammesso al passivo in via condizionata al verificarsi del pagamento.

[53] Trib. Piacenza, 15 aprile 2025, in www.diritto del risparmio.it, 21 aprile 2025.

[54] In argomento v. M. LONATI, Abusiva concessione di credito per la banca che continua a finanziare l’imprenditore in crisi, cit., secondo la quale “ …. non si può negare che ove ad essere contratto fosse un finanziamento garantito da ipoteca o dal fondo di garanzia, la par condicio creditorum verrebbe sovvertita dalla natura ipotecaria del credito o per effetto della iscrizione di un credito privilegiato negli Stati passivi dei debitori abusivamente finanziati”. A proposito della ipotizzabilità di un comportamento “abusivo” da parte della banca che non provveda sollecitamente al recesso dall’apertura di credito a suo tempo concessa al cliente, “presumibilmente in virtù della sicurezza fornita dalla garanzia reale acquisita, a scapito degli altri creditori”, Trib Ferrara, 3 maggio 2024 (in dirittodellacrisi.it), che ha confermato l’esclusione dallo stato passivo del credito bancario derivante da un finanziamento (ipotecario) concesso nell’anno 2011, e successivamente rinnovato più volte sino alle soglie della dichiarazione di fallimento dell’impresa finanziata (dichiarato nell’anno 2022), per ritenuta abusività della condotta rappresentata dalla ripetuta concessione di rinnovi e rateizzazioni, in considerazione del ritenuto concorso della banca nel reato, ascritto all’imprenditore, di ingiustificato ritardo nella richiesta di apertura del fallimento in proprio, con conseguente applicabilità del divieto per la banca anche della pretesa di ripetizione di indebito, come sanzionato dall’art. 2035 cod. civ.

[55]Gli istituti bancari si sono mossi nell’ottica della riqualificazione dei propri crediti, blindando quelli chirografari con il suggello della garanzia pubblica. La mole di rifinanziamento è venuta in essere ha comportato un incremento sensibile nella cifra globale dei crediti assistiti da garanzia sull’intero dei crediti bancari. In buona sostanza, le garanzie SACE/MCC hanno rafforzato “a tappeto” crediti ab origine sorti come non ipotecari” – G. ROCCA, I crediti garantiti da SACE e MCC ecc., cit., 7. In argomento v. anche S. LEUZZI e P. RINALDI, in diritto della crisi, 2021 -.

[56] Trib. Milano, 12 maggio 2024, in www.dirittodellacrisi.it, che richiama Trib. Salerno, 22 febbraio 2024, ibidem, e Trib. Gorizia, 19 marzo 2024, ibidem.

[57] In argomento Trib. Modena, 3 febbraio 2025, in Procedure concorsuali e crisi d’impresa, 2025, (5), 699, secondo il quale “l’art. 87, comma 1, lett. p-bis), CCII trova applicazione anche nella procedura di concordato minore di cui agli artt. 74 s.s. CCII: ne consegue che il debitore proponente, nel caso di credito vantato da una banca assistito da garanzia rilasciata in virtù di misure di sostegno pubblico, non ancora escussa, deve inserire tali creditori in apposita classe, ai sensi dell’art. 74, comma 3, ultimo periodo, CCII, e deve prevedere nel piano concordatario un apposito fondo volto a coprire il rischio di pagamento del terzo garante nell’ipotesi di escussione della garanzia “. Analogamente Trib. Milano, 12 maggio 2024, in www.dirittodellacrisi.it; Trib. Nola, 11 luglio 2023, in One LEGALE; Trib. Bergamo, 14 ottobre 2020, in www.ilcaso.it. In dottrina. S. LEUZZI e P. RINALDI, La ristrutturazione del debito da finanziamento “emergenziale” garantito: una criticità e una proposta, in www.diritto della crisi.it, 2021, hanno osservato che “quando il deposito del piano è tempestivo la surroga non è quasi mai ancora intervenuta. In tal caso, il debitore in difficoltà non troverà dinanzi a sé il garante parastatale, ma l’istituto di credito, con l’onere gravoso e conseguente di appostare un fondo rischio in privilegio per l’importo differenziale tra la misura della garanzia e l’ammontare della soddisfazione chirografaria prospettato”. G.B. NARDECCHIA, Le modifiche alla disciplina del concordato preventivo, in Procedure concorsuali e crisi d’impresa, 2025 (1), 66, ha precisato, al proposito, “Fermo restando che, se l’escussione interviene dopo il deposito della domanda completa di proposta, piano e annessa documentazione, il debitore dovrà richiedere un termine per la modifica del piano e della proposta, con eliminazione del fondo rischi ed allocazione delle risorse nella classe del creditore garante”.

[58] Con riguardo alla procedura di Concordato preventivo si riferisce che “nella prassi le più recenti proposte concordatarie prevedono la creazione di una classe privilegiata per il garante statale lasciata momentaneamente vuota e pronta a popolarsi una volta avvenute le relative escussioni, con creazione di apposito fondo nella massa passiva. Solo in tal modo è possibile distinguere il credito chirografario delle banche da quello privilegiato statale, con conseguente differente trattamento per i diversi soggetti, anche ai fini del voto sulla proposta di concordato” (L. Cipolla, L. Dell’oro, G. Gaudenzi, Procedure concorsuali e crediti garantiti da MCC e SACE, in www.dirittobancario.it, 12 luglio 2024). Secondo Trib. Roma, 11 aprile 2024, in www.dirittodellacrisi.it, “ la soluzione prospettata dalla proponente – mantenere il debito garantito bancario in una classe di chirografo, ma costruendo sin d’ora una classe di creditori privilegiati attualmente vuota (e, se rimasta tale sino al voto, da non computare evidentemente nel calcolo delle maggioranze) ma destinata ad essere via via popolata dai garanti – pare, in via di prima analisi, corretta, in quanto attribuisce – né potrebbe fare altrimenti – la collocazione chirografaria agli istituti di credito, in quanto all’attualità titolari di un credito chirografario, ma sconta già la prevedibile escussione da parte dei garanti che li colloca, se dovesse avvenire prima del voto, in una apposita classe a questo punto votante (con correlata riduzione del credito collocato nella classe del chirografo bancario)“.

[59] Per quanto concerne le altre “procedure di crisi “, pare interessante segnalare le modifiche ed integrazioni apportate, successivamente all’entrata in vigore del CCII, alle “Disposizioni Operative” del Fondo di Garanzia per le PMI, tra le quali la riformulazione della disciplina relativa agli accordi transattivi, tra i quali rientrano anche le procedure di regolazione della crisi d’impresa, che prevedano uno stralcio del debito. Il paragrafo C) della parte VI delle Disposizioni Operative, in particolare, prevede una specifica procedura seguendo la quale i soggetti debitori possono formulare proposte di accordi transattivi riguardanti il debito garantito, nell’ambito dei differenti strumenti di regolazione della crisi. Le proposte di ristrutturazione del debito devono prevedere una percentuale di pagamento non inferiore al 15% del debito complessivo e devono essere valutate positivamente delle banche finanziatrici (in argomento L. Cipolla, L. Dell’oro, G. Gaudenzi, Procedure concorsuali e crediti garantiti da MCC e SACE, cit.).

[60] Da ultimo Trib. Vicenza, 23 luglio 2025, in www.dirittodellacrisi.it, secondo il quale è giustificabile l’accoglimento della richiesta di “impedire temporaneamente l’escussione di una qualunque garanzia, compresa quindi quella pubblica di MCC, onde evitare, da un lato, l’alterazione dello status quo tra i creditori (avvantaggiando gli escutenti, e demotivandoli rispetto all’esito della CNC), e, dall’altro lato, il definitivo consolidamento del super-privilegio di MCC, che potrebbero perciò pregiudicare le trattative in corso”: non vedendosi come, escussione o non escussione, si possa prescindere dalla circostanza che il credito di MCC troverà collocazione prima di ogni altro credito (con la sola esclusione di quelli previsti dall’art. 2751-bis) si c.c.

[61] La giurisdizione della Corte dei Conti riguarda principalmente la contabilità pubblica e le materie specificate dalla legge, come la responsabilità amministrativa per danno all’erario e i giudizi di conto, e si estende al giudizio di alcune materie di pensioni. La sua attività giurisdizionale, stabilita dall’art. 103 della Costituzione, si affianca a funzioni di controllo e si esplica nel giudicare agenti contabili, amministratori e funzionari pubblici per vicende legate alla gestione delle risorse pubbliche.

[62] Corte dei Conti, Sez. Veneto, n. 6/2024; Corte dei Conti, Sez. Liguria, n. 67/2023 e n.70/2023; Corte dei Conti, Sez. Piemonte, n. 435/2021; Corte dei Conti, Sez. Marche, n. 18/2023; Corte dei Conti, Sez. Abruzzo, n. 32/2007; Cass., SS.UU., n. 4511/2006.

[63] Trattasi del documento pubblicato nella presente rivista e riferibile alla Procura Regionale per il Veneto della Corte dei Conti.

[64] Trattasi del documento pubblicato nella presente rivista e riferibile alla Procura Regionale per l’Emilia Romagna della Corte dei Conti.

[65] Ed a tale proposito si cita il precedente di Corte dei Conti, sez. giur., Toscana, sentenza n. 23/2024.

[66] Ed a tale proposito si cita il precedente di Corte dei Conti, sez. II, App., sentenza n. 380/2021.

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