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Giurisprudenza

Fatture soggettivamente inesistenti: onere probatorio in capo all’Amministrazione finanziaria

20 Luglio 2020

Stefano Bego, Studio Legale Tributario EY

Cassazione Civile, Sez. V, 6 luglio 2020, n. 13844 – Pres. Cirillo, Rel. Guida

Di cosa si parla in questo articolo

Attraverso l’ordinanza in analisi, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire ancora una volta che, in caso di contestazione per fatture soggettivamente inesistenti, spetti all’Amministrazione finanziaria provare, anche solo in base a presunzioni, l’inesistenza del fornitore e il fatto che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere con l’ordinaria diligenza, anche in virtù della propria posizione, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Una volta dimostrato ciò, spetta invece al contribuente la prova contraria di aver agito senza detta consapevolezza e di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto al singolo caso.

A riguardo, non assumerebbero alcun rilievo né la regolarità di pagamenti e contabilità, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci, come peraltro già espresso da copiosa giurisprudenza di merito (Sul punto ex multis Cass. nn. 11873/2018, 9721/2018, 9851/2018, 16469/2018, 21104/2018, 27555/2018, 27556/2018).

Scendendo nello specifico dei fatti di causa, l’Agenzia delle Entrate, attraverso tre distinti avvisi di accertamento seguiti dalle relative cartelle di pagamento, recuperava a tassazione costi indeducibili e relativa Imposta sul Valore Aggiunto indetraibile, relativi a fatture ritenute soggettivamente inesistenti, contestando alla società la fittizia interposizione nella compravendita di alcuni beni tra la cedente e la cessionaria.

L’impugnazione dinanzi al giudice di prime cure non sortiva alcun effetto positivo per la contribuente che però, a seguito di appello, otteneva l’accoglimento delle proprie doglianze da parte dalla Commissione Tributaria Regionale competente al termine del giudizio di secondo grado.

Giungeva invece a differenti conclusioni il Collegio di Legittimità adito che, con l’ordinanza in commento, accoglieva parzialmente il ricorso dell’Ufficio.

Nel richiamare, nel caso di specie, il disposto di cui all’articolo 14, comma 4-bis (come modificato dall’art. 8 del D.L. n. 16/2012), dal quale può evincersi, in astratto, la deducibilità ai fini IRES e IRAP dei costi sostenuti in relazione a fatture soggettivamente inesistenti, la Corte ha altresì ricordato il proprio costante indirizzo (Cass. 13803/2014, 26461/2014, 1778/2018) che impone, in concreto, la verifica dell’integrazione, per i costi medesimi, dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Risultava, a giudizio del Collegio, lacunosa la verifica da parte della CTR dei criteri di certezza e inerenza, quali elementi imprescindibili del componente negativo di reddito.

In aggiunta, veniva più in generale ritenuta carente l’analisi della CTR anche rispetto agli elementi probatori esposti a dall’Ufficio, dando esclusivo rilievo nella propria valutazione al solo fatto che, nelle more, era intervenuta l’archiviazione in sede penale per il rappresentante della contribuente.

Venendo al principio di diritto espresso dalla pronuncia, riguardante la ripartizione dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente, la Corte premette che, in linea generale il diniego al diritto di detrazione rappresenta una chiara eccezione al principio di neutralità dell’IVA e che, proprio per tale motivo, incombe sull’Amministrazione l’onere di dimostrare che, a fronte dell’esibizione dei documenti contabili, difettino i requisiti oggettivi e soggettivi del diritto alla detrazione, dovendosi escludere qualsivoglia predeterminata od aprioristica inversione dell’onere della prova.

A parere della Collegio, in ossequio al costante orientamento della Corte di Giustizia (al riguardo si richiamano le cause C-439/04 E 440/04, C-80/11 e C-142/11, C277/14) è compito dell’Ufficio dimostrare sia la discrasia tra soggetto reale e soggetto formale sia che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in un contesto fraudolento.

Nel cassare la pronuncia impugnata la Corte ha quindi rinviato alla competente CTR, in diversa composizione, per una nuova valutazione degli elementi addotti dall’Ufficio, conformemente ai principi affermati.

 

 

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