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Editoriali

L’estensione del Fondo di ristoro finanziario in favore degli azionisti danneggiati dalle crisi bancarie del biennio 2015-17

26 Settembre 2018

Giuseppe Santoni

Professore ordinario di diritto bancario, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Di cosa si parla in questo articolo

1. – L’incremento della tutela dei risparmiatori danneggiati – Tra i provvedimenti inseriti nella legge 21 settembre 2018, n. 108, di conversione del d.l. 25 luglio 2018, n. 912 (cd. decreto milleproroghe) pubblicata sulla G.U. del 21.9.2018, n.220, vi è la modifica del sistema di indennizzo a favore dei risparmiatori danneggiati dalle crisi bancarie del biennio 2015-17. Si tratta di una novella, la cui dichiarata finalità è di aumentare la tutela dei risparmiatori danneggiati, non solo attraverso modifiche apportate alla disciplina del “Fondo di ristoro” (istituito nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze dall’art. 1, legge 27 dicembre 2017, n. 205, commi 1106-1109), ma anche mediante l’ampliamento della nozione di risparmiatore da comprendere nella tutela, ed in particolare con l’inclusione anche degli azionisti oltre che degli obbligazionisti.

Tale nozione è oggi costituita dai risparmiatori che hanno subìto un danno ingiusto, in ragione della violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal TUF nella prestazione dei servizi e delle attivitàdi investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento di strumenti finanziari emessi da banche aventi sede legale in Italia sottoposte ad azione di risoluzione ex d.lgs 180/2015 o comunque poste in liquidazione coatta amministrativa, dopo il 16 novembre 2015 e prima della data di entrata in vigore della presente legge.

Affinchè il danno patito possa essere fatto valere per accedere al Fondo, occorre che esso sia stato riconosciuto con sentenza del giudice, con pronuncia dell’Arbitro per le controversie finanziarie (ACF) o con pronuncia degli arbitri presso la camera arbitrale ANAC.

A quest’ultimo proposito, deve sottolinearsi la novità della equiparazione delle pronunce dell’ACF alle sentenze del giudice ordinario ed alle pronunce degli arbitri ANAC. Tale equiparazione è poi notevolmente rafforzata da due ulteriori novità.

La prima è costituita dall’incremento del Fondo per la tutela stragiudiziale dei risparmiatori e degli investitori istituito dalla Consob presso il proprio bilancio, previsto dall’art. 32-ter.1, TUF, dell’importo di 25 milioni di euro, ma a detrimento del Fondo di ristoro di cui sopra.

La seconda novità è costituita dalla previsione secondo cui, nelle more dell’emanazione del d.p.c.m. di attuazione delle norme in esame entro il 31 gennaio 2019, i risparmiatori destinatari di pronuncia favorevole già adottata o che sarà adottata entro il 30 novembre 2018 dall’ACF, possono avanzare istanza alla CONSOB, secondo le modalità che questa stabilirà entro il prossimo 6 ottobre, al fine di ottenere tempestivamente l’erogazione, nella misura del 30 per cento e con il limite massimo di 100.000 euro, dell’importo liquidato.

Ne consegue il riconoscimento alle decisioni dell’ACF di un’efficacia particolarmente vincolante, che va oltre il ruolo tradizionalmente riconosciuto alle decisioni adottate nell’ambito dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, e forse alle stesse sentenze dell’AGO.

2. – La copertura finanziaria – Peraltro, deve essere ricordato che il cd. contratto di governo, reso noto dalle forze politiche che lo sostengono il 18 maggio 2018, poco prima dell’insediamento del governo Conte, nel punto “Tutela del risparmio” enunciava esplicitamente quanto segue: Per far fronte al risarcimento dei risparmiatori “espropriati” si prevede anche l’utilizzo effettivo di risorse, come da legge vigente, provenienti da assicurazione e polizze dormienti. La platea dei risparmiatori che hanno diritto a un risarcimento, anche parziale, deve essere allargata anche ai piccoli azionisti delle banche oggetto di risoluzione.

Si tratta di proponimenti che avevano sollevato varie obiezioni, che ne avevano reso discussa l’attuazione.

La prima riguardava l’effettiva disponibilità delle somme da impiegare, che dipendeva sia dalla circostanza che, nelle leggi finanziarie degli anni precedenti, gli importi rivenienti da assicurazioni e conti dormienti non siano state già disposti, o comunque che gli importi destinati ai ristori avessero effettiva copertura.

Al riguardo, la novella introdotta con la legge 108/2018 non fa alcun riferimento alle somme rivenienti dai cd. fondi dormienti, e reca la dovuta precisazione che il Fondo opera entro i limiti della dotazione finanziaria e fino al suo esaurimento secondo il criterio cronologico della presentazione dell’istanza corredata di idonea documentazione. Inoltre, dall’ammontare della misura di ristoro è in ogni caso dedotta ognieventuale diversaforma di risarcimento, indennizzo o ristoro di cui i risparmiatori abbiano già beneficiato.

Peraltro, corrono voci, il cui fondamento resta totalmente da verificare, i quali non escludono che gli importi appena ricordati potrebbero essere incrementati nella manovra economica di prossima approvazione, con un aumento da 25 a 125 milioni all’anno, per quattro anni.

3. – L’estensione della tutela agli azionisti delle banche in crisi – La seconda obiezione, sollevata nei confronti dei proponimenti enunciati nel cd. contratto di governo, riguardava l’ampliamento della tutela agli azionisti, oltre che agli obbligazionisti, attraverso l’estensione della nozione di risparmiatore, tale da ricomprendere l’acquirente o il sottoscrittore di qualunque strumento finanziario emesso dalle banche sottoposte a risoluzione o liquidazione coatta amministrativa, purché in ragione di un “rapporto negoziale diretto” con la banca emittente.

La novità costituisce una rottura con la concezione che ha ispirato la legislazione, comunitaria ed italiana, che ha ispirato la legislazione bancaria e finanziaria degli ultimi decenni, basata sulla netta distinzione (ed enunciata di fatto con i diversi livelli di tutela dei rispettivi fondi di indennizzo riconosciuti normativamente) tra risparmiatori inconsapevoli – riconducibili, grossolanamente, ai depositanti bancari – e consapevoli, in quanto informati acquirenti o sottoscrittori di strumenti finanziari emessi dalle imprese che, anziché rivolgersi al credito bancario, avessero fatto ricorso al capitale di rischio o di debito.

Tale rottura aveva già in precedenza trovato autonoma e più condivisa giustificazione con riferimento agli strumenti finanziari obbligazionari subordinati. Per questi ultimi, si è infatti verificata la collettiva mancata percezione della loro maggiore rischiosità, che li aveva portati di fatto a comportare rischi analoghi al capitale rappresentato da azioni, in spregio alla loro formale appartenenza al capitale di debito. Gli investitori in tali strumenti emessidalle quattro banche, sottoposte a risoluzione nel 2015, ottennero l’accesso alle prestazioni del Fondo di solidarietà, come previsto dall’art. 1, co. 855, l. 28 dicembre 2015, n. 208; accesso poi esteso, anche ai sottoscrittori dei medesimi strumenti emessi dalle due banche venete sottoposte a l.c.a. nel 2017, come previsto dall’art. 6, l. 31 luglio n. 121, di conversione del d.l.99/2017, di apertura delle due procedure di l.c.a.. In particolare, tale ultima norma ha previsto l’accesso al menzionato Fondo di solidarietà, per i soli investitori persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti o loro successori mortis causache, al momento dell’avvio delle procedure di l.c.a. detenessero strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle Banche e acquistati nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime Banche emittenti.

Per gli strumenti finanziari azionari, invece, che costituiscono l’archetipo del capitale di rischio, le ragioni di una maggiore tutela da accordare ai risparmiatori trova apparentemente più ardue giustificazioni, trattandosi di forme di investimento per antonomasia di carattere speculativo, e che pertanto risultano in ogni caso al primo posto nell’ordine di riduzione degli strumenti finanziari emessi dalla banca in crisi, o come enunciato icasticamente nell’art. 34, co. 1, lett. a), Direttiva BRRD, gli azionisti dell’ente soggetto a risoluzione sopportano per primi le perdite.

Inoltre, soprattutto per quanto riguarda le due banche venete, formidabili ostacoli sono costituiti dal numero di soci oltre che dalla entità del valore attribuito alle azioni, poi azzerate, dalle assemblee del 2015. Secondo Unioncamere Veneto, perVeneto Banca si tratterebbe di circa 87mila soci, che hanno subito perdite pari a circa 3,8 miliardi di euro, almeno assumendo come base di calcolo il prezzo di 30,5 euro determinati attribuito alle azioni all’assemblea dei soci del 2015. Invece, per la Banca Popolare di Vicenza, i soci coinvolti sarebbero circa 119mila, con perdite pari a circa 4,8 miliardi di euro, assumendo come base di calcolo il valore di 48 euro, assegnato alle azioni dall’assemblea dei soci del 2015, e senza tener conto che nelle assemblee degli anni precedenti quel valore era stato ravvisato in 62,5 euro. D’altra parte, proprio i criteri di fissazione del valore delle azioni erano stati una delle maggiori criticità delle due banche venete, essendo in entrambi i casi fondati su valutazioni prive di riscontri oggettivi e senza la preventiva definizione dei criteri adottati, svincolate dalla redditività degli strumenti finanziari e nemmeno asseverati da esperti indipendenti.

Anche gli aumenti di capitale posti in essere dalle due banche negli anni immediatamente precedenti la crisi, e volti ad incrementare il patrimonio di vigilanza, erano stati caratterizzati dalla adozione di analoghe modalità di determinazione del prezzo delle azioni.

4. – Le ragioni della estensione della tutela – Tuttavia, ai fini dell’ampliamento della tutela, hanno assunto indubbio rilievo le peculiarità delle operazioni di emissione e di collocamento delle azioni da parte delle banche venete.

In primo luogo, la circostanza che quelle operazioni siano state poste in essere per lo più nei confronti della propria clientela bancaria retail, e dunque già titolare di un rapporto bancario.

Inoltre e soprattutto, la circostanza che in numerosi casi, la titolarità delle azioni è stata acquisita a seguito di operazioni cd. baciate, per le quali l’acquisto o la sottoscrizione è coincisa con l’erogazione di un finanziamento da parte della banca emittente delle azioni.

A fronte di simili modalità di emissione o di collocamento di strumenti finanziari, la ratio dell’intervento di ristoro trova la sua giustificazione – più che nel contenuto dello strumento finanziario oggetto dell’operazione – nell’anomalia, ove sussistente, della relativa sottoscrizione o collocamento, e purchè sanzionabile alla stregua dei principi enunciati nell’art. 21, TUF.

In altre parole, il ristoro di cui trattasi non ha nulla a che vedere con il rapporto societario instaurato con l’emittente, bensì è rivolto a sanare l’anomalia del rapporto di investimento instauratosi con la banca, in quanto intermediario.

Resta così confermato che il ristoro sarà comunque riservato ai soli risparmiatori che, nei limiti sopra ricordati, abbiano acquistato gli strumenti finanziari nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le banche emittenti, poi assoggettate a risoluzione o liquidazione coatta.

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