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Giurisprudenza

Elementi di fatto e presunzioni nel processo tributario

27 Marzo 2017

Federico Pachioli, Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti

Cassazione Civile, Sez. V, 6 maggio 2016, n. 9198

L’arresto giurisprudenziale in oggetto interessa il complesso sistema di prove ammissibili nel processo tributario.

Nella specie, l’Amministrazione finanziaria ha provveduto a ricostruire induttivamente i ricavi di una società ai sensi dell’art. 39, co. 1, lett. d), D.p.r. n. 600/1973 con conseguente quantificazione delle maggiori IRPEG, IVA e IRAP per l’anno 2003.

L’atto impositivo poggia le sue basi su di un complesso di elementi indiziari rinvenuti dai verificatori presso la sede della medesima che il giudice d’appello ha ritenuto congrui rispetto alle disposizioni di cui agli artt. 2727 e 2729 del Codice Civile. Si tratta, in estrema sintesi, di documenti aziendali, appunti e scambi di corrispondenza commerciale che integrano quella che in gergo viene definita come una vera e propria “contabilità parallela”.

La parte chiede ai Supremi Giudici una rivisitazione in chiave giuridica dell’iter logico-presuntivo impiegato dall’Amministrazione e costruito sulla scorta delle incongruenze rilevate tra i prezzi e i quantitativi fatturati e quelli realmente spediti.

Nella pronuncia de qua, gli Ermellini statuiscono in primo luogo che “[…] la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità di esse […]”“[…]involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito […]”. Difatti, la Suprema Corte riconosce il libero convincimento di quest’ultimo come determinante nel riscontro dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui gli elementi di fatto assurti a presunzioni debbono necessariamente essere dotati[1].

I Giudici di Piazza Cavour concludono, quindi, che gli artt. 39, co. 1, lett. d), D.p.r. n. 600/1973 e 54, co. 2, D.p.r. n. 633/1972 “[…] consentono di procedere alla rettifica dei ricavi e dei redditi anche quando l’incompletezza delle dichiarazioni fiscali risulti da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti e informazioni aziendali […]”. A tal proposito, la Corte puntualizza che tra le scritture contabili obbligatorie ai sensi e per gli effetti dell’art. 2709 del Codice Civile si devono annoverare “[…] tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’azienda ed il risultato economico dell’attività svolta […]”.[2]

 


[1] Cfr. Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-05-2014, n. 11511.

[2] Cfr. Cass. civ. Sez. V, Sent., 24-09-2014, n. 20094.

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