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Differenziale su crediti Superbonus: esclusa l’imponibilità

20 Febbraio 2024

Notizia a cura di: Enrico Matano, Dottorando di ricerca in diritto tributario, Università Cattolica di Milano

Di cosa si parla in questo articolo

Con Risposta n. 472/2023, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non costituisce reddito il differenziale positivo generato dall’acquisto di crediti d’imposta (nella specie Superbonus 110%) effettuato al di fuori dell’attività professionale.

In particolare, il quesito era stato avanzato da uno studio professionale, che aveva prospettato l’acquisto – al di fuori della propria attività tipica – di un credito d’imposta Superbonus 110% ad un prezzo inferiore al valore nominale compensabile.

Secondo l’istante, il differenziale positivo avrebbe dovuto considerarsi “realizzato” come plusvalenza rilevante ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c ter) Tuir, al momento dell’utilizzo in compensazione del credito ed in proporzione al valore delle singole rate di credito fruibili durante l’anno.

L’Agenzia delle Entrate ha invece negato la rilevanza reddituale del differenziale, posto che, nel nostro sistema, non ogni forma di “arricchimento” costituisce un “reddito” ai sensi dell’art. 1 del Tuir: nel caso difetti – come nel caso di specie – un’esplicita inclusione da parte del legislatore in una delle categorie reddituali di cui all’art. 6 Tuir, allora “detto arricchimento non è assoggettabile ad imposizione diretta”.

A sostegno di questa interpretazione, l’Agenzia ha affermato che il legislatore, nelle norme istitutive dell’agevolazione (d.l. 34/2020), oltre a non prevedere alcun rilievo fiscale dei differenziali positivi derivanti dall’acquisto “non professionale” e il successivo utilizzo dei crediti d’imposta, ha coerentemente escluso sia la possibilità di “riportare a nuovo” sia di rimborsare i “differenziali negativi” (i.e. delle quote di credito d’imposta rimaste inutilizzate, ad esempio, per incapienza fiscale).

Secondo l’Agenzia, il differenziale non è rientra nemmeno in alcuna delle categorie di reddito previste dal Tuir.

Esso, infatti, non risulta inquadrabile:

né, come reddito diverso, nell’art. 67, nella lettera c ter), in quanto la relativa elencazione “non contempla il differenziale in esame”, o nella lettera c quinquies), pur riconoscendo che “risponde ad una funzione di chiusura, essendo volta a includere tra i redditi diversi tutte quelle plusvalenze e quei proventi di natura finanziaria che potrebbero altrimenti sfuggire all’imposizione”;

né, come reddito di capitale, nell’art. 44, comma 1, lett. h), posto che “l’acquisto di un credito d’imposta non costituisce impiego di capitale”;

né, da ultimo, come reddito di lavoro autonomo – pur essendo già stata prospettata dallo stesso istante l’estraneità dell’operazione dall’ambito della propria attività professionale – in particolare come “corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale” di cui all’art. 54 del Tuir, posto tale nozione “non include i differenziali derivanti dall’acquisto del crediti d’imposta”.

In chiusura, peraltro, l’Agenzia chiarisce che potrebbe prospettarsi “…una diversa qualificazione fiscale della fattispecie in esame, tenendo conto del comportamento, rilevabile in concreto, assunto dall’Istante nonché della rilevanza e dell’abitualità dell’effettuazione delle descritte operazioni di acquisto…”, pur rimanendo controverso che concetti come il “comportamento” del contribuente o la “abitualità” dell’operazione possano generare un’attività imponibile (di lavoro autonomo o di impresa), posto che lo svolgimento di un’operazione isolata potrebbe allora classificarsi tra i “redditi diversi” da attività “occasionali” di cui al comma 1, lettere i) e l) dell’art. 67 Tuir.

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