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Approfondimenti

Derivati ESG ed altri prodotti finanziari sostenibili

17 Giugno 2021

Simone Davini, Head of Legal & Corporate Affairs, Credit Agricole Corporate & Investment Bank, Italy; Pierre de Gioia Carabellese, Professor (full) of Business Law and Regulation and Fellow of Advance HE

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Introduzione – 2. I derivati di credito collegati alla sostenibilità – 3. I derivati scambiati nei sistemi multilaterali connessi agli obiettivi di sostenibilità – 4. Emissions Trading – 5. Le energie e i carburanti rinnovabili: relativi contratti – 6. I derivati collegati a catastrofi ambientali e al tempo meteorologico – 7. Raccordo finale.

 

1. Introduzione

Un recente documento pubblicato dall’ISDA[1], la International Swaps and Derivatives Association, pone in risalto il rapporto fra i contratti derivati negoziati al di fuori dei mercati regolamentati (di seguito anche “derivati OTC” o “derivati”) e la finanza sostenibile che, a sua volta, fa riferimento al concetto di sviluppo sostenibile.

Tale concetto viene infatti sempre più applicato alla finanza nella prospettiva di preservare l’ambiente e le risorse utili a creare valore nel tempo per l’intero eco (e socio) sistema mondiale.

Al riguardo, viene evidenziato che, nella logica di un’economia sostenibile – che richiede, per sua natura, volumi crescenti di finanziamenti a lungo termine – il settore dei servizi finanziari “rappresenterà un partner essenziale nel fornire finanziamenti e nel gestire i rischi associati agli investimenti sostenibili, inclusi i rischi di progetto e di tasso di interesse e di valuta”[2].

In sostanza i derivati, verso cui la dottrina e la giurisprudenza italiana non sempre hanno espresso un giudizio benevolo, tendono a favorire un maggiore afflusso di capitali verso investimenti c.d. “sostenibili” (quali, in particolare, quelli con obiettivi di miglioramento dell’ambiente, del contesto sociale e del modo in cui si governa lo sviluppo mondiale), svolgendo una importante funzione di copertura (c.d. “hedging”) di taluni rischi collegati a tali investimenti.

Questi rischi connessi agli obiettivi di sostenibilità vengono anche identificati dall’ISDA attraverso un acronimo di tre parole inglesi: “environmental, social and governance factors or ESG”[3]. In aggiunta a ciò, i derivati con focus ambientale svolgono funzioni ulteriori, fra cui quelle di facilitare la trasparenza, la migliore definizione del prezzo (price discovery) e l’efficienza del mercato; favoriscono anche l’adozione di orizzonti finanziari di lungo periodo, piuttosto che di breve e medio periodo.

I derivati ESG (o ESG derivative) costituiscono dunque la più recente frontiera dei derivati, le cui maggiori sfide sono volte a rendere maggiormente edotti i partecipanti al mercato del rapporto esistente fra derivati e finanza sostenibile e le relative tutele apprestate in favore degli stakeholders.

La legislazione europea ha già mosso i primi passi concreti in tal senso, attraverso una normativa, incentrata sul Regolamento 2019/2088[4], che impone determinati doveri di trasparenza alle imprese di investimento, alle banche che prestano servizi di gestione di portafogli, alle imprese di assicurazione e agli asset manager. Tali doveri riguardano la natura (o etichetta) ESG dei prodotti finanziari offerti (inclusi i derivati) e la sua stretta correlazione con gli obiettivi di sostenibilità che devono risultare chiari, concreti, realistici e misurabili.

Ciò premesso, nel presente contributo si segnalano la struttura e le caratteristiche dei principali derivati con motore ESG (gli “ESG derivatives”), inclusi gli indici di credit default swap collegati agli ESG, i derivati scambiati nei mercati non regolamentati su indici di capitale pure collegati agli ESG, i derivati su energia rinnovabile[5] e combustibili rinnovabili, i derivati su eventi catastrofici e quelli sul tempo meteorologico.

2. I derivati di credito collegati alla sostenibilità

sustainability linked derivatives sono stati emessi negli ultimi anni con una certa frequenza. Si tratta di operazioni su derivati altamente standardizzate, ma che usano determinati indicatori di prestazione (c.d. “KPI” – key performance indicators), al fine di determinare i predetti obiettivi di sostenibilità. Da un diverso punto di vista, va osservato che si tratta di derivati in cui la controparte dell’istituzione finanziaria con cui vengono stipulati (che è normalmente una società privata, ma teoricamente potrebbe essere anche un ente pubblico) si impegna contrattualmente a realizzare obiettivi di sostenibilità ambientale.

Ad esempio, l’ISDA stessa ricorda alcuni casi di prestiti sindacati ESG di grosso taglio con copertura dei relativi rischi di tasso mediante ESG derivatives; una struttura ormai consolidata di questi prestiti comprende una linea di finanziamento revolving[6], dunque flessibile (connessa ad obiettivi di natura societaria, quale ad esempio il “corporate financing”), ed una linea ad hoc di “loan” destinata a finanziare e/o rifinanziare iniziative legate alla sostenibilità[7]. Nell’ambito dei finanziamenti in parola, la componente di derivato sostenibile è tipicamente costituita da un interest rate swap, che ingloba un meccanismo di incentivo allineato agli obiettivi di sostenibilità indicati nel contratto di finanziamento.

Nel genus dei derivati collegati alla sostenibilità rientrano anche i credit derivatives (di seguito: CD) cui si ricorre per la gestione del rischio di credito di una controparte ovvero del credito stesso prevedendo che i risultati finanziari possono variare per effetto di cambiamenti climatici ovvero che l’aspetto ambientale del contratto può essere pregiudicato.

Il CD può assolvere due fondamentali funzioni: da un lato, di copertura di potenziali future perdite a seguito di un evento catastrofico (ad es., un evento atmosferico di distruzione di un’opera eco-sostenibile), che potrebbero portare all’inadempienza ovvero all’insolvenza; dall’altro, di copertura del rischio di variazioni del valore di mercato delle obbligazioni ovvero dei prestiti connessi alla sostenibilità dalle quali si prevede possano derivare perdite o potenziali danni futuri.

Con riflessi che possono essere anche di corporate governance, alcuni studi dimostrano che maggiore è il fattore di coerenza con gli obiettivi di sostenibilità, minore sarà il rischio di credito; verosimilmente, un’impresa che presenti valori di maggiore coerenza con i fattori ESG può conseguire più alti ricavi e minori rischi di quelli di altra la cui attività non sia informata a tali fattori/obiettivi.

3. I derivati scambiati nei sistemi multilaterali connessi agli obiettivi di sostenibilità

In relazione al crescente interesse delle imprese alle strategie ESG, i sistemi di scambi globali hanno lanciato recentemente una serie di nuovi futures ed opzioni collegati a indici di capitale, il cui benchmark è costituito da obiettivi di sostenibilità (ESG). La liquidità che affluisce a tali nuovi strumenti è ancora bassa, anche se le prospettive di loro crescita appaiono rilevanti e inducono a ottimismo.

future e options” ESG “consentono ai gestori di meglio coprire i rischi degli investimenti di natura sostenibile, di implementarne le relative strategie e di meglio gestire i flussi nell’ambito dei fondi ESG, con conseguente ottimale allocazione delle risorse che affluiscono ai mercati finanziari.

Un aspetto, quest’ultimo, che fa emergere la possibilità di crescita dei mercati medesimi in un contesto di operatività i cui attori sanno guardare al profitto, coniugandolo con i fattori di miglioramento dell’ambiente e con la necessità di preservarlo a beneficio delle future generazioni con la creazione di nuovo valore.

4. Emissions Trading

La negoziazione delle c.d. “emissioni” (emissions trading) costituisce un approccio empirico finalizzato a ridurre l’inquinamento, ponendo un limite geografico all’ammontare di diossido di carbonio che può essere immesso nell’atmosfera distintamente per specifici settori dell’economia.

Al riguardo, ricordiamo che la definizione di quote di emissione (allowances) include due fondamentali componenti: da un lato, un limite all’inquinamento e agli strumenti negoziabili che autorizzino i titolari di dette quote ad emettere una quantità specifica di inquinanti; dall’altro lato, il fatto che tale limite si riduca su base annuale, con l’obiettivo di contenere la quantità complessiva di emissioni in circolazione.

I partecipanti al mercato possono quindi emettere certificati che rappresentino limiti alle emissioni o derivati che siano vincolati a tali limiti. L’acquisto degli uni e degli altri può avvenire tanto in aste (mercato primario) quanto sul mercato secondario; in quest’ultimo attraverso l’acquisto da altre società che possono averne in eccesso rispetto a quanto non debbano per esigenze organizzative interne e dunque per esigenze di compliance.

L’ISDA ha emanato un master agreement per le emission allowances per la negoziazione di swapsoptions e forwards. L’ISDA offre anche format o schemi negoziali basati su emissioni UE, per la negoziazione di certificati su diossido di carbonio.

5. Le energie e i carburanti rinnovabili: relativi contratti

Nell’ambito dell’energia rinnovabile i nuovi prodotti che vengono confezionati sono strettamente connessi con gli accordi di acquisto di fonti di energia o power purchase agreements (PPA); si tratta di accordi contrattuali, in notevole crescita negli ultimi anni, che intercorrono fra uno specifico produttore di energia rinnovabile (il venditore) e un compratore operante nello stesso settore energetico. I PPA possono ridurre la volatilità del prezzo di mercato a beneficio dell’acquirente e rappresentano, per chi sviluppa nuovi prodotti, la garanzia di acquistare energia generata da fonti rinnovabili e, dunque, di sostenere i relativi nuovi progetti di sviluppo. Di per sé tali contratti non vincolano chi li sottoscrive a ridurre la quantità di emissioni di inquinanti che amplificano l’effetto serra; tuttavia, costituiscono un catalizzatore di risorse verso progetti di finanziamento concernenti fonti di energia pulita.

Diversa natura hanno i renewable energy certificates (noti con l’acronimo RECs) che, in quanto titoli di credito, sono strumenti destinati al mercato che rappresentano i diritti di proprietà su prodotti di natura ambientale, sociale e comunque non convenzionale. Tali certificati sono emessi solo quando è generata un’ora di valore di un megawatt che derivi da una risorsa di energia di tipo rinnovabile. Un format finalizzato alla negoziazione di certificati di tale tipologia è stato pubblicato dall’ISDA ed è dotato, quanto al mercato nordamericano, di uno specifico supplemento, valido solo per quel mercato.

Da ultimo, molto peculiari sono i future su indici del vento o wind index futures, i quali sono strumenti finanziari che consentono alla società che li negozia e alle società che operano nell’industria energetica di coprirsi contro i rischi associati alle fluttuazioni relative alla produzione di energia eolica.

In tal senso vi sono veri e propri derivati negoziati nei mercati regolamentati, quali ad esempio i future sull’indice del vento in Germania, future negoziati al Nasdaq, il cui obiettivo è quello di consentire ai produttori e agli altri portatori di interessi generali (stakeholders) di coprirsi contro le suddette fluttuazioni.

Renewable identification numbers o RIN rappresentano di fatto “crediti ambientali” e sono utilizzati negli Stati Uniti d’America in linea con i programmi standard di combustibile rinnovabile; stabiliscono, per i produttori di combustibile tradizionale, alcuni standard che rendono la produzione tradizionale compatibile con quella dei combustibili rinnovabili. Sotto l’aspetto più tecnico, viene previsto che le parti obbligate devono osservare un programma tale per cui una minima percentuale di combustibile rinnovabile sia ricompresa nel combustibile tradizionale. L’obiettivo verrebbe realizzato indirettamente dalle parti obbligate acquistando Renewable Identification Numbers, dunque “crediti ambientali”, al fine di “pareggiare” i propri obblighi contrattuali.

low carbon fuel standard rappresentano invece un programma di riduzione dei gas che provocano l’effetto serra e si focalizzano nel settore dei trasporti in California. Incentivano la produzione di combustibili a bassa emissione di carbonio e metodi di trasporto alternativi e sono quindi programmi di natura pubblica che mirano al conseguimento di obiettivi di carattere generale.

6. I derivati collegati a catastrofi ambientali e al tempometeorologico

I derivati connessi al rischio di catastrofi sono strumenti finanziari, relativamente chiari e definiti, con cui il rischio di disastro naturale viene trasferito a controparti. Il più semplice e standardizzato è lo swap sulle catastrofi naturali (catastrophe swap), in cui, in una struttura di “derivati OTC”, un portatore di rischio, connesso a catastrofi naturali, ottiene protezione da massicce perdite potenzialmente connesse ad eventi naturali, a fronte del pagamento periodico di un premio[8]. Il catastrophe swap può essere utilizzato da uno Stato al fine di coprire un rischio ambientale tipico della nazione; ad esempio, con riferimento all’Italia, detto rischio potrebbe rinvenirsi in quello sismico, ricorrente nel nostro Paese. Lo Stato paga un premio e, ove l’evento dovesse verificarsi, riceve in cambio un indennizzo che, cospicuo teoricamente, ha il vantaggio di poter essere corrisposto in tempi ragionevolmente brevi, in relazione agli accordi stipulati fra le parti. Da un punto di vista di qualificazione giuridica, si può ritenere che tali swaps, siano contratti di assicurazione ovvero prodotti cartolarizzati anche se rispetto a quest’ultima ipotesi la struttura è molto più semplice, essendo collegati, quali meri contratti di assicurazione, ad un rischio dedotto in contratto.

La stessa World Bank, quale venditore di protezione, ha creato una serie di catestrophe swap, il cui obiettivo è quello di proteggere contro il rischio di catastrofe naturale, tipico del Paese contraente[9].

Da ultimo, i derivati sul tempo meteorologico ovvero sul mutamento delle condizioni climatiche sono strumenti finanziari il cui valore dipende da variabili connesse a vari fattori quali la temperatura, le precipitazioni, il vento e le correnti (con relativi flussi)[10]. I partecipanti al mercato acquistano siffatti derivati per mere finalità di copertura ovvero al fine di mitigare i rischi associati a condizioni di tempo avverse; per il loro corretto funzionamento contrattuale e per esigenze di certezza del diritto, tali derivati sono quindi collegati a indici, che misurano un particolare aspetto del tempo meteorologico.

È interessante notare che, a differenza dei tipici contratti assicurativi, in cui il rischio è più in generale connesso al reale danno arrecato all’opera, i contratti in discorso, quasi a confermare la loro natura speculativa, possono generare per il sottoscrittore l’incasso di un indennizzo, anche nel caso in cui il superamento del valore teorico dell’indice non abbia prodotto alcun danno. È chiaro che, in un tale scenario, è essenziale che l’indice sia chiaro e puntuale e non dia adito ad alcuna interpretazione in merito al suo concreto verificarsi.

Un ulteriore vantaggio del weather derivative è, a differenza del contratto di assicurazione, la focalizzazione dell’evento protetto su quello che, relativamente ad una grande opera, è di fatto il vero ed unico fattore di rischio ambientale, con conseguente selezione dei diversi potenziali eventi e, dunque, minore costo del derivato, rispetto ad una tradizionale polizza. Ad esempio, con specifico riferimento all’ opera più controversa tra quelle realizzabili in Italia e cioè al ponte sullo stretto di Messina, assumendo che l’opera dal punto di vista strutturale fosse impeccabile, e dunque non necessitasse di essere assicurata con apposita polizza, si potrebbe comunque immaginare un weather derivative, connesso al rischio eolico della zona in cui sorgesse (notoriamente molto ventosa). Al verificarsi del superamento di valori soglia, a prescindere dal fatto che l’opera collassi (evento da scongiurare ovviamente e da escludere alla luce del succitato assunto), i sottoscrittori, ergo i proprietari del Ponte, incasserebbero comunque l’indennizzo, anche cospicuo, da potersi accantonare per destinarlo all’attività manutentiva.

7. Considerazioni finali

Dall’analisi che precede, si può ritenere che i prodotti connessi alla sostenibilità, come risultanti dal recente documento dell’ISDA, sono di diversa natura[11].

Quelli che possono essere considerati veri e propri strumenti finanziari derivati[12] sono i sustainability linked derivative, gli ESG related credit derivatives, ma anche i catastrophe derivatives e i weather derivative. La loro regolamentazione, incluso l’oggetto del contratto, verrebbe lasciata solo in parte all’autonomia dei privati, assumendo l’autorità – in questo caso l’autorità del mercato – un ruolo preponderante nella definizione delle diverse clausole, anche in funzione della tutela delle disposizioni di ordine pubblico[13].

Al di là di questi, vi sono “prodotti” di varia natura, di tipo più pubblicistico, il cui obiettivo sembra essere più in generale il raggiungimento di finalità di politiche di sostenibilità, a beneficio di una serie distakeholders, come ad esempio i cittadini.

Da un punto di vista operativo, la sfida sottesa ai “derivati sostenibili” è quella di raccordarne correttamente la documentazione contrattuale con quella dell’operazione ESG sottostante di cui coprono taluni rischi finanziari; appare perciò essenziale che il derivato rispecchi correttamente le previsioni contrattuali, in materia di “ESG”, che caratterizzano l’operazione. In particolare, dovranno essere attentamente allineati i meccanismi di determinazione dei tassi (che, nelle operazioni ESG, contemplano spesso sconti o penalità a fronte del raggiungimento o meno degli obiettivi di sostenibilità dedotti in contratto), nonché i parametri che identificano e misurano gli aspetti rilevanti ai fini dell’etichetta ESG, i già citati “KPI” (key performance indicators). Sul punto rammentiamo inoltre gli appositi doveri di informativa/trasparenza citati in apertura del presente articolo. Ove questi ultimi fossero violati, chi ha speso l’etichetta ESG sul mercato per una determinata operazione, potrebbe infatti incorrere in ipotesi di responsabilità nella commercializzazione del prodotto derivato (c.d. “mis-selling”), e, a certe condizioni, in ipotesi di pubblicità ingannevole. In riferimento allo specifico tema degli ESG derivatives, il rischio in questione viene sinteticamente definito in gergo quale “green-washing risk”. Ove si consideri, come ritenuto da alcuni, che il principio di tutela dell’ambiente, e più in generale dello sviluppo, trovi in Italia una tutela costituzionale, seppur in una forma timida nella versione di origine della Carta costituzionale[14], il “green-washing” potrebbe generare anche una responsabilità extra-contrattuale per violazione di norme di ordine pubblico.

In aggiunta a ciò, si porrebbe anche un tema di diritto internazionale privato, quello del coordinamento fra la legge inglese e la giurisdizione che solitamente si applicano al “derivato” e la legge italiana che (almeno per le operazioni con controparti nostrane) reggerebbe di regola il rapporto sottostante.

Al di là della diversa tipologia di “derivati sostenibili”, definizione sotto cui si cela una gamma molto ampia di contratti, prodotti e programmi di politica generale, la vera sfida connessa a tale nuova operatività, certamente in auge, è quella di meglio proteggere i soggetti che, almeno teoricamente, ne sono beneficiari e che ne abbiano una aspettativa, inclusa quella di return, di utile dunque, di un determinato investimento.

Una tale regolamentazione dovrebbe avere una portata globale, e non regionale come ad esempio se limitata alla UE, e dovrebbe legittimare, anche da un punto di vista giudiziale, categorie di soggetti che possono essere lese da una mancanza, ovvero scorretta informazione circa la natura dell’investimento.

Nel frattempo, la legislazione europea, con il Regolamento 2019/2088, si indirizza esclusivamente agli operatori bancari e finanziari, definendo le relative condotte, anche se l’orizzonte legislativo potrebbe, ed anzi dovrebbe, vedere un nuovo testo legislativo di migliore inquadramento di tutta la tipologia di prodotti (finanziari e non, derivati e non) connessi alla sostenibilità.

 

[1] ISDA, Overview of ESG-related Derivatives Products and Transactions, 11 gennaio 2021, in https://www.isda.org/2021/01/11/overview-of-esg-related-derivatives-products-and-transactions/.

[2] ISDA,op. ult. cit., p. 1.

[3] Gli ESG investing o investimenti ambientali, sociali e di governo [globale], in breve investimenti sostenibili, sono definiti, dall’ISDA (ISDA,op. ult. cit., p. 16) come “investimenti in una attività economica che contribuisce ad un obiettivo ambientale, quale misurato da indicatori chiave di efficienza delle risorse sull’uso dell’energia, dell’energia rinnovabile, sui materiali grezzi, sull’acqua e le risorse terrestri, sulla produzione di rifiuti e sulle emissioni di gas ad impatto ambientale, o sull’impatto in tema di biodiversità ed economia circolare. Può essere anche un investimento in un’attività economica che contribuisce ad un obiettivo economico, contribuisce a ridurre le disuguaglianze sociali, ovvero promuove coesione sociale, integrazione sociale in comunità svantaggiate da un punto di vista sociale [..]” (traduzione dall’inglese di chi scrive). Sempre nell’ambito degli investing, ma più afferenti al concetto di strumenti di capitale di rischio, vi sono i sustainable development investing, che costituiscono “l’utilizzo di capitale in modo da contribuire allo sviluppo sostenibile, usando gli Obiettivi di sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite quale base di riferimento”. (traduzione dall’inglese di chi scrive). Sono quindi strumenti di capitale di rischio, volti ad aumentare la disponibilità di capitale da destinare, nell’ottica della sostenibilità, a prodotti, servizi, operazioni e a settori vari. Da ultimo, i socially responsible investing costituiscono “investimenti il cui obiettivo è quello di realizzare un utile di natura finanziaria, sebbene attraverso il rispetto di criteri etici, ambientali e/o sociali”. (traduzione dall’inglese di chi scrive)

[4] Regolamento (UE) 2019/2088 del 27 novembre 2019 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (G.U.U.E. del 9 dicembre 2019). Il predetto Regolamento si applica a partire dal 10 marzo 2021.

[5] L’energia rinnovabile o renewable energy è definita, ai sensi del documento ISDA (Overview of ESG-related Derivatives Products and Transactions) quale “energia da fonti che sono sostituibili in modo naturale ma limitate nel loro flusso. Le risorse rinnovabili sono virtualmente inesauribili ma limitate nell’ammontare di energia che è disponibile per unità di tempo” (traduzione dall’inglese di chi scrive). La dottrina internazionale sul tema dell’energia rinnovabile è vasta. Fra i tanti, si rimanda a V. Quaschning, Understanding Renewable Energy Systems, 2° ed., London & New York, 2016; V. Nelson, K. Starcher,Wind Energy. Renewable Energy and the Environment, 3° ed., Boca Raton, 2019; J. Twidell, Renewable Energy Resources, London, 2005. Nella letteratura italiana, di natura economica, con riferimento ai fondi comuni, si dimanda a M. Intonti, G. Ferri, I fondi eticamente orientati e la finanza sostenibile, Roma, 2018.

[6] Il concetto di “revolving credit” è analizzato in M. Haentjens, P. de Gioia Carabellese, European Banking and Financial Law, 2° ed., London and New York, 2020, pp. 189-214.

[7] Un tal esempio empirico sembra confermare la definizione di green loan, fornita dallo stesso documento ISDA in commento (ISDA, Overview of ESG-related Derivatives Products and Transactionsop. cit., p. 16). Trattasi di un tipo di prestito, loan appunto, “che è reso disponibile esclusivamente al fine di finanziare o rifinanziare, in tutto ovvero in parte, nuovi ovvero già esistenti progetti verdi. Esempi di progetti verdi includono energia rinnovabile, efficienza energetica, prevenzione e controllo dell’inquinamento, gestione ambientalmente sostenibile delle risorse naturali viventi e dell’uso della terra, trasporto pulito, gestione di acque e di reflui sostenibili, adattamento al cambiamento ambientale e costruzioni verdi” (traduzione dall’inglese di chi scrive). Ai green loan, si affiancano, in quanto leggermente diversi, i sustainability linked loan, i quali costituiscono tipologie di prestiti e/o di aperture di credito connesse [..] che incentivano gli obiettivi del borrower in merito a obiettivi di prestazioni di sostenibilità ambiziosi [e] predeterminati” (traduzione dall’inglese di chi scrive). Connessa a tale definizione è quella di green bond, fornita anche nel medesimo documento ISDA (ISDA, op. ult. cit. p. 16), quali “strumenti di debito i cui importi saranno esclusivamente applicati a finanziare ovvero rifinanziare, in parte ovvero in tutto, qualificati progetti verdi esistenti e che siano allineati alle quattro componenti dei principi delle obbligazioni verdi [Green Bond Principles].” [..] “(traduzione dall’inglese di chi scrive). A differenza dei loans, alquanto perimetrati nella definizione, i bonds godono di ampie definizioni nel documento ISDA in commento. Accanto ai green bonds, appena definiti, vi sono i social bond, i social impact bond, isustanability bond, i sustainability-linked bond, itransition bond.

[8] Il catestrophe swap presenta, indubbiamente, caratteristiche di tipo assicurativo. Per riferimenti a contributi internazionali sul tema, cfr. G. Niehaus, The allocation of catastrophe risk, in Journal of Banking and Finance, 2002, pp. 585-596.

[9] Un esempio, riferito nello stesso documento dell’ISDA (ISDA,Overview of ESG-related Derivatives Products and Transactionscit., p. 14) è quello delle Filippine. Quest’ultimo, Paese notoriamente martoriato da tifoni e terremoti, ha stipulato con la Banca Mondiale, polizze assicurative che coprono gli attivi, dunque i beni, dei Governi locali e nazionali contro i suddetti rischi ambientali.

[10] Per una disamina, nella letteratura internazionale, e non strettamente legale, dei weather derivatives, si rimanda a S. Jewson, A. Brix, with C. Ziehmann, Weather Derivative Valuation. The Meteorological, Statistical, Financial and Mathematical Foundations, Cambridge, 2005.

[11] Sul concetto di strumento finanziario, cfr. per tutti E. Righini, Commento sub art. 1, in Commentario T.U.F., a cura di F. Vella, Torino, 2021, pp. 1-44. Si veda anche, più in generale, R. Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2014, pp. 8-14; F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, 6° ed., Torino, 2012, pp. 81-89.

[12] Sul concetto di “derivato” nella letteratura internazionale si rimanda a C. Proctor, The Law and Practice of International Banking, 2nd ed., Oxford, 2015, pp. 425-434; P. Wood, Law and Practice of International Finance, London, 2008. A livello manualistico, si permette di rinviare a M. Haentjens & P. de Gioia Carabellese, European Banking and Financial Law, 2nd ed., London and New York, 2020, pp. 215-228.

[13] In proposito si parla, nella dottrina italiana (C. Ferrari, I contratti dei mercati regolamentati, Torino, 2018, pp. 33), di regolazione passiva del contratto, definita nel seguente modo: “l’esercizio costante di una funzione normativa attraverso atti, spesso atipici, di tenore puntuale e concreto”, il quale solitamente deriva proprio dalle autorità indipendenti. Viene osservato altresì che l’Autorità “regola il contratto” e “il contratto, così regolato, a sua volta è chiamato a dar regola al mercato di cui costituisce un segmento, una particella sì minima, ma riproducibile all’infinito” (C. Ferrari, ibidem, p. 41).

[14] Il precetto che viene in rilievo è quello dell’art. 9 della Costituzione. Nella dottrina italiana, forme indirette di tutela si ravviserebbero nel combinato disposto degli artt. 2, 9 e 32 della Costituzione (cfr. ex plurimis, C. Della Giustina, Il diritto all’ambiente nella Costituzione italiana, in Ambiente e diritto, 2020, online). Al momento in cui si scrive è in corso una discussione parlamentare finalizzata ad un espresso riconoscimento dell’ambiente per un futuro di crescita sostenibile.

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