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Approfondimenti

Dematerializzazione obbligatoria di titoli soggetti alla lex societatis italiana

25 Novembre 2021

Raffaele Lener, Professore ordinario di diritto dei mercati finanziari, Università di Roma “Tor Vergata”; Partner, Lener & Partners

Grazia Bonante, Partner, Lener & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Le emissioni di titoli obbligazionari high-quality in Euro di emittenti italiani sono state tradizionalmente collocate nel mercato domestico e nel mercato internazionale, ciascuno articolato secondo prassi e strutture peculiari. La scelta di operare su uno di questi mercati è correlata alle caratteristiche principali dell’emissione (scelta dell’agente, luogo di quotazione, scelta tra processo di sindacazione o asta).

Oggetto della presente analisi è il mercato degli Eurobond. Questo mercato è connotato da complessità di natura legale e si è strutturato sulla base di particolari market convention¸ assurte ormai a prassi di mercato. Ci interessa in particolare esaminare in quale modo la Brexit abbia influito sulle complessità di natura legale appena accennate.

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Premessa: Il mercato delle emissioni di Eurobond prima e dopo la Brexit

Nel contesto pre-Brexit, le imprese italiane che emettevano prestiti obbligazionari destinati a investitori istituzionali sul mercato europeo erano solite quotare i titoli presso la Borsa del Lussemburgo e assoggettare il regolamento del prestito alla legge inglese, con conseguente elezione di foro presso le corti inglesi. Ciò ha permesso di avere, per così dire, una corrispondenza tra norme applicabili e organi giurisdizionali chiamati a dirimere le controversie, ma la legittimità della scelta con riguardo a tutti gli aspetti dei prestiti obbligazionari era controversa[1].

Con la Brexit, questa tendenza si è di recente invertita. Gli emittenti italiani, infatti, hanno cominciato ad assoggettare il regolamento del prestito alla legge italiana continuando, però, ad utilizzare lo strumento della Global Note, disciplinata dalla legge inglese.

La legge inglese – come quella italiana – prevede un regime di dematerializzazione forte dei titoli, con la sola eccezione dei titoli al portatore che possono essere rappresentati da Global Note.

Come noto, la Global Note è un certificato fisico, rappresentativo dell’intera emissione, emesso normalmente al portatore e accentrato presso uno o entrambi gli International Central Securities Depository (ICSD) o presso un depositario centrale designato da questi ultimi. La Global Note rappresenta la forma legale predominante nel mercato degli Eurobond. Nell’ambito delle procedure di emissione, l’emittente appone sulla Global Note la propria sottoscrizione, che viene autenticata dall’agente che provvede al deposito del certificato globale presso il depositario. Una volta accentrata, la Global Note viene “immobilizzata” presso gli ICSD così consentendo la circolazione dei titoli sottostanti tramite scritturazioni sui conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari; similmente, dunque, a come circolano i titoli dematerializzati.

Raccogliendo le istanze emerse nell’ambito delle pubbliche consultazioni del maggio 2019 in ordine alla necessità di pervenire a un’armonizzazione del processo di emissione e distribuzione sul mercato primario dei titoli, la Banca Centrale Europea ha di recente istituito il Debt Issuance Market Contact Group (DIMCG), un gruppo di discussione tra l’Eurosistema e i professionisti operanti nei mercati primari del debito dell’area dell’Euro.

In un recente documento del DIMCG si sostiene che il ricorso alla Global Note è essenzialmente riconducibile alle seguenti motivazioni: (i) “full lack of possibility of dematerialisation”; (ii) “robustness with regards to conflict of laws”; (iii) “avoiding registration requirements under law of issuance”; (iv) “tax reasons and selling restrictions”; (v) “legacy/historical reasons”.

Ciascuna di queste motivazioni risulta, allo stato, poco convincente.

In primo luogo, quanto all’impossibilità di beneficiare appieno di un regime di dematerializzazione, si rileva che i presunti ostacoli sono da escludersi nella gran parte degli ordinamenti comunitari o comunque sono progressivamente in via di eliminazione. Lo scorso 10 giugno, ad esempio, in Germania è stato introdotto un regime di dematerializzazione che consente di emettere obbligazioni in forma dematerializzata; è dunque venuto meno l’obbligo di emettere titoli rappresentati da certificati fisici[2].

La motivazione relativa alla tenuta della scelta della legge in un contesto connotato da elementi di internazionalità (robustness with regards to conflict of laws) non sembra, per le ragioni che si esporranno di seguito, particolarmente convincente. Per vero, lo stesso DIMCG riconosce che le emissioni connotate da elementi di internazionalità coinvolgono diversi ordinamenti giuridici[3] e che la scelta della Global Note rappresenta il minimo comune denominatore – vale a dire una scelta di compromesso connotata, a parer nostro, da ampi margini di opinabilità – per la gestione dei conflitti di leggi.

Le motivazioni in ordine alle esigenze di anonimato da parte dei sottoscrittori (avoiding registration requirement under law of issuance) che giustificherebbero il ricorso alla Global Note – poiché l’ordinamento inglese consente l’emissione dei titoli al portatore in forma non dematerializzata – appaiono ormai ampiamente superate in un contesto regolamentare profondamente mutato rispetto ai primi anni Ottanta (quando il mercato degli Eurobond si è strutturato nelle forme note). Le ragioni di natura fiscale e le limitazioni alla circolazione (tax reasons and selling restrictions) sembrano essenzialmente riferite agli emittenti statunitensi.

Ci sembra pertanto che, almeno con riferimento agli emittenti italiani, la scelta di ricorrere a questa particolare modalità di emissione risponda più alla motivazione che il DCMG riconduce a legacy/historical reasons, e cioè a una prassi di mercato. Il mercato, infatti, è ormai strutturato secondo modalità tali che il ricorso alla Global Note è divenuto una sorta di convenzione, che non risponde più a finalità di natura pratica.

Come anticipato, nel contesto precedente la Brexit, la scelta degli emittenti italiani di assoggettare il regolamento del prestito alla legge inglese portava a ritenere applicabile ai titoli anche il regime di forma, di legittimazione e di circolazione vigente nell’ordinamento inglese. In altri termini, gli emittenti ritenevano di poter assoggettare la lex tituli – e cioè la legge di circolazione – alla legge che essi avevano prescelto come legge regolatrice del rapporto di mutuo sottostante, la lex contractus. Si riteneva dunque che la scelta della legge inglese quale legge regolatrice del rapporto sottostante comportasse l’applicazione della stessa legge al regime di circolazione dei titoli. Ciò rispondeva a esigenze di semplificazione e di opportunità (essendo la legge inglese più facilmente “adattabile” alle esigenze del mercato).

E invero la dottrina[4] precedente all’entrata in vigore della legge 31 maggio 1995, n. 218 (“Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”, di seguito “Legge di riforma”) – che, come meglio si dirà, con il comma 3 dell’art. 59 ha individuato come lex tituli la legge dello Stato in cui il titolo è stato emesso – sottolineava i pregi di una scelta legislativa che consentisse di sottoporre il regime di circolazione dei titoli alla medesima legge che disciplinava il rapporto di mutuo sottostante (lex contractus), ritenendo che una simile opzione evitasse problemi di conflitto fra le leggi regolatrici di aspetti diversi dell’emissione (circolazione, contratto, giurisdizione, lex societatis, aspetti possessori, ecc.) che vengono fatalmente in rilievo con riferimento ai titoli connotati da caratteri di internazionalità.

Anche la Consob, mossa probabilmente dai medesimi intenti di semplificazione, nella Comunicazione n. DM/99048465-ter del 17 giugno 1999, sosteneva che “la scelta dell’emittente di sottoporre una propria emissione alla disciplina di un ordinamento estero (sia che si tratti di titoli del debito pubblico, sia che si tratti di corporate bonds) determina l’applicazione del regime di forma, di legittimazione e di circolazione dei titoli vigente in quest’ultimo ordinamento, indipendentemente dalla nazionalità dell’emittente”.

La pratica di sottoporre il regime di circolazione dei titoli alla medesima legge scelta dall’emittente come lex contractus (e, quindi, alla legge inglese) si è andata, così, consolidando tra gli emittenti domestici.

Non è mancato però chi ha dubitato della legittimità dell’impiego della legge inglese in relazione a tutti gli aspetti dei prestiti obbligazionari[5], poiché questa prassi risulta poco conforme alle scelte poi effettivamente perseguite dal legislatore con la Legge di riforma.

Con la Brexit, poi – o meglio, già nei mesi a ridosso dell’uscita dalla Gran Bretagna dall’Unione – si è assistito a una marcata inversione di tendenza. Gli emittenti italiani hanno iniziato ad assoggettare le emissioni alla legge domestica piuttosto che a quella inglese, con la singolare conseguenza che la legge disciplinante i titoli è ora frequentemente quella italiana, ma la procedura di emissione prevede comunque il ricorso alla Global Note, retta dal diritto inglese, come fase prodromica al deposito presso gli ICSD in Belgio e in Lussemburgo.

Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione, infatti, il ricorso alla legge inglese come legge regolatrice del prestito è divenuto poco opportuno. Invero, le norme in materia di attività idonee a costituire una garanzia per i finanziamenti di politica monetaria nell’ambito dell’Eurosistema[6] pongono precise limitazioni all’utilizzo di titoli “emessi” al di fuori dello Spazio Economico Europeo. Analogamente, le disposizioni in materia di minimum requirement for own funds and eligible liabilities (MREL) pongono limiti alla possibilità di computare nei fondi propri delle banche titoli emessi sulla base delle disposizioni di un paese non appartenente all’Unione.

Divenuto il Regno Unito a tutti gli effetti Paese terzo, sono sorte dunque perplessità circa la possibilità di qualificare l’emissione – in quanto prestito obbligazionario di emittenti dell’Eurozona assoggettato alla legge di un paese terzo – come effettuata all’interno dello Spazio Economico Europeo e di qualificarla inoltre come idonea ai fini MREL.

Di qui l’inversione di tendenza e l’assoggettamento del rapporto sottostante alla legge italiana, in luogo di quella inglese.

Come si diceva, però, per una sorta di vischiosità del sistema sono rimaste inalterate le modalità di emissione dei titoli, che continuano a contemplare, sia per i prestiti sindacati che per quelli emessi nell’ambito di procedure d’asta, il ricorso alla Global Note e la conseguente soggezione dei titoli alla legge di circolazione del luogo di emissione. Con la conseguenza che i titoli – pur disciplinati dal diritto italiano – sono assoggettati alla legge di circolazione inglese, il che comporta che la lex tituli sia la legge inglese, mentre la lex contractus sia sovente quella italiana.

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Alla luce di queste premesse, vale la pena rimeditare l’assunto secondo il quale il regime di circolazione dei titoli sia per così dire “attratto” dalla legge scelta quale legge regolatrice dell’emissione e inquadrare il fenomeno in un contesto più ampio, che tenga conto dei diversi aspetti di diritto domestico e di diritto internazionale privato che possono condizionare le scelte degli emittenti.

A tal fine risulterà utile passare in rassegna la disciplina e i profili di diritto internazionale privato che vengono in considerazione con riguardo alle emissioni di titoli obbligazionari connotate da elementi di internazionalità.

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1. Sulla legge applicabile

Come noto, il tema dei titoli di credito in diritto internazionale privato appare complesso e articolato, coinvolgendo una pluralità di leggi regolatrici di diversi aspetti dell’emissione.

Il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 luglio 2008 n. 593 (Regolamento Roma I) – il cui principio cardine è la libertà di scelta delle parti circa la legge applicabile al contratto – esclude dal proprio ambito di applicazione le obbligazioni derivanti, inter alia, dagli “strumenti negoziabili”, categoria nella quale rientrano i titoli rappresentativi di merci e i titoli, tanto obbligazionari quanto partecipativi, emessi da società.

Preme precisare che all’applicazione del Regolamento Roma I sono sottratte le obbligazioni derivanti dal titolo di credito, non anche i contratti causali sottostanti l’emissione.

Rientrano dunque nella lex contractus le questioni relative ai requisiti del contratto, quali quelle circa l’esistenza di un accordo delle parti, la causa e l’oggetto, i vizi della volontà (errore, violenza, dolo), le altre cause di invalidità relative all’oggetto o alla causa del contratto, la simulazione e la frode alla legge. Rientrano, in linea generale, nella lex contractus, salvi i problemi di qualificazione, la questione della diligenza nell’adempimento dell’obbligazione, del tempo e del luogo dell’adempimento, delle modalità con cui le obbligazioni solidali, alternative, divisibili o indivisibili e pecuniarie vanno eseguite. Sempre alla luce della lex contractus vanno esaminati gli effetti del contratto, l’inadempimento, la risoluzione, il recesso, la clausola penale e le clausole limitative di responsabilità. Del pari, vanno esaminate, sulla base della stessa legge, la responsabilità contrattuale e le cause di esonero dalla responsabilità contrattuale quali, ad es., la forza maggiore.

Rispetto a questi ultimi aspetti, dunque, è rimessa alle parti la scelta della legge applicabile (lex contractus). Per le obbligazioni ricadenti nel campo di applicazione del Regolamento Roma I, invero, l’art. 3 del Regolamento stesso sancisce il principio di libertà delle parti nella scelta della legge deputata a regolare i loro rapporti, al fine di consentire alle stesse l’individuazione della legge che meglio si adatta agli obiettivi dell’operazione economica che vogliono realizzare, a prescindere da legami soggettivi od oggettivi col territorio o l’economia dello Stato scelto[7].

Come detto, però, il Regolamento Roma I trova applicazione alla sola lex contractus, ma non disciplina altri aspetti rilevanti e segnatamente, la lex tituli, la lex societatis, la lex chartae sitae e la lex fori.

2. Lex tituli

Quanto alla legge applicabile alle obbligazioni derivanti dal titolo, la disciplina di riferimento è l’art. 59, comma 3, della citata legge n. 218 del 1995, ai sensi del quale il diritto applicabile ai titoli di credito diversi da quelli cambiari è quello dello Stato nel quale il titolo è stato emesso[8]. La legge regolatrice del titolo è dunque la legge dello Stato in cui viene emesso, senza che assuma rilievo alcuno la scelta dell’emittente. Contrariamente a quanto accade per la lex contractus, la lex tituli non è dunque oggetto di libera scelta da parte della società emittente.

L’emissione è tradizionalmente intesa come il fatto che determina la “destinazione alla circolazione del titolo” e ne manifesta la “finalità di mercato”[9].

L’individuazione della lex tituli nella legge del luogo di emissione disciplina pertanto gli aspetti cartolari del fenomeno obbligatorio e, più precisamente, la creazione del titolo, le eccezioni che il debitore può opporre al portatore, le modalità di circolazione e quindi di acquisto del titolo, le eventuali limitazioni alla circolazione, la titolarità del diritto incorporato e la legittimazione al suo esercizio, le formalità per eseguire i trasferimenti (e, perciò, ad esempio, le condizioni di regolarità delle girate), le modalità di estinzione del rapporto incorporato e l’eventuale disciplina dell’ammortamento[10].

Il criterio introdotto dalla Legge di riforma è stato ampiamente criticato[11] per il suo carattere “insoddisfacente” e foriero di non pochi problemi interpretativi in quanto ispirato a un criterio di collegamento “arcaico”, anch’esso ripreso dal legislatore della disciplina previgente e ormai abbandonato a favore del diverso criterio del luogo di esecuzione e di quello di assunzione delle obbligazioni diverse da quella principale.

Sul punto è stato correttamente rilevato che il criterio dell’emissione designa una «legge con insufficiente vocazione a regolare il rapporto», perché non assicura la coincidenza tra la legge regolatrice del titolo e quella regolatrice del rapporto sottostante, rendendo il più delle volte problematica la delimitazione tra i due ambiti di applicazione di queste[12].

Poco chiare sono apparse anche le scelte lessicali operate dal legislatore.

In dottrina si è dibattuto, infatti, sul concetto di emissione. Ci si è chiesti se questa locuzione designasse il momento della sottoscrizione del titolo o quello della sua trasmissione al primo prenditore (i.e. il primo avente diritto alla prestazione incorporata nel titolo)[13].

Ricorrendo a categorie note, si può dire che l’”emissione” di un titolo, tecnicamente intesa, consiste nella sua materiale trasmissione dal creatore al primo prenditore[14]. La “creazione” del titolo, invece, coincide con il momento di perfezionamento della dichiarazione cartolare a opera dell’autore (ossia, almeno in una prospettiva non dematerializzata, della redazione o completamento del documento che costituisce titolo di credito)[15].

L’emissione di cui all’art. 59, comma 3, della Legge di riforma, però, si presta a letture discordanti, in quanto la relazione ministeriale di accompagnamento alla Legge la identifica con la sottoscrizione nel senso di creazione del titolo[16]. Secondo questa lettura, dunque, il termine “emissione” viene utilizzato nella norma in senso non tecnico.

Ciò ha determinato non pochi problemi interpretativi. Allo stato attuale, però, il dibattito non presenta più particolari profili di interesse in ragione della graduale scomparsa della circolazione cartacea dei titoli a favore della loro emissione e gestione dematerializzata[17].

Quali che siano le opzioni poste alle base della scelta del legislatore della riforma, e nonostante la rilevata imprecisione lessicale, è indubbio che la scelta è evidentemente quella di riconnettere la legge regolatrice del titolo al luogo (o all’ordinamento nell’ambito del quale) ha luogo l’emissione. Come rilevato, «l’unico modo per assicurare una soluzione razionale e che eviti i rischi di sdoppiamento di disciplina tra titolo e rapporto sottostante è l’emissione nel paese dalla cui legge si vorrebbe fare regolare il titolo (per esempio il paese la cui legge regola il contratto di trasporto o il contratto di emissione delle obbligazioni). In concreto una tale coincidenza sarà però realizzabile di proposito solo in casi particolari (per esempio per l’emissione di obbligazioni o di valori mobiliari per la quale sembra più concreta la possibilità di scegliere il luogo di emissione in funzione della legge applicabile, che tipicamente sarà quella di un paese con un mercato finanziario sviluppato o quello sulle cui borse vengono quotati i titoli).»[18].

La prassi di scegliere la legge inglese come legge regolatrice del prestito e di emettere la Global Note nel Regno Unito è appunto riconducibile a questa opzione.

La questione ha assunto connotati diversi con riferimento ai titoli dematerializzati, rispetto ai quali l’emissione si fa coincidere con l’immissione del titolo nel sistema di gestione accentrata[19]. Fatto, questo, che determinerebbe la «destinazione alla circolazione del titolo» e ne manifesterebbe la finalità di mercato[20]. La riconduzione del concetto di emissione al momento e al luogo di accentramento presso un depositario centrale acquista rilievo, per quanto si dirà in appresso, ai fini della qualificazione dei titoli come ammissibili a garanzia per i finanziamenti di politica monetaria nell’ambito dell’Eurosistema.

Conclusivamente, la lex tituli nel nostro sistema di diritto internazionale privato è disciplinata in base a parametri oggettivi. Dunque, sembra da respingersi la tesi secondo cui essa sarebbe attratta alla lex contractus, questa sì rimessa alla scelta delle parti. L’assoggettamento dell’emissione a una lex tituli diversa da quella astrattamente applicabile può derivare solo dalla scelta di emettere il titolo all’estero, sulla base delle disposizioni di legge ivi applicabili, in punto di sottoscrizione o consegna del titolo al primo prenditore, ovvero, secondo l’orientamento che emerge dall’Indirizzo 2015/510 della Banca Centrale Europea, dalla scelta di accentrare il titolo presso un depositario centrale estero, con conseguente soggezione alla legge che disciplina il CSD.

3. Lex societatis

Altro aspetto rilevante delle emissioni obbligazionarie, non rientrante nell’ambito di applicazione del Regolamento Roma I, è la lex societatis.

Il Regolamento Roma I, infatti, esclude dal proprio ambito di applicazione, inter alia, le questioni “inerenti al diritto delle società, associazioni e persone giuridiche[21]. Più nel dettaglio, non vi rientrano aspetti quali la costituzione, la capacità giuridica, l’organizzazione interna, lo scioglimento della società, associazioni e persone giuridiche e la responsabilità personale dei soci e degli organi per le obbligazioni delle società, associazioni o persone giuridiche.

Tali aspetti, in quanto afferenti alla disciplina dell’ente, restano di competenza della legge dello Stato nel cui territorio si è perfezionato il procedimento di costituzione (lex loci incorporationis) ai sensi dell’art. 25[22] della Legge di riforma.

Con riguardo a un prestito obbligazionario, quindi, appaiono riservate alla lex societatis le questioni relative alla emissione e ai relativi limiti, trattandosi di aspetti che concernono la capacità della società. Lo stesso criterio di collegamento vale, si fa notare[23], per la genesi e le modalità operative degli organi della società: come già rilevato in sede di analisi della riserva di giurisdizione, la categoria andrebbe considerata in maniera “atecnica” e dunque non limitata ai tradizionali organi societari, ma comprensiva anche di organi rappresentativi ulteriori, la cui esistenza è conseguenza ex lege di determinate operazioni economiche — creazione di azioni di categoria, emissione di un prestito obbligazionario o di strumenti finanziari partecipativi — o che sono il frutto dell’autonomia privata. La disciplina di questi organi — interni alla società[24] o, comunque, incidenti sulla sua organizzazione interna — dovrebbe essere riservata alla lex societatis. Sembra dunque, in questa prospettiva, ricadere nell’ambito della lex societatis – cioè della legge italiana – l’assemblea degli obbligazionisti, anche nella prospettiva dell’insolvenza dell’emittente[25].

4. Lex chartae sitae

Il Regolamento Roma I non parla neanche della legge regolatrice degli effetti reali del trasferimento di strumenti finanziari.

Nel caso in cui gli strumenti finanziari siano rappresentati da documenti, tale legge è generalmente ritenuta quella del luogo in cui, al momento del trasferimento, si trova il documento (lex chartae sitae).

In caso di dematerializzazione, siffatto criterio non è suscettibile di operare a causa dell’assenza di una chartula[26]. Pertanto, in tali ipotesi, si è adeguato il criterio di collegamento del situs rei alla peculiarità della circolazione di strumenti finanziari, dando rilievo alla circostanza che il diritto è trasferito mediante scritturazioni contabili.

Disciplina di riferimento è l’art. 10 d. lgs. 170/2004[27], che ha chiarito – nell’ambito di una più ampia regola di diritto internazionale privato in merito ai diritti su strumenti finanziari in forma scritturale – che le modalità di trasferimento di tali diritti nonché di costituzione e realizzazione di garanzie e vincoli sono regolate in via esclusiva e inderogabile dalle legge dell’ordinamento in cui è situato il conto o il sistema di gestione o di deposito accentrato in cui vengono effettuate le registrazioni o le annotazioni direttamente a favore del titolare del conto[28].

In altri termini, il conto da considerare, tra quelli dislocati lungo la catena di intermediazione, è quello in cui è iscritto il diritto sullo strumento finanziario considerato dal punto di vista del titolare del diritto. Poiché il conto in questione è gestito da un intermediario, questi assume la veste di intermediario relevant (ossia di pertinenza) e la legge applicabile è quella del c.d. place of relevant intermediary approch (“PRIMA”)[29].

Al riguardo, taluni sottolineano la valenza espansiva del PRIMA, in quanto tendenzialmente vocato a disciplinare la (quasi) totalità del fenomeno cartolare[30].

La lex chartae sitae acquista poi rilevanza per le questioni attinenti il modo di acquisto del diritto sul titolo e la soluzione dei conflitti tra posizioni confliggenti di terzi, e cioè l’acquisto in buona fede a non domino.

5. Lex fori

La lex fori è la disciplina relativa al contenzioso. Siffatta legge può essere scelta dalle parti ma solo con riguardo alle controversie sul rapporto sottostante, restando rimesse alla giurisdizione del giudice nazionale le questioni di diritto societario e, verosimilmente, alla giurisdizione dell’ordinamento chiamato a disciplinare gli aspetti di circolazione e dominicali sul titolo.

6. Sulle norme di applicazione necessaria

Va in ogni caso rammentato che i criteri di cui al Regolamento Roma I, al Regolamento di Bruxelles e alla Legge di riforma scontano il limite delle norme di applicazione necessaria.

L’art. 3, comma 3 del Regolamento Roma I, infatti, prevede che “Qualora tutti gli elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui opera la scelta, in un paese diverso da quello la cui legge è stata scelta, la scelta effettuata dalle parti fa salva l’applicazione delle disposizioni alle quali la legge di tale diverso paese non permette di derogare convenzionalmente”.

L’art. 17 della Legge di riforma (rubricato “Norme di applicazione necessaria”), a sua volta, prevede che “E’ fatta salva la prevalenza sulle disposizioni che seguono delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera”.

Ciò chiama in causa l’art. 83 bis TUF, ai sensi del cui comma 1 “I valori mobiliari regolati dalla legge italiana ammessi alla negoziazione o negoziati in una sede di negoziazione italiana o di altro Paese dell’Unione Europea con il consenso dell’emittente possono esistere solo in forma scritturale”.

La norma impone una dematerializzazione forte; sancisce, infatti, il divieto di rappresentare in forma cartolare gli strumenti finanziari dematerializzati, il che significa che per essi non è possibile “incorporare” i diritti in un documento cartolare[31], secondo gli effetti propri della disciplina dei titoli di credito, operando tale divieto già in fase di emissione dei titoli[32].

L’art. 83 bis TUF, così come tutta la Sezione I (Gestione accentrata in regime di dematerializzazione) del Capo IV (Gestione accentrata di strumenti finanziari) del TUF è norma di applicazione necessaria.

Ciò risulta confermato dal testo dell’art. 83 quaterdecies TUF ai sensi del quale le disposizioni contenute nella Sezione I, Capo V, del TUF costituiscono disciplina applicabile, ai sensi dell’art. 49, par. 1, secondo e terzo comma, del Regolamento UE n. 909/2014 (Regolamento CSDR), anche nel caso di emissione diretta o immissione di valori mobiliari regolati dalla legge italiana in un sistema di scritture contabili gestito da un depositario centrale stabilito in un altro Stato membro.

Il richiamato art. 49 del Regolamento CSDR prevede che – fatto salvo il diritto dell’emittente di far registrare i suoi titoli ammessi alla negoziazione nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione o negoziati in sedi di negoziazione in qualsiasi CSD stabilito in qualsiasi Stato membro, fatto salvo il rispetto da parte di tale CSD di una serie di condizioni[33] – si continua ad applicare il diritto societario o altra normativa analoga dello Stato membro in cui i titoli sono emessi.

Ne consegue che i titoli di emittenti quotati italiani sono soggetti alla lex societatis italiana e pertanto assoggettati al regime di dematerializzazione forte imposto dall’art. 83 bis TUF.

Preme rilevare che siffatto obbligo di dematerializzazione forte non appare in conflitto con i principi del Regolamento CSDR.

Potrebbe obiettarsi, infatti, che la previsione di un regime obbligatorio di dematerializzazione si ponga in contrasto con quanto previsto dal Regolamento CSDR all’art. 3, comma 1 – ai sensi del quale “gli emittenti stabiliti nell’Unione che emettono o hanno emesso valori mobiliari ammessi alla negoziazione o negoziati in sedi di negoziazione provvedono affinché tali titoli siano rappresentati mediante scrittura contabile tramite accentramento o a seguito di emissione diretta in forma dematerializzata” – letto alla luce del considerando 11, che prevede che “è opportuno che il presente regolamento non imponga un metodo specifico per la prima registrazione tramite scrittura contabile, che dovrebbe poter assumere la forma dell’accentramento ovvero della dematerializzazione immediata”.

Il Regolamento CSDR, infatti, non impone agli Stati di scegliere l’una o l’altra forma, lasciando impregiudicata la possibilità di avvalersi, anche in modo esclusivo, di una delle due.

In conclusione, la regola posta dall’83 bis TUF trova applicazione, quale disposizione di applicazione necessaria della lex societatis italiana, ai titoli obbligazionari emessi da soggetti aventi sede in Italia, anche se disciplinati per gli aspetti relativi al rapporto di mutuo sottostante le obbligazioni da una legge diversa da quella italiana. Ne consegue che le obbligazioni disciplinate dalla legge italiana che siano ammesse alla negoziazione in una sede di negoziazione italiana o comunitaria possono esistere solo in forma scritturale. Se ne deve concludere che è precluso agli emittenti italiani emettere titoli quotati all’interno dell’Unione in forma cartacea, e dunque anche nella forma di una Global Note.

L’obbligo di cui all’art. 83 bis del TUF può essere assolto tramite emissione diretta o immissione in un regime di dematerializzazione presso depositari italiani o comunitari abilitati a operare in Italia secondo le disposizioni della CSDR.

Le conclusioni appena raggiunte valgono senz’altro nel caso in cui il regolamento del titolo prevede che l’emissione sia disciplinata dalla legge italiana.

A nostro parere a identiche considerazioni deve pervenirsi anche nel caso in cui l’emissione sia disciplinata da una legge straniera, poiché la scelta della legge regolatrice il rapporto sottostante l’emissione non è idonea a incidere sul regime di circolazione dei titoli.

È ragionevole ritenere che il riferimento alla circostanza che i titoli siano disciplinati dal diritto italiano non impone che i titoli siano disciplinati “unicamente” dal diritto italiano.

Per quanto si è detto, le emissioni effettuate da soggetti italiani sono regolate dalla legge italiana quantomeno per ciò che attiene alla lex societatis; vi è dunque spazio per una dematerializzazione forte anche nei casi in cui l’emissione sia disciplinata da una legge straniera.

 

[1] M. Houben, Giurisdizione e legge applicabile ai prestiti obbligazionari, in Rivista delle società, 2015, pp. 617-656.

[2] Per maggiori informazioni si rinvia al link https://www.bafin.de/SharedDocs/Veroeffentlichungen/EN/Fachartikel/2021/fa_bj_2107_eWpG_en.html.

[3] Law of issue, law of issuer CSD, law of establishment of issuer, law of establishment of investors, etc.

[4] Ballarino T. – A. Bonomi, Sulla disciplina delle materie escluse dal campo di applicazione della convenzione di Roma, in Riv. dir. internaz., 1993, 955.

[5] M. Houben, op. cit.

[6] Indirizzo (UE) 2015/510 della Banca Centrale Europea del 19 dicembre 2014 sull’attuazione del quadro di riferimento della politica monetaria dell’Eurosistema (BCE/2014/60), come modificato.

[7] In tal senso v., inter alia, F. Marella, Funzione ed oggetto dell’autonomia della volontà nell’era della globalizzazione del contratto, in La nuova disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti (Roma I), a cura di N. Boschiero, Torino, 2009, 19 ss.

[8] Art. 59, comma 3, della Legge di riforma: “Gli altri titoli di credito sono regolati dalla legge dello Stato il cui titolo è stato emesso. Tuttavia le obbligazioni diverse da quella principale sono regolate dalla legge dello Stato in cui ciascuna è stata assunta”.

[9] M. Cian, I titoli di credito cartacei ed elettronici, in Id. (a cura di) Diritto commerciale, Torino, 2013, 308.

[10] Cfr. M. Houben, op. cit.

[11] L. G. Radicati di Brozolo, Titoli di credito (diritto internazionale privato), Digesto IV delle discipline privatistiche, vol. XV, 510 ss.

[12] Sempre L. G. Radicati di Brozolo, op. cit.

[13] L. G. Radicati di Brozolo, op. cit.

[14] Cfr. L. G. Radicati di Brozolo, op. cit.; M. Houben, op. cit.

[15] Cfr. M. Stella Richter, I titoli di credito nel nuovo sistema di diritto internazionale privato, in Banca, borsa e titoli di credito, 1996, I, p. 767 ss.

[16] In proposito: F. C. Villata, Gli strumenti finanziari nel diritto internazionale privato, Padova, 2008, 90. Secondo L. G. Radicati di Brozolo, op. cit., p. 452, la scelta del criterio del luogo di creazione presenta il vantaggio della facilità di individuazione (anche perché sovente indicato sul titolo), rispetto al luogo di consegna del titolo, vantaggio accentuato proprio per quei titoli di credito emessi in serie o in massa, perché consente l’accoglimento di una disciplina unitaria dell’emissione, rispetto al frazionamento del regime di conflitto che risulterebbe dall’adozione della legge del luogo di emissione in senso proprio di ogni titolo. La scelta del criterio dell’emissione richiederebbe, infatti, una precisazione: il procedimento di emissione potrebbe perfezionarsi in un luogo diverso da quello in cui il singolo titolo è rilasciato al suo sottoscrittore. In altri termini, trattandosi di titoli di massa, con la locuzione «luogo di emissione» potrebbe intendersi tanto il luogo di emissione del singolo titolo (prospettiva individualistica) quanto il luogo di emissione del prestito (visione collettiva del fenomeno). Ragioni di certezza hanno indotto pertanto parte della dottrina (M. Stella Richter, cit., 788) a preferire l’ultimo criterio indicato, sebbene ciò comporti un “arretramento” verso la teoria della creazione.

[17] M. Houben, op. cit.

[18] L. G. Radicati di Brozolo, op. cit., p. 518.

[19] G. Presti – M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, Bologna 2012, 221.

[20] Sempre M. Cian, op. cit, p. 308.M. Cian, I titoli di credito cartacei ed elettronici, in Id. (a cura di) Diritto commerciale, Torino, 2013, 308.

[21] All’art. 1, comma 2, lett. f).

[22]Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti.

In particolare, sono disciplinati dalla legge regolatrice dell’ente:

a) la natura giuridica;

b) la denominazione o ragione sociale;

c) la costituzione, la trasformazione e l’estinzione;

d) la capacità;

e) la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi;

f) la rappresentanza dell’ente;

g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonché i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità;

h) la responsabilità per le obbligazioni dell’ente;

i) le conseguenze delle violazioni della legge o dell’atto costitutivo.

I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati”.

[23] M. Houben, op. cit., p. 5.

[24] In senso conforme, M. Stella Richter jr., op. cit., pag. 789.

[25] Si veda in questo senso G. R. Delaume, Choice of law and forum clauses in Euro-Bonds, in Columbia Journal of Transnational Law, Vol. 11, Issue 2 (Spring 1972), pp. 240-266.

[26] A. Leandro, La legge regolatrice degli effetti reali del trasferimento di strumenti finanziari tramite intermediari, in Riv. Dir. internaz., fasc. 2, 2006, p. 384 ss.

[27] Art. 10 (“Legge regolante i diritti su strumenti finanziari in forma scritturale”) del d. lgs. 170/2004:

1. Quando i diritti, che hanno ad oggetto o sono relativi a strumenti finanziari, risultino da registrazioni o annotazioni in un libro contabile, conto o sistema di gestione o di deposito accentrato, le modalità di trasferimento di tali diritti, nonché’ di costituzione e di realizzazione delle garanzie e degli altri vincoli sugli stessi, sono disciplinati esclusivamente dalla legge dell’ordinamento dello Stato in cui è situato il libro contabile, il conto o il sistema di gestione o di deposito accentrato in cui vengono effettuate le registrazioni o annotazioni direttamente a favore del titolare del diritto, con esclusione del rinvio alla legge di un altro Stato.

2. Gli eventuali patti in deroga al comma 1 sono nulli.

3. Qualora il libro contabile, il conto o il sistema di gestione o deposito accentrato sia situato in Italia e gli strumenti finanziari non siano immessi in un sistema italiano in regime di dematerializzazione ai sensi dell’articolo 28 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, le modalità di trasferimento dei diritti, nonché di costituzione e realizzazione delle garanzie e degli altri vincoli sugli stessi sono regolate dalle disposizioni del titolo V del medesimo decreto legislativo, in quanto applicabili”.

[28] M. Cian, in Commento sub art. 83 bis TUF, in Commentario del Codice Civile. Delle promesse unilaterali. Dei titoli di credito, Artt. 1987 – 2027 – leggi collegate, diretto da E. Gabrielli (a cura di R. Lener), Milano, 2015, p.579, sottolinea come, sul piano del diritto sostanziale, tutti i fatti aventi a oggetto uno strumento dematerializzato si considerano accaduti là dove questo è annotato in conto.

[29] A. Leandro, op. cit.

[30] Cfr. sul punto A. Tencati, Le garanzie dei crediti, Torino, 2012, p. 435.

[31] M. Cian, in op. cit., p. 578, sottolinea come il regime di dematerializzazione e accentramento sciolga, in un contesto di flussi finanziari intensi e di investimenti diffusi, tutti i problemi derivanti da una circolazione cartacea, istituzionalizzando i circuiti attraverso cui tali flussi transitano e così “istituzionalizzando” (e per questa via almeno auspicabilmente riducendo) i rischi di disfunzioni.

[32] F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, IX ed., Torino, 2017, p. 345.

[33] Di cui all’art. 23 del Regolamento CSDR.

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