Negli accertamenti basati su indagini finanziarie, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre eccepire l’incidenza percentuale dei relativi costi, da determinarsi in via presuntiva a cura del giudice di merito, laddove l’amministrazione finanziaria non ne abbia dato riconoscimento, anche mediante riferimento alle medie elaborate dall’amministrazione finanziaria stessa per il settore di riferimento o tramite consulenza tecnica d’ufficio.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza del 16 aprile 2025 n. 10013 in un procedimento giurisdizionale instaurato da un imprenditore individuale destinatario di un avviso di accertamento fondato sulle risultanze di indagine finanziarie svolte ai sensi degli articoli 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972, in esito alle quali erano emersi prelevamenti ingiustificati sulla cui base l’Agenzia delle Entrate aveva poi provveduto a contestare maggiori redditi per il corrispondente importo.
I gradi di merito si erano conclusi con un accoglimento parziale delle ragioni del contribuente, il quale – pur vedendosi confermata la contestazione di carenza di “giustificazione” dei prelevamenti, in quanto le specificamente addotte sono state qualificate come prive di specificità per ciascun movimento bancario e solo genericamente riferite all’attività d’impresa svolta, aveva ottenuto il riconoscimento dell’incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi ricostruiti in maniera analitico-induttiva tramite, appunto, le indagini bancarie svolte.
Per l’effetto è stato disposto che il reddito accertato venisse rideterminato tenendo conto di costi riconosciuti nella misura forfettaria del 15% dei maggiori ricavi accertati, correlati alla produzione dei medesimi proventi occultati.
Con separati ricorsi per cassazione presentati dalle parti, pregiudizialmente riuniti ai sensi dell’art. 335 del c.p.c., i giudici di legittimità sono stati investiti, in via preminente, dell’onere di analizzare e di pronunciarsi in ordine all’individuazione dei principi normativi applicabili sulla determinazione dei costi in tema di accertamenti bancari ex art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972.
Muovendo, così, dall’analitica ricostruzione della posizione espressa dalla Corte Costituzionale da ultimo anche nella recente Sentenza n. 10/2023, la Suprema Corte di legittimità ha richiamato la stretta necessità del tener conto della rilevanza dell’incidenza dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati sulla base di “ingiustificati” prelevamenti e dai quali devono essere detratti nella ricostruzione e rettifica del reddito dell’imprenditore, facendo, dunque, propria l’interpretazione “adeguatrice” fornita esposta dai giudici costituzionali nella pronuncia richiamata e contestualmente fornendo criteri operativi pratici nella relativa quantificazione.
Diritto allo “scomputo” dei costi che, dunque, il contribuente può sempre eccepire e che, ove proposto e non riconosciuto direttamente dall’amministrazione finanziaria, onera il giudice di merito alla determinazione del relativo ammontare per la produzione del reddito, procedendo ad una quantificazione – così come già chiarito nell’ordinanza n. 6874/2023 – “in via presuntiva, anche con riferimento alle «medie» elaborate dall’amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, o, se del caso, anche a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio»”.
Di tale onere sarà investita la Corte di Giustizia di Secondo Grado competente che in diversa composizione, in virtù della cassazione della sentenza impugnata, sarà tenuta a dare applicazione dei principi così espressi in materia di deduzione dei costi in via presuntiva nelle indagini finanziarie.