La Corte di Giustizia UE, con sentenza del 30 ottobre 2025, resa nella causa C‑143/23, si è espressa sulla decorrenza e sugli effetti dell’esercizio del diritto di recesso di un consumatore da un contrato di credito al consumo, interpretando l’art. 10, par. 2, lett. l), e dell’art. 14, par. 1 e 3, lett. b), della Direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito ai consumatori (CCD).
Si ricorda che il 30 ottobre 2023 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva 2023/2225/UE (CCD II), relativa ai contratti di credito ai consumatori, che abroga la direttiva CCD, oggetto della pronuncia in esame: l’Italia, come gli altri Stati membri, deve adottare entro il 20 novembre 2025 le disposizioni interne necessarie per conformarsi alla CCD II, che verranno applicate a decorrere dal 20 novembre 2026.
Sul punto, il decreto legislativo di attuazione della CCD II è attualmente in attesa del prescritto parere parlamentare; in ogni caso, le disposizioni della direttiva CCD saranno abrogate dal 20 novembre 2026.
Come previsto dalle disposizioni transitorie della CCD II, tuttavia, la Direttiva 2008/48/CE continuerà comunque ad applicarsi ai contratti di credito in corso al 20 novembre 2026, fino al loro termine: per tale ragione si renderà necessario comprendere se il contratto di credito sia o meno in essere a tale data, al fine di applicare correttamente, rationae temporis, le modifiche nel frattempo intervenute alla disciplina del credito ai consumatori, in genere maggiormente favorevoli al consumatore.
Con particolare riferimento alle modifiche intervenute alla disciplina del diritto di recesso del consumatore, per un maggiore approfondimento, si rinvia alla terza relazione del prossimo webinar organizzato dalla Rivista per il giorno 27 novembre 2025 “Il credito ai consumatori nell’attuazione CCD II – Novità normative e problematiche applicative“.
I principi di diritto affermati dalla Corte
Questi i principi di diritto affermati:
1) L’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), e l’articolo 14, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, devono essere interpretati nel senso che: il periodo di recesso, previsto a tale articolo 14, paragrafo 1, non inizia a decorrere qualora il contratto di credito non indichi, sotto forma di percentuale concreta, il tasso d’interesse di mora applicabile al momento della conclusione del contratto, e ciò fintantoché tale informazione non sia stata debitamente comunicata al consumatore.
2) L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che: esso osta a che il creditore possa validamente eccepire l’esercizio abusivo, da parte del consumatore, del diritto di recesso previsto a tale articolo 14, paragrafo 1, a causa del comportamento di quest’ultimo intervenuto tra la conclusione del contratto e l’esercizio del diritto di recesso, o addirittura successivamente a tale esercizio, qualora l’indicazione, sotto forma di percentuale concreta, del tasso d’interesse di mora applicabile al momento della conclusione di tale contratto, richiesta dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), di tale direttiva, non figurasse nel contratto di credito e non sia stata neppure debitamente comunicata successivamente.
3) L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, letto alla luce del principio di effettività, deve essere interpretato nel senso che: esso osta a una giurisprudenza nazionale secondo la quale, in caso di esercizio da parte del consumatore del diritto di recesso nei confronti di un contratto di credito collegato a un contratto di acquisto di un veicolo, l’importo dell’indennità compensativa per perdita di valore dovuta da tale consumatore al creditore al momento della restituzione del veicolo è calcolato deducendo dal prezzo di vendita praticato dal concessionario al momento dell’acquisto del veicolo da parte di detto consumatore, il prezzo di acquisto pagato dal concessionario al momento della restituzione di tale veicolo, purché tale metodo di calcolo includa elementi estrinseci all’uso di detto veicolo da parte del consumatore.
4) La direttiva 2008/48 deve essere interpretata nel senso che: essa non procede ad un’armonizzazione completa delle norme relative alle conseguenze dell’esercizio, da parte del consumatore, del suo diritto di recesso da un contratto di credito collegato a un contratto di acquisto di un veicolo.
5) L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a una normativa nazionale in forza della quale il consumatore, dopo il recesso da un contratto di credito ai consumatori collegato a un contratto di acquisto di un veicolo, è tenuto a pagare gli interessi debitori previsti da tale primo contratto per il periodo compreso tra il versamento dei fondi provenienti dal prestito al venditore del veicolo finanziato e la data della restituzione del veicolo al creditore o al venditore.
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte
Il caso di specie concerneva dei contratti di credito destinati all’acquisto di un’autovettura per uso privato: in nessuno dei contratti di credito era indicato, con quantificazione percentuale, il tasso di interesse di mora applicabile al momento della conclusione del contratto.
Successivamente, i ricorrenti avevano quindi dichiarato di esercitare il loro diritto di recesso in relazione ai contratti di credito, ritenendo che l’esercizio del loro diritto di recesso fosse valido, in quanto il periodo di recesso di 14 giorni previsto dal diritto tedesco non sarebbe iniziato a decorrere, a causa delle irregolarità relative alle indicazioni obbligatorie del loro contratto.
Chiedevano inoltre al giudice nazionale, in sintesi:
- il rimborso delle rate mensili del prestito versate fino al suo recesso e dell’acconto consegnato al concessionario
- il se ed il quantum dell’indennità da corrispondere per il deprezzamento del veicolo
Sulla decorrenza del periodo per l’esercizio del diritto di recesso
Il periodo di recesso di 14 giorni previsto dall’art. 14, par. 1, lett. b), Direttiva (UE) 2008/48 decorre solo dal momento in cui il consumatore riceve tutte le informazioni richieste dall’art. 10, incluse quelle sul tasso di interesse di mora e sulle relative modalità di modifica, elementi che la direttiva impone siano indicati in modo chiaro e concreto.
La Corte ricorda che tali informazioni, fornite prima o al momento della conclusione del contratto, sono essenziali perché consentono al consumatore di valutare consapevolmente la portata dei propri obblighi e di decidere se assumere l’impegno negoziale predisposto dal professionista.
Pertanto, se le informazioni sono incomplete o errate, il termine di recesso può comunque iniziare solo quando tali lacune non incidono sulla capacità del consumatore di comprendere i propri diritti, di valutare i rischi del contratto e di esercitare un recesso effettivo alle condizioni che sarebbero state garantite con un’informazione pienamente corretta.
Diversamente, quando l’informazione manca del tutto, come nel caso esaminato dalla Corte, il diritto di recesso non può iniziare a decorrere, poiché l’assenza di indicazione del tasso di mora sotto forma di percentuale concreta impedisce al consumatore di comprendere le conseguenze economiche di un eventuale ritardo nei pagamenti.
Richiamando la precedente sentenza Volkswagen Bank (C-33/20, C-155/20, C-187/20), la Corte ribadisce che la chiara indicazione del tasso di mora è indispensabile per consentire al consumatore una valutazione completa del proprio impegno finanziario, sicché, in assenza di tale dato, il termine di recesso resta sospeso fino alla corretta comunicazione dell’informazione mancante.
Sull’esercizio abusivo del diritto di recesso da parte del consumatore
La Corte chiarisce che la Direttiva 2008/48 non contiene norme specifiche sull’eventuale abuso del diritto da parte del consumatore, ma ricorda che nel diritto dell’Unione vige un principio generale secondo cui nessuno può avvalersi in modo abusivo o fraudolento delle disposizioni UE, come affermato anche nella sentenza BMW Bank (C-38/21, C-47/21, C-232/21).
Ne consegue che gli Stati membri devono negare l’applicazione di un vantaggio previsto dal diritto UE quando esso sia invocato non per realizzarne le finalità, ma per ottenere benefici fondati su una conformità meramente formale ai requisiti normativi.
La giurisprudenza richiede però un accertamento rigoroso, basato su un duplice profilo:
- circostanze oggettive che mostrino come l’obiettivo della disciplina non sia stato conseguito, nonostante l’apparente rispetto delle condizioni previste
- la volontà di procurarsi un vantaggio tramite la creazione artificiosa delle condizioni necessarie.
Tale valutazione compete al giudice nazionale, che deve considerare ogni elemento rilevante, anche successivo alla stipula del contratto.
La Corte precisa comunque che il creditore non può invocare un abuso nel caso in cui il consumatore eserciti tardivamente il diritto di recesso previsto dall’art. 14, par. 1, quando il contratto non riporti una delle informazioni obbligatorie dell’art. 10, par. 2, né essa sia stata comunicata successivamente, come ribadito nella sentenza Volkswagen Bank (C-33/20, C-155/20, C-187/20).
In tale situazione, infatti, il termine di recesso non ha ancora iniziato a decorrere, sicché il suo esercizio non può in alcun modo essere considerato abusivo.
Sul calcolo dell’indennità compensativa per la perdita di valore del bene restituito in conseguenza del recesso
La Corte chiarisce che la Direttiva (UE) 2008/48 non disciplina le conseguenze del recesso dal contratto di credito collegato sul contratto di fornitura di beni, poiché tale materia rientra nella competenza degli Stati membri, i quali devono tuttavia rispettare i principi di equivalenza ed effettività, evitando soluzioni che rendano in concreto impossibile o eccessivamente oneroso l’esercizio del diritto di recesso previsto dall’art. 14.
Nel caso esaminato, la normativa tedesca impone al consumatore un’indennità compensativa per il deprezzamento del bene, calcolata sottraendo al prezzo di vendita il prezzo di riacquisto praticato dal concessionario, metodo che incorpora elementi estranei all’uso del veicolo da parte del consumatore, come margini commerciali, costi di rivendita e IVA, e che può determinare un importo elevato anche in assenza di un utilizzo effettivo.
La Corte richiama la sentenza Messner (C-489/07), affermando che un indennizzo sproporzionato rispetto al prezzo del bene frustra la funzione del recesso, e ribadisce che la valutazione della proporzionalità deve basarsi su un’analisi concreta dello stato del veicolo e dell’eventuale deterioramento derivante dall’uso.
Un metodo fondato esclusivamente sulla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di rivendita, includendo costi unilateralmente determinati dal concessionario, non misura il reale deprezzamento imputabile al consumatore e pone un onere che discende unicamente dall’esercizio del recesso, rendendo tale diritto eccessivamente difficile o di fatto inutilizzabile.
Diritto di recesso e ambito di applicazione della Direttiva sui contratti di credito ai consumatori
La Corte ricorda che, in base all’art. 22, par. 1, della Direttiva (UE) 2008/48, interpretato alla luce dei considerando 9 e 10 di tale direttiva, nelle materie specificamente contemplate, gli Stati membri non sono autorizzati a mantenere né a introdurre disposizioni nazionali diverse da quelle previste dalla direttiva.
L’art. 2, par. 1, prevede che quest’ultima si applichi ai contratti di credito, tra cui vi rientrano, come risulta dall’art. 3, lett. n), “i contratti di credito collegati“.
Tuttavia, l’art. 14, par. 3, lett. b), della Direttiva 2008/48 si limita a prevedere che, se il consumatore esercita il diritto di recesso, deve rimborsare al creditore il capitale preso in prestito, nonché gli interessi dovuti su tale capitale, dalla data di prelievo del credito fino alla data di rimborso del capitale senza indugio e comunque non oltre 30 giorni all’invio della notifica del recesso al creditore.
Inoltra, la Direttiva non contiene disposizioni che disciplinino le conseguenze dell’esercizio da parte del consumatore del diritto di recesso nei confronti di un contratto di credito collegato sul contratto di fornitura di beni.
In mancanza di una disciplina specifica UE in materia, le modalità di attuazione della tutela dei consumatori previste dalla Direttiva 2008/48 rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, che non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività).
Il legislatore UE ha inteso garantire che l’esercizio del diritto di recesso sia effettivo: spetta quindi agli Stati membri, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, precisare gli effetti dell’esercizio del diritto di recesso nell’ambito di un contratto di credito collegato a un contratto di fornitura di merci, anche per quanto riguarda, se del caso, l’obbligo di pagare gli interessi cumulati sul capitale preso in prestito, nonché le modalità di tale obbligo.
Sul pagamento degli interessi debitori relativi al contratto di credito correlato, post recesso
Dall’art. 14, par. 3, lettera b), della Direttiva sui contratti di credito ai consumatori, risulta che, se il consumatore esercita il diritto di recesso, è tenuto a rimborsare il capitale nonché gli interessi debitori al tasso convenuto, per il periodo compreso tra la messa a disposizione dei fondi e il loro rimborso integrale.
Anche se l’art. 14 non procede a un’armonizzazione completa delle norme relative alle conseguenze dell’esercizio, da parte del consumatore, del suo diritto di recesso da un contratto di credito collegato a un contratto di fornitura di merci, come l’acquisto di un veicolo, come risulta dal considerando 8 della Direttiva, tale disposizione mira a garantire un equilibrio tra la tutela dei consumatori e la libera circolazione delle offerte di credito: pertanto, per la Corte, il diritto UE non osta a che una normativa nazionale preveda che i consumatori, quando recedono nell’ambito di un contratto di credito collegato a un contratto di acquisto di un veicolo, siano tenuti a versare gli interessi debitori per il periodo compreso tra la messa a disposizione effettiva dei fondi e la restituzione del bene.
Tale valutazione è corroborata:
- dal fatto che il creditore si è spossessato temporaneamente dell’importo del credito versato al venditore del veicolo a favore del consumatore, il che rappresenta per lui un’immobilizzazione di fondi e un’assunzione di rischio finanziario
- gli interessi maturati sul capitale preso in prestito non rappresentano una penalità, bensì la contropartita dell’accesso al credito, il quale costituisce, in linea di principio, un’operazione a pagamento, indipendentemente dall’esercizio del diritto di recesso
- l’obbligo eventualmente imposto al consumatore di corrispondere gli interessi debitori calcolati tenendo conto della durata effettiva di messa a disposizione dei fondi consente di mantenere l’equilibrio contrattuale: impedisce che una parte, esercitando il proprio diritto di recesso, realizzi un profitto indebito a danno dell’altra e garantisce un’equa ripartizione degli oneri e dei benefici derivanti dall’esecuzione, ancorché parziale e temporanea, del contratto di credito.
