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Dalla transazione fiscale al trattamento dei crediti tributari e contributivi: analisi dei principali chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria sul nuovo art. 182-ter della Legge Fallimentare

21 Settembre 2018

Silvia Barba, Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

Con circolare del 23 luglio 2018, n. 16/E (“Circolare”), l’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti sulle modifiche che hanno interessato la disciplina nazionale del trattamento dei crediti tributari e contributivi, contenuta nel novellato art. 182-ter del regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267 (“Legge Fallimentare”).

Mediante l’art. 1, comma 81 della Legge dell’11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di bilancio per il 2017), il nostro Legislatore ha, infatti, riscritto l’art. 182-ter della Legge Fallimentare, con il fine precipuo di adeguarne il contenuto ai più recenti orientamenti della giurisprudenza sia unionale che nazionale, nonché di agevolarne sempre più la fruizione da parte dei debitori per addivenire a soluzioni concordate della crisi, in grado di preservare i complessi produttivi e salvaguardare i livelli occupazionali.

Dopo un breve cenno ai principali arresti cui è recentemente pervenuta la giurisprudenza in materia, si propone una breve rassegna delle più rilevanti modifiche apportate al nuovo art. 182-ter della Legge Fallimentare rispetto alla previgente disciplina della transazione fiscale, dapprima con riferimento al concordato preventivo e successivamente alle altre procedure di risoluzione della crisi.

2. I principi della giurisprudenza unionale e italiana che hanno portato alla revisione dell’art. 182-ter della Legge Fallimentare

Uno dei principali arresti della giurisprudenza unionale che ha portato alla necessità di rivedere l’ambito di applicazione dell’art. 182-ter della Legge Fallimentare è sicuramente rappresentato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea datata 7 aprile 2016, relativa alla causa C-546/14 – Degano Trasporti (“Sentenza Degano”).

Nella pronuncia in oggetto, dopo aver ribadito l’obbligo che l’ordinamento unionale pone in capo agli Stati membri circa la necessità che gli stessi adottino tutte le misure idonee per assicurare l’integrale riscossione dell’IVA, la Corte precisa altresì che detti Stati membri sono lasciati liberi di scegliere i mezzi mediante i quali assicurare l’effettività della riscossione[1].

Come ricordato dall’Avvocato Generale nelle conclusioni presentate il 14 gennaio 2016 con riferimento alla causa C-546/16, la discrezionalità di cui godono gli Stati membri nella determinazione delle misure legislative e amministrative per garantire l’effettiva riscossione dell’IVA è limitata esclusivamente«dall’obbligo, in primo luogo, di garantire l’effettiva riscossione delle risorse proprie dell’Unione e, in secondo luogo, di non creare disparità di trattamento sostanziali tra i soggetti passivi, all’interno di uno Stato membro o fra gli Stati membri (principio di neutralità fiscale)»[2].

Tuttavia, già in una precedente pronuncia la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva stabilito che «una disposizione eccezionale che, per il suo carattere puntuale e limitato, dovuto ai presupposti della sua applicazione, non creava significative differenze nel modo in cui [erano] trattati i soggetti d’imposta nel loro insieme e, pertanto, non pregiudicava il principio di neutralità fiscale» non costituisse una rinuncia generale alla riscossione dell’IVA[3].

Anche nella Sentenza Degano, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è dell’opinione che la falcidia del credito IVA nell’ambito della procedura di concordato preventivo disegnata dal Legislatore italiano non costituisca una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione di risorse proprie dell’Unione Europea[4].

Detta procedura risulta, infatti, soggetta a presupposti di applicazione rigorosi, in grado di garantire la massima soddisfazione possibile del credito tributario, quali (i) la necessità che un professionista terzo e indipendente attesti l’impossibilità di soddisfare interamente il credito mediante la liquidazione dell’intero patrimonio del debitore; (ii) la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di votare contro la proposta del debitore, qualora non concordi con le previsioni dell’attestatore; (iii) la possibilità per la medesima Amministrazione di proporre opposizione contro il piano concordatario e sollecitare su di esso il controllo da parte del giudice[5].

Nonostante i principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la giurisprudenza nazionale di legittimità ha, tuttavia, continuato a sostenere l’intangibilità del credito IVA per due principali ordini di motivi.

Da un lato, la Corte di Cassazione ribadiva che, a prescindere dagli orientamenti unionali, la falcidia continuasse ad essere contraria all’espressa previsione di esclusiva dilazionabilità del credito IVA contenuta nell’art. 182-ter della Legge Fallimentare. La Suprema Corte, con sentenza del 22 settembre 2016, n. 18561, aveva, infatti, stabilito che «per i concordati preventivi in seno ai quali il proponente abbia inteso innestare una proposta di transazione di tutti i crediti fiscali, il proponente, anche a ritenere il credito IVA integralmente degradato al chirografo per mancanza assoluta di beni su cui soddisfarsi, non potrebbe comunque offrirne il pagamento in misura falcidiata, ostandovi all’attualità il disposto del vigente L. Fall., art. 182 ter, comma 1, che ne consente la sola dilazione, con una previsione che ha superato il vaglio di costituzionalità, venendo a costituire “il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo”».

Dall’altro, la medesima Corte evidenziava l’impossibilità di estendere i principi espressi dalla giurisprudenza unionale sulla falcidiabilità del credito IVA nei concordati preventivi con transazione fiscale a quelli che, invece, ne erano privi. Come si legge nella sentenza della Corte di Cassazione del 27 dicembre 2016, n. 26988, «la regola dell’infalcidiabilità del credito IVA è inclusa nella disciplina speciale del concordato preventivo con transazione fiscale. E non si può pretendere di estenderla ai casi regolati dalla disciplina generale del concordato preventivo senza transazione. […] Si deve pertanto concludere con l’enunciazione del seguente principio di diritto: “la previsione dell’infalcidiabilità del credito IVA di cui all’art. 182 ter L. Fall. trova applicazione solo nell’ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale”»[6].

Analogo principio è stato, poi, affermato dalla Suprema Corte con riferimento alla infalcidiabilità del credito per ritenute operate ma non versate in presenza di domande concordatarie non accompagnate da transazione fiscale[7].

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è successivamente stata interpellata dai giudici nazionali sulla conformità alla disciplina comune dell’IVA della procedura di esdebitazione di cui all’art. 142 della Legge Fallimentare in presenza di crediti IVA non integralmente soddisfatti alla disciplina IVA.

Riproponendo la logica adottata con riferimento alla falcidiabilità del credito IVA nel contesto del concordato preventivo con transazione fiscale, nella sentenza del 16 marzo 2017 relativa alla causa C-493/15 – Identi (“Sentenza Identi”), la Corte ha evidenziato come la procedura italiana di esdebitazione sia soggetta «a condizioni di applicazione rigorose che offrono garanzie per quanto riguarda segnatamente la riscossione dei crediti IVA e che, tenuto conto di tali condizioni, essa non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA e non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione»[8].

Avuto riguardo alla rigorosità della procedura, è stato, infatti, osservato come quest’ultima (i) presupponga l’integrale liquidazione del patrimonio del debitore; (ii) richieda, in ogni caso, una soddisfazione almeno parziale dei creditori concorsuali; (iii) sia attivabile soltanto da quei debitori che non abbiano ritardato l’emersione della crisi e abbiano assunto un comportamento collaborativo con gli organi della procedura; (iv) si caratterizzi per un pervasivo controllo da parte del giudice; e (v) legittimi l’Amministrazione finanziaria, in qualità di creditore, a proporre ricorso avverso la decisione del giudice che dichiara l’esdebitazione, liberando per la parte non soddisfatta del credito IVA[9].

Un ultimo profilo di rilievo emerso dalla giurisprudenza di legittimità nazionale e richiamato dalla Circolare è, infine, rappresentato dalla configurabilità del reato di omesso versamento dell’IVA nel contesto della procedura di concordato preventivo.

Sul punto, con sentenza del 17 novembre 2017, n. 52542, la Corte di Cassazione penale ha confermato che il reato di omesso versamento non sussiste nell’ipotesi in cui l’incapienza del versamento si sia verificata dopo l’ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo. Nella sentenza citata si legge, infatti, che l’insussistenza del reato sarebbe sostenibile «sia sul piano dell’assenza dell’elemento soggettivo che anima la condotta; sia sul piano dell’insussistenza dell’elemento materiale costituito dal venire meno dell’obbligo di versamento al di fuori della procedura concorsuale; sia sul piano della possibile applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., sotto il profilo dell’adempimento, da parte del debitore concordatario, del dovere di non effettuare pagamenti relativi a crediti sorti anteriormente alla procedura». Invero, nel caso di specie, il debitore avrebbe «omesso il versamento dell’IVA in adempimento di un dovere a lui imposto da un ordine legittimo dell’autorità, rispetto al quale egli non aveva alcun margine di discrezionalità e che derivava da norme poste a tutela di interessi aventi (anche) rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario».

3. Il ruolo e gli effetti della nuova procedura nel concordato preventivo

Un primo aspetto innovativo è sicuramente rappresentato dalla imprescindibilità dell’esperimento della procedura di transazione fiscale da parte dei debitori in crisi che intendano richiedere, nel contesto di concordati preventivi o di accordi di ristrutturazione, la falcidia o la dilazione dei propri debiti tributari.

Detta imprescindibilità emerge, fin da subito, dalla modifica della rubrica dell’art. 182-ter della Legge Fallimentare: si è, infatti, passati dalla “transazione fiscale”, locuzione che in qualche modo rimanda alla possibilità (e non all’obbligo) del debitore di giungere ad un accordo con l’Amministrazione finanziaria, al “trattamento dei crediti tributari”, che, al contrario, appare già definito, obbligatorio, senza che il debitore possa “scegliere” se esperire o meno tale procedura.

A conferma del nuovo ruolo della procedura, il novellato comma 1 dell’art. 182-ter della Legge Fallimentare precisa, inoltre, che il debitore può proporre il pagamento parziale o dilazionato dei propri debiti tributari «esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi del presente articolo».

Si ricorda che, prima della riforma dell’art. 182-ter della Legge Fallimentare, la transazione fiscale si configurava quale procedura speciale rispetto alla generale procedura di concordato preventivo. Invero, al debitore in crisi era consentito procedere alla presentazione di una domanda di concordato preventivo accompagnata o meno da transazione fiscale. L’unica conseguenza derivante dalla mancata contestuale attivazione della procedura di transazione fiscale era rappresentata dalla impossibilità di conseguire gli effetti del consolidamento dei debiti tributari e della cessazione delle liti fiscali pendenti con riferimento ai tributi oggetto di concordato[10], caratterizzanti la (vecchia) procedura di transazione fiscale.

Circa gli effetti della transazione fiscale, pare opportuno rilevare fin da subito che di essi non si rinviene più traccia all’interno del nuovo art. 182-ter della Legge Fallimentare.

In particolare, la certificazione del debito tributario da parte dell’Amministrazione finanziaria rimane necessaria al solo fine di determinare il voto spettante a quest’ultima in sede di adunanza dei creditori, nonché di quantificare la somma da soddisfare a seguito dell’omologazione del concordato preventivo. Ai fini della quantificazione del debito fiscale complessivo, l’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, precisato nella Circolare che saranno portate in compensazione le somme chieste a rimborso dal debitore in crisi negli anni precedenti la domanda di concordato, nonché i crediti che quest’ultimo ha esposto nella propria dichiarazione.

Se da un lato, dunque, l’Amministrazione finanziaria potrà procedere con l’emissione di ulteriori atti di accertamento, dall’altro il contribuente potrà iniziare o proseguire i giudizi volti alla definizione della pretesa relativa ai tributi oggetto di proposta concordataria. Come evidenziato nella Circolare, con il novellato art. 182-ter della Legge Fallimentare si assiste, dunque, ad un ritorno all’operatività della generale regola della prosecuzione dei giudizi pendenti, contenuta nell’art. 176 della Legge Fallimentare.

4. L’ampliamento dell’ambito oggettivo di applicazione della norma

Di fondamentale importanza è, poi, l’ampliamento dell’ambito oggettivo di applicazione del riformato art. 182-ter della Legge Fallimentare. Con la nuova disciplina possono, infatti, essere oggetto di falcidia tutti i crediti tributari e contributivi, amministrati, rispettivamente, dalle agenzie fiscali e dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

Mentre continuano a rimanere esclusi i crediti relativi a tributi propri degli enti regionali o locali, con la nuova formulazione della norma vengono ad essere ricompresi fra i tributi falcidiabili i crediti relativi all’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) e alle ritenute operate e non versate, che prima potevano soltanto essere oggetto di dilazione[11]. Ciò, tuttavia, a condizione che dall’attestazione del professionista terzo e indipendente circa la fattibilità del piano risulti anche la maggiore soddisfazione dell’Amministrazione finanziaria rispetto all’alternativa fallimentare[12].

Si noti che la maggiore convenienza del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti tributari e contributivi rispetto alla liquidazione fallimentare si pone quale condizione necessaria, ma non sufficiente, all’accettazione della falcidia dei debiti da parte dell’Amministrazione finanziaria. Quest’ultima, infatti, come precisato dalla Circolare, non è vincolata ad esprimere un voto favorevole alla proposta del debitore in virtù della sola attestazione del professionista, ma conserverà il proprio potere di votare negativamente, al pari degli altri creditori.

Ad ulteriore garanzia dei creditori, è stato previsto che il trattamento (in termini di percentuale di soddisfazione, tempi di pagamento e garanzie offerte dal debitore) dei crediti tributari o contributivi privilegiati non possa essere inferiore o meno vantaggioso rispetto a quello proposto ai creditori con grado di privilegio inferiore o con posizione giuridica e interessi economici omogenei.

Nell’ipotesi in cui detti crediti privilegiati siano oggetto di falcidia, la parte di credito falcidiata e degradata a credito di natura chirografaria dovrà essere inserita in una apposita classe. Inoltre, anche il trattamento riservato ai crediti tributari o contributivi di natura chirografaria non potrà essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori non privilegiati o, se i creditori sono suddivisi in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.

5. Le novità negli aspetti procedurali

Avuto riguardo agli aspetti procedurali, importanti modifiche hanno interessato la legittimazione all’esercizio del diritto di voto nel novellato art. 182-ter della Legge Fallimentare.

Nella disciplina previgente erano l’iscrizione a ruolo e l’affidamento all’agente della riscossione a determinare la legittimazione dell’Agenzia delle Entrate o dell’agente della riscossione all’espressione del voto.

In un’ottica di semplificazione, il Legislatore ha stabilito una legittimazione quasi esclusiva dell’Agenzia delle Entrate, alla quale sono sottratti soltanto gli oneri di riscossione, per i quali il diritto di voto rimane riservato ad Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Con riferimento, poi, alle modalità di espressione del diritto di voto, non si riscontra alcuna novità. Invero, si ricorda che il meccanismo del silenzio-assenso introdotto al quarto comma dell’art. 178 della Legge Fallimentare dal decreto-legge del 22 giugno 2012, n. 83 era già stato espunto dal medesimo articolo ad opera del decreto-legge del 27 giugno 2015, n. 83.

Tale meccanismo non risulta ad oggi abrogato e continua, pertanto, a operare esclusivamente nell’ambito delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, disciplinate dalla legge del 27 gennaio 2012, n. 3.

6. Il trattamento dei crediti tributari e contributivi nell’ambito delle altre procedure di risoluzione della crisi

Le novità che hanno interessato il trattamento dei crediti tributari e contributivi trovano altresì applicazione con riferimento agli accordi di ristrutturazione del debito di cui all’art. 182-bis della Legge Fallimentare.

Tuttavia, sul punto l’Amministrazione finanziaria nella propria recente Circolare non ha mancato di porre in luce la maggiore onerosità della valutazione comparativa che il professionista è chiamato ad effettuare nell’ambito di questi accordi rispetto a quella richiesta in sede di concordato preventivo.

Mentre nel concordato preventivo la soddisfazione dell’Amministrazione finanziaria va comparata con quella ritraibile nell’ipotesi liquidatoria, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione il professionista deve prendere in considerazione (tutte) le alternative concretamente praticabili. Egli dovrà, dunque, considerare quali alternative all’accordo di ristrutturazione del debito non solo la liquidazione fallimentare, ma anche il concordato preventivo, la liquidazione ordinaria ed, infine, le azioni esecutive individuali. Saranno, inoltre, considerate concretamente praticabili quelle alternative che risultino non solo astrattamente perseguibili, ma effettivamente realizzabili in considerazione della peculiare situazione del singolo debitore in crisi.

Si rileva, infine, che non possono ancora beneficiare del nuovo trattamento dei crediti tributari e contributivi i debitori che hanno accesso alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla legge del 27 gennaio 2012, n. 3. In particolare, nel contesto di tali procedure non è stata recepita dal Legislatore la possibilità di procedere alla falcidia né del credito IVA, né delle ritenute operate ma non versate, con la conseguenza che il debitore sovraindebitato potrà optare esclusivamente per la relativa dilazione.

7. L’efficacia temporale del nuovo art. 182-ter della Legge Fallimentare

La Legge di bilancio per i 2017 nulla ha disposto con riferimento alla decorrenza delle disposizioni contenute nel nuovo art. 182-ter della Legge Fallimentare.

Secondo i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate nella recente Circolare, le modifiche devono ritenersi operanti per tutti i procedimenti avviati a decorrere dal 1° gennaio 2017, oltre che ai procedimenti la cui proposta non sia ancora stata votata o sottoscritta alla medesima data.

8. Conclusioni

Alla luce della precedente analisi, sembra possibile concludere che il nostro Legislatore abbia preso coscienza dei limiti della transazione fiscale così come delineata nella previgente versione dell’art. 182-ter della Legge Fallimentare, e vi abbia soddisfacentemente posto rimedio.

Tuttavia, per poter esprimere un giudizio più compiuto occorrerebbe verificare nel concreto l’impatto delle modifiche sulla propensione dei debitori a formulare, nell’ambito delle varie procedure di risoluzione della crisi, specifiche proposte in merito al trattamento dei crediti tributari e contributivi.

Sarà, infine, interessante osservare se, e in quale misura, detto trattamento verrà ulteriormente revisionato nell’ambito della nuova riforma del diritto fallimentare.

In proposito, sulla base degli schemi di decreto attuativi della Legge 19 ottobre 2017, n. 155 per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza ad oggi in circolazione, è possibile osservare come il contenuto del novellato art. 182-ter della Legge Fallimentare sia stato sostanzialmente trasposto nell’art. 94 della bozza del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, che in rubrica richiama (di nuovo) alla “transazione fiscale”.

L’unica novità di carattere fiscale presente nella riforma in oggetto sembrerebbe, dunque, rappresentata, dal coinvolgimento attivo dell’Amministrazione finanziaria, quale creditore pubblico qualificato, nelle cosiddette procedure di allerta e di composizione della crisi, volte a favorire la tempestiva emersione della crisi e l’efficace svolgimento delle trattative fra debitore e creditori.

Secondo l’art. 18 della bozza del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, verrebbe ad essere posto in capo all’Agenzia delle Entrate l’obbligo di segnalare agli organi di controllo della società debitrice e agli organismi di composizione della crisi il perdurare di inadempimenti di importo rilevante, salvo che il debitore non dimostri di essersi attivato per la risoluzione della crisi o abbia estinto il proprio debito. In caso di omessa segnalazione, l’Agenzia incorrerebbe, inoltre, nella perdita della propria posizione di vantaggio rispetto agli altri creditori, determinata dalla inefficacia dei titoli di prelazione da essa vantati sui propri crediti.

Nel nuovo assetto normativo, dunque, l’Amministrazione finanziaria non dovrebbe più limitarsi ad attendere la proposta del debitore in merito al trattamento dei crediti tributari e contributivi, in una fase già conclamata della crisi. Al contrario, essa sarebbe chiamata a collaborare proattivamente con il debitore, mediante una continua attività di monitoraggio dell’esposizione debitoria, al fine di “informarlo” non appena riscontri l’esistenza di uno stato di crisi.

 


[1] Cfr. Sentenza Degano, punto 20).

[2] Cfr. conclusioni dell’Avvocato Generale presentate il 14 gennaio 2016 con riferimento alla causa C-546/16 – Degano, punti 1), 28) e 29).

[3] Cfr. sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea datata 29 marzo 2012, causa C-500/10 – Belvedere Costruzioni, punti 26) e 27).

[4] Cfr. Sentenza Degano, punto 28).

[5] Cfr. Sentenza Degano, punti 24)-27).

[6] Nello stesso senso, si veda anche la sentenza della Corte di Cassazione del 13 gennaio 2017, n. 760.

[7] Cfr. sentenza della Corte di Cassazione del 19 gennaio 2017, n. 1337.

[8] Cfr. Sentenza Identi, punto 24).

[9] Cfr. Sentenza Identi, punti 21)-23).

[10] Previsti, rispettivamente, dal secondo e dal quinto comma dell’art. 182-ter della Legge Fallimentare ante riforma.

[11] Si rimanda al precedente paragrafo 2 per una più puntuale analisi della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha portato alla modifica dell’ambito di appicazione oggettivo dell’art. 182-ter della Legge Fallimentare.

[12] La Circolare precisa che la valutazione comparativa fra la soddisfazione ritraibile dall’Amministrazione finanziaria in sede concordataria rispetto a quella ottenibile a seguito di liquidazione può essere effettuata dallo stesso professionista che redige la relazione giurata di cui all’art. 160 della Legge Fallimentare, mediante la redazione di un unico documento, ovvero da altro professionista in possesso dei requisiti previsti dall’art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare.

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