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Approfondimenti

Continuità delle trascrizioni e procedura esecutiva immobiliare: aspetti critici e strumenti operativi

14 Marzo 2017

Mirko La Cara, Associate, La Scala Studio Legale

1. Premessa

Lo scopo del presente approfondimento è quello di mettere in evidenza la rilevanza del principio della continuità delle trascrizioni ex art. 2650 c.c. nell’ambito delle procedure esecutive immobiliari, soffermandosi in particolare sugli strumenti messi a disposizione dal nostro ordinamento per sanare la mancata continuità delle trascrizioni.

La norma di cui all’art. 2650 c.c. è chiara nello stabilire che ogni trascrizione contro un soggetto, per poter essere efficace, deve essere preceduta da una trascrizione in suo favore avente ad oggetto il medesimo diritto.

In tema di espropriazione immobiliare, la richiamata disciplina assume rilievo in quanto la trascrizione del decreto di trasferimento, per poter essere considerata produttiva di effetti in favore dell’aggiudicatario, presuppone che la vendita forzata in danno del debitore sia preceduta, per il principio della continuità delle trascrizioni, dall’esistenza di un valido titolo di acquisto trascritto in favore dello stesso esecutato.

Come chiarito dalla Suprema Corte nella nota sentenza n. 11638/2014, nelle esecuzioni immobiliari spetta al Giudice dell’esecuzione verificare d’ufficio la titolarità, in capo al debitore esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile, mediante l’esame della documentazione depositata dal creditore procedente, ovvero integrata per ordine dello stesso Giudice ai sensi dell’art. 567 c.p.c. dalla quale deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in suo favore.

Chiaramente, tale verifica verrà eseguita sul ventennio anteriore alla data di trascrizione dell’atto di pignoramento.

La problematica in esame, dunque, sorge nel momento in cui manca la trascrizione dell’atto di acquisto in favore del soggetto esecutato antecedente alla trascrizione dell’atto di pignoramento.

In questa sede, in particolare, verranno sottoposte all’attenzione soltanto le ipotesi in cui non sia stato trascritto l’atto di acquisto mortis causa in favore dell’esecutato.

2. Decesso dell’esecutato in pendenza di procedura esecutiva immobiliare

Preliminarmente, appare opportuno rilevare come alcun rilievo assuma il decesso del debitore esecutato in pendenza di procedura esecutiva immobiliare, una volta che il creditore abbia provveduto a trascrivere l’atto di pignoramento.

Dal punto di vista processuale, incardinata la procedura, non vi è alcun dubbio che alla morte dell’esecutato non segua la definizione anticipata ed anomala della procedura esecutiva. Come specificato dalla giurisprudenza, infatti, l’istituto dell’interruzione non può trovare applicazione nel processo esecutivo posto che “in esso non si svolge un accertamento che richieda la costante attuazione di un formale contraddittorio” (Cass. n. 5721/1194).

Dal punto di vista del diritto sostanziale, al contempo, trova applicazione la norma di cui all’art. 2913 c.c. in forza della quale “non hanno effetto in pregiudizio al creditore pignorante e ai creditori intervenuti gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento”.

La disposizione in commento, come precisato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, deve essere interpretata estensivamente nel senso che non solo gli atti di alienazione ma tutte le modifiche nella titolarità del bene pignorato sono inefficaci/inopponibili per i creditori procedenti e/o intervenuti, una volta trascritto l’atto di pignoramento (ex pluribus, Cass. 12080, 10.11.1992).

Inoltre, il disposto di cui all’art. 2919 c.c. tutela altresì l’aggiudicatario prevedendo che nei confronti di questi debbano considerarsi inefficaci/inopponibili gli stessi atti già considerati tali per i creditori procedenti/intervenuti.

In tal caso, dunque, l’eventuale decreto di trasferimento emesso dal Giudice dell’esecuzione trasferirà la titolarità del bene pignorato dal de cuius all’aggiudicatario e potrà essere trascritto contro lo stesso de cuius nel pieno rispetto della continuità delle trascrizioni.

3. Trascrizione degli atti di acquisto mortis causa: accettazione espressa o tacita dell’eredità

Tornando al tema principale della trascrizione degli atti di acquisto mortis causa, norma di riferimento è l’art. 2648 c.c. che prevede l’obbligo di “trascrivere l’accettazione dell’eredità che importi acquisto dei diritti enunciati nei numeri 1, 2 e 4 dell’articolo 2643.

La stessa disposizione, al secondo comma, precisa che la trascrizione dell’accettazione dell’eredità possa eseguirsi in forza di atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata contenenti la dichiarazione di accettazione (accettazione in forma espressa).

Inoltre, se il chiamato ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità ex art. 476 c.c., la trascrizione può essere richiesta in forza di tale atto purché esso risulti da sentenza, atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.

Nella prassi, sono numerosi i casi in cui il debitore nei cui confronti sarebbe stata incardinata la procedura esecutiva immobiliare decede – e non vi è da parte dei chiamati all’eredità alcun atto formale di accettazione dell’eredità – ovvero viene sottoposto a pignoramento un bene immobile di provenienza ereditaria per cui l’erede/debitore non risulti ancora aver trascritto l’atto di accettazione dell’eredità.

Nel primo caso, chiaramente, risulterà necessario dapprima individuare i chiamati all’eredità e, successivamente, promuovere nei confronti degli stessi le azioni previste dal nostro ordinamento – che di seguito verranno meglio esaminate – volte a far accertare o meno la qualità di erede del de cuius.

Una volta accertata la qualità di erede, sarà poi possibile procedere con la relativa trascrizione dell’accettazione d’eredità ed agire esecutivamente nei confronti dello stesso.

Nel secondo caso, invece, la questione appare maggiormente problematica posto che gli stessi giudici dell’esecuzione, nei vari uffici giudiziari, sono pervenuti a diverse conclusioni sino alla sentenza chiarificatrice n. 11638/2014 emessa dalla Corte di Cassazione.

4. Mancanza della trascrizione dell’accettazione tacita dell’eredità: gli orientamenti giurisprudenziali

In particolare, quando il bene oggetto di pignoramento si assume essere stato acquistato dall’esecutato per successione mortis causa a titolo universale, testamentaria o legittima, e dalla certificazione notarile o documentazione ipocatastale ex art. 567 c.p.c., depositata a corredo dell’istanza di vendita, non è emersa una valida accettazione espressa o tacita dell’eredità, i Tribunali in alcuni casi hanno dichiarato l’estinzione della procedura esecutiva, in altri hanno richiesto al creditore procedente di eseguire la trascrizione prima di ordinare la vendita mentre in altri casi ancora hanno consentito di sanare il difetto di trascrizione regolarizzando la continuità anche dopo l’istanza di vendita purché prima dell’emissione del decreto di trasferimento.

A titolo esemplificativo, i G.E. del Tribunale di Roma, nel caso di accettazione espressa o tacita risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata o da sentenza non trascritte, richiedevano la trascrizione ai sensi dell’art. 2648 c.c., formalità eseguibile anche dopo la trascrizione pignoramento posto che la stessa veniva richiesta esclusivamente ai fini della continuità delle trascrizioni che per legge può essere sanata ex post. Per il medesimo Tribunale, in assenza di atti di accettazione espressa o tacita dell’eredità, il creditore doveva prima procurarsi il titolo da trascrivere a favore del debitore esperendo l’actio interrogatoria ex art. 481 c.c. ovvero l’azione volta ad accertare l’accettazione dell’eredità e solo dopo avrebbe potuto agire esecutivamente contro l’erede. Per tale motivo, le procedure esecutive incardinate nei confronti dell’erede in assenza di trascrizione di un atto di acquisto in suo favore venivano dichiarate improcedibili.

Sulla stessa scia si poneva il Tribunale di Napoli secondo cui la procedura esecutiva andava dichiarata estinta in assenza di un’accettazione espressa o tacita dell’eredità o comunque in mancanza di un atto o di una sentenza dalla quale risultasse accertato l’acquisto della qualità di erede (tra le altre, Trib. Napoli ord. 08.03.2012).

I Giudici dell’esecuzione di altri fori, tra i quali il Tribunale di Milano, ponendo in rilievo le caratteristiche della procedura esecutiva, volta alla realizzazione del credito ed alla tutela immediata del creditore, hanno riconosciuto allo stesso la possibilità di regolarizzare la continuità delle trascrizioni, ove possibile, anche dopo l’ordinanza di vendita.

5. La sentenza n. 11638/2014 della Corte di Cassazione

A dirimere la questione sorta nella giurisprudenza di merito, tuttavia, è intervenuta la Suprema Corte con la citata sentenza n. 11638/2014 con la quale è stato espressamente affermato che la trascrizione dell’atto di acquisto mortis causa non è un presupposto processuale che deve esistere nel momento di avvio dell’azione esecutiva, potendo anche sopravvenire, purché prima della vendita coattiva.

A fondamento della predetta decisione, la Corte ha osservato che la funzione principale che assolve la trascrizione dell’acquisto mortis causa in capo all’esecutato nell’espropriazione immobiliare è quella di tutelare l’acquisto dell’aggiudicatario, garantendone la stabilità in caso di conflitto con gli aventi causa dall’erede apparente o dall’erede vero. Per tale motivo, in mancanza di trascrizione, la vendita, a processo esecutivo concluso, deve ritenersi valida ed efficace ma assoggettabile ad evizione, con gli effetti di cui all’art. 2921 c.c. e fatta sempre salva la possibilità di ripristinare la continuità delle trascrizioni con effetto retroattivo ai sensi dell’art. 2650, II comma, c.c. senza alcun limite temporale.

Nell’ambito della procedura esecutiva, quindi, qualora il Giudice dell’esecuzione dovesse constatare la mancata prova dell’appartenenza del bene al debitore esecutato, dovrà fissare l’udienza ex art. 485 c.p.c. nell’ambito della quale evidenzia ai creditori il richiamato difetto di prova. All’esito della stessa, il G.E. concederà un congruo termine affinché il creditore procedente, in sostituzione di coloro che sono tenuti per legge, proceda alla trascrizione dell’acquisto mortis causa ed alla regolarizzazione della continuità delle trascrizioni.

A questo punto si prospettano due diverse ipotesi.

Qualora infatti sia sottoposto a pignoramento un diritto reale su un bene immobile di provenienza ereditaria e l’accettazione dell’eredità non sia stata trascritta a cura dell’erede/debitore esecutato, il creditore procedente, se il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione dell’eredità, può richiedere, a sua cura e spese, la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata od accertata giudizialmente, anche dopo la trascrizione del pignoramento, ripristinando così la continuità delle trascrizioni, purché prima dell’autorizzazione alla vendita ex art. 569 c.p.c..

Se, invece, il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità ma questo non sia trascrivibile, perché non risulta da sentenza, atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ovvero se si assume che l’acquisto della qualità di erede discenda dai fatti di cui all’art. 485 c.c. (chiamato all’eredità nel possesso dei beni che non abbia compiuto l’inventario nel termine di 3 mesi dall’apertura della successione) o 527 c.c. (chiamato all’eredità che ha sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa), non risultando questo acquisto dai pubblici registri, la vendita coattiva del bene pignorato ai danni del chiamato presuppone che la qualità di erede del debitore esecutato sia accertata giudizialmente con sentenza.

Risulta necessario, pertanto, soffermarsi sugli strumenti messi a disposizione dal legislatore volti a far accertare la qualità di erede in capo al chiamato/esecutato onde procedere con la trascrizione del relativo atto di acquisto mortis causa, per gli effetti di cui all’art. 2650 c.c..

6. Strumenti operativi previsti dal legislatore

Giudizio di accertamento della qualità di erede

In primo luogo, l’accettazione, eventualmente anche tacita, dell’eredità può essere provata attraverso il vittorioso esperimento di un’azione di accertamento – in sede contenziosa – della qualità di eredecon conseguente pronuncia di una sentenza che, passata in giudicato, sarà validamente trascritta.

In tal caso, il creditore potrebbe incardinare un procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. ovvero un giudizio ordinario di merito ponendo a fondamento della propria domanda taluni elementi probatori idonei a far ritenere che il chiamato all’eredità abbia compiuto determinati atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare l’eredità.

Sotto questo profilo, viene in rilievo la questione inerente la valenza probatoria della denuncia di successione mortis causa ritualmente trascritta. La consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione si è espressa nel senso che, avendo tale atto rilevanza ai soli fini fiscali, esso risulta di per sé inidoneo a comprovare la qualità di eredi dei semplici chiamati all’eredità (tra le altre, Cass. n. 10796/2009).

Peraltro, è lo stesso Testo Unico delle imposte ipotecarie e catastali a prevedere espressamente che la trascrizione del certificato di denunciata successione è richiesta ai soli effetti previsti dalla citata normativa e non costituisce valida trascrizione degli acquisti mortis causa degli immobili e dei diritti reali immobiliari compresi nella successione.

Si evidenzia, inoltre, che anche il pagamento delle imposte di successionenon può ritenersi, per costante giurisprudenza, idoneo a configurare un atto di accettazione tacita, rientrando tra gli atti di natura conservativa e di amministrazione temporanea che il chiamato all’eredità può compiere in base all’art. 460 c.c..

Al contrario, l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale.

Ed infatti la Suprema Corte, come anche la recente giurisprudenza di merito, ha espressamente affermato che la voltura catastale rileva non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento dell’imposta, ma anche dal punto di vista civilistico per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi. E’ stato evidenziato, invero, che soltanto chi intenda accettare l’eredità assume l’onere di effettuare la voltura catastale e di attuare il passaggio della proprietà dal de cuius a se stesso (Cass. n. 10796/2009; Trib. Milano, n. 1994/2013; Trib. Varese n. 103/2017).

Sul punto, si richiama nuovamente la fondamentale sentenza n. 11638/2014 che, riportandosi a precedenti pronunce del medesimo tenore, ha confermato che la voltura catastale rappresenta in modo univoco un atto comprovante l’avvenuta accettazione tacita di eredità.

Altro elemento probatorio idoneo a far accertare l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità è la riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario. Anche sotto tale profilo, la giurisprudenza di legittimità nonché quella di merito ha avuto modo di chiarire che la riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario, quale atto dispositivo e non meramente conservativo, integra accettazione tacita dell’eredità (Cass. n. 2743/2014; Trib. Milano n. 294/2017).

Vi sono, infine, una serie di elementi presuntivi idonei ad assumere valore probatorio – non sempre determinante – quale, a titolo esemplificativo, la residenza del chiamato nell’immobile oggetto di procedura (rilevante soprattutto ai sensi dell’art. 485 c.c.), il pagamento delle spese condominiali, delle spese per le utenze ovvero dei debiti del de cuius nonché la stipulazione di contratti inerenti beni dello stesso (locazione, appalto, mandato).

Quindi, ottenuta la sentenza di accertamento e passata in giudicato la stessa, il creditore potrà procedere con la relativa trascrizione, ai sensi e per gli effetti di legge.

Fissazione del termine per l’accettazione dell’eredità ex art. 481 c.c.

Altro strumento previsto dal legislatore, è il procedimento di cui all’art. 481 c.c., in forza del quale chiunque ha interesse può chiedere all’autorità giudiziaria di fissare nei confronti dei chiamati un termine entro il quale accettare l’eredità.

In caso di “ordinanza positiva” – in cui si dà atto che il chiamato abbia dichiarato di voler accettare l’eredità – non sembrano possano sorgere dubbi sulla possibilità di trascrivere tale provvedimento.

Tuttavia, come prescrive la norma, nel caso in cui decorra il termine fissato dal Tribunale, il chiamato perde il diritto di accettare l’eredità.

In tale ipotesi, quindi, sarà necessario procedere con l’individuazione di ulteriori chiamati all’eredità – nei cui confronti esperire le medesime azioni di cui sopra – ovvero depositare ricorso per la nomina del curatore dell’eredità giacente.

Ricorso per la nomina del curatore dell’eredità giacente

Altro strumento previsto dal legislatore è il ricorso per la nomina del curatore dell’eredità giacente.

L’art. 528 c.c. prevede che, nel caso in cui il chiamato non abbia accettato l’eredità e non sia nel possesso dei beni ereditari, il Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza di chiunque abbia interesse, nomina un curatore dell’eredità.

Il curatore è meramente tenuto ad una serie di obblighi specificati nel codice civile e, in particolare, all’amministrazione dell’eredità giacente. Tale soggetto, comunque, ben potrà individuare autonomamente i possibili chiamati all’eredità e procedere nei loro confronti con i necessitati incombenti al fine di far accettare da questi ultimi l’eredità.

Lo strumento in commento consente di risolvere problematiche dal punto di vista processuale, permettendo al creditore di procedere esecutivamente nei confronti del curatore dell’eredità giacente – legittimato passivo.

7. Considerazioni generali e conclusive

In ultima analisi, appare comunque opportuno rilevare che la continuità delle trascrizioni può essere regolarizzata anche dopo il decorso del termine di prescrizione decennale per accettare l’eredità.

Quanto esaminato, in ogni caso, non appare idoneo ad assumere alcun rilievo con riguardo ai legati in quanto per tali atti, verificandosi il loro acquisto automaticamente per effetto della semplice disposizione testamentaria senza necessità di alcuna accettazione, sarà agevole in ogni tempo la regolarizzazione della continuità delle trascrizioni mediante esibizione del testamento o di un estratto autentico dello stesso ex art. 2648, terzo comma, c.c..

In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, appare evidente come nella prassi il creditore spesso incontri molteplici difficoltà nel recupero coattivo del credito, dovendo necessariamente procedere a sanare l’eventuale difetto di continuità delle trascrizioni, all’uopo impiegando i richiamati strumenti messi a disposizione dal legislatore, allo stato non adeguati.

Si auspica, pertanto, un intervento del legislatore volto a prevedere ulteriori e più efficaci strumenti idonei a tutelare – in assenza di cooperazione dell’esecutato – il creditore nella celere realizzazione del credito.


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