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Attualità

Conseguenze reddituali degli aumenti di capitale riservati agli amministratori: vecchie conferme con alcune incognite

18 Ottobre 2019

Daniel Canola, Ludovici Piccone & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

Con la Risposta ad interpello n. 347/E del 26 agosto 2019 l’Amministrazione finanziaria torna ad occuparsi della fiscalità associata alle assegnazioni di azioni a soggetti che siedono nel consiglio di amministrazione della società emittente. Come è noto, la questione attiene essenzialmente alla possibilità che si generi un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente in capo agli amministratori, per effetto di condizioni di sottoscrizione vantaggiose ad essi riservate, con conseguente obbligo per la società assegnante di agire come sostituto d’imposta.

Il caso sottoposto al vaglio dell’Amministrazione finanziaria riguarda una holding (“HoldCo”),controllante di una S.G.R. italiana (“ALFA S.p.A.”), che stipula due accordi per il trasferimento di parte delle proprie quote di partecipazione in ALFA S.p.A. (i) ad una società (“BETA S.r.l.”) con socio unico un amministratore di ALFA S.p.A. e di HoldCo stessa (“Amministratore GAMMA”), e (ii) ad una persona fisica residente nel Regno Unito, anch’essa membro del consiglio di amministrazione di ALFA S.p.A. (“Amministratore DELTA”). Entrambi gli accordi vengono sottoposti ad alcune condizioni sospensive, tra cui il completamento di una riorganizzazione dell’attività di gestione di fondi alternativi da parte di ALFA S.p.A.. Per ovviare al mancato avveramento delle condizioni sospensive, che ha determinato l’inefficacia dei citati accordi, HoldCo acconsente a che l’investimento degli amministratori GAMMA (tramite la società BETA S.r.l.) e DELTA nella S.G.R. ALFA S.p.A. si realizzi mediante sottoscrizione di un aumento di capitale ad essi riservato anziché tramite acquisto delle azioni già in circolazione.

La società istante chiede conferma che la vicenda sopra delineata sia qualificabile come una normale operazione di investimento e che, di conseguenza, l’eventuale sottoscrizione di azioni di ALFA per un prezzo inferiore al valore normale non faccia emergere un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente in capo agli amministratori assegnatari (art. 50, comma 1, lett. c bis), del d.p.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”)).

L’Amministrazione finanziaria disattende la richiesta della società istante, ravvisando nell’operazione prospettata gli elementi costitutivi di una remunerazione collegata al rapporto di lavoro; ne deriva che l’eventuale differenza tra il valore normale delle azioni sottoscritte ed il prezzo pagato è imponibile in capo agli amministratori.

La risposta ad interpello, pur confermando principi già espressi in passato[1], offre lo spunto per alcune riflessioni.

L’inerenza al contesto lavorativo come presupposto costitutivo del reddito da lavoro

Ai sensi dell’art. 50, comma 1, lettera c bis), del TUIR sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente, inter alia, “le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore … di società …”. La determinazione di tale reddito è informata al noto principio di onnicomprensività, sancito dall’art. 51, comma 1, del TUIR (applicabile anche ai redditi assimilati in virtù del rinvio operato dall’art. 52, comma 1), in base al quale concorrono alla formazione del reddito “tutte le somme ed i valori in genere” percepiti “in relazione al rapporto di lavoro”.

Come rilevato nella prassi amministrativa sull’argomento[2], la onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente postula l’imponibilità di tutto ciò che il dipendente (o amministratore) riceve, in danaro o in natura. Tuttavia, a meno di non voler attribuire all’espressione “in relazione” un significato meramente descrittivo del passaggio di somme o valori dal datore di lavoro al dipendente, affinché ci sia un reddito di lavoro dipendente (o assimilato) dovrà necessariamente sussistere anche un collegamento effettivo con il rapporto di lavoro e non una semplice concomitanza dell’erogazione[3]. In altri termini, per qualificare come selettivo un vantaggio concesso agli amministratori vi devono essere elementi chiaramente indicativi dell’inerenza a vicende interne al rapporto di lavoro. Esemplificando, in precedenti interventi di prassi, tali elementi di collegamento sono stati ravvisati nelle clausole statutarie limitative della trasferibilità di certe classi di azioni nella sola cerchia degli amministratori o dipendenti o, ancora, nella dichiarata finalità retributiva dell’apporto di lavoro[4]. All’opposto, l’esistenza del nesso con il rapporto di lavoro è stata esclusa dove eventuali vantaggi, accordati ad amministratori o dipendenti della società, attenevano esclusivamente ai rapporti con gli altri azionisti[5].

Nel caso analizzato nell’interpello, l’Amministrazione inferisce l’esistenza di tale condizione (i.e. l’inerenza al rapporto di lavoro) dall’esclusività del vantaggio accordato ai due amministratori, elemento che non sembra di per sé dirimente nell’individuazione del collegamento al contesto lavorativo, potendo ben essere giustificata dalla necessità di favorire l’ingresso di un socio di capitale ritenuto strategico per i futuri piani di sviluppo della S.G.R. ALFA S.p.A..

Quantificazione del valore normale nel caso di titoli non negoziati in mercati regolamentati

L’interpello in esame si preoccupa altresì di chiarire la corretta modalità di determinazione del “valore normale” delle azioni offerte in sottoscrizione agli amministratori, rilevante ai fini del calcolo dell’eventuale reddito in natura (art. 51, comma 3, TUIR).

La norma di riferimento – l’art. 9, comma 4, lettera b), TUIR – impone che esso sia calcolato in proporzione al “valore del patrimonio netto” della società emittente. A tal riguardo, l’Amministrazione conferma la tesi interpretativa già sostenuta in passato[6], secondo la quale il valore del patrimonio netto della società deve essere assunto a valori correnti[7] risultanti da una relazione giurata di stima, cui si applica l’art. 64 c.p.c.. Più precisamente, in base ai chiarimenti ministeriali, il valore periziato “deve essere riferito all’intero patrimonio sociale esistente ad una data compresa nei trenta giorni che precedono quella in cui l’assegnazione è stata deliberata”.

Pur in assenza di una conferma esplicita nella prassi, è ipotizzabile che la finestra temporale di trenta giorni in cui collocare la data di stima del valore normale sia stata concessa per analogia alle modalità di stima e di certificazione del valore normale delle azioni non quotate, previste positivamente dalla disciplina delle assegnazioni agevolate dei beni ai soci di cui all’art. 29, c. 1, della legge n. 449/1997, come modificata dall’art. 13 della legge n. 28/1999.

Tale margine di flessibilità concesso per la stima del valore normale delle azioni non quotate deve essere accolto favorevolmente in quanto facilita il processo di stima del perito, non vincolandolo alla data precisa dell’assegnazione. In ogni caso, onde non sovvertire la ratio della norma che impone di tassare in capo a dipendenti e amministratori i benefici in natura effettivamente conseguiti, si ritiene che la stima dovrà comunque essere aggiornata qualora si verifichino eventi suscettibili di incidere materialmente sul valore periziato tra la data di stima e la data dell’assegnazione delle azioni.

Imputazione del reddito nel caso di amministratore che investe tramite holding personale e implicazioni sul costo fiscale

La struttura di investimento rappresentata nell’interpello, in cui uno degli amministratori (GAMMA) sottoscrive l’aumento di capitale in ALFA S.p.A. per il tramite di una sua holding personale (BETA S.r.l.), pone alcune peculiari problematiche con riferimento al costo fiscale delle azioni sottoscritte, non risolte nella risposta dell’Agenzia.

In linea generale, ai sensi dell’art. 68, comma 6, del TUIR, il reddito in natura assoggettato a tassazione in sede di sottoscrizione delle azioni assegnate in via agevolata è riconosciuto come costo fiscale delle partecipazioni acquisite; in altri termini, ciò che è reddito in natura in capo all’amministratore costituisce costo fiscale della partecipazione acquisita e detenuta dallo stesso. L’applicazione di questa norma è meno lineare nel caso affrontato nell’interpello, poiché colui che subisce il prelievo (l’Amministratore GAMMA) è un soggetto diverso rispetto a quello che sottoscrive e detiene le partecipazioni (la holding BETA S.r.l.). In tal caso, il reddito in natura tassato in capo all’Amministratore GAMMA potrebbe essere riconosciuto come costo fiscale secondo una delle due ipotesi alternative: (i) in capo al soggetto che sottoscrive materialmente le azioni (i.e. la holding BETA S.r.l.); oppure (ii) in capo al soggetto inciso dall’onere fiscale in fase di sottoscrizione (l’Amministratore GAMMA).

La soluzione più coerente con il sistema di imposizione su base personale caratteristico dell’IRPEF (art. 1 TUIR) è che il maggior costo fiscale sia attribuito a chi è imputato il reddito. Nel caso affrontato nell’interpello tale soggetto non è la holding BETA S.r.l., che pure sottoscrive materialmente l’aumento di capitale, bensì l’Amministratore GAMMA. Tale circostanza porterebbe ad incrementare il costo fiscale della partecipazione detenuta dall’Amministratore GAMMA nella propria holding personale BETA S.r.l., così da riflettere in via indiretta il maggior valore della partecipazione nella società ALFA S.p.A. da cui è scaturito il reddito in natura per l’amministratore[8].

La soluzione alternativa, ossia riconoscere il maggior costo fiscale delle azioni direttamente in capo alla holding personale BETA S.r.l., non pare supportata da alcun dato normativo oltre a condurre a potenziali effetti distorsivi laddove l’aumento del costo fiscale non fosse riconosciuto anche alle partecipazioni nella holding stessa. La differenza tra il valore normale e l’importo versato per sottoscrivere le azioni ALFA S.p.A. subirebbe infatti una doppia imposizione in capo all’Amministratore GAMMA in quanto verrebbe tassata: (i) una prima volta come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente al momento della sottoscrizione delle azioni ALFA S.p.A.; e (ii) una seconda volta come reddito di capitale al momento della distribuzione da parte di BETA S.r.l., in occasione del recesso/liquidazione (art. 47, comma 7, TUIR), dei proventi derivanti dal realizzo della partecipazione ALFA S.p.A.[9].

La problematica sopra descritta potrebbe essere facilmente superata mediante la sottoscrizione della partecipazione di ALFA S.p.A. direttamente da parte dell’Amministratore GAMMA, immediatamente seguita dal conferimento della stessa nella holding BETA S.r.l. per un importo pari al valore normale. Così facendo si avrebbe piena rispondenza tra il costo fiscale delle azioni in capo a tutti i soggetti evitando così in radice le problematiche applicative sopra evidenziate e senza alcun aggravio di oneri amministrativi, ben potendo sfruttare la perizia predisposta al fine di certificare il valore normale della quota di partecipazione di ALFA anche ai fini civilistici del conferimento (artt. 2343 e 2465 c.c.).



[1] Si vedano, ex multis, circ. n. 27/E del 16 ottobre 2017; ris. n. 103/E del 4 dicembre 2012; ris. n. 186/E del 12 giugno 2002; circ. n. 30/E del 25 febbraio 2000.

[2] Si veda, circ. 326/E del 23 dicembre 1997.

[3] Si veda F. Crovato, Il lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Cedam, 2001, pp. 112-113.

[4] Cfr., ris. 103/E del 4 dicembre 2012.

[5] Cfr., ris. 29/E del 16 febbraio 2006.

[6] Si vedano, inter alia, circ. n. 112 del 21 maggio 1999; ris. 29/E del 20 marzo 2001; n. 3/E dell’8 gennaio 2002.

[7] Tale interpretazione è coerente con la finalità di far emergere l’effettivo vantaggio ottenuto dall’amministratore / dipendente, che quasi mai i valori contabili quantificherebbero in modo efficace. Cfr., F. Crovato, Stock option, strumenti finanziari e retribuzioni variabili, Il Sole 24 Ore, 2005, p. 99.

[8] Si consideri il seguente esempio: valore normale delle azioni ALFA € 150, prezzo di sottoscrizione delle azioni ALFA da parte di BETA € 100, costo fiscale della partecipazione di Amministratore GAMMA in BETA € 100, valore di realizzo delle azioni ALFA € 150, IRPEF subita alla sottoscrizione delle azioni ALFA € 21,5 (150-100=50 x 43%). Si ipotizzi che in seguito alla vendita della partecipazione in ALFA, BETA venga posta in liquidazione e distribuisca all’Amministratore GAMMA l’importo ottenuto dalla vendita delle azioni ALFA. Se il differenziale tassato in capo ad Amministratore GAMMA si aggiunge al costo fiscale della partecipazione di quest’ultimo in BETA (100+50=150), all’atto delle cessione della partecipazione in ALFA la holding BETA subirebbe un prelievo IRES (150-100=50 x 5% x 24% = 0,6). Tuttavia, la successiva distribuzione da BETA ad Amministratore GAMMA della cassa residua in sede di liquidazione (150-0,6= 149,4) porterebbe al realizzo di una minusvalenza di importo contenuto in capo a quest’ultimo (149,4-[100+50]= -0,6) senza alcun ulteriore prelievo fiscale.

[9] Mantenendo i dati dell’esempio della nota precedente, se il differenziale tassato in capo ad Amministratore GAMMA si aggiunge al costo fiscale della partecipazione in ALFA detenuta da BETA (100+50=150), quest’ultima non sconterebbe alcun prelievo IRES all’atto della vendita delle azioni ALFA (150-150=0). Tuttavia, la successiva distribuzione dei proventi della vendita da BETA al socio/amministratore GAMMA condurrebbe a tassare nuovamente in capo allo stesso il differenziale tassato in fase di sottoscrizione delle azioni (150-100=50 x 26%= 13). Il risultato finale sarebbe una tassazione IRPEF del plusvalore di € 50 complessivamente pari a € 34,5 (69%).

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