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Con la fine della tesoreria unica prevista per il 31 dicembre 2014 si aprono nuove opportunità finanziare per gli enti locali

2 Settembre 2014

Avv. Domenico Gaudiello, partner, DLA Piper

Di cosa si parla in questo articolo

Il 31 dicembre prossimo cesserà l’obbligo della tesoreria unica introdotto più di due anni fa dal governo Monti con l’art. 35 del Decreto Legge 24 gennaio 2012 n. 1. Questa disposizione aveva seriamente ridotto gli spazi di autonomia inter alia degli enti locali (così come di un ampio novero di enti territoriali e altri organismi pubblici), poiché aveva privato gli enti locali pressochè di tutte le disponibilità liquide detenute fino a quella data presso i propri tesorieri, imponendo di trasferire tutta la liquidità presso i conti della Tesoreria Centrale (ovvero la Banca d’Italia).

La tesoreria unica era stata introdotta per la prima volta nel 1984, per fare in modo che lo Stato potesse controllare l’attività di spesa degli enti locali assicurando agli enti le risorse ad essi spettanti solo dopo la effettiva decisione delle spese da parte di questi. La tesoreria unica aveva lo scopo di gestire in modo più oculato il flusso dei pagamenti, evitando l’eccessivo indebitamento dello Stato.

Il sistema di tesoreria unica è durato fino al 1997, quando l’art. 9 del d.lgs. 279 del 1997 ha promosso in senso sostanziale l’autonomia gestionale e finanziaria degli enti locali, ridimensionando gli spazi di funzionamento della tesoreria unica. Dal 1997 al 2012 si è venuto progressivamente sviluppando il sistema di tesoreria mista, con prevalenza della gestione della tesoreria in capo agli enti locali mediante l’utilizzo di un apposito soggetto terzo con funzione di tesoriere. Questo sistema è indubbiamente quello che meglio risponde al precetto costituzionale che sancisce (art. 119 della Costituzione) l’autonomia finanziaria degli enti locali.

Il ritorno temporaneo alla tesoreria unica, imposto di imperio dal governo Monti, ha sicuramente colpito l’autonomia finanziaria degli enti locali. Questa lesione, giustificata dalla eccezionalità della situazione economico-finanziaria del paese nel 2012, si è resa ammissibile in ragione della sua durata limitata. Non è pertanto plausibile che arrivi in extremis una proroga del regime di tesoreria unica ed è invece utile iniziare a valutare quali sono le prospettive che si dischiuderanno per gli enti locali col ritorno al regime ante tesoreria unica.

E’ indubbio che la fine della tesoreria unica inciderà in maniera positiva:

– sulla capacità degli enti locali di programmazione delle proprie risorse dettata da un maggior controllo delle risorse liquide disponibili;

– sulla possibilità di attuare una reale politica di monitoraggio e controllo delle risorse finanziarie effettivamente disponibili;

– sulla possibilità di ottenere maggiori rendimenti dal riversamento delle somme disponibili;

– sulla capacità di conseguire dirette opportunità di autofinanziamento da parte degli enti locali.

La prospettiva che più interessa ai fini di questo articolo riguarda le possibilità per gli enti locali di ricavare maggiori rendimenti dalle risorse disponibili una volta superate le strettoie della tesoreria unica. Si tratta di una possibilità concreta, che richiederebbe una puntuale disciplina di riferimento per essere sfruttata appieno E l’occasione per predisporre un quadro normativo più adatto potrebbe venire proprio dalla fine della tesoreria unica.

Di seguito alcune utili puntualizzazioni.

Nessuno discute della facoltà degli enti locali di ricorrere ad impieghi redditizi della liquidità giacente. L’ente può validamente ritenere di impiegare la liquidità disponibile in investimenti finanziari vantaggiosi, purché questi non compromettano la gestione corrente dei pagamenti ed il rispetto delle spese programmate.

Un ente locale può trovarsi nella situazione di disporre temporaneamente di liquidità che solo in una fase successiva dovrà essere utilizzata per onorare i pagamenti programmati sulla base dei propri documenti di bilancio.

Sarebbe il caso che il legislatore ponesse specifici paletti per evitare il proliferare di dubbi e la diversificazione degli approcci interpretativi.

Un primo principio (che appare scontato eppure non è declinato dall’ordinamento) è che un impiego della liquidità giacente da parte di un ente locale dovrebbe essere ammesso solo nella misura in cui l’investimento effettuato sia di pronto e facile smobilizzo, in modo che l’ente locale possa agevolmente rientrare della liquidità investita e onorare, con il ricavato, le spese precedentemente programmate. Insomma, in nessun caso l’ente locale deve trovarsi nelle condizioni di non poter mantenere gli impegni poiché la liquidità necessaria è stata immobilizzata in investimenti che non sia possibile o conveniente dismettere.

Un secondo principio che va di pari passo con quello dianzi evocato attiene alla delimitazione degli investimenti finanziari ammessi. Per quanto sia prevalente l’impiego di liquidità da parte degli enti locali mediante acquisto di titoli del debito pubblico, non esiste una specifica previsione che disciplini una volta per tutte le tipologie di strumenti mediante cui l’ente può impiegare la liquidità giacente (senza compromettere gli impegni già assunti) e che escluda strumenti diversi dai titoli di stato.

Un terzo principio, che fa da sfondo ai due precedenti, si riferisce alle circostanze in cui è ammissibile in via generale l’impiego della liquidità giacente. Non sono mancate pronunce del giudice contabile (soprattutto in sede consultiva) che hanno stigmatizzato il configurarsi stesso di situazioni di giacenza di liquidità (ossia di liquidità in eccesso utilizzabile per spese diverse da quelle programmate), definendole come il frutto di una cattiva programmazione dei flussi di cassa. A ben vedere la liquidità giacente può rivenire anche da situazioni imprevedibili, come l’ottenimento di risarcimenti in esito a giudizi conclusisi a favore dell’ente. In questi casi non può certo censurarsi la posizione dell’ente che intenda mettere a frutto le disponibilità conseguite né tanto meno stigmatizzarsi come cattiva programmazione l’esito fausto per l’ente stesso di una vertenza giudiziale.

Esiste infine anche un tema relativo alla durata degli impieghi della liquidità giacente. Verrebbe da pensare che se trattasi di temporaneo impiego della liquidità, l’immobilizzazione della liquidità non dovrebbe eccedere la durata annuale. Una durata chiara servirebbe anche a fugare le riserve circa la cattiva programmazione, perché faciliterebbe la individuazione di tutti quei casi in cui la liquidità giacente presenta contorni patologici.

C’è da augurarsi che il legislatore colga l’occasione giusta (che si prospetta proprio con la fine della tesoreria unica) per riordinare la disciplina degli impieghi di liquidità da parte degli enti locali, fissando principi semplici e chiari per gli operatori interessati.

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