L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta n. 118/2025, ha fornito chiarimenti in merito agli obblighi IVA derivanti dai compensi professionali percepiti in qualità di eredi del de cuius, facendo ricadere sugli stessi gli obblighi di fatturazione e di assolvimento dell’imposta e ponendo l’accento sulle implicazioni pratiche, in caso di inerzia da parte di questi ultimi, alla luce delle disposizioni novellate dal legislatore delegato con il D. Lgs. n. 87/2024.
Nel caso concreto, l’istante, in qualità di erede di un professionista deceduto nel 2011, dichiarava di aver percepito nel 2024 un compenso professionale (al netto dell’IVA) maturato dal de cuius, relativo a prestazioni rese in favore di una società nel frattempo estinta.
Si precisa che la partita IVA del professionista era stata chiusa in vita dallo stesso.
Tanto premesso, l’istante chiedeva conferma circa la possibilità di non dover riaprire alcuna P.IVA, neppure a proprio nome, invocando le indicazioni fornite nella Risposta n. 52/2020, che ribadiva l’obbligo per il cessionario o committente di emettere autofattura, nonché di procedere al relativo versamento dell’IVA.
L’Agenzia ha posto in rilievo i principi consolidati dalla prassi e dalla giurisprudenza nella più ampia tematica della cessazione dell’attività professionale, chiarendo che l‘attività non può considerarsi cessata finché non siano stati espletati tutti gli adempimenti, compresa la fatturazione relativa ai compensi maturati.
Difatti, già in passato, la prassi (cfr. Circolare n. 11/2007 – Risoluzione n. 232/2009) e la giurisprudenza (cfr. Cassazione n. 8059/2016) avevano evidenziato che l’attività non si considera formalmente cessata finché non sono definiti i rapporti giuridici pendenti e riscossi i crediti, e che il compenso è imponibile IVA anche se percepito dopo la cessazione, essendo l’esecuzione della prestazione il fatto generatore del tributo.
Ove non sia stata emessa anticipatamente la fattura, in conformità all’art. 6, c.3, del D.P.R. IVA, “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”.
Ciò implica che, in assenza di fatturazione da parte del de cuius, gli obblighi fiscali correlati si trasferiscono agli eredi, ai sensi dell’art. 35-bis del medesimo decreto.
Significativo appare il richiamo alla Risoluzione n. 34/2019 e alla Risposta n. 163/2021, ove era stato ribadito che l’onere della fatturazione grava in capo agli eredi, i quali dovranno operare in nome del de cuius, eventualmente riaprendo la relativa posizione fiscale.
Ne discende che gli eredi non possono chiudere o devono riaprire a posteriori una nuova P.IVA, fatturando regolarmente i compensi professionali percepiti in nome del de cuius.
Di conseguenza, il compenso professionale deve essere corrisposto al lordo dell’IVA.
Il committente, dal canto suo, è tenuto a ricorrere alla procedura di regolarizzazione solo in caso di inerzia dell’erede, ai sensi dell’art. 6, c.8, del D.lgs. n. 471 del 1997. Tale disposizione, come riformulata dal D.lgs. n. 87/2024, contempla un regime più snello: il cessionario o committente, in caso di omessa o irregolare fatturazione, non è più obbligato a emettere autofattura e versare l’imposta, ma soltanto a comunicare l’irregolarità all’Agenzia entro novanta giorni, tramite il codice TD29.
Alla luce di quanto sopra, l’Agenzia ha concluso rilevando che la precedente Risposta n. 52/2020 deve ritenersi parzialmente superata, imponendo agli eredi una proattiva gestione degli adempimenti fiscali connessi alle prestazioni professionali rese in vita dal de cuius, al fine di evitare l’intervento sostitutivo del committente, nonché l’applicazione di sanzioni, interessi e il recupero dell’imposta da parte dell’Erario.