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Arbitrato: l’impugnazione del lodo rituale

7 Dicembre 2022

Vittorio Pisapia, Partner Fondatore, Fivelex Studio Legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta un tema di estrema rilevanza in materia di arbitrato, ovvero quello connesso al sistema di impugnazione del lodo arbitrale rituale.


Parte I – Arbitrato – Premessa generale sul sistema delle impugnazioni dei lodi

I. – Premessa

1. – Nel trattare il sistema delle impugnazioni dei lodi sono necessarie due considerazioni introduttive.

La prima è che, quando si parla di lodi e delle relative impugnazioni, ci si riferisce ormai, in prevalenza, ai lodi rituali.

Infatti l’assetto normativo attuale, scaturito della riforma dell’arbitrato attuata con il D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, è improntato a un favor per l’arbitrato rituale rispetto a quello irrituale.

Ciò nel senso che, nel dubbio sulla portata di una convenzione arbitrale o clausola compromissoria, deve ritenersi che le parti abbiano optato per l’arbitrato rituale.

In questo senso depone la regola – espressa dall’art. 808-ter c.p.c. (rubricato “arbitrato irrituale”) – per cui “le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall’art. 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo”, ossia quelle che disciplinano l’arbitrato rituale[1].

Occorre, quindi, una disposizione “espressa” per iscritto delle parti per qualificare come “irrituale” l’arbitrato previsto in una data convenzione.

2. – La seconda considerazione attiene al fatto che, nel sistema previsto dal Codice di procedura civile, il lodo rituale, ancorché impugnabile, è caratterizzato da una notevole maggiore stabilità rispetto alla sentenza del giudice ordinario.

Questa maggiore stabilità deriva:

a) anzitutto dal fatto che, come ora ricorderemo, il principale mezzo di impugnazione del lodo (ossia l’impugnazione per nullità) è a critica vincolata, ossia il lodo può essere impugnato solo per i 12 motivi tassativamente previsti dall’art. 829 c.p.c. (salvo quanto previsto dal 3° comma del medesimo articolo);

b) inoltre dalla circostanza che questi motivi sono relativi a casi di errores in procedendo, ossia nessuno di essi riguarda eventuali errores in iudicando, ovvero la conformità del lodo alle regole di diritto sostanziale; l’impugnazione per violazione delle regole di diritto sostanziale è ammissibile soltanto se le parti lo abbiano espressamente previsto nella convenzione arbitrale (cfr. art. 829, comma 3, c.p.c.).

3. – Alla luce di quanto sopra, non stupisce, quindi, che la grande maggioranza delle sentenze delle corti d’appello che pronunciano sull’impugnativa di un lodo siano di rigetto.

Infatti: a) da un lato, in sede di redazione della convenzione arbitrale, non sempre vi è sufficiente attenzione alla formulazione del relativo testo (e quindi non sempre si prevede che il lodo possa essere impugnato [anche] per violazione delle regole di diritto sostanziale); dall’altro lato, anche quando la previsione dell’impugnabilità per violazione delle regole di merito sia inserita, si tratta pur sempre di un motivo che non è a critica libera (è infatti assimilabile al motivo della violazione e falsa applicazione di legge del ricorso per cassazione); b) dall’altro lato, i 12 motivi di cui all’art. 829 c.p.c., essendo meramente procedurali, sono di difficile configurabilità in concreto. Basti dire, ad esempio, che, come vedremo, il motivo di nullità per mancanza dell’esposizione sommaria dei motivi di cui al n. 5 dell’art. 829 c.p.c. non va inteso come riferito all’ipotesi della motivazione carente o contraddittoria; infatti tale vizio di nullità ricorre esclusivamente quando la motivazione manchi del tutto o sia talmente carente da non consentire di comprendere l’iter logico che ha determinato la decisione arbitrale o contenga contraddizioni inconciliabili nel corpo della motivazione o del dispositivo tali da rendere incomprensibile la ratio della decisione.

II. – Lodo rituale e lodo irrituale: differenze

Come si ricordava, oggi l’arbitrato irrituale è previsto in modo espresso dall’art. 808-ter c.p.c.

Le principali analogie e differenze essenziali tra arbitrato rituale e irrituale sono le seguenti:

A) sia l’arbitrato rituale che quello irrituale danno luogo a un procedimento destinato a decidere una lite tra due o più soggetti.

B) Peraltro, anzitutto, ai sensi dell’art. 824-bisp.c. (richiamato dall’art. 808-ter c.p.c.), solo il lodo rituale ha gli effetti di sentenza dalla data della sua ultima sottoscrizione, ed è quindi suscettibile di passare in giudicato (a prescindere dalla richiesta di exequatur); viceversa, il lodo irrituale, non potendo avere gli effetti della sentenza, non potrà mai passare in giudicato[2].

C) Entrambi i lodi contengono un accertamento, che – in ipotesi – potrà essere fatto valere da ciascuna delle parti in un eventuale giudizio ordinario. Ad esempio, se un lodo dichiara risolto un contratto tra Tizio e Caio, e poi Tizio agisce per ottenere l’esecuzione del contratto, Caio potrà eccepire l’accertamento contenuto nel lodo e ottenere il rigetto della domanda, a prescindere dal fatto che il lodo sia rituale o irrituale.

D) Inoltre, solo il lodo rituale è suscettibile di esecuzione forzata ai sensi dell’art. 825 c.p.c., ossia può valere come titolo esecutivo.

Questa rappresenta un’altra importante differenza tra arbitrato rituale e irrituale, che va tenuta presente quando si stipula una clausola compromissoria.

Infatti, ove l’arbitrato sia rituale e il lodo venga munito di exequatur, la parte soccombente – che sia, ad esempio, condannata a pagare una somma di denaro – non potrà sottrarsi al pagamento ovvero all’esecuzione forzata, se non impugnando il lodo davanti alla corte d’appello competente e chiedendo (e ottenendo) la sospensione dell’esecutività del lodo medesimo.

Ove, invece, l’arbitrato sia irrituale la parte vittoriosa, in caso di mancato adempimento spontaneo, non potrà agire in via esecutiva, ma dovrà prima munirsi di un titolo esecutivo. Ad esempio, dovrà chiedere, sulla base del lodo, un decreto ingiuntivo (eventualmente esecutivo) o promuovere un giudizio ordinario per ottenere la condanna della parte soccombente in arbitrato a eseguire la prestazione prevista nel lodo.

Tale differenza è essenziale per valutare se inserire o meno una clausola per arbitrato irrituale: se la si inserisce, occorre essere consapevoli che la parte vittoriosa, avente diritto a una determinata prestazione dalla controparte (ad esempio, il prezzo di una compravendita), non potrà agire in via esecutiva sulla base del lodo favorevole; pertanto, in mancanza di adempimento spontaneo della controparte, essa dovrà proporre un’autonoma azione (anche, in ipotesi, monitoria) volta a ottenere la condanna della controparte in forza del lodo.

E) Altra differenza tra lodo rituale e lodo irrituale riguarda il tema oggetto di queste note, ossia il regime di impugnazione: a) il lodo rituale va impugnato davanti alla corte d’appello, come si è visto, per i motivi di cui all’art. 829, comma 1, c.p.c. ovvero ai sensi dell’art. 829, comma 3, c.p.c.; b) il lodo irrituale può essere impugnato solo davanti al giudice ordinario per i cinque motivi di cui al secondo comma dell’art. 808-terp.c. L’azione è di annullamento va proposta nell’ordinario termine quinquennale. In dottrina vi è chi ha ritenuto che l’art. 1442 c.c. (in tema di prescrizione quinquennale dell’azione di annullamento) non sarebbe applicabile all’impugnativa del lodo irrituale. Secondo questa dottrina, sarebbe invece applicabile la norma di cui all’art. 828 c.p.c.[3].

III. – Il lodo parziale e il lodo non definitivo: differenze e conseguenze in merito al regime di impugnabilità

1. – Prima di esaminare i mezzi di impugnazione, e i singoli motivi di nullità di cui all’art. 829 c.p.c., occorre premettere una distinzione essenziale al riguardo, ossia quella tra lodo parziale e lodo non definitivo.

Ai sensi dell’art. 827, comma 3, c.p.c.: a) il lodo parziale è quello che “decide parzialmente il merito della controversia” ed è “immediatamente impugnabile”; b) il lodo non definitivo è quello che “risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio” ed “impugnabile solo unitamente al lodo definitivo” (cfr. anche art. 820, comma 4, c.p.c.).

È quindi parziale il lodo che pronuncia, nel merito, soltanto su alcune domande, decidendo la separazione per le altre; ad esempio, il lodo che pronuncia la risoluzione del contratto, separando la causa avente per oggetto la domanda risarcitoria conseguente all’inadempimento che ha dato luogo alla risoluzione del contratto, o il lodo che pronuncia condanna generica ai sensi dell’art. 278 c.p.c.[4]

È non definitivo il lodo che, senza definire il giudizio, ossia senza pronunciare nel merito su domande, risolve soltanto questioni; ad esempio, è non definitivo il lodo con il quale l’organo arbitrale rigetta “l’eccezione di incompetenza (…), ritenendo sussistente il potere degli arbitri di decidere la controversia[5] [6].

2. – Dunque, distinguere tra lodi parziali e lodi non definitivi è rilevante nell’ottica dell’impugnazione.

Infatti l’impugnazione contro un lodo non definitivo sarà dichiarata inammissibile, così come sarà dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, l’impugnazione di un lodo parziale che non sia proposta entro il termine di cui all’art. 828, comma 1, c.p.c.

Va peraltro considerato che il lodo non definitivo, sebbene non immediatamente impugnabile, spiega comunque effetti anzitutto nei confronti dell’organo arbitrale: infatti quest’ultimo, nella pronuncia del lodo definitivo, sarà vincolato al lodo non definitivo.

Parte II – Arbitrato – Il sistema delle impugnazioni del lodo rituale

1. – Il lodo rituale può essere impugnato soltanto con i mezzi previsti dagli articoli 827-831 c.p.c., ossia: l’impugnazione per nullità (artt. 828-830 c.p.c.), la revocazione e l’opposizione di terzo (art. 831 c.p.c.).

Sebbene l’attuale formulazione dell’articolo 827 c.p.c. non precisi che l’elencazione di tali mezzi è tassativa, non si dubita che essi siano gli unici esperibili (non potendo quindi proporsi né l’appello né il ricorso per cassazione, né la revocazione ordinaria[7]).

2. – Un punto da sottolineare è che, ai sensi dell’art. 827, comma 2, c.p.c., i mezzi di impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo.

Infatti, ai sensi dell’art. 824-bis c.p.c., il lodo acquista efficacia di sentenza (come tale impugnabile) fin dalla data della sua ultima sottoscrizione, mentre, ai sensi dell’art. 825 c.p.c., il deposito del lodo è necessario solo per procedere a esecuzione forzata.

Parte III – Arbitrato – L’impugnazione per nullità (artt. 828-830 c.p.c.)

I. – L’impugnazione per nullità del lodo è un mezzo a critica vincolata (con onere di specificazione dei motivi)

1. – L’impugnazione per nullità ha natura di mezzo a critica vincolata: ciò significa che il lodo non può essere impugnato allo stesso modo in cui si appella una sentenza, ossia per qualsiasi vizio o errore da cui possa essere affetto[8].

In particolare, il lodo può essere impugnato (nonostante qualunque preventiva rinuncia) solo: a) per i 12 casi espressamente previsti dal primo comma dell’art. 829 c.p.c., oltre che, eventualmente (vedremo sulla base di quali presupposti), per violazione delle regole sul merito della controversia di cui al terzo comma dell’art. 829 c.p.c.; b) sulla base di motivi che devono essere formulati in modo specifico onde “consentire al giudice, ed alla controparte, di verificare se le contestazioni proposte corrispondano esattamente a quelle formulabili alla stregua della suddetta norma[9].

L’impugnazione proposta per motivi diversi è inammissibile (con suo conseguente rigetto) e, sotto questo profilo, la natura di questo mezzo è simile a quella del ricorso per cassazione.

È proprio questa natura del mezzo di impugnazione per nullità che, insieme con la tipologia dei vizi che possono essere fatti valere, determina la maggiore stabilità del lodo rispetto alla sentenza del giudice statuale.

2. – L’impugnazione va proposta, a pena di decadenza, nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo, davanti alla corte d’appello nel cui distretto ha sede l’arbitrato.

Al riguardo occorre ricordare che la nozione di “sede” dell’arbitrato rappresenta una “finzione giuridica, ossia essa “non è un mero luogo di svolgimento del procedimento, ma è invece il primo requisito della sua identità[10].

3. – In mancanza di notificazione, l’impugnazione va proposta entro un anno dalla data di ultima sottoscrizione (ma la recente riforma del processo civile prevede la riduzione di questo termine a sei mesi[11]).

Tali termini hanno natura processuale e, come tali, sono soggetti alla sospensione feriale[12].

4. – Il secondo comma dell’art. 829 c.p.c. prevede una regola generale a favore di una maggiore stabilità del lodo: “la parte che ha dato causa a un motivo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo”.

II. – I casi di nullità previsti dall’art. 829 c.p.c.: la violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia

1. – Fino alla riforma dell’arbitrato del 2006, in tema di impugnazione del lodo la regola generale era che il lodo era sempre impugnabile per violazione della legge sostanziale (ossia delle norme sostanziali applicabili alla controversia e che l’arbitro avesse in ipotesi violato e/o falsamente applicato: ad esempio, errore del lodo in tema di prescrizione, applicazione delle regole dell’onere della prova, violazione delle regole in materia di interpretazione del contratto etc.). L’unica eccezione a tale regola riguardava il caso in cui nella convenzione arbitrale le parti avessero escluso l’impugnabilità del lodo o avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità (art. 829, comma 2, c.p.c., vecchio testo).

2. – La riforma dell’arbitrato ha introdotto la regola opposta: il lodo è ora impugnabile per violazione delle regole di diritto sostanziale soltanto se le parti, nella convenzione arbitrale, lo abbiano espressamente previsto (art. 829, comma 3, c.p.c., testo vigente).

Diversamente, il lodo non è impugnabile per violazione di legge sostanziale, ma soltanto per eventuali errori procedimentali; in tal caso le chance di successo di un’eventuale impugnativa saranno quindi – di regola – di gran lunga inferiori.

La norma transitoria di cui all’articolo 4 del D. Lgs n. 40/2006 stabilisce che tale regola si applica a tutti i procedimenti arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della riforma (2 marzo 2006), senza distinguere se la convenzione arbitrale sia stata stipulata prima o dopo l’entrata in vigore della legge[13].

3. – Nel 2016 le Sezioni unite, con sentenze del 9 maggio 2016, n. 9341, 9284 e 9285, hanno affermato che, se la convenzione arbitrale è anteriore al 2 marzo 2006, l’impugnazione per violazione delle regole del merito è ammessa, anche se non prevista dalla convenzione[14].

A fondamento del principio, le Sezioni unite hanno proposto un’interpretazione incentrata, in particolare, sull’espressione “legge” usata dall’art. 829, comma 3., c.p.c. (testo vigente), per cui “l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge”.

Per le Sezioni unite, la “legge” a cui fa riferimento l’art. 829, comma 3, c.p.c. (vigente) è quella – sostanziale – che “disciplini la convenzione di arbitrato”, vigente al tempo della stipula, ossia – per le convenzioni anteriori al 2 marzo 2006 – (anche) il comma 2 dell’art. 829 c.p.c., nella versione vigente prima della riforma dell’arbitrato (comma che, come si è ricordato, prevedeva la generale impugnabilità del lodo per violazione di legge, salva diversa volontà delle parti).

Ne segue che, secondo le Sezioni unite, se la convenzione è stata stipulata prima del 2 marzo 2006, il silenzio tenuto dalle parti in merito all’impugnabilità del lodo va interpretato in modo conforme alla legge a quel tempo vigente, ossia all’art. 829, comma 2, c.p.c., vecchio testo, e quindi nel senso della volontà delle parti di ammettere l’impugnazione del lodo anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.

4. – Il principio affermato dalle Sezioni unite ha ricevuto l’avallo anche della Corte costituzionale. Infatti, con la sentenza n. 13 del 30 gennaio 2018, la Consulta ha confermato che chi ha stipulato una convenzione arbitrale prima della riforma dell’arbitrato senza nulla prevedere in tema di impugnabilità del lodo ha fatto affidamento sulla possibilità di un’impugnativa più estesa del lodo (ossia anche per violazione di legge), e va per questo tutelato.

Dunque, la regola oggi è la seguente: a) il lodo è impugnabile per violazione delle regole di diritto sostanziale soltanto se le parti, nella convenzione arbitrale, lo abbiano espressamente previsto (art. 829, comma 3, c.p.c., testo vigente); b) se la convenzione arbitrale è anteriore al 2 marzo 2006, l’impugnazione per violazione delle regole del merito è ammessa, anche se non prevista dalla convenzione.

III. – I singoli casi di nullità previsti dall’articolo 829 c.p.c.: invalidità della convenzione arbitrale (art. 829, comma 1, n. 1, c.p.c.). L’onere di (tempestiva) eccezione della parte che impugna

1. – Il comma 1, n. 1, prevede che il lodo è nullo se la convenzione d’arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell’articolo 817, terzo comma (recte: secondo comma)[15].

Alla luce dell’ampia formulazione della disposizione, sono deducibili tutte le ipotesi di:

a) invalidità della convenzione (ad esempio: convenzione che non sia stata stipulata per iscritto; convenzione che viola il principio di uguaglianza delle parti nella nomina dell’arbitro e della imparzialità, indipendenza ed equidistanza dell’arbitro da ciascuna delle parti[16]; estraneità di una o più parti alla convenzione arbitrale; convenzione che abbia per oggetto una vertenza non compromettibile; convenzione che preveda una modalità di nomina dell’organo arbitrale di applicazione pratica impossibile; convenzione annullabile per vizi del consenso etc.);

b) inesistenza della convenzione, ossia il caso in cui la convenzione non sia stata stipulata, neppure verbalmente;

c) inefficacia della convenzione (ad esempio: convenzione stipulata da un soggetto che agisca come rappresentante ma sia privo di poteri)[17].

2. – Questo motivo di nullità può essere fatto valere, però, solo se la parte che impugna abbia eccepito, “nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile”.

In caso di tempestiva eccezione, è l’organo arbitrale che decide sulla propria competenza.

Infatti, ai sensi del comma 1 dell’art. 817 c.p.c., “se la validità, il contenuto o l’ampiezza della convenzione d’arbitrato o la regolare costituzione degli arbitri sono contestate nel corso dell’arbitrato, gli arbitri decidono sulla loro competenza”.

Dunque, se omette di pronunciarsi sulla propria competenza e la relativa eccezione è fondata, il lodo sarà impugnabile ai sensi del n. 1; se l’organo arbitrale si pronuncia sulla propria competenza, il lodo sarà eventualmente impugnabile (a seconda che sia affermata o negata la competenza) ai sensi dei motivi di cui n. 4 o n. 10 (sul punto torneremo poi).

IV. – Segue: invalidità della nomina degli arbitri (art. 829, comma 1, n. 2, c.p.c.)

1. – Il comma 1, n. 2, prevede che il lodo è nullo “se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale”.

Si tratta di tutti i casi in cui la nomina dell’organo arbitrale sia avvenuta in violazione degli articoli 809 e seguenti c.p.c. (“Degli Arbitri”) (ad esempio: arbitri nominati in numero pari; nomina di arbitro unico in luogo di collegio arbitrale e viceversa; arbitri nominati da presidente del tribunale incompetente etc.) e 832 c.p.c. (“Arbitrato secondo regolamenti precostituiti”) (inosservanza della disciplina di nomina prevista dal regolamento arbitrale)[18].

2. – Una questione rilevante che si pone è entro quale termine, nel corso del procedimento arbitrale, vada eccepita l’invalidità della nomina perché possa essere fatta valere in sede di impugnazione.

Secondo un primo orientamento, la disposizione va letta in combinato disposto con il secondo comma dell’art. 829 c.p.c., che dispone (per quanto qui interessa) che “la parte che (…) non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo”: il che significa che l’eccezione va proposta nella prima istanza o difesa successiva alla nomina avvenuta in modo non conforme alle norme sopra richiamate[19].

Secondo altro orientamento, invece, il secondo comma non si applica perché non riguarda la costituzione dell’organo arbitrale, ma la violazione delle regole del procedimento; l’eccezione potrebbe quindi essere sollevata per tutto il corso del procedimento (salvo il rispetto del principio del contraddittorio)[20].

V. – Segue: lodo emesso da chi non poteva essere nominato arbitro (art. 829, comma 1, n. 3, c.p.c.)

Il comma 1, n. 3, prevede che il lodo è nullo “se (…) è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812[21], ossia chi sia privo, in tutto o in parte, della capacità legale di agire.

Si tratta di un’ipotesi alquanto rara nella pratica; qui basti ricordare che non possono essere nominati arbitri gli interdetti, gli inabilitati, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno (anche se tale ultima questione è controversa).

Non rientra in questa ipotesi il caso in cui si deduca la non imparzialità dell’arbitro; infatti la giurisprudenza ha affermato il “principio secondo il quale nel procedimento arbitrale, l’esistenza di situazioni di incompatibilità, idonee a compromettere l’imparzialità dei componenti del collegio, dev’essere fatta valere mediante istanza di ricusazione da proporsi, a norma dell’art. 815 c.p.c., entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione, restando, invece, irrilevanti, ai fini della validità del lodo, le situazioni d’incompatibilità di cui la parte sia venuta a conoscenza dopo la decisione, che, ove non si traducano in una incapacità assoluta all’esercizio della funzione arbitrale e, in genere, della funzione giudiziaria, non possono essere fatte valere mediante l’impugnazione per nullità, attesa l’ormai acquisita efficacia vincolante del lodo e la lettera dell’art. 829, comma 1, n. 2, c.p.c. (recte: n. 3, ndr), che circoscrive l’incapacità ad essere arbitro alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 812 c.p.c. (v. Cass. n. 20558/15)[22].

VI. – Segue: lodo pronunciato fuori dai limiti della convenzione d’arbitrato (art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c.)

1. – Il comma 1, n. 4, prevede che il lodo è nullo “se (…) ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d’arbitrato, ferma la disposizione dell’articolo 817, quarto comma[23] (recte: terzo comma, ndr), o ha deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso”.

La disposizione riguarda anzitutto l’ipotesi della violazione dei limiti della convenzione arbitrale.

Se l’esorbitanza è collegata a una domanda, il lodo sarà impugnabile soltanto qualora la controparte abbia sollevato la relativa eccezione ai sensi del 4° comma dell’art. 817 c.p.c. (recte: 3° comma) nel corso del procedimento arbitrale; il rinvio specifico a tale comma dovrebbe essere inteso nel senso che l’eccezione potrebbe essere sollevata anche oltre la prima difesa o istanza, fermo il rispetto del contraddittorio[24]: se l’eccezione non viene formulata, si avrà in questo modo un’estensione della convenzione all’oggetto della domanda in origine non ricompreso nella convenzione medesima.

L’esorbitanza potrebbe, però, non essere connessa a una domanda, ossia potrebbe riguardare il caso in cui il lodo violi direttamente i limiti della convenzione arbitrale. Rientrano in questa ipotesi, ad esempio, il caso in cui il compromesso prevedeva una pronuncia secondo equità e l’organo arbitrale abbia pronunciato secondo diritto, e viceversa[25], ovvero il caso in cui l’organo arbitrale avrebbe dovuto emettere un lodo irrituale e abbia invece pronunciato un lodo rituale[26].

2. – La disposizione riguarda poi il caso in cui il lodo abbia deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso.

Rientrano in questa ipotesi, ad esempio: il caso in cui il lodo abbia deciso in assenza di un litisconsorte necessario (impugnazione di contratto plurilaterale in cui non fossero presenti processualmente tutte le parti); il caso in cui il lodo abbia deciso in assenza del convenuto qualora la domanda di merito non sia stata portata a conoscenza del destinatario con mezzi idonei; tutti i casi in cui l’organo arbitrale avrebbe dovuto respingere la domanda in quanto inammissibile per difetto di interesse ad agire, per difetto di legittimazione attiva e/o passiva o per genericità.

VII. – Segue: lodo privo dei requisiti di cui ai numeri 5, 6 e 7 dell’art. 823 c.p.c. (art. 829, comma 1, n. 5, c.p.c.)

Il comma 1, n. 5, prevede che il lodo è nullo “se il lodo non ha i requisiti indicati nei numeri 5), 6), 7) dell’articolo 823”, ossia “5) l’esposizione sommaria dei motivi; 6) il dispositivo; 7) la sottoscrizione degli arbitri[27].

Il caso più rilevante è quello della mancanza del requisito di cui al n. 5 dell’art. 823 c.p.c.

Al riguardo occorre richiamare l’attenzione su due punti fondamentali:

a) anzitutto attraverso questo motivo non può essere fatto valere alcun vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione; infatti, come si è già ricordato, è insegnamento consolidato che, “in tema di arbitrato, l’obbligo di esposizione sommaria dei motivi della decisione imposto agli arbitri dall’articolo 823, n. 5, del Cpc, il cui mancato adempimento integra la possibilità di impugnare il lodo ai sensi dell’articolo 829, comma 1, nn. 4 e 5, del Cpc, può ritenersi non soddisfatto solo quando la motivazione manchi del tutto o sia talmente carente da non consentire di comprendere l’iter logico che ha determinato la decisione arbitrale o contenga contraddizioni inconciliabili nel corpo della motivazione o del dispositivo tali da rendere incomprensibile la ratio della decisione[28];

b) per le medesime ragioni non possono essere fatte valere, attraverso questo motivo, censure aventi per oggetto il merito della controversia e, in particolare, la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle prove[29].

VIII. – Segue: lodo pronunciato dopo la scadenza del termine (art. 829, comma 1, n. 6, c.p.c.)

1. – Il comma 1, n. 6, prevede che il lodo è nullo “se (…) è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, salvo il disposto dell’articolo 821[30].

La disposizione prevede che la nullità può essere fatta valere solo dalla parte che, prima della deliberazione del lodo risultante dal dispositivo sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri che intende far valere la loro decadenza.

Se la parte non provvede in tal senso e l’organo arbitrale pronuncia il lodo dopo la scadenza del termine, il lodo non può essere impugnato per questo motivo.

Occorre, peraltro, considerare che la non impugnabilità del lodo per il motivo in esame non fa venir meno l’eventuale responsabilità degli arbitri ai sensi dell’art. 813-ter c.p.c. in caso di superamento del termine per dolo o colpa grave.

2. – In merito alla notifica di cui all’art. 821 c.p.c., la giurisprudenza è orientata nel senso che non sia sufficiente una mera eccezione, ma occorre che la parte dichiari (alle altre parti e agli arbitri) di volersi avvalere della decadenza con il mezzo tecnico della notificazione[31]. Tale notificazione, per essere efficace, deve essere effettuata dalla parte personalmente dopo la scadenza del termine; se fatta, invece, prima della scadenza, essa è inefficace[32].

3. – Se la parte provvede alla notifica, gli arbitri devono dichiarare l’estinzione del procedimento; qualora, invece, gli arbitri pronuncino lo stesso il lodo, quest’ultimo sarà impugnabile ai sensi della norma in esame.

IX. – Segue: violazione delle forme prescritte dalle parti (art. 829, comma 1, n. 7, c.p.c.)

1. – Il comma 1, n. 7, prevede che il lodo è nullo “se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte dalle parti sotto espressa sanzione di nullità e la nullità non è stata sanata”.

Le parti sono libere di determinare le regole di procedura, ossia le regole del gioco (in quanto tali, per espressa previsione della norma, esse vanno fissate prima dell’inizio del procedimento arbitrale. Le regole possono essere modificate anche nel corso del procedimento, ma in questo caso occorre il consenso degli arbitri[33]).

Ai sensi di questa disposizione, le parti possono prescrivere determinate forme relative al procedimento sotto pena di nullità; in caso di mancata osservanza di tali regole, il lodo sarà impugnabile ai sensi del n. 7 del comma 1 dell’art. 829 c.p.c. (sempre che la nullità non sia stata sanata, anche ai sensi dell’art. 829, comma 2, c.p.c.) [34].

Ad esempio, le parti possono prevedere, a pena di nullità del lodo, che sia applicabile la disposizione di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. convenendo, quindi, anche la perentorietà dei relativi termini, oppure possono derogare, prevedendo anche qui la sanzione di nullità di cui al n. 7, al principio di cui all’art. 816 c.p.c. per cui gli arbitri sono liberi di determinare, anche di volta in volta, il luogo della sede effettiva.

2. – Si è osservato che per questo motivo di nullità “vige sicuramente la previsione derivante dal 2° comma dell’art. 829 cod. proc. civ., posto che non ci sono deroghe di alcun tipo[35]. Ciò significa che l’eccezione va proposta nella prima istanza o difesa successiva alla violazione; diversamente, la nullità viene sanata e il lodo non può quindi essere impugnato per questo motivo.

3. – L’inserimento di regole procedimentali nella convenzione arbitrale (o in un atto successivo, purché anteriore all’inizio del procedimento arbitrale) può avere l’inconveniente di rendere più difficile l’adattamento della procedura al caso concreto.

Del resto, la tutela per entrambe le parti in merito alle modalità di svolgimento del procedimento arbitrale è già assicurata dal fatto che gli arbitri sono in ogni caso vincolati dal principio del contraddittorio.

Ad esempio, il richiamo in blocco alle norme del Codice di procedura civile può dar luogo a rilevanti problemi pratici. In particolare, la Cassazione ha affermato che, perché il rinvio sia operante, le parti devono individuare in modo espresso le norme del codice che vogliono rendere applicabili al procedimento arbitrale[36].

4. – In caso di mancata determinazione provvedono gli arbitri. Essi devono in ogni caso attuare il principio del contraddittorio (cfr. art. 816 bis c.p.c.). La violazione delle regole fissate dagli arbitri non può essere fatta valere attraverso questo motivo, ma solo, eventualmente, ricorrendone le condizioni, per violazione del principio del contraddittorio[37].

X. – Segue: lodo contrario ad altro precedente lodo o sentenza (art. 829, comma 1, n. 8, c.p.c.)

Il comma 1, n. 8, prevede che il lodo è nullo se “è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodotta nel procedimento”.

La giurisprudenza ha precisato che la norma “non si riferisce alle decisioni arbitrali emesse nell’ambito dello stesso procedimento, con la conseguenza che il contrasto tra il lodo parziale ed il lodo definitivo deve essere ricondotto al vizio di cui all’art. 829, n. 4, c.p.c., in quanto il secondo si sostanzia in una pronuncia che esorbita i limiti funzionali della convenzione di arbitrato”; in particolare, si è osservato che “Cass. 131/2014 ha motivato la non riconducibilità al motivo di nullità del contrasto con lodo precedente della contraddittorietà tra lodo parziale e lodo definitivo anche affermando che diversamente si ‘finirebbe con lo svilire l’autonomia del lodo non definitivo, non impugnato, conducendo alla caducazione non della sola pronuncia definitiva, ma di entrambe le decisioni arbitrali’”[38].

XI. – Segue: violazione del principio del contraddittorio (art. 829, comma 1, n. 9, c.p.c.)

1. – Il comma 1, n. 9, prevede che il lodo è nullo “se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio”.

Si tratta di una delle disposizioni più importanti in quanto uno dei principi fondamentali dell’arbitrato è, appunto, quello del contraddittorio.

Al riguardo occorre, peraltro, fare le seguenti precisazioni essenziali:

a) la violazione del principio non va intesa in senso meramente formale: infatti la giurisprudenza è consolidata nel senso che la violazione deve avere in concreto pregiudicato il diritto di difesa[39];

b) ne segue che “la nullità del lodo e del procedimento devono essere dichiarate solo ove nell’impugnazione, alla denuncia del vizio idoneo a determinarle, segua l’indicazione dello specifico pregiudizio che esso abbia arrecato al diritto di difesa[40].

2. – In questo quadro, un aspetto importante da tenere in considerazione è anzitutto quello dell’assegnazione, da parte dell’organo arbitrale, di termini perentori per il deposito di memorie, in particolare istruttorie.

Al riguardo la Cassazione ha affermato (precisando che ciò vale sia per l’arbitrato rituale che per quello irrituale) che “gli arbitri incorrono nella violazione del principio del contraddittorio qualora abbiano stabilito la natura perentoria dei termini da loro fissati alle parti per le allegazioni e istanze istruttorie e, in relazione a tale determinazione, abbiano dichiarato decaduta una parte per il tardivo esercizio delle facoltà di proporre quesiti e istanze istruttorie, senza che la convenzione d’arbitrato, o un atto scritto separato o il regolamento processuale dagli arbitri stessi predisposto, prevedesse la possibilità di fissare termini perentori per lo svolgimento delle attività difensive e senza una specifica avvertenza circa il carattere perentorio dei termini al momento della loro assegnazione[41].

3. – Un altro punto rilevante è il c.d. divieto di terza via: è il caso in cui gli arbitri rilevino d’ufficio una questione di fatto o una questione mista di fatto e diritto e decidano senza averla previamente sottoposta alle parti.

Occorre peraltro considerare che, in relazione alla nullità della sentenza per violazione del divieto di terza via, la Cassazione afferma che tale nullità “è predicabile solo quando la questione sia di fatto, o mista (fatto-diritto), e purché la parte dimostri che la violazione di quel dovere ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini”; il che significa che “il rilievo (…) e la decisione solipsistica di una questione di puro diritto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) non determina un vizio processuale diverso dall’error iuris in iudicando o in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato[42].

In altre parole, occorre che la violazione del divieto abbia procurato un effettivo e concreto pregiudizio alla parte, la quale, in sede di impugnazione, ha l’onere di specificare quale attività processuale avrebbe svolto, ove la questione le fosse stata sottoposta, e come tale attività avrebbe potuto dar luogo a una decisione diversa.

XII. – Segue: lodo pronunciato senza decidere il merito della controversia (art. 829, comma 1, n. 10, c.p.c.)

Il comma 1, n. 10, prevede che il lodo è nullo “se (…) conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri”.

È il caso in cui l’organo arbitrale chiuda il procedimento rilevando – in modo erroneo – un impedimento alla decisione nel merito.

Ad esempio, gli arbitri si sono erroneamente dichiarati incompetenti o hanno respinto la domanda ritenendola erroneamente inammissibile (ad esempio, per difetto di interesse ad agire o per difetto di legittimazione attiva o passiva).

XIII. – Segue: lodo che contiene disposizioni contraddittorie (art. 829, comma 1, n. 11, c.p.c.)

Il comma 1, n. 11, prevede che il lodo è nullo “se (…) contiene disposizioni contraddittorie”.

Questa disposizione non consente di far valere eventuali vizi relativi alla motivazione (per contraddittorietà, insufficienza o illogicità).

Infatti è consolidato il principio per cui “la sanzione di nullità prevista dall’art. 829 n.11 c.p.c. (ipotesi di nullità già prevista nel testo previgente dell’art. 829 n. 4 c.p.c.) per il lodo contenente disposizioni contraddittorie deve essere intesa nel senso che detta contraddittorietà deve emergere tra le diverse componenti del dispositivo o tra la motivazione ed il dispositivo ovvero concretizzarsi in un contrasto fra parti della motivazione di gravità tale da rendere impossibile la ricostruzione della ratio decidendi, traducendosi in sostanziale mancanza della motivazione stessa (Cass. 11895/2014, Cass. 1183/2006, Cass. 11136/2000, Cass. 1699/2000, Cass. 1131/2009, Cass. 6069/2004, Cass. Sez. Un. 3990/87)[43].

XIV. – Segue: lodo che non pronunciato su alcune domande o eccezioni (art. 829, comma 1, n. 12, c.p.c.)

Il comma 1, n. 12, prevede che il lodo è nullo “se (…) non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato”.

La disposizione prevede la possibilità di impugnare il lodo che sia affetto da un vizio di omessa pronuncia.

Al riguardo va peraltro precisato che “la nullità del lodo per omessa pronunzia su domande ed eccezioni delle parti, in conformità alla convenzione di arbitrato, ex art. 829, comma 1, n. 12, c.p.c., è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte degli arbitri, di questioni di merito e non anche di rito, nel qual caso l’impugnazione per nullità può essere proposta soltanto, in base ad altri numeri del medesimo art. 829 c.p.c., per far valere la mancanza delle condizioni per la decisione nel merito da parte degli arbitri[44].

XV. – La decisione sull’impugnazione per nullità (art. 830 c.p.c.)

La corte d’appello decide sull’impugnazione per nullità e, se l’accoglie, dichiara con sentenza la nullità del lodo. Se il vizio incide su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo.

Se il lodo è annullato per i motivi di cui all’articolo 829, commi primo, numeri 5), 6), 7), 8), 9), 11) o 12), terzo, quarto o quinto, la corte d’appello decide la controversia nel merito salvo che le parti non abbiano stabilito diversamente nella convenzione di arbitrato o con accordo successivo. Tuttavia, se una delle parti, alla data della sottoscrizione della convenzione d’arbitrato, risiede o ha la propria sede effettiva all’estero, la corte d’appello decide la controversia nel merito solo se le parti hanno così stabilito nella convenzione di arbitrato o ne fanno concorde richiesta.

Quando la corte d’appello non decide nel merito, alla controversia si applica la convenzione di arbitrato, salvo che la nullità dipenda dalla sua invalidità o inefficacia.

Su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell’impugnazione, la corte d’appello può sospendere con ordinanza l’efficacia del lodo, quando ricorrono gravi motivi.

Parte IV – Arbitrato – La revocazione e l’opposizione di terzo (art. 831 c.p.c.)

I. – La revocazione

Ai sensi dell’art. 831 c.p.c. il lodo, nonostante qualsiasi rinuncia, è soggetto a revocazione nei casi indicati nei numeri 1), 2), 3) e 6) dell’articolo 395, osservati i termini e le forme stabiliti nel libro secondo.

Si tratta della sola revocazione straordinaria, essendo quindi esclusa la possibilità di impugnare un lodo con la revocazione ordinaria[45].

Il lodo sarà, quindi, impugnabile con revocazione soltanto qualora si deduca che: a) il lodo sia l’effetto del dolo di una parte ai danni dell’altra; b) gli arbitri abbiano giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; c) se dopo il lodo sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario; d) se il lodo è effetto del dolo degli arbitri, accertato con sentenza passata in giudicato.

La competenza spetta alla corte d’appello nella cui circoscrizione ha sede l’arbitrato.

II. – L’opposizione di terzo

ll lodo è soggetto ad opposizione di terzo nei casi indicati nell’articolo 404 c.p.c. e, quindi: a) un terzo può fare opposizione contro il lodo quando pregiudica i suoi diritti; b) gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione al lodo quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno.

Il terzo è legittimato a proporre opposizione ordinaria sempre che sia rimasto estraneo al giudizio arbitrale.

In relazione all’art. 831 c.p.c. la giurisprudenza ha precisato che “la legittimazione ad impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo ordinaria (art. 404, co.1, c.p.c.) presuppone, in capo all’opponente, la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre parti” (Cass. 14/4/2010 n. 8888), con riguardo alla posizione dei singoli condomini rispetto al Condominio, di cui i primi fanno parte, va richiamato l’insegnamento della Suprema Corte che ha avuto modo di chiarire che “la sentenza pronunciata nei confronti di un condominio, in persona del suo amministratore, non è impugnabile con l’opposizione ordinaria ex art. 404, comma 1, c.p.c. dai singoli condomini, non essendo questi ultimi terzi titolari di un diritto autonomo rispetto alla situazione giuridica affermata con tale decisione, la quale fa stato anche nei loro confronti, benchè non intervenuti in giudizio, atteso che il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei condomini” (Cass. 21/2/2017 n. 4436); che, del resto, “il giudicato formatosi all’esito di un processo in cui sia stato parte l’amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condomini, pure se non intervenuti nel giudizio, atteso che il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini[46]

Anche in questo caso la competenza spetta alla corte d’appello nella cui circoscrizione ha sede l’arbitrato.

 

[1] Cfr. Cass., 7 agosto 2019, n.21059, in www.dejure.it: “deve (…)  applicarsi il principio, espresso anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell’art. 808 ter c.p.c., ad opera del D.Lgs. n. 2 febbraio 2006, n. 40, secondo cui il dubbio sull’interpretazione dell’effettiva volontà dei contraenti deve essere risolto nel senso della ritualità dell’arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza giudiziaria (Cass. n. 6909 de 2015), non essendovi elementi certi per ritenere che l’arbitrato sia stato previsto come strumento di composizione amichevole riconducibile alla stessa volontà delle parti (Nella specie, ha osservato la Suprema corte, le espressioni presenti nella clausola, giudizio arbitrale, giudizio inappellabile, senza formalità di rito e secondo equità, non sono idonei a sciogliere il dubbio in favore dell’arbitrato irrituale).

[2] Cfr. Cass., 13 aprile 2022, n.12058, in www.dejure.it: “l’arbitrato irrituale è un mandato congiunto a comporre una controversia mediante un negozio con questa funzione”.

[3] D’Ambrosio, La determinazione contrattuale ex art. 808-ter cpc quale espressione di potere dispositivo ex lege, in Rivista dell’arbitrato, 2014, 485. Cfr. Corte Cost., 20 luglio 2017, n. 196, in www.dejure.it, la quale ha affermato che “è manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 808-ter c.p.c., censurato, per violazione degli artt. 3, 24, 101 e 111 Cost., nella parte in cui limita l’impugnabilità del lodo, reso all’esito dell’arbitrato irrituale, ai casi di gravame in esso previsti, tra i quali non figurano i vizi del consenso, l’incapacità e l’omessa motivazione. In primo luogo, il giudice a quo ha del tutto omesso la descrizione della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, senza chiarire se, nel caso di specie, le parti hanno impugnato il lodo per vizi della volontà, incapacità o difetto di motivazione. Le lacune nella ricostruzione della fattispecie concreta si riflettono nel difetto di motivazione sulla necessità di fare applicazione della disposizione censurata e, quindi, sulla rilevanza della questione rispetto al giudizio a quo. Inoltre, il giudice a quo, nel lamentare l’impossibilità di impugnativa del lodo arbitrale irrituale per vizi del consenso e incapacità, ha omesso di considerare l’orientamento consolidato della Corte di cassazione, fondato sui principi della disciplina contrattuale, in base al quale il lodo irrituale è soggetto al regime delle impugnative negoziali in ragione della sua natura di negozio di accertamento. Cfr. anche Cass., 2 dicembre 2015, n. 24558, in www.dejure.it.

[4] Cfr. Cass., s.u., 18 novembre 2016, n. 23463, in www.dejure.it.

[5] App. Milano, 15 aprile 2021, n. 1181 in www.dejure.it. Tuttavia, in dottrina si è affermato che “il lodo che abbia deciso in ordine alla potestas iudicandi degli arbitri, piuttosto che del giudice” sarebbe “parziale” in quanto “ha risolto una questione di merito relativa alla validità ed efficacia del patto di arbitrato, attribuendo alla parte vincitrice lo specifico diritto di agire in arbitrato” (Salvaneschi, in Commentario a cura di Chiarloni, Bologna, 2014, 851-852).

[6] La Cassazione ha peraltro affermato quanto segue: “‘lodo che decide parzialmente il merito della controversia, immediatamente impugnabile a norma dell’art. 827 c.p.c., comma 3, è sia quello di condanna generica ex art. 278 c.p.c. sia quello che decide una o alcune delle domande proposte senta definire l’intero giudizio, non essendo immediatamente impugnabili i lodi che decidono questioni pregiudiziali o preliminari’ (Cass., Sez. Un., 18 novembre 2016, n. 23463). Traendo argomento dall’art. 360 c.p.c., comma 3 e dall’art. 361 c.p.c., comma 1, le Sezioni Unite hanno in breve inteso affermare che, al fine di stabilire se si versi o meno in ipotesi di ‘lodo che decide parzialmente il merito della controversia’, occorre avere riguardo alla verifica dell’esaurimento della funzione giurisdizionale dinanzi agli arbitri, di guisa che, per i fini dell’immediata impugnabilità, va considerato lodo parziale, nonostante la formula adottata dalla norma, anche quello che, pur senza pervenire allo scrutinio del merito, abbia nondimeno esaurito la funzione decisoria devoluta al collegio arbitrale: e dunque, ad esempio, in ipotesi di cumulo di domande, il lodo che abbia deciso sulla competenza arbitrale riguardo ad una di esse sarà da considerare lodo parziale (i. e. immediatamente impugnabile) ove il collegio arbitrale si sia in parte qua spogliato della lite, sarà da considerare lodo non definitivo (i.e. impugnabile soltanto col definitivo) ove il collegio arbitrale abbia riconosciuto la propria competenza” (Cass., 4 settembre 2020, n.18507, in www.dejure.it).

[7] Al riguardo va peraltro segnalato che autorevole dottrina ritiene che sarebbe esperibile anche la revocazione ordinaria (cfr. Salvaneschi, Op. cit., 940 e ss., la quale propone una lettura degli artt. 828 e 831 c.p.c. costituzionalmente orientata, in modo da assicurare tutela anche ai casi in cui il lodo sia frutto di un travisamento del fatto).

[8] Cfr. App. Genova, 28 marzo 2022, n. 335, che ha precisato che “il giudizio di impugnazione per nullità del lodo davanti alla Corte d’Appello non costituisce un appello avverso la pronuncia degli arbitri, in quanto ha ad oggetto unicamente l’accertamento delle cause di nullità tassativamente previste dall’art. 829 del c.p.c. e dedotte con l’atto di impugnazione: trattasi di un giudizio a critica vincolata strutturalmente diverso da un atto di appello. Come evidenziato dalla Corte di Appello di Brescia nella sentenza n. 71/2017, ‘l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale non costituisce un normale giudizio di appello. Nell’impugnazione per nullità delle decisioni rese dagli arbitri, la Corte d’Appello non è infatti chiamata a confermare o riformare la decisione di primo grado resa da un giudice ordinario (che nella specie non esiste), ma ha, in prima battuta, esclusivamente il compito di verificare se la decisione resa da un organo diverso dall’ordinamento statale, cui le parti hanno affidato la risoluzione della lite tra loro insorta, è affetto da nullità per uno dei motivi tassativamente indicati dalla legge. Infatti il Giudice d’appello può pervenire ad una pronuncia di annullamento del lodo solo in base ad una serie limitata di vizi specificatamente indicati all’art. 829 c.p.c.: si tratta cioè di un mezzo di impugnazione cosiddetto ‘a critica vincolata’ (…) Più specificatamente, il giudizio di impugnazione del lodo si compone imprescindibilmente di una prima fase a carattere cosiddetto ‘rescindente’ (volta appunto all’eventuale annullamento della pronuncia arbitrale), e di una eventuale fase cosiddetta ‘rescissoria’ – nei casi in cui è ammissibile – che consiste in una nuova decisione della controversia nel merito; detta fase ovviamente è condizionata all’accoglimento dell’impugnazione per nullità. L’impugnazione del lodo arbitrale davanti alla Corte d’ Appello dà dunque luogo a un giudizio di legittimità, nel quale il giudice esamina il lodo per verificare la fondatezza delle censure mosse, non potendo, in sede di giudizio rescindente, procedere ad accertamenti di fatto, né ad un autonomo giudizio sul merito della controversia. La ricostruzione del fatto non compete al giudice dell’impugnazione se non nella successiva fase rescissoria e sul presupposto dell’accertamento della nullità del lodo (…) Nel dedurre i vizi di asserita nullità del lodo impugnato, l’impugnante ha l’obbligo di attenersi rigorosamente nell’atto di impugnazione alla regola della necessaria specificità nella formulazione dei motivi, senza la quale non è possibile per il Giudice, e per la parte convenuta, verificare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente ai casi di impugnabilità tassativamente stabiliti dall’art. 829 c.p.c. Il requisito della necessaria specificità dei motivi, richiesto anche nell’ordinario giudizio di appello dall’ art. 342 c.p.c., deve qui intendersi in maniera ancora più rigorosa, essendo la fase rescindente del giudizio di impugnazione del lodo paragonabile al ricorso per cassazione’”.

[9] Cass., 18 ottobre 2013 n. 23675, in www.dejure.it.

[10] Salvaneschi, Op. cit., Bologna, 2014, 364. In particolare, la sede rileva sotto i seguenti profili:

a) anzitutto, ove una delle parti abbia sede o residenza all’estero, per determinare quale sia la legge arbitrale applicabile (ma la questione è comunque controversa); in tal modo essa funge da criterio di collegamento tra un determinato procedimento arbitrale e un ordinamento statale (il che rileva ai fini della individuazione della lex arbitri); b) in caso di arbitrato domestico, per individuare il giudice statuale competente a svolgere le diverse funzioni di ausilio in relazione al procedimento arbitrale (ad esempio: l’impugnativa del lodo arbitrale: artt. 827 e ss. c.p.c. ); nomina e sostituzione degli arbitri (artt. 810, 811, 813-bis p.c.); ricusazione degli arbitri (art. 815 c.p.c.); liquidazione compensi arbitri (art. 814 c.p.c.); ordine di comparizione dei testimoni (art. 816-ter c.p.c.); concessione esecutorietà del lodo (art. 825 c.p.c.). Cfr. ancora Salvaneschi, Op. cit., 368: “la sede diviene elemento di localizzazione dell’arbitrato, capace di fungere da criterio di collegamento tra un dato procedimento arbitrale e un ordinamento statale, le cui conseguenze giuridiche hanno rilievo fondamentale, in quanto elemento di identificazione della lex arbitri”.

[11] Cfr. D.Lgs del 10 ottobre 2022, n. 149, art. 3, comma 54: “Al Libro IV, Titolo VIII, Capo V, del codice di procedura civile, all’articolo 828, secondo comma, le parole «decorso un anno» sono sostituite dalle seguenti: «decorsi sei mesi»”.

[12] Cass., s.u., 30 marzo 2021, n. 8776, in www.dejure.it.

[13] Riportiamo qui di seguito, per comodità, il testo degli articoli: a) 829, comma 2, c.p.c. (vecchio testo); b) 829, comma 3, c.p.c. (testo vigente); c) art. 4 D. Lgs n. 40/2006 (norma transitoria):

a) 829, comma 2, c.p.c. (vecchio testo): “l’impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile”;

b) 829, comma 3, c.p.c. (testo vigente): “l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico”;

c) 4 D. Lgs n. 40/2006 (norma transitoria): “le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (2 marzo 2006). L’articolo del D. Lgs n. 40/2006 qui rilevante è il n. 24, che ha introdotto l’art. 829 c.p.c. nell’attuale formulazione.

[14] Salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile: cfr. anche Cass., 13 luglio 2017, n. 17339, in www.dejure.it.

[15] Art. 817 c.p.c.: “La parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile”.

[16] Questo principio implica che ciascuna parte ha diritto a un trattamento uguale alle altre parti nella nomina degli arbitri. Il che non vuol dire che ogni parte abbia diritto di nominare un proprio arbitro, ma solo che ha diritto di farlo se è previsto che le altre parti possano farlo. Il principio è, quindi, rispettato anche quando tutte le parti siano private del potere di nominare un proprio arbitro perché, ad esempio, la nomina è stata deferita a un terzo. In altre parole, ciascuna parte ha diritto a che vi siano modalità di nomina in forza delle quali ciascuna parte sia trattata in modo uguale rispetto alle altre. Il mancato rispetto di questo principio comporta l’invalidità della convenzione arbitrale.

[17] Naturalmente occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 808 c.p.c., “la validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce”. Al riguardo si veda App. Milano, 19 ottobre 2021, n. 3010: “l’eventuale inefficacia dell’accordo transattivo, compresa la clausola compromissoria (…) per dedotto mancato avveramento della condizione (…) non porta a nullità dell’accordo, bensì a mera inefficacia del medesimo, la cui declaratoria, peraltro, non può che essere adottata a norma dello stesso contratto di transazione, (…) il che presuppone in tutta evidenza logica proprio la validità della clausola (…) di cui si chiede, perciò, necessariamente l’applicazione. L’inefficacia in parola, poi, non può che essere valutata dal collegio arbitrale, chiamato, perciò, a valutare la sussistenza della propria potestas iudicandi”.

[18] Cfr. Cass., 28 maggio 2019, n.14476: “la nomina dell’arbitro in violazione della regola, contenuta nell’art. 810, secondo comma, c.p.c. che attribuisce tale competenza, funzionale ed inderogabile, al presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato, determina la nullità del lodo, ai sensi dell’art. 829, primo comma, c.p.c., ove disposta da giudice territorialmente non competente, nei limiti in cui la questione venga dedotta nel giudizio arbitrale ma non l’invalidità della convenzione arbitrale sia perché si tratta di una disposizione destinata a regolare l’ipotesi residuale del mancato accordo delle parti in merito alla nomina, sia perché la previsione di un foro inderogabile opera, nel processo, in modo simile al meccanismo di sostituzione di diritto delle clausole contrattuali nulle, perché in contrasto con norme imperative, di cui all’art. 1419, secondo comma, c.c.”.

[19] Cfr. Benedetti-Consolo-Radicati di Bronzolo, Commentario breve al Diritto dell’Arbitrato, Milano, 2017, sub art. 829; App. Genova, 26 luglio 2021, n. 872.

[20] Salvaneschi, Op. cit., 886.

[21] Art. 812 c.p.c.: “non può essere arbitro chi è privo, in tutto o in parte, della capacità legale di agire”.

[22] App. Roma, 22 giugno 2020, n.3024 in www.dejure.it.

[23] Art. 817 c.c. “Eccezione di incompetenza.

Se la validità, il contenuto o l’ampiezza della convenzione d’arbitrato o la regolare costituzione degli arbitri sono contestate nel corso dell’arbitrato, gli arbitri decidono sulla propria competenza.

Questa disposizione si applica anche se i poteri degli arbitri sono contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento. La parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile.

La parte, che non eccepisce nel corso del procedimento arbitrale che le conclusioni delle altre parti esorbitano dai limiti della convenzione d’arbitrato, non può, per questo motivo, impugnare il lodo”.

[24] Cfr. Salvaneschi, Op. cit., 891. Tuttavia, altra dottrina ritiene, invece, che anche in questo caso si applichi il secondo comma dell’art. 829 c.p.c. e l’eccezione vada, quindi, formulata nella prima istanza o difesa successiva.

[25] Cass., 11 aprile 1983, n. 2550, in www.dejure.it.: “l’eccesso di potere degli arbitri, sia nell’ipotesi che essi, investiti di un giudizio di equità, abbiano deciso secondo diritto, sia nell’ipotesi in cui, chiamati a decidere secondo diritto, abbiano invece deciso secondo equità, costituisce una violazione dei limiti segnati dal compromesso alla loro potestas iudicandi, ed è, quindi, denunciabile di per sé, e senza che sia necessario dedurne specifiche violazioni di norme di diritto, ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c., esaurendo la denuncia dell’eccesso di potere giurisdizionale l’onere di impugnazione ed assorbendo ogni censura di error in iudicando”.

[26] Cass., 24 marzo 2011, n. 6842, in www.dejure.it: “la pronuncia di un lodo rituale ove sia stato dalle parti previsto un arbitrato irrituale comporta la nullità del lodo stesso in quanto pronunciato “fuori dei limiti del compromesso” (art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4), che non consentiva agli arbitri di emettere un lodo rituale”. Naturalmente il lodo sarà impugnabile per questo motivo soltanto qualora nel corso dell’arbitrato quest’ultimo non sia stato qualificato come rituale. Infatti “là dove invece una clausola di compromesso arbitrale esista (…) siffatto estremo consente, in applicazione delle norme di esegesi della volontà negoziale delle parti, di valorizzare la condotta successiva delle parti in sede di svolgimento del lodo e, segnatamente, della dichiarazione di qualificazione del lodo, rituale o meno, in sede interpretativa ivi assunta. A siffatta evidenza si accompagna la necessità di una tempestiva contestazione della qualificazione così ritenuta nel procedimento arbitrale in quanto eccedente la clausola di arbitrato ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, pena la non proponibilità ex art. 817 c.p.c., della censura, afferente squisitamente al merito, nel giudizio di impugnazione davanti alla Corte di appello (Cass. n. 2524 cit.; Cass. n. 4478 cit.; Cass. S.U. n. 9289 cit.)” (Cass., 25 gennaio 2022, n. 2066, in www.dejure.it).

[27] A quest’ultimo riguardo l’art. 823 c.p.c. precisa che “la sottoscrizione della maggioranza degli arbitri è sufficiente, se accompagnata dalla dichiarazione che esso è stato deliberato con la partecipazione di tutti e che gli altri non hanno voluto o non hanno potuto sottoscriverlo”.

[28] Cass., 19 luglio 2021, n.20558, in www.dejure.it.

[29] cfr. App. Genova, 9 novembre 202, n. 1130.

[30] Art. 831: “Rilevanza del decorso del termine.

1. Il decorso del termine indicato nell’articolo precedente non può essere fatto valere come causa di nullità del lodo se la parte, prima della deliberazione del lodo risultante dal dispositivo sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri che intende far valere la loro decadenza.

2. Se la parte fa valere la decadenza degli arbitri, questi, verificato il decorso del termine, dichiarano estinto il procedimento”.

[31] Cfr. Cass.,15 novembre 1984, n. 5771; Cass., 23 gennaio 2012, n. 889. Per un caso particolare cfr. App. Genova 23 maggio 2019 n. 746.

[32] Cfr. in questo senso App. Genova, 2 maggio 2018, n. 732.

[33] cfr. Cass., 4 maggio 2011, n. 9761, in www.dejure.it.

[34]Le parti possono infatti definire preventivamente le forme del procedimento arbitrale e, nel fissare le regole processuali, possono altresì regolare il rilievo di queste nell’ambito del processo arbitrale, rafforzandone l’effettività attraverso la sanzione della nullità dell’atto compiuto in difformità, che è idonea a costituire motivo di impugnazione del lodo (così Cass. 31 gennaio 2007, n. 2201, in motivazione). La nullità del lodo per violazione di norme processuali, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., n. 7, è dunque configurabile soltanto alla duplice condizione che non siano state rispettate le forme di cui sia stata prevista l’osservanza, e che le stesse forme siano prescritte a pena di nullità (cfr. Cass. 13 agosto 1999, n. 8637)” (Cass., 6 settembre 2021, n. 24008, in www.dejure.it);

[35] Salvaneschi, Op. cit., 900.

[36] Cass., s.u., 5 maggio 2011, n. 8939, in www.dejure.it.

[37]Ove, invece, le parti non abbiano predeterminato le regole processuali da adottare, gli arbitri sono liberi di regolare l’articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno, anche discostandosi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, con l’unico limite del rispetto dell’inderogabile principio del contraddittorio, posto dall’art. 101 c.p.c., il quale, tuttavia, va opportunamente adattato al giudizio arbitrale, nel senso che deve essere offerta alle parti, al fine di consentire loro un’adeguata attività difensiva, la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di esaminare ed analizzare le prove e le risultanze del processo, anche dopo il compimento dell’istruttoria e fino al momento della chiusura della trattazione, nonché di presentare memorie e repliche e conoscere in tempo utile le istanze e richieste avverse (Cass. 21 febbraio 2019, n. 5243; Cass. 26 maggio 2015, n. 10809). In tali casi, la violazione della regola del contraddittorio, che è specificamente posta dall’art. 816 bis c.p.c., comma 1, costituisce oggetto del motivo di impugnazione di cui al cit. art. 829 c.p.c., n. 9” (Cass., 6 settembre 2021, n. 24008, in www.dejure.it).

[38] App. Genova, 29 agosto 2019, n. 1216.

[39]La questione della violazione del contraddittorio deve essere esaminata (…) nell’ambito di una ricerca volta all’accertamento di una effettiva lesione della possibilità di dedurre e contraddire, onde verificare se l’atto abbia egualmente raggiunto lo scopo di instaurare un regolare contraddittorio e se, comunque, l’inosservanza non abbia causato pregiudizio alla parte” (Cass., 7 giugno 2021 n. 15785 in www.dejure.it”).

[40] Cfr. Cass., 7 giugno 2021, n. 15785 cit., in www.dejure.it, che precisa che “il limite del rispetto del principio del contraddittorio, peraltro, va opportunamente adattato al giudizio arbitrale, dovendo essere offerta alle parti, al fine di consentire loro un’adeguata attività difensiva, la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di esaminare e analizzare le prove e le risultanze del processo, di presentare memorie e repliche e conoscere in tempo utile le istanze e richieste avverse, cosicché il principio è rispettato laddove sia data alle parti la possibilità di svolgere le proprie difese su tutto il materiale della lite, con modalità e tempi ragionevoli”.

[41] Cass., 26 settembre 2018, n. 22994, in www.dejure.it. Cfr. anche Cass., 21 gennaio 2016, n.1099, in www.dejure.it: “in tema di arbitrato rituale, vìola il principio del contraddittorio la fissazione di termini perentori alle parti per la formulazione delle istanze istruttorie, senza alcuna previsione della loro perentorietà nella convenzione d’arbitrato o in un atto scritto separato e comunque in assenza di una specifica avvertenza al riguardo, con la conseguente decadenza er la parte che incolpevolmente non li abbia rispettati”.

[42] Cass., 27 dicembre 2021, n. 41670, in www.dejure.it.

[43] App. Genova, 9 novembre 2020, n. 1034. Cfr. anche App. Genova, 17 giugno 2016 n. 679.

[44] Cass., 4 giugno 2021, n. 15613, in www.dejure.it.

[45] In dottrina si è peraltro affermato che, anche alla luce della formulazione dell’art. 827 c.p.c., che fa riferimento alla revocazione, senza alcuna limitazione, sarebbe ammissibile anche la revocazione ordinaria: cfr. Salvaneschi, Op. cit., 842-843.

[46] App. Milano, 28 gennaio 2022, n. 306.

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